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LE FONTI

III.1 Autore e Auctores

«Ogni „scrittura‟ non soltanto è un “mosaico”, ma prima ancora è sempre una „riscrittura‟»1.

Il principio formulato da Cardini, che presuppone che ogni testo sia sempre una riformulazione di qualcosa di già detto o di già scritto, coglie e sintetizza, con concisione, il tratto saliente della produzione umanistica2, che sembra tutta percorsa da un silente dialogo tra l‟autore e gli auctores. Come giustamente spiega Cardini, per cogliere questo dialogo non si dovrà solo interrogare il testo alla ricerca delle sue fonti, esplicite ed implicite, ma sarà opportuno, una volta smontate quelle tessere cercare il senso del nuovo disegno a cui hanno dato vita così ricomposte, il motivo recondito del loro riuso, l‟abbozzo che le ha così nuovamente disposte.

Le scritture umanistiche, in quanto mai da sé nate, bensì nate sempre da altre scritture, comportano un preciso patto con il pubblico, e un non meno preciso „orizzonte d‟attesa‟: presuppongono lettori umanisticamente educati, e pertanto capaci di riconoscere a colpo sicuro ciò che sta sotto a quanto stanno leggendo3.

1 R.CARDINI, Mosaici. Il «nemico» dell‟Alberti, Bulzoni, Roma 1990, pp. 4-5.

2 Anche MAURO DE NICHILO ha analizzato la costruzione del linguaggio poetico quattrocentesco, in

Metamorfosi umanistiche, in Travestimenti: Mondi Immaginari e scrittura dell‟europa delle Corti, a

cura di R. Girardi, edizioni di Pagina, Bari 2009, pp. 72-88. Ma si veda anche G. FOLENA,

Volgarizzare e tradurre, Einaudi, Torino 1991.

124 Ma smontare un testo non significa soltanto portare alla luce le fonti utilizzate dall‟autore. Scomporre un testo significa entrare nel laboratorio creativo dell‟autore, individuare e scindere i modelli seguiti, il significato recondito di quelle riprese. Interrogare l‟opera alla ricerca delle connessioni segrete che la legano alle altre della tradizione precedente, ma spesso anche a quella contemporanea, in un gioco di rimandi, allusioni e citazioni, il cui senso ultimo a volte resta sfuggente.

Questo lavoro è tanto più necessario negli intellettuali dotati di una profonda cultura umanistica, in quanto questa finisce per condizionare la loro scrittura, tanto che ogni verso ne è fortemente intriso.

Le attenzioni della critica si sono concentrate sull‟opera maggiore di Cariteo, ponendo l‟accento sul fine lavorio formale dei versi e la spessa coltre classica ivi celata. L‟accostamento del poeta alla scrittura è stato reputato come qualcosa di ragionato e mediato, che ha dato vita ad una produzione aristocratica e regolata, rivolta alla dotta cerchia di accademici, principi e letterati chiamati tutti a interlocutori privilegiati nella parte conclusiva dell‟Endimione4. Una scrittura siffatta non poteva certo rivolgersi ad un pubblico sprovvisto di quelle competenze culturali, necessarie per comprendere quanto sottilmente l‟autore stava comunicando loro. Il colto lettore, a cui Cariteo rivolgeva le sue rime, era in grado di intendere il messaggio che l‟autore affidava al testo, riuscendo ad andare oltre la pagina per cogliere quelle allusioni ed unirsi al dialogo che l‟autore intratteneva con la tradizione5.

Questo lavoro di analisi delle fonti, di ricerca e successivo spoglio dei modelli analizzati, si fa tanto più doveroso nei confronti di quelle opere cariteane, come Le

Metamorfosi, che non sono state molto approfondite dalla critica, al di fuori di

Pércopo, che nella pubblicazione delle opere cariteane ha accompagnato l‟edizione con un erudito commento ai testi.

4 Del dialogo tra l‟autore e il suo pubblico si è occupato Fenzi, in Cariteo. Il fascino del nome…cit. 5 Santagata distingue chiaramente il pubblico di riferimento del poeta individuando due diverse

schiere: da una parte vi è la famiglia regnante o gli esponenti di importanti famiglie nobiliari, protettori del poeta, dall‟altra gli intellettuali della cerchia pontaniana. Tutti questi, anche se non parteciparono direttamente alla vicenda d‟amore, diventano parte integrante di essa, perché nell‟Endimione con il volgere degli anni viene meno la centralità del rapporto amante-amata e la raccolta si apre alla storia, divenendo quasi un diaro per raccontare una Napoli diversa, privata dei suoi soli. Cfr. SANTAGATA, Sannazaro, Cariteo e la…cit., pp.324-330.

125 Il poemetto delle Metamorfosi, al pari dei componimenti dell‟Endimione, appare sin da una prima lettura un testo con una fittissima presenza di fonti, molte delle quali decisamente esplicite, perché dichiarate o messe ben in evidenza con la ripresa di termini specifici afferenti ad un dato movimento culturale.

Qualunque studioso abbia analizzato l‟Endimione ha dovuto, obbligatoriamente, dedicare alcune pagine all‟intricato intreccio tra fonti antiche e moderne che si riscontra nei versi dell‟opera. Questa potrebbe essere a buon ragione considerata una costante dello stile cariteano, perché ogni scrittura del poeta risulta proprio dalla mescidazione tra le due tradizioni, tanto che a volte è difficile dire con chiarezza la derivazione dei versi. Ciò avviene ad esempio con Petrarca, perché l‟autore spesso nel comporre alcuni passi guarda all‟imperante modello petrarchesco, spingendosi oltre, o meglio recuperando la fonte classica utilizzata dal suo modello. L‟ingente presenza latina Cariteo la deduce direttamente dalla fonte primaria della sua ispirazione, che ad esempio nell‟Endimione si può, senza alcun dubbio, riconoscere in Petrarca. Come nota giustamente De Robertis, cercando di spiegare l‟intarsio dei versi dell‟Endimione, «Cariteo è il primo, dopo Petrarca, a riaccostarsi ai testi cari al maestro, a ripercorrere le sue letture. E da questi, dal loro linguaggio e dalla loro sintassi, tanto più densi e ricchi, oltre che dal loro immaginare, gli verrà il taglio e l‟accento drammatico del discorso, quella più scoperta forma d‟argomentazione e di persuasione, d‟affermazione e d‟apostrofe; e che sono soprattutto una scoperta della voce e dell‟immaginazione»6.

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