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L’AUTONOMIA CHE MANCA

5. I RISULTATI DELL’AUTONOMIA E IL SISTEMA MUSEALE NAZIONALE

5.4 L’AUTONOMIA CHE MANCA

Tutte le azioni che si sono analizzate derivano da un fattore comune: l’iniziativa personale di una figura parte dell’organigramma dell’istituzione.

La fase di avviamento della riforma si è solidamente poggiata sulla figura del direttore che, in alcuni casi, ha fatto anche da parafulmini per le polemiche che forse erano più dirette al sistema che alla singola carica o personalità.

La figura del direttore, con tutte le dinamiche relative all’individuazione delle persone competenti e alle azioni da essi intraprese, è divenuta la cartina di tornasole per leggere ed interpretare la riforma e i suoi effetti.

Ciò è sufficiente?

No. Il pericolo che la riforma continui a essere legata alle figure apicali delle varie istituzioni deve essere scongiurato.

La riforma ha bisogno di progredire per “spersonalizzare” le attività implementate e per fare questo lo step successivo può sembrare paradossale: conferire ulteriore autonomia operativa agli stessi

I direttori hanno bisogno di poter disporre liberamente delle politiche legate al personale e alla gestione delle risorse umane (Landriani, 2012).

Queste figure devono poter scegliere la squadra di persone con cui collaborare, con lo scopo di rendere sempre più partecipativo il meccanismo alla base dell’innovazione prodotta dalle best practices come quelle sopra citate.

Una programmazione reticolare, basata sulla continua collaborazione di figure e personale selezionato appositamente, sulla base delle competenze ritenute più funzionali, in seguito alle analisi condotte all’interno della stessa istituzione dal direttore stesso e dai suoi collaboratori.

Bisogna aprire anche i musei al mercato privato degli operatori culturali affinché siano esaltate le competenze necessarie a rendere l’innovazione museale una felice consuetudine. In questo senso sono importanti alcune attività di pubblica evidenza

condotte dai grandi musei autonomi. Tutti i direttori, come già sottolineato, hanno sollevato a varie riprese la questione del personale e della gestione a esso connesso. Le Gallerie degli Uffizi, ad esempio, hanno predisposto un organigramma, consultabile pubblicamente, che permette di monitorare la differenza tra “organico previsto” ed “organico effettivo”.

TABELLA 6 - DOTAZIONE ORGANICA AGGIORNATA AL 01/06/2019 (FONTE: SITO UFFIZI/DOTAZIONE ORGANICA). CONSULTABILE LIBERAMENTE SU h ttps://trasparenza.uffizi.it/pagina68_dotazione-organica.html.

Come si è dimostrato, l’autonomia ha contribuito positivamente ad avviare o rinforzare percorsi d’innovazione all’interno di istituzioni culturali che, secondo ordini di grandezza diversi, godevano già di una certa solidità strutturale.

Affinché il mondo dei beni culturali venga legittimato come settore di sviluppo economico del nostro Paese, come retoricamente ribadito a più riprese da politici di ogni colore, è necessario che il correlato mondo del lavoro sia reso dinamico e rispondente alle reali esigenze del patrimonio culturale, da un lato, e alla domanda culturale della popolazione dall’altro.

Un’apertura di questo tipo, come già sottolineato con riferimento alla figura del direttore, permetterebbe di valorizzare e sviluppare i tanti percorsi accademici prodromici all’entrata nel mondo del lavoro culturale, sempre più condotti sulla base di esigenze rilevate empiricamente e meno propensi allo studio della mera elaborazione teorica.

In questo modo si potrà anche porre fine all’annoso dibattito tra “museali” e “gestionali”; dibattito che sicuramente continuerà ma che sarebbe bene, per quanto possibile nella sfera dell’azione gestionale pratica, delegittimare.

Tale dibattito “non deve” avere soluzione perché la contrapposizione alla base non sussiste; la realtà ha dimostrato l’effettiva presenza di figure in grado di comprendere entrambe le competenze, e le nomine previste dalla riforma hanno confermato quanto già prevedibile in questo senso.

Il museo ha bisogno di museali e gestionali senza alcuna alternanza tra le due figure. La gestione dovrebbe essere demandata a chi possiede spiccate competenze gestionali e costui deve saper collaborare in completa sintonia con la squadra competente in campo squisitamente storico-artistico.

Tutti devono possedere cognizione di tutto, al fine di favorire un processo di controllo che avvenga sia durante sia dopo l’implementazione delle azioni; ma le competenze che più volte sono state presentate come alternative non lo sono affatto.

Un esempio virtuoso nel panorama italiano, a tal riguardo, è rappresentato dalla Fondazione Museo Egizio di Torino il cui direttore, Christian Greco, data la natura dello stesso ente, può disporre della gestione delle risorse umane.

Dal suo arrivo nell’istituzione, avvenuto ad aprile del 2014, ha applicato virtuose politiche di assunzioni che gli hanno permesso di aumentare il numero di curatori presenti da 1 a 18 unità nel giro di 4 anni.

Nel 2018, durante una conferenza tenuta presso la Fondazione Golinelli di Bologna, ha dichiarato di aver avviato le procedure di selezione per figure con specifiche competenze nel campo del fundraising e del crowdfunding, spiegando come sarebbe bene che competenze di questo tipo fossero prese in carico da specifiche “unità operative” (richiamando, non a caso, un linguaggio di natura aziendale) in grado di concentrarsi sulla virtuosa conduzione di attività che risultano sempre più strategiche all’interno del nuovo contesto economico e culturale in cui musei si trovano a dover operare.

La stessa Fondazione di Bologna, qualche giorno dopo aver ospitato il direttore di origini vicentine, ha ospitato il direttore Mauro Felicori, bolognese di nascita, che ha

sottolineato come sarebbe stato in grado di assumere 30 persone per la Reggia se avesse potuto indirizzare parte dei ricavi ottenuti nei processi relativi al personale.

E allora, da studente universitario, si riflette sull’analogia che sembra legare il dibattito legato alle risorse economiche con quello legato alla mobilità del lavoro. Sembra quasi di poter traslare il discorso che Tarasco (2019) conduce sulle risorse economiche in campo culturale. Egli afferma che “i soldi ci sono” e che ciò che manca è la capacità di spesa per le singole istituzioni e per la pubblica amministrazione tutta.

Allo stesso modo si può dire che l’opportunità di lavoro vi siano e vi sia lo spazio per poter inventare ancora professioni nuove in campo culturale: mancano gli strumenti. Manca la consapevolezza della necessità di avere un mercato libero in grado di valorizzare, secondo principi di meritocrazia e competenza, le specificità delle figure che abitano il mondo culturale. Libero dalle estenuanti tempistiche dell’assunzione pubblica; libero dalle attese spasmodiche di concorsi che spesso finiscono per bloccare un turnover occupazionale necessario allo sviluppo del Paese.

Un passo, in questo senso, è richiesto al Ministero. Ed è un passo indietro. Un passo indietro necessario per un ulteriore slancio in avanti.

5.5 IL SISTEMA MUSEALE NAZIONALE