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La metamorfosi di Inarime

Il quarto canto si apre in un contesto diverso, virgiliano, con la citazione dell‟Aurora desunta dalla contaminazione di più passi dell‟Eneide. Dai primi versi si apprende che il poeta si era recato, dopo una notte insonne passata a dialogare con le Sirene, presso la foce del Sebeto, in cerca di tranquillità. Già nel recupero del topos dell‟insonne abbiamo una prima anticipazione di quello che sarà poi lo sviluppo della vicenda, in quanto questo motivo ci ricollega direttamente alla lirica d‟amore, che conosceva una lunga tradizione sul tema152.

Traendo ispirazione da un componimento molto simile di Sannazaro153, in cui il poeta si addormentava sulle rive di un fiume e sognava il dio fluviale Arno, anche Cariteo riesce ad assopirsi e viene visitato in sogno dal dio Sebeto. Agisce nei versi dei due umanisti il modello virgiliano dell‟ottavo libro dell‟Eneide, evocato in entrambi in apertura del componimento con la citazione dell‟Aurora, dove si narra dell‟incontro tra il valorose Enea e il fiume Tiberino.

Ma questo contesto di insonnia e di visioni alle prime luci dell‟alba potrebbe anche ricondurre all‟Arcadia di Sannazaro, così tante volte presa in considerazione

152 Cfr. S. CARRAI, Ad Somnum. L‟invocazione al sonno nella lirica italiana, Editrice Antenore,

Padova 1990.

116 nell‟analisi di quest‟opera. Anche nell‟Arcadia, dopo la canzone di Ergasto154, che assume le forme di un canto funebre per Massilla, derivato dai Trionfi e incentrato sul tema dell‟eternità, Sincero dopo una notte insonne riesce ad addormentarsi (nella XII prosa) e ad avere una strana visione, carica di presagi di morte. Allo stesso modo, il poeta dopo aver ricordato Alfonso e Ferrandino, incontra nel sonno il dio Sebeto, che si presenta con l‟esplicita intenzione di consolarlo dalle sue pene. A tal fine decide di raccontare al poeta il caso di Inarime, una splendida sirena che per la troppa sofferenza si era tramutata nell‟isola d‟Ischia:

Dal mio secreto, ameno antro, giocondo vengo per dar remedio al tuo cordoglio con l‟exemplo del mal, che ‟n l‟onde ascondo155.

Il dio, raffigurato secondo la tradizionale iconografia classica, dal colore azzurrino e con la testa fasciata da fronte, inizia il suo racconto, costruito su una serie di metamorfosi, cominciando dalla propria in fiume. Questa di Sebeto è una vera e propria citazione a Pontano, che aveva raccontato della trasformazione del fiume in un‟elegia del Parthenopeus. Secondo quanto racconta Pontano, la divinità marina Nerio, in preda alla gelosia, dopo aver scoperto il tradimento della moglie Doride, aveva ucciso il giovane Sebeto. La pietà degli dei ed in particolare di Vesuvio avevano permesso la trasformazione di questi in fiume156 . Ma l‟accenno alla propria trasformazione serve al dio per introdurre la vicenda di Inarime, sulla quale verterà gran parte della narrazione. La Sirena riconduce all‟isola d‟Ischia, già nominata con Federico ed Isabella nel II canto, anticamente denominata Inarime da Virgilio, che intese male l‟originale nome greco, dando vita ad un nome differente dall‟originario. Per questa ragione l‟isola era chiamata delle volte Inarime, altre Enarie. Tateo spiega, con dovizia filologica, le scelte toponomastiche di Pontano, Sannazaro e Cariteo, notando come la presenza nel poema dell‟una o dell‟altra voce in Cariteo risponda ad un‟esigenza ben precisa:

154 Cfr. Sannazaro, Arcadia XIe. 155 Metamorfosi, IV, 25-27.

156 Per un approfondimento sul componimento pontaniano rimando a A. IACONO, Le fonti del

Parthenopeus, sive Amorum libri di Giovanni Gioviano Pontano, Officine grafiche napoletane F.

117 Pontano e Sannazaro, filologi accorti, non recepiscono lo sgorbio lessicale (non si trattava di una scelta metrica, ovviamente, per i due filologi) e parlano di Enaria, non di Inarime, sia riferendosi allo scoglio, sia accennando ad una personificazione. Pontano infatti ricorda nella Lepidina il bel cinto donato dal padre Nereo alla figlia Aenaria, concepita appunto come una nereide; Sannazaro, in particolare, dipendendo da Virgilio perché cita Enaria come l‟isola sotto la quale giace il furioso Tifeo, nella quale quindi vanno in ebollizione le acque solforose, ne glossa il nome (“la quale voi mortali chiamate Ischia”). Proprio in Cariteo, la questione toponomastica ha un suo sviluppo ovidiano, in quanto le due denominazioni vengono entrambe recepite in un accomodamento eziologico: Enaria rimane il nome dell‟isola, Inarime è il nome della sirena che avrebbe dato il nome all‟isola dopo la trasformazione157.

Al nome delle Sirena, Cariteo prova un sussulto, forse perché quel nome gli evocava nella mente ancora gli Aragona e i mesi difficili in cui questi avevano dimorato ad Ischia (cfr.

Metamorfosi, IV, 34-36). Sollecitato dal protagonista, Sebeto inizia il suo racconto,

anticipando da subito delle ingenti sofferenze provate da Inarime, in raffronto alle quali né le sofferenze di Endimione, né le sue avrebbero potuto competere:

Non fu d‟Endimione il duol sì orrendo, quando in occaso il mar prese la Luna, e ‟l misero ne pianse, amando, ardendo. 45 Né fu la sorte a me tanto importuna,

quando ‟l pianto mi fe‟ cangiar figura per Napol, che cangiò volto e fortuna, quanto d‟Enarie ria fu la ventura, partendosi di lei l‟unica luce, 50 onde s‟è convertita in petra dura158.

Tutto quest‟ultimo canto sembra una riscrittura della sua opera maggiore, richiamata anche esplicitamente in alcuni versi. Filo conduttore di questo IV canto è la sofferenza, che nel frangente è soprattutto sofferenza d‟amore, da cui il poeta muove per rappresentare una realtà più grande, si potrebbe dire universale, che sembrerebbe accomunare, agli occhi del poeta, tutti gli uomini. La stessa raccolta dell‟Endimione si era configurata negli anni come il racconto di una dolorosa esperienza d‟amore, che si era acuita con l‟inserimento del motivo del viaggio e quindi della separazione dalla donna amata dal poeta. A distanza di anni da quell‟esperienza, Cariteo recupera

157 Tateo, Le Metamorfosi del Chariteo… cit., pp. 132-133. 158 Metamorfosi, IV, 43-51.

118 la sua personale vicenda, inserendola nel testo. Il dolore, che così tante volte aveva gridato al mondo nelle sue liriche, diviene un ottimo metro per far risaltare il dolore della Sirena, che privata della sua amica e confidente, si era lasciata morire. Viene in tal modo recuperato il motivo del viaggio, tema importantissimo nel Canzoniere, perché con l‟inserimento di questo motivo l‟opera si avvicinava al modello petrarchesco, assumendo una struttura bipartita (cfr. cap. I.2.1). L‟autore che negli anni seguenti alla discesa di Carlo VIII aveva interrotto la sua attività poetica, decidendo poi, più tardi, di riprenderla ed ampliare le tematiche fino a far sfumare la vicenda d‟amore, torna a parlare di sentimenti nell‟ultimo canto di un poema destinato ad altri argomenti.

In questi versi è adombrata anche una più profonda meditazione sullo stato della città, che aveva cambiato volto con la dominazione francese. Allo stato di guerra e di abbandono il poeta allude anche successivamente (v. 56), quando accenna ad una «comune italica pernicie», in altre parole una rovina per tutta la Penisola. Similmente, sempre ricorrendo al latinismo pernicie, si era espresso nella canzone XVII, probabilmente alludendo alla discesa di Carlo VIII nel 1494 (Pércopo). Accogliendo la proposta di Pèrcopo, si potrebbe supporre nelle Metamorfosi un collegamento con il precedente sonetto e quindi un‟allusione a quella discesa, che portò in Italia tante rovine.

Era il dolore alquanto mitigato de la comune italica pernicie, scesa dal ciel per implacabil fato159.

Sebeto riprende il racconto, soffermandosi sulla straordinaria amicizia che aveva unito Inarime e Febe160, le quali avevano trascorso ad Ischia molti giorni felici, in cui si erano consolate a vicenda i reciproci dolori. In particolare era toccato proprio ad Inarime accudire Febe e tentare giorno e notte di consolarla dal profondo dolore in cui l‟aveva gettata la rovina del Regno.

Questo verso permette di avanzare delle ipotesi sulle due figure adombrate dietro i personaggi di Febe ed Inarime. Per la vicenda narrata, ma anche per le molte spie

159 Metamorfosi, IV, 55-57.

160 Lo stesso nome della ninfa è un ulteriore richiamo all‟Endimione, essendo Febe un altro nome di

119 inserite nel testo, si potrebbero ravvisare dietro le figure di Inarime e Febe, rispettivamente Costanza d‟Avalos e la regina Isabella. Le due donne erano cognate, avendo sposato Costanza un fratello di Isabella, da tempo deceduto; inoltre, entrambe soggiornarono insieme nel castello d‟Ischia, isola dalla quale, nel 1502, Isabella era partita per raggiungere Federico in Francia. La separazione da Isabella dovette far soffrire molto Costanza, perché le due donne si conoscevano da molto tempo. Mentre l‟identificazione di Costanza con Inarime è più probabile, essendo questa castellana dell‟isola, quella di Isabella rimane molto discutibile, in quanto è difficile spiegare la sovrapposizione di Febe e Luna, che avverrà nei versi successivi161.

I versi 79-103 sono occupati dalla descrizione della straziante separazione delle due donne; ciò che colpisce è che l‟autore nel raccontare questa vicenda riutilizzi tutti i motivi già presenti nell‟Endimione e più confacenti a descrivere la situazione dell‟innamorato respinto. È probabile che l‟autore si sia servito dei suoi versi, composti in occasione della partenza di Luna, o che ripercorrendo con la mente l‟analoga situazione, gli sia venuto naturale declinare la composizione su tematiche, come il mal d‟amore, che aveva trattato per anni.

Dopo la partenza di Febe, Inarime intona un mesto lamento dove sfogava tutti i sentimenti che le agitavano l‟animo. L‟autore nel dover descrivere la prospettiva di una donna abbandonata sulla marina, non poteva non ricordarsi delle celebri eroine del mito, alle quali Ovidio aveva dato voce nelle Epistolae heroides. In questo modo i versi di Inarime divengono una vera poesia del lamento, costruita su una serie di reminiscenze classiche, in particolare desunte dal corpus degli elegiaci e dal IV libro dell‟Eneide, da cui Cariteo riprende la descrizione della follia di Didone, quando si accorse dell‟allontanamento di Enea:

Perché non satisfaccio a l‟ardor mio? Chi mi vieta seguirla ove che sia? Qual tema vinse mai tanto desio?

Che parlo?... O dove sono?... O qual follia rivolge de furor la mente offesa? Se ‟l fato per me sol chiude la via!162

161 Propende per quest‟ipotesi anche Tateo, in Le Metamorfosi di Chariteo…cit., p. 137. 162 Metamorfosi, IV, 121-126.

120 Agisce in questo passo il modello virgiliano, di cui il poeta si era già servito largamente nei versi dell‟Endimione. L‟autore sta lentamente frapponendo la sua vicenda a quella di Inarime, ma prima di farlo apertamente, inizia ad utilizzare le stesse espressioni con le quali aveva composto i versi della raccolta amorosa.

Il captivo d‟Amor senza compagna, ante le chiuse porte, ardendo, giace, e cantando di lagrime si bagna. Tutto lo resto si riposa e tace, se non colui, che per perduta cosa piange, ché senza lei no‟ spera pace163

Anche nelle Metamorfosi, quindi, ritorna il topos dell‟amante insonne, che nella lirica aragonese aveva conosciuto particolare fortuna. Il motivo, che nei notturni cariteani è quasi sempre di ascendenza virgiliana, è svolto secondo l‟opposizione tra l‟amante desto e la quiete notturna e nell‟Endimione ricopre una funzione fondamentale, come spiega Rino Consolo, analizzando il motivo dei notturni nella lirica aragonese, dove non manca di accennare, se pur brevemente, al IV canto delle

Metamorfosi, dove il motivo è ripreso:

Il Cariteo è pienamente consapevole della singolare pertinenza del tema all‟interno del suo canzoniere – il libro del «notturno» Endimione - per cui vi ritorna con convinzione ed impegno, presentando anzi egli stesso un‟autointerpretazione della sua poesia focalizzata attorno al motivo della notte nel canto IV delle Metamorfosi164.

Con la partenza di Febe, proprio come era già accaduto al poeta, anche Inarime finisce nella più cupa disperazione, tanto che dopo sette giorni e sette notti, chiara allusione al mito di Orfeo, ha luogo la trasformazione. Quest‟ultima è tutta ovidiana, in quanto la natura vulcanica dell‟isola viene spiegata con la metamorfosi della Sirena. Adoperando la metafora del “foco d‟amore”, Inarime brucia di sentimento fino a disseccarsi completamene: prosciugata dai sospiri e inaridita dal fuoco che le brucia dentro, il corpo della creatura viene completamente arso dall‟incendio del suo

163 Metamorfosi, IV, 145-150.

164 R.CONSOLO, Appunti sul motivo notturno nella letteratura cortigiana della Napoli aragonese, in

121 cuore, che lentamente si trasforma in una montagna, o, meglio, un vulcano, mentre il corpo diviene una roccia:

…tal di sospir la tempestade intensa fe‟ disseccar il sangue e le medolle, onde si fe‟ magior la fiamma accensa. Tanto che ‟l cor gentil, soave e molle, divenne duro scoglio a poco a poco, e ‟l bel corpo un acuto e alto colle165.

Tutto quest‟ultimo canto è costruito su una sequenza di mutazioni, la cui cifra riassuntiva potrebbe essere rintracciata nel racconto del mito eziologico d‟Ischia: la vicenda della sirena, raccontata secondo la classica interpretazione ovidiana della metamorfosi come conseguenza di un eccesso di dolore, si presenta, quindi, come rappresentazione di un dolore universale, che aveva sortito l‟effetto di impietrire lo stesso cuore del poeta. Le Sirene del golfo si recano a consolare Inarime, e tra tutte il dialogo si svolge con la sirena Actia Mergellina, chiarissima allusione alla villa a Mergellina dell‟amico Sincero. Proprio a Summonte e a Sincero il poeta si rivolge subito dopo in un estremo commiato al mondo della poesia d‟amore, che sembra per alcuni aspetti, ispirato dall‟XIe dell‟Arcadia. È singolare che prima di cocludere il suo componimento l‟autore abbia chiamato a interlocutori proprio Sannazaro e Summonte, quasi a voler replicare l‟ultima egloga dell‟Arcadia, dove protagonisti, oltre a Pontano, nelle Metamorfosi stranamente non nominato, se non con l‟ riferimento alle «pontane schiere», erano Barcinio (Cariteo) e Summonzio (Summonte). Ulteriore analogia tra le due situazioni dell‟Arcadia e delle Metamorfosi si riscontra nella figura del protagonista, coincidente con l‟autore, che rimane in entrambe le vicende in disparte, limitandosi solo ad ascoltare: Sannazaro il dialogo di tra i due amici pastori e il lamento di Pontano, cariteo il racconto del dio Sebeto.

Dopo la trasformazione di Inarime in Enaria (Ischia), profondamente addolorate per quanto accaduto, le Sirene interrompono i loro canti, fuggendo dall‟isola e maledicendo per sempre quella terra, luogo di dolori. Il canto delle Sirene è così trasformato in un canto di morte, particolarmente adatto a cantare le circostanze che

122 avevano portato alla fine del Regno di Federico. Un‟ultima allusione allo stato di dominazione della città si ha proprio in questi versi (187-189) dove tra tutte le Sirene, Sebeto precisa l‟assenza di Partenope, impossibilitata a muoversi, perché posta «in crudel servitù, di vita stanca».

Il conforto a tanto dolore, promesso dal dio Sebeto a Cariteo, si rivela nel racconto dell‟universale sofferenza che accomuna tutti, uomini, creature semidivine e dei: una consolazione magra, quella proposta dal dio, che «non intendeva consolarlo se non come solo si può consolare, ossia mostrando come non si è soli nel dolore, che è poi un modo per recepire il senso consolatorio dei Tristia ovidiani, o delle Heroides, e perché no dei Remedia amoris, o di interpretare le stesse Metamorfosi come una dimostrazione delle pene del mondo sottoposto ad una vicenda continua di dolore e di risoluzione, che è anche consolazione in quanto liberazione dal travaglio, attraverso un processo di trasformazione e “fissazione” nell‟eternità»166.

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