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IL NPM COME PUNTO DI VISTA

2. IL MUSEO DAL PUNTO DI VISTA AZIENDALE

2.1 LE ORIGINI DEL NEW PUBLIC MANAGEMENT

2.1.1 IL NPM COME PUNTO DI VISTA

In linea generale, il NPM nasce come consacrazione della pervasività del settore privato all’interno dell’azione della pubblica amministrazione. L’attenzione alle dinamiche del settore privato e imprenditoriale aveva determinato un cambiamento, più o meno profondo, all’interno delle logiche di gestione dei servizi pubblici.

Nonostante il carattere adattivo delle riforme del NPM, a seconda del contesto d’azione, alcuni caratteri comuni sono stati riconosciuti nel dibattito manageriale. Su tutti, si fa riferimento alla classificazione fatta da Ghunam (2001), diretto recepimento del lavoro di Hood (1991) e di Aucoin (1990).

“1. Hands-on professional management (i.e., free to manage) in the public sector; 2. Explicit standards and measures of performance;

3. Greater emphasis on output controls rather than on procedures;

4. Shift to disaggregation of units in the public sector (i.e., breaking up of formerly monolithic units and creating manageable units);

5. Shift to greater competition in public sector;

6. Stress on private sector styles of management practice; and 7. Stress on greater discipline and parsimony in resource use.”

In primis, grande importanza ha acquisito la figura del dirigente. Egli diviene sempre meno una figura pescata all’interno dello stesso settore pubblico; al contrario, il NPM prevede la possibilità di affidare la direzione dei servizi pubblici a manager professionisti in grado di gestire efficacemente tali prodotti. Da questo punto di vista, si guardava con speranza all’elasticità del settore privato che permetteva ai dirigenti l’implementazione di strategie volte al miglioramento delle performance delle imprese.

Tale elasticità era agli antipodi rispetto al carattere fortemente burocratico e centralista di alcune costruzioni statali, ove tutte le procedure erano strettamente regolate dagli organi superiori, denotando un forte distacco tra la sfera governativa e il livello dei cittadini.

Per rendere un’azione più efficace è necessario predisporre degli espliciti standard di qualità e di misurazione. Questo aspetto, esattamente come quello riguardante l’acquisizione di competenze manageriali dal settore privato, sarà di preminente importanza nelle riforme che investiranno il settore museale. Misurare delle performances significa porsi degli obiettivi, di breve e di lungo termine, permettendo un’azione costante di controllo sulle procedure. Una comparazione finale tra gli obiettivi prestabiliti e quelli effettivamente raggiunti permette la valutazione di eventuali scostamenti, portando in nuce le potenzialità ancora inespresse del servizio in questione e gli aspetti dove, invece, si stanno ottenendo risultati in linea con le aspettative o addirittura superiori.

Questa azione di controllo si accompagna a un’inevitabile shift d’attenzione dal carattere procedurale delle azioni ai risultati ottenuti. L’attenzione alle procedure e alla loro mera legittimità, tipico aspetto di sistemi statali fortemente burocratizzati (Pollitt – Van Thiel – Homburg, 2007), si oppone alla rinnovata centralità dei risultati: i risultati ottenuti permettono effettivamente considerazioni di efficacia ed efficienza circa l’erogazione dei servizi pubblici, superando la sola questione di legittimità che, da un punto di vista legislativo, non prende minimamente in considerazione il contenuto delle azioni.

Il punto 4., in diretta corrispondenza con quanto trattato nel capitolo precedente, permette di contestualizzare il processo di decentramento (Bonini Baraldi – Zan – Gordon, 2007) che in Italia ha trovato forte implementazione a partire dal 1997 sino alla riforma del Titolo V del 2001. Interessante la considerazione di Ghunam (2001) sulla creazione di unità operative e manageriali. Una logica di scorporamento degli organi centrali, in realtà già presente in uno stato come quello italiano fortemente decentralizzato e diversificato, si può ampliare ai compiti in capo a ciascuna amministrazione. Posizionare i compiti, e gli organi a essi preposti, sempre più vicino al cittadino che ne fruisce, aumentandone le possibilità d’interazione effettiva con l’amministrazione, permette di sviluppare concretamente le potenzialità dell’ente erogatore.

Da questo punto di vista, Toonen (2001) individua una componente fondamentale delle nuove riforme nell’orientamento alla soddisfazione del “cliente”, in questo caso il cittadino (Metallo – Cuomo, 2000). Tra le logiche private che la pubblica amministrazione dovrebbe assimilare all’interno della propria azione d’erogazione di servizi, vi rientra una prospettiva di costumer-based view che, se implementata attraverso efficienti vettori di comunicazione, permette di basare la propria attività sulle reali esigenze della popolazione (Lynn Jr., 2006). La visione del cittadino come cliente sarà alla base anche di numerose critiche mosse nel corso del tempo all’orientamento generale del NPM, reo di aver recidivamente trascurato l’importanza della partecipazione politica del cittadino, relegato al solo ruolo di utente di servizi.

Soddisfare la domanda di un settore di mercato, in ambito privato, significa caratterizzare la propria offerta al fine di superare la concorrenza delle altre imprese. In quest’ottica, unitamente all’impellente necessità di ridurre la spesa pubblica da parte degli Stati, essi devono guardarsi dalla concorrenza delle imprese private nell’erogazione degli stessi servizi. Alle crisi finanziarie occorse nel corso degli anni, si sono aggiunte le politiche comunitarie che hanno impedito agli stati aderenti di contrarre debiti pubblici incontrollati, forzando un’azione di razionalizzazione della spesa da parte delle pubbliche amministrazioni.

Queste necessità si collegano direttamente agli ultimi due punti sottolineati dall’autore indiano. Competere con i privati significa anche imitarne alcune pratiche, soprattutto quelle più fruttifere, oltre a recepirne le istanze più in generale in un’ottica di migliore resa dei servizi pubblici. Le pratiche manageriali del settore privato, per essere considerabili efficaci, partono dalla necessità di un’allocazione corretta e parsimoniosa delle risorse necessarie. La dialettica sulle risorse è sempre alla base della corretta azione di governo, sia essa in ambito pubblico o in ambito privato. Se le risorse finanziarie, come si è poc’anzi sottolineato, sono soggette a contrazioni costanti, con tassi di decrescita più o meno elevati, le risorse umane sono l’altro punto nodale dell’azione della pubblica amministrazione.

Secondo questa onnipresente compresenza tra risorse finanziarie e risorse umane, si ben comprende come sia possibile, e anzi naturale, dibattere di pubblica amministrazione in termini aziendali. Nello specifico del settore culturale, invece, altre

considerazioni riguardo alla natura delle risorse e alla priorità d’allocazione saranno necessarie.

Con particolare attenzione alle risorse umane, Stark (2002) ha individuato nel NPM una carattere di sicura novità ma non una radicale rivoluzione. La natura dell’impiego pubblico, spesso argomento fondamentale della dialettica politica e anche di quella popolare, non è trascurabile per comprendere le differenze di risultati ottenute dalle diverse ventate riformistiche nei diversi contesti nazionali. Da questo punto di vista, il dibattito manageriale ha più volte sottolineato la necessità di superare la staticità della contrattualistica pubblica per arrivare alla formulazione di contratti di tipo privato basati sulle performances ottenute dai vari dipendenti.

La natura dei contratti pubblici, e la sua incidenza sui risultati di gestione delle istituzioni museali, ha trovato eco nelle parole dell’ex direttore della Reggia di Caserta, Mauro Felicori (Barrera – Gennari Santoni – Felicori – Casini – Lampis, 2018). Come richiamato nel prosieguo del testo, larga parte del settore culturale ha esultato per le nuove modalità di nomina dei direttori dei musei autonomi (in seguito alla riforma Franceschini del 2014, cui si dedica il capitolo 4). A questo entusiasmo non ha fatto seguito, se non in minima parte, un dibattito sulla natura delle altre figure presenti all’interno dell’organico museale. C’è da dire, anzi, che in tempi di COVID-19, ma sin dall’avvento dell’ex ministro Bonisoli (successore di Franceschini), che il dibattito sembra essere transitato dalla figura apicale del direttore alla figure del custode, forse prima interfaccia vera e propria dell’istituzione con il fruitore. Il dibattito sembra aver sorvolato, se non per la rinnovata attenzione a figure specializzate in settore quali fundraising e sponsorizzazioni, il resto delle figure poste all’interno delle due estremità prese in considerazione. Come si vedrà subito di seguito, la scarsa formazione di gran parte del personale pubblico italiano, unitamente a una povera politica premiale prevista all’interno della contrattualistica pubblica, hanno sicuramente condizionato l’effettiva portata delle riforme della pubblica amministrazione italiana, ivi compreso il settore culturale.