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4.4 Pierre-Joseph Proudhon e la teoria del valore-lavoro

Sosteniamo che, una volta identifcati il capitale e il lavoro, la società sussiste da sola e non ha più bisogno del governo. Noi siamo, di conseguenza, e l'abbiamo proclamato più di qualche volta, anarchici.

L'anarchia è la condizione d'esistenza delle società adulte, così come la

gerarchia è la condizione di esistenza delle società primitive: nelle società umane esiste un incessante progresso dalla gerarchia all'anarchia.123

Questa breve citazione di un saggio critico di Proudhon mette istantaneamente in luce la vicinanza del socialista libertario francese all'individualista radicale americano. Durante tutto l'arco della sua vita Tucker non mancherà mai di considerare Proudhon il suo maestro e non si troverà, in tutta la sua carriera editoriale, una sola riga di critica o polemica rivolta al pensatore francese.

Il motivo di tanta venerazione è presto detto. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le opere di Proudhon e si accingesse a prendere in mano le pagine di “Liberty”, noterebbe ipso facto che i principi basilari assunti da Tucker, nel fondare il suo “ismo”, riposano, in buona perte, sui fondamenti del pensiero partoriti dalla mente del socialista francese. La critica dello Stato considerato come una istituzione inessenziale che tende costantemente al proprio rafforzamento, la teoria economica secondo la quale il lavoro è sempre la misura reale del valore di un bene e, infne, l'assunzione del termine anarchia per defnire la propria posizione all'interno della galassia politica, sono tutti assunti che Tucker mutua da Proudhon. Sono posizioni di non poco conto che condizioneranno notevolmente l'intera produzione tuckeriana.

Partendo dalla questione dell'assunzione del termine anarchia, è necessario sottolineare come con Proudhon, per la prima volta nella storia, si dia un mutamento radicale nella percezione del signifcato della parola. Grazie a lui l'anarchia, da essere sempre stata caratterizzata per la sua

negatività, si trasforma in un'espressione dalle forti connotazioni positive. Come si evince dall'incipit, Proudhon identifca l'anarchia con la libertà e con il principio di libertà, in opposizione a tutte le altre forme di organizzazione sociale – più o meno stataliste – che rispondono al principio di autorità e vengono identifcate con il termine “ger-archia”. Lungi dall'essere sinonimo di caos e disordine generalizzato l'anarchia risulta quindi “l'espressione del più alto grado di civiltà e di ordine cui possa giungere l'umanità”124. Non

solo, dunque, l'espressione si tinge di una colorazione benevola ma diventa l'aspirazione massima e il punto più alto cui può pervenire l'intero genere umano (quanto meno per quanto riguarda le forme di organizzazione, associazione e aggregazione sociale).

Proudhon sostiene apertamente l'inutilità dello Stato di fronte alla libera associazione che, attraverso il completo dispiegamento della libertà e le varie forme del contratto, è in grado di sopravvivere autonomamente. Per questo motivo è da ascrivere anch'egli tra quella cerchia di pensatori che dipingono il dissolvimento dello Stato all'interno della società civile come l'approdo ultimo, e necessario, della civiltà umana. Sulla base di questa concezione costruirà in seguito la distinzione tra “regime di autorità” e “regime di libertà” che si dimostrerà fondamentale per l'intera costruzione teorica di Tucker. All'interno di un altro saggio critico il cui titolo presenta delle sfumature prettamente tuckeriane (Autorità e Libertà), Proudhon afferma:

Abbiamo individuato i due principi fondamentali e antitetici di ogni governo: autorità e libertà. […] due differenti tipi di governo si deducono solitamente a priori da quelle due nozioni basilari, secondo la preminenza o preferenza che si vuol accordare all’una o all’altra, e sono: il regime di autorità e il regime di libertà. Essendo inoltre la società composta da individui, e potendosi classifcare, i rapporti fra individuo e società, in quattro diversi modi, ne risultano quattro tipi di governo, due per ciascun regime:

1. regime di autorità: a) governo di tutti da parte di uno: monarchia o patriarcato; b) governo di tutti da parte di tutti: panarchia o comunismo;

il carattere essenziale di questo regime di autorità, in ambedue le specie, è l’indivisione del potere;

2. regime di libertà: a) governo di tutti da parte di ciascuno: democrazia; b) governo di ciascuno per sé: anarchia o autogoverno; il carattere essenziale di questo regime di libertà, in ambedue le specie, è la divisione del potere. 125

La distinzione qui riportata richiama esplicitamente la divisione compiuta da Tucker nel già citato articolo State Socialism and Anarchism: How far they agree, and wherein they differ, scritto nel 1886 e pubblicato per la prima volta nel 1893, dove l'anarchico statunitense applica il fltro “autorità/libertà” per distinguere le diverse forme di socialismo e per condannare, come fece Proudhon prima di lui, il comunismo marxista. Come si è già accennato nel capitolo precedente, anche Tucker vede nel comunismo un regime che risponde al principle of Authority che conduce ad un progressivo accentramento del potere nelle mani dell'apparato statale che si traduce con un “absolute control by the majority of all individual conduct”126;

parallelamente rintraccia nell'anarchia la miglior forma di organizzazione sociale in grado di armonizzare tra loro le diverse libertà individuali, obbedendo al principio di libertà e dividendo il potere in maniera tale che “all the affairs of men should be managed by individuals or voluntary associations, and that the State should be abolished”127. Questa distinzione

rimarrà fondamentale per tutta la vita di Tucker e starà alla base di ogni giudizio di valore espresso nei confronti delle istituzioni o delle manovre governative. Al pari di Proudhon, che vedrà l'anarchia nell'ottica del “governo del singolo da parte del singolo, cioè autogoverno”128 l'anarchico

individualista riconoscerà l'anarchia come la libertà del singolo di decidere per se stesso, di essere giudice di se stesso, di autogovernarsi, in poche parole identifcherà l'anarchia con la warreniana individual sovereignty. A scorrere le successive righe di Autorità e Libertà diverrà ulteriormente chiaro quanto la concezione dell'anarchia di Proudhon e quella di Tucker risultino molto

125 P. J. Proudhon, Autorità e Libertà, in G.P. Berti, Critica della proprietà e dello Stato, cit., p. 139. 126 B.R. Tucker, State Socialism and Anarchism, cit., p. 11.

spesso sovrapponibili:

Poiché l'espressione “governo anarchico” implica una serie di contraddizioni, la cosa sembra impossibile e l'idea assurda. Tuttavia il difetto è qui soltanto nell'espressione: la nozione di anarchia, in politica, è altrettanto razionale e positiva quanto le altre. Essa consiste nel fatto che, qualora si riducessero le funzioni politiche alle funzioni dell'umana industria, l'ordine sociale risulterebbe dal solo fatto della transazione e degli scambi; e ciascuno allora potrebbe chiamarsi autocrate di se stesso, che è l'estremo opposto dell'assolutismo monarchico129

Come si può notare, emerge qui tutta la visione della società ideale tuckeriana, la cosiddetta society by contract, nella quale l'ordine sociale tra gli individui sorge spontaneo grazie alla sola operosità umana, alle transizioni volontarie, agli scambi e ai contratti. L'intera immagine della società perfetta di Tucker può essere riassunta dalla citazione appena riportata, e con essa anche la completa visione di ciò che intende con anarchia e società anarchica. L'unica differenza che, a voler essere pignoli si potrebbe mettere in evidenza, è la mancanza, nel radicale americano, di quello scetticismo e pessimismo di fondo tipici della penna di Proudhon. Tucker, infatti, crederà fno in fondo alla realizzabilità del suo ideale di società, spenderà per esso tutte le proprie fnanze e tutte le proprie energie, e - apparte forse durante l'ultimo periodo della sua vita, quando, trasferitosi a Monaco all'alba della seconda guerra mondiale, ebbe qualche sconsolato ripensamento - non vacillerà mai nella sua fede razionale. A differenza sua il pensatore francese avrà sempre la premura di stendere un velo di dubbio alla fne delle sue dissertazioni. Così, alla fne del suo essay si potrà leggere che, tanto l'anarchia quanto la democrazia, pur essendo “fondate sul principio della libertà e sui suoi diritti, e perseguendo il loro ideale logicamente dedotto da tal principio”130, non

saranno mai in grado di realizzarsi interamente nella loro purezza e “malgrado la loro origine giuridica e razionalista”131 non potranno,

“crescendo e sviluppandosi in popolazione e territorio, mantenersi

129 Ivi. 130 Ivi. 131 Ivi.

rigorosamente e limpidamente coerenti con la loro primitiva idea”132 e, per

tanto, saranno condannati a “uno stato di desiderata perpetuo”133.

In defnitiva:

malgrado il potente fascino della libertà, né la democrazia né l'anarchia si sono mai in alcun luogo costituite nella pienezza e integrità della loro idea.134

La vicinanza tra i due pensatori non si esaurisce però nella concordanza che ebbero in merito alla concezione dell'anarchia intesa come autogoverno guidato dal principio di libertà. Volendo proseguire nella comparazione dei due scrittori, si scopre che Tucker attinse da Proudhon molto altro, tra cui prima per importanza la visione economica del lavoro come misura del valore di un bene. Nella sua opera più celebre, Qu'est-ce que la propriété?, Proudhon, dopo aver distinto tra la proprietà intesa come possesso e la proprietà intesa come fattore economico generatrice di sfruttamento (quello che successivamente Tucker chiamerà “usura” che si traduce in: rendita, interesse e proftto) compie una digressione su una delle tematiche che maggiormente sono state discusse nell'economia classica: la teoria del valore. Dopo aver affermato che “gli economisti appoggiati sulle loro induzioni utilitarie vengono a loro volta a dirci: l'origine della proprietà è il lavoro”135, il

pensatore francese si chiede:

Se il lavoro, l'occupazione effettiva e feconda, è il principio della proprietà, come spiegare la proprietà presso colui che non lavora? Come giustifcarne l'afftto? Come dedurre dalla formazione della proprietà mediante il lavoro il diritto di possedere senza lavoro? Come sostenere che da un lavoro sostenuto durante trent'anni risulta una proprietà eterna? [...] Ora, qual è il valore del lavoro? Qual è la misura comune dei prodotti, il cui scambio conduce a così mostruose disuguaglianze nella proprietà?136

132 Ibidem, p. 142. 133 Ivi.

134 Ivi.

La rigidità dello scrittore francese nell'identifcare la reale misura del valore di un bene nel lavoro è uno dei tratti che più lo contraddistinguono, e costituisce una delle caratteristiche di cui si impadronirà Benjamin Tucker, sostenendo, in numerose occasioni, che “labor is the true measure of price”, che “the natural wage of labor is its product” o che “all Anarchists consider labor to be the only basis of the right of ownership”.

Senza voler scendere troppo nel dettaglio, cosa che il presente lavoro non permette, risulta necessaria una breve digressione sulla natura del plusvalore e su come esso si generi nella teoria economica di Proudhon. Prendendo per buone le basi dell'economia classica e assumendo che l'origine della proprietà è il lavoro, come si spiega il proftto del capitale? Per rispondere con una formula, assolutamente non proudhoniana, ma derivante dalla metafsica di Aristotele, si potrebbe dire che il plusvalore del capitale derivi dal misconoscere il fatto che il tutto è maggiore della somma delle sue parti. Infatti, lo sfruttamento economico si attua, per Proudhon, attraverso l'appropriazione indebita della forza collettiva generata dalla simultaneità e dalla convergenza degli sforzi individuali. Come affermò in Che cos'è la proprietà? “Duecento granatieri hanno alzato sulla sua base in qualche ora l'obelisco del Luxor; si suppone che un uomo solo, in duecento giorni, ne sarebbe venuto a capo? Tuttavia, per il conto del capitalista, la somma dei salari sarebbe stata la stessa”.137 E' qui che si genera il proftto del capitale:

nella sproporzione fra le somme consegnate ai lavoratori e il prodotto collettivo che essi hanno creato. E' in questo furto, in questo errore di calcolo, che sta l'origine dell'ineguaglianza sociale, la quale crea la ricchezza del capitalista e lo sfruttamento del lavoratore. Le classi dominanti riescono ad appropriarsi e ad utilizzare a proprio vantaggio l'insieme dell'energia sociale, trasformando la forza collettiva in forza coercitiva, e la ragione collettiva in ragione coercitiva. Il monopolio economico e il monopolio politico, il capitalismo e lo Stato, nascono appunto da questa appropriazione delle forze della società attraverso la costrizione e l'autorità.

E' qui che Tucker si inserisce. Alterando leggermente la teoria

137 P.J. Proudhon, Che cos'è la proprietà, o ricerche sul principio del diritto e del governo, Laterza, Bari 1967, p. 215.

proudhoniana sulla base della propria visione radicalmente individualista della società, l'anarchico di Boston sosterrà che questo plusvalore (da lui chiamato genericamente usury) che il capitale è in grado di estrarre dal salario naturale (il quale si identifca col lavoro) è possibile solo grazie agli ingiusti privilegi legali e ai monopoli assicurati dallo Stato. In defnitiva, entrambi credono che il lavoro e il lavoro soltanto possa essere di diritto l'origine della proprietà e la misura del suo valore.

In questo si differenziano leggermente da Marx che, per quanto riguarda il progetto comunista, criticano apertamente e osteggiano duramente. Come chiarisce in un suo libro G. P. Berti “Per Marx il lavoro diventa fonte di valore perché nella società borghese esso può determinasi come pura forza-lavoro, come lavoro umano astratto, generale: può, cioè, essere scambiato come qualsiasi altra merce”138. A caratterizzare, dunque, la

particolare forma astratta del lavoro come pura forza-lavoro è, per Marx, la particolare forma che la società assume con l'avvento della borghesia. Tutto ciò invece non esiste per gli autori qui considerati. Proudhon e Tucker ritengono, infatti, che il lavoro è sempre e comunque la reale misura del valore, e questo a prescindere dalla forma che assume la società, a prescindere dall'avvento della società mercantile capitalista. Che esso nella modernità si astragga con l'avvento delle macchine e la maggiore divisione del lavoro non ha alcuna importanza al fne della lotta anarchica, da sconfggere è invece lo Stato e i monopoli da lui istituiti, che privano il lavoratore di godere del frutto del proprio lavoro. Lo scopo che i due pensatori si prefggono è quello di distruggere questi privilegi, e la via che porta al raggiungimento di questo fne è “l'universalizzazione della proprietà intesa come possesso generalizzato fondato sul lavoro”139. A fornire la

bussola per la lotta politica non è, dunque, la soluzione marxista di rendere la proprietà “comune”. Come afferma Proudhon: “non è affatto diventando comune che la proprietà può diventare sociale: non si rimedia alla rabbia facendo mordere tutti”140. La soluzione sta nel tenere ben presente la 138 G.P. Berti, Un'idea esagerata di libertà, Elèuthera, Milano 1994, p. 71.

139 Ibidem, p. 72.

differenza tra la proprietà, per così dire naturale e socialmente responsabile – il possesso – e la proprietà che è sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

Altro nodo centrale della dottrina di Proudhon, ripreso in buona misura da Tucker, è la critica che il flosofo francese muove allo Stato. Se le conclusioni sono le stesse, tanto che l'individualista statunitense potrà affermare, citando dichiaratamente Proudhon, che essere governato

[…] is to be watched, inspected, spied, directed, law-ridden, regulated, penned up, indoctrinated, preached at, checked, ap- praised, sized, censured, commanded; by beings who have neither title nor knowledge nor virtue. To be governed is to have every operation, every transaction every movement noted, registered, counted, rated, stamped, measured, numbered, assessed, licensed, refused, authorized, indorsed, admonished, prevented, reformed, redressed, corrected. To be governed is, under pretext of public utility and in the name of the general interest, to be laid under contribution, drilled, feeced, exploited, monopo- lized, extorted from, exhausted, hoaxed, robbed; then, upon the slightest resistance, at the frst word of complaint, to be repressed, fned, vilifed, annoyed, hunted down, pulled about, beaten, disarmed, bound, imprisoned, shot, mitrailleused, judged, condemned, banished, sacrifced, sold, betrayed, and, to crown all, ridiculed, derided, outraged, dishonored. 141

Risultano, invece, leggermente diverse le vie attraverso le quali lo Stato viene condannato e le unità di misura mediante le quali esso viene giudicato. Considerato da entrambi un monopolio, la visione che i due pensatori hanno dello Stato sta alla politica nella stessa misura in cui i monopoli capitalistici

141 B.R. Tucker, The Relation, cit., p. 23, trad. propria: “[...] è essere osservato, ispezionato, spiato, diretto, sottomesso alla legge, disciplinato, schedato, indottrinato, predicato, verificato, stimato, classificato per grandezza, censurato e ordinato da esseri che non possiedono le qualifiche, la conoscenza né le virtù appropriate. Essere governato significa, durante ogni operazione, transazione o movimento, essere annotato, registrato, contato, tassato, timbrato, misurato, numerato, valutato, autorizzato, negato, approvato, ammonito, impedito, riformato, riadattato e corretto. E sotto il pretesto dell'utilità pubblica e nel nome dell'interesse generale, essere posto sotto tassazione, forzato, tosato, truffato, monopolizzato, esaurito, contraffatto, derubato alla minima resistenza, represso alla prima parola di denuncia, multato, vilipeso, infastidito, dal prezzo basso, avvilito, sconfitto, disarmato, limitato, imprigionato, colpito, battuto, processato, condannato, esiliato, sacrificato, venduto, tradito, e, come se non bastasse, ridicolizzato, deriso, insultato e disonorato”.

stanno all'economia. Per Proudhon “la politica è, in rapporto alla vita sociale, ciò che il capitale è in relazione al lavoro: un'alienazione della forza collettiva”142 tanto che persino la democrazia rappresentativa e il suffragio

universale vengono visti come una illusione mistifcatoria, in quanto, qualsiasi rappresentante e qualsiasi parlamento potrà alla fne dichiarare la sola opinione della maggioranza, perdendo così quella pluralità costitutiva che caratterizza la società. Tucker, pur arrivando alle stesse conclusioni - cioè che Stato e democrazia rappresentativa sono da abolire – fonda le proprie basi argomentative su principi differenti, cioè la forza, l'aggressione e l'autorità. Lo Stato, in tal modo, a prescindere da come esso si affermi e si manifesti, risulta, come si è detto, sempre e solo un'istituzione autoritaria che si impone all'individuo e ne limita la naturale libertà. Discordanti sulle motivazioni, i due autori si rincontrano però nella delineazione delle possibili soluzioni al problema. Entrambi più riformisti che rivoluzionari, ritengono che, qualora debba esserci una rivoluzione mirante alla realizzazione della libertà e dell'uguaglianza, essa non debba essere vista come una lotta armata ma come una “rivoluzione economica”. La loro maggiore vicinanza si risolve, infatti, nell'appoggiare il mutualismo come una delle alternative economiche tanto allo sfruttamento capitalistico quanto alla socializzazione dei mezzi di produzione. Passando in rassegna gli articoli dell'anarchico di Boston si può notare come, in effetti, le pagine in cui il nome di Proudhon viene maggiormente citato sono le pagine il cui topic è la mutual bankinig e il credito gratuito, e dove, associato alle idee di Warren, Spooner e Green, il dibattito si incentra sullo standard of values, sulla bank of exchange o sulla bank of people. Senza dilungarsi in esse per via del poco spazio, si potrà però concludere con una citazione di Proudhon tratta dalla sua opera del 1851, Idée générale de la révolution au XIXe siècle, che meglio delinea il punto in

cui i due pensatori si trovano maggiormente d'accordo:

Ciò che mettiamo al posto del governo è l'organizzazione industriale […] ciò che mettiamo al posto delle leggi sono i contratti […] ciò che

mettiamo al posto dei poteri politici sono le forze economiche.143