• Non ci sono risultati.

Il mito dell‟età dell‟oro nell‟Umanesimo e nell‟opera di Cariteo

La coscienza della crisi è ben presente negli intellettuali di fine secolo, che vissero questi anni di trapasso guardando a ciò che stava accadendo intorno a loro con sguardo attonito ma insieme consapevole, sospesi nell‟attesa della catastrofe, figlia di quel clima escatologico che si era diffuso nell‟ultimo quarto del secolo, ma, contemporaneamente, aggrappati all‟attesa di qualcosa di nuovo che sarebbe nato dalle ceneri dell‟epoca che si stava concludendo. Sono questi gli anni in cui assieme alla consapevolezza di un‟ineluttabile decadenza si diffonde una sempre più forte

43 Cfr. L. CHINES, La ricezione petrarchesca del mito di Atteone, in Le Metamorfosi di Ovidio…cit.,

ANSELMI, GUERRA, pp. 41-54.

44 Cfr. L. VANOSSI, Petrarca e il mito di Atteone, in «Romanistische Zeitschrift für

82 convinzione di una prossima rigenerazione del mondo, tematica questa che attraversa tutta la storia dell‟uomo e che si ritrova variamente nella produzione letteraria e filosofica sin dai tempi più antichi della cultura classica e cristiana. Spiega chiaramente questo clima Garin, che in un suo famoso saggio45 afferma «Il Rinascimento, infatti, è atteso, annunziato, interpretato come un ritorno alla luce dopo un periodo di crisi».

La tematica della renovatio, che trova fertile terreno nel XV secolo in area fiorentina46 con Lorenzo, con Pico e Ficino47, tra i più noti pensatori dell‟Accademia neoplatonica, ed altri letterati, si ritrova anche a Napoli, dove emerge la figura del frate agostiniano Egidio da Viterbo, accolto nell‟Accademia durante i suoi lunghi soggiorni a Napoli. Questi si banditore quest‟ultimo dell‟idea di una nuova Roma, e pertanto di un nuovo mondo, in molte delle sue opere; egidio interpretò soprattutto in senso cristiano l‟idea di renovatio nell‟Historia viginti saeculorum48, dove l‟attesa

dei tempi nuovi è associata, di volta in volta, alle personalità ascese al governo del soglio pontificio49. Le idee espresse da Egidio trovarono larga accoglienza tra gli umanisti del circolo pontaniano, che nell‟ultimo decennio del XV secolo coltivarono una più profonda ispirazione spirituale e cristiana, lasciandosi affascinare da queste tematiche che si riconoscono nella contemporanea produzione di Pontano o nella scrittura religiosa di Sannazaro. Anche Cariteo, come ho già riferito nel capitolo precedente, negli anni successivi al ritorno a Napoli, si dedica ad una produzione religiosa che, come il poema latino sannazariano, ripropone il contenuto della IV egloga virgiliana, nell‟attesa di un puer che possa ristabilire la pace e la giustizia, caratteristiche principali di un‟età felice50. Ma prima della svolta religiosa, sia

45 E.GARIN, Lo zodiaco della vita. La polemica sull‟astrologia dal Trecento al Cinquecento, Laterza,

Bari 1982, p. 17.

46 Cfr. a tal proposito E.H.GOMBRICH, Renaissance and Golden Age, in «Journal of the Warburg and

Courtauld Institutes», 24, 1961, pp. 306-309.

47 In realtà, Ficino, più correttamente, parla di saeculum aureum, tessendo l‟elogio della sua età,

secolo ricco di intelletti che avevano raggiunto livelli di eccellenza in tutti i campi del sapere. Cfr. il contributo di A. TARABOCHIA CANAVERO, Marsilio Ficino e l‟età dell‟oro: seculum aureum ab ingeniis aureis, in Millenarismo ed età dell‟oro nel Rinascimento. Atti del XIII Convegno

internazionale (Chianciano-Montepulciano-Pienza 16-19 luglio 2001), a cura di L.SECCHI TARUGI,F. CESATI, Cesati, Firenze 2003, pp. 207-220.

48 L‟Historia viginti saeculorum fu redatta da Egidio tra il 1503 e 1517-8.

49 Mi riferisco in particolare ai pontificati di Leone X, Giulio II, Adriano VI e Clemente VII.

50 Cfr.BARBIELLINI AMIDEI, L‟età dell‟oro nel Cariteo, cit., pp. 221-237. La studiosa ha esaminato la

presenza del motivo classico nella produzione poetica di Cariteo, soffermandosi maggiormente sui riscontri del tema nelle liriche dell‟Endimione.

83 Cariteo che Sannazaro, avevano raccontato del mito dell‟età aurea con termini diversi, ponendolo in relazione a quel felice clima culturale che si era avuto a Napoli con l‟instaurazione della monarchia aragonese, riallacciandosi a quella propaganda del tardo XV secolo avutasi con Ficino e l‟idea del saeculum aureus. In questo caso non erano gli ingegni, ma il clima complessivo di pace, la presenza di sovrani magnanimi e illuminati, e la felice rinascita culturale operata dagli umanisti, che facevano percepire i tempi contemporanei come i tempi in cui si era rinnovata la prima età. E sarà proprio con l‟irreparabile perdita di quello stato di benessere che Cariteo e Sannazaro guarderanno con evidente nostalgia a quel mondo, che assumerà nelle loro memorie, vale a dire nell‟Arcadia e nelle Metamorfosi, i caratteri di un‟età felice, anche questa irrimediabilmente trascorsa.

La propensione verso tematiche neoplatoniche e di matrice ficiniana, già molto evidente in Cariteo rispetto agli altri poeti della cerchia pontaniana, appare maggiore nei testi composti dopo il 1501 e pubblicati nella stampa degli opera omnia del 1509. Ciò è manifesto ad esempio nella Pasca, dove l‟aspirazione religiosa a voler cantare l‟apoteosi di Cristo, con chiaro riferimento al significato dell‟egloga virgiliana, si sovrappone a tematiche spiccatamente neoplatoniche come l‟annunciazione di una nuova età, di un nuovo secolo aureo, conseguenza diretta dell‟avvento del puer misericordioso. Diverso il messaggio che traspare dalla lettura delle Metamorfosi, dove alla rievocazione storica degli eventi che portarono alla fine del Regno si accompagna la consapevolezza di vivere in un‟età che non è più quella dell‟oro, ma bensì la bellicosa età del ferro. Da questa evidente constatazione, Cariteo muove per descrivere i tempi attuali, basando il suo racconto su un costante confronto tra gli anni passati, in cui Napoli guidata dagli Aragonesi era divenuta una delle più vivaci città europee, e la contemporaneità, che vedeva la capitale sottomessa al grande impero spagnolo.

Questa tematica, che percorre tutto il testo, la ritroviamo sin dall‟inizio delle

Metamorfosi: nel I canto, mentre il poeta descrive la bellezza del golfo napoletano,

guardando all‟Arcadia di Sannazaro, il suo pensiero corre subito ai tempi passati, quando Napoli, per la bellezza del suo paesaggio, ora deturpato dalla lunga guerriglia, ma anche per la presenza di molti spiriti eletti e di sovrani magnanimi, poteva essere paragonata alla splendida Grecia classica. Il paragone con il Parnaso,

84 da sempre simbolo della Grecia e della classicità, è suggerito all‟autore dalla particolare caratteristica del Vesuvio con le sue due vette, tanto simili alle due cime del mitico monte. Inevitabile il rimando ad un tempo trascorso e all‟ineluttabilità di un corso degli eventi ciclico51, in cui tutto ciò che è posto sulla terra è destinato a fiorire e perire. Emerge forte da questi versi la malinconia del tempo trascorso, troppo breve per chi ancora vive del suo ricordo, e la consapevolezza di una «caducità che travolge tutti»52:

Così cantan le Muse esser bifronte Parnaso, ov‟or a pena si discerne il luogo, ov‟era il bel Pegaseo fonte.

Quel celesti acque, e questo fiamme inferne gettava: or son mutati in altro stato,

ché sotto ‟l ciel non son le cose eterne53.

Il v. 30 racchiude il senso profondo di quest‟opera: è l‟instabilità che caratterizza il vivere nel mondo, che appare sempre più dominato dalle forze, spesso avverse, della Fortuna. In una visione ciclica della storia, come alternanza di fasi felici e prospere ad altre di decadenza, politica e morale, la situazione attuale non può apparire al poeta se non come un ritorno ad una nuova età del ferro, dominata dalla guerra e dall‟inciviltà: l‟ennesima conferma della correttezza di quella visione del mondo, inteso come perpetuo ritorno, in un‟incessante rotazione tra fasi prestabilite. L‟attesa di una perenne rinascita, che ha la sua sintesi nella massima aspirazione al rinnovarsi dell‟humanitas, trova giustificazione nella fede certa in un indiscusso rinnovamento che troverà espressione in qualsiasi ambito, da quello religioso, che è alla base del concetto di renovatio diffuso nel XV secolo, a quello culturale e politico. Croce spiega questa prospettiva umanistica presupponendo la mancanza del concetto di progresso nel Rinascimento, non essendovi alcuna prospettiva storica lineare54: tutto viene decodificato alla luce di un principio di invariabilità della natura, che spiega

51Garin collega l‟attenzione al tema della renovatio, che ebbe tanta fortuna presso gli umanisti, al

rinnovato interesse per gli studi astrologici, in quanto «sono concetti tipicamente „astrologici‟ sia quello delle „rivoluzioni‟ che quello delle „rinascite‟: si tratta, ovviamente, dei concetti di ciclicità, dell‟avvicendarsi di „tramonti‟ e di „aurore‟, di periodi ricorrenti nelle mutazioni astrali, estesi al mondo umano, alle culture e alle civiltà, ai regni e alle religioni». GARIN, Lo zodiaco della vita… cit., p. 17.

52Cfr. E.GARIN, Medioevo e Rinascimento, Laterza, Bari 1954, p. 101. 53 Metamorfosi, I, 25-30.

85 l‟andamento della storia come una‟alternanza fra età prefissate, in cui le vicende storiche e i comportamenti dei popoli si ripetono, così come si rinnovano o degenerano le virtù e i vizi55. Esplicativa di quanto detto può essere la concezione storica che emerge dalla produzione di Machiavelli, che interpreta le calamità verificatesi nella storia italiana come conseguenze di quel processo degenerativo delle civiltà, insito nel raggiungimento delle tanto agognate epoche auree, quel medesimo processo che si era innescato nel tracollo del grande impero romano56. Non diversamente dalla civiltà romana, che aveva compiuto le più grandi imprese e aveva generato uomini di immensa statura morale, anche quella rinascimentale, dopo aver toccato l‟apice dello splendore nell‟età di Lorenzo, era ora destinata a soccombere per l‟iniziativa politica di nuovi barbari, identificati con i Francesi57. Alla crisi politico-istituzionale corrisponde nel regno meridionale, ma questa considerazione si dovrebbe estendere a tutta la Penisola, la consapevolezza della conclusione di un‟epoca che si accompagna al volgere del secolo; gli umanisti percepiscono chiaramente la svolta politica e culturale che sta avvenendo sotto ai loro sguardi, consapevoli dell‟immediato cambiamento, che cercano di registrare nelle loro opere. Nell‟ottica di questa irreparabile metamorfosi si deve leggere, a mio parere, il testo cariteano, dove la crisi politica e culturale che investe la società meridionale alle soglie del Cinquecento viene recepita come trasformazione globale dell‟intera civiltà, in una comune degenerazione dei regni, del territorio e della città, nonché di tutti i suoi abitanti.

Poco prima dell‟invasione straniera, Cariteo aveva dato un senso diverso al motivo dell‟età dell‟oro, come si legge nella celebre canzone Aragonia, composta presumibilmente fra il 1495-96, quando, dopo il ritorno degli Aragona, aveva voluto

55 F.CHABOD, Scritti sul Rinascimento, Einaudi, Torino 1981, pp. 17-20.

56 Per un approfondimento cfr. G.M. ANSELMI, Ricerche sul Machiavelli storico, Pisa 1979; G.

FERRONI, Machiavelli o dell‟incertezza: la politica come arte del rimedio, Donzelli, Roma 2003; A. MATUCCI, Machiavelli nella storiografia fiorentina: per la storia di un genere letterario, Olschki, Firenze 1991.

57 La nozione di barbari nel Cinquecento è spiegata con chiarezza da CHABOD, in Scritti sul

Rinascimento cit., p. 22: «il concetto di “barbaro”, nei secoli XIV e XV assunto ad indicare gli uomini

che vivevano al di fuori di una ben specifica civiltà, quella italiano-umanistica, ora invece assunto per designare solo coloro che vivono fuor della “ dritta ragione” e quindi investito di un valore puramente razionale e non più storicamente determinato e fisso». Lo stesso concetto è stato studiato da TATEO in

86 celebrare il regno di Ferrandino e insieme tutta la dinastia58. Il benessere economico, la relativa stabilità politica, la fioritura delle arti e l‟abbondanza di aurea ingenia avevano fatto immaginare al poeta un possibile ritorno dei saturna regna in Italia, terra «degna di perpetua pace»59, e particolarmente a Napoli, città cara ai poeti e alle muse:

Movavi la pietà, per ch‟io mi movo, dando favore a quell‟alma cittade, ove religïon tanto si honora; ove si vede ognihora

più chiaro il sol che per l‟altre contrade; ivi, temprando il raggio,

fa assidua primavera, e dolce estate; ivi sempre son fior, non che nel maggio; ivi nasce ogni ingegno acuto e saggio60.

Come ha giustamente notato Scarlatta Eschrich, in riferimento a questi versi, «in “Aragonia”, the poet generates a microcosm in which Italy, Naples, its people and the Aragonese dynasty interact in paeceful agreement. The neapolitant rulers and subjects were not only meant for each other, but together they will shape a future and a history worthy of being engraved in memory»61. Ritorna il topos dell‟eterna primavera, caratteristica peculiare dell‟età dell‟oro, secondo il mito, contraddistinta dalla fioritura perenne e dalla mitezza delle temperature climatiche.

Qualche verso dopo, il poeta, nell‟immaginare un luminoso futuro per Ferrandino, a cui per altro era dedicato l‟intero componimento, si ritrovava a profetizzare l‟avvento di un nuovo secolo aureo, che sarebbe seguito immediatamente alla sconfitta definitiva della compagine nemica, attuata da colui che era stato predestinato dal Cielo a rinnovare il regno di Saturno62:

58 Vedi G. Scarlatta Eschrich, The language of power… cit., p. 337: «Cariteo‟s “Aragonia” becomes

the written memory of Naples, embodying its history, sovereigns and citizens, and including as well the other rulers of the peninsula to whom this song is also addressed. Whit knowledge and ardor, but especially commitment to the dynasty, Cariteo creates powerful propaganda that would serve as political memory for years to come».

59 Cariteo, Endimione, canz. VI, 75. 60 Ivi, canz. VI, 81-90.

61 SCARLATTA ESCHRICH, The language… cit., p. 337.

62 Ferrandino, in ossequio all‟egloga virgiliana, assume nel componimento la funzione di nuovo

87 Tu sei quel gran Ferrando,

da noi tante fiate a lei promesso, per dare al suo valor presto ristauro. Per te dèe rinnovar un secol d‟auro, qual per campi e città del regio Latio in tempo di Saturno andar soleva63.

Rispetto all‟Aragonia, dove l‟età felice è vaticinata e attesa, nelle Metamorfosi il tono appare molto diverso. Il testo in questo caso è costruito su un costante raffronto fra l‟aurea aetas, che appare irrimediabilmente svanita, e l‟inaccettabile tempo presente, che assume le vesti della bellicosa età del ferro, come si può desumere leggendo i primissimi versi pronunciati da Partenope, all‟altezza del II canto:

Partenope son io piena di duolo, non men beata pria, c‟or infelice, squarciata in mille parti, equata al suolo. Misera me! Fruïr più non mi lice

primavera, che sempre in me fioriva, ché Venere è conversa in dira ultrice64.

Ad una città, tra le più belle e vivaci nel panorama europeo, segue la rappresentazione di una Napoli devastata dalla guerra, la cui grandezza è stata bruscamente ridimensionata, tanto da tramutarsi da locus amoenus, qual era, a territorio infernale, custodito dalla presenza minacciosa delle Furie. È sempre la sirena Partenope, pochi versi più avanti, attraverso una studiata serie domande retoriche, a domandarsi dove siano finite le glorie passate, le virtù civili e militari che avevano permesso all‟esercito aragonese di impossessarsi del Regno e di conseguire negli anni continui trionfi e onori:

Ov‟è ̓l trionfo, ov‟è l‟egregio onore, che tant‟anni mi tenne in gran letizia, sotto ̓l paterno Aragonese amore65?

Il ripescaggio del motivo classico dell‟ubi sunt, in questo caso declinato sul versante politico, avvicina molto il testo cariteano alla VI egloga dell‟Arcadia, dove

63 Metamorfosi, II, 154-159 . 64 Ivi, II, 1-6.

88 Sannazaro, attraverso le voci di Opico e Serrano, si collega, non abbandonando la finzione letteraria, alla situazione contemporanea della sua Napoli, che appare sempre più in mano al vizio e alla corruzione66, come si deduce dalle parole di Serrano, di contro alla «nostalgia per un favoloso mondo perduto»67, tratteggiato dal canto di Opico:

Tal volta nel parlar soleva inducere i tempi antichi, quando i buoi parlavano, ché 'l ciel più grazie allor solea producere. Allora i sommi Dii non si sdegnavano menar le pecorelle in selva a pascere; e, come or noi facemo, essi cantavano. Non si potea l'un uom vèr l'altro irascere; i campi eran communi e senza termini, e Copia i frutti suoi sempre fea nascere. Non era ferro, il qual par c'oggi termini l'umana vita; e non eran zizanïe,

ond'avvien c'ogni guerra e mal si germini. Non si vedean queste rabbiose insanïe; le genti litigar non si sentivano,

per che convien che 'l mondo or si dilanie […]

Ciascun mangiava all'ombra dilettevole or latte e ghiande, et or ginebri e morole. Oh dolce tempo, oh vita sollaccevole! Pensando a l'opre lor, non solo onorole con le parole; ancor con la memorïa, chinato a terra, come sante adorole. Ov'è 'l valore, ov'è l'antica gloria? u' son or quelle genti? Oimè, son cenere, de le qual grida ogni famosa istoria68.

Nei versi riproposti compaiono tutti i motivi topici che caratterizzano la descrizione della mitica età, come la tangibile predisposizione del Cielo nei confronti degli uomini, la convivenza pacifica tra gli dei e i pastori, la mancanza di risentimenti e asti fra questi ultimi, l‟assenza di qualunque forma di avidità, l‟inesistenza di guerre.

66 Secondo Fenzi, in quest‟egloga è rappresentato «un amaro quadro della degradata realtà presente

caratterizzata da furti e violenze». Cfr. E. FENZI, L‟impossibile Arcadia di Iacopo Sannazaro, in

Iacopo Sannazaro. La cultura napoletana nell‟Europa del Rinascimento, a cura di P. SABBATINO, Olschki, Firenze 2009, p. 76.

67 Sannazaro, Arcadia, a cura di Vecce, cit., p. 153. 68 Sannazaro, Arcadia, VIe, 67-81, 94-102.

89 Il testo delle Metamorfosi appare fin troppo simile al quadro ideato da Sannazaro nell‟Arcadia. Quella rappresentazione idillica di Napoli può solo vivere nei ricordi del poeta, il presente, in cui sembrano venuti meno tutti i principi sociali e morali su cui si era basata la civiltà umanistica, al contrario sembra dominato solo dall‟instabilità e dalla malvagità degli uomini. Condividendo la prospettiva ciclica dell‟andamento della storia umana, anche Sannazaro, qualche verso dopo arriverà alla stessa, amara conclusione del poeta e amico Cariteo, nel tentativo di rintracciare una spiegazione plausibile alla degenerazione dei tempi:

Oh pura fede, oh dolce usanza vetera! Or conosco ben io che 'l mondo instabile tanto peggiora più, quanto più invetera69.

Nella restante produzione di Cariteo, il motivo dell‟aurea aetas è decisamente diffuso e appare con evidenza nei testi encomiastici, per lo più rivolti alla casata aragonese, dove l‟annuncio degli imminenti tempi felici è collegato alla celebrazione dei principi o dei re, spesso paragonati per l‟occasione ai nomi dei grandi condottieri del passato, come avviene ad esempio nel sonetto XCII, dove è scongiurato il ritorno di Alfonso a Napoli, appellato nel sonetto «novo Pompeio»70 e quindi paragonato a Scipione71, come garanzia di perpetua pace, in quanto Alfonso II, a capo del suo esercito, aveva sconfitto i Turchi ottomani, obbligandoli alla fuga dai domini italiani. Il motivo del secolo d‟oro si ritrova anche in componimenti diretti a celebri personalità del tempo, come nel sonetto diretto a Costanza d‟Avalos, dove, nel piacevole ritratto della donna, ritorna l‟immagine del mondo in perpetuo cambiamento su cui trionfa l‟icastica immagine di Costanza, immobile, impassibile e trionfante sui vizi e sul degenerare dei tempi72.

Ma una vera e propria annunciazione del nuovo secolo, perfettamente in linea con le istanze avanzate dalla lettura cristiana del messaggio neoplatonico, la si ritrova nella produzione religiosa successiva all‟Endimione, dove l‟aspirazione celebrativa si

69 Ivi, Arcadia, VIe, 109-111. 70 Cariteo, Endimione, XCII, 11.

71Cfr. Cariteo, Endimione, son. XCII, 11-14: «per te novo Pompeio, è ‟l mar pacato. / Tu sei quel

Scipïon, per chi il furore / di barbari fu vinto et disarmato; e per te vivo è morto ogni timore»

72 Ivi, CXII, 1-4: «Serena, estiva luce, matutina, / celest gioventù. Ch‟oghihor rinova, beltà frequente a

90 sovrappone alla lode del Signore e al significato del suo avvento.73 In questi componimenti il motivo si carica di sacralità e l‟annuncio del rinnovamento spirituale si coniuga all‟annuncio della venuta in terra di creature salvifiche come la Vergine74 o lo stesso puer misericordioso, con cui avviene il recupero pieno dell‟egloga virgiliana75.