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La commemorazione di Alfonso d‟Avalos e di Ferrandino

Alla rievocazione degli ultimi giorni della dinastia aragonese, raccontata attraverso il lamento di Partenope, Cariteo fa seguire un‟ampia sezione narrativa dedicata alla celebrazione del marchese di Pescara, Alfonso d‟Avalos. Dopo aver ricordato la presenza ad Ischia delle regine aragonesei, la sirena nomina Costanza, sorella del cavaliere, tra le dame più ammirate e rinomate del primo Cinquecento napoletano101. Proprio a lei, dopo la morte del fratello Innico, era toccato il delicato ruolo di castellana d‟Ischia, titolo che aveva saputo onorare guidando l‟eroica resistenza dell‟isola ai Francesi, durata ben quattro mesi102. Costanza, decantata ampiamente nei testi poetici di importanti autori del secolo103, fu tra le donne più note del tempo,

99 TATEO, Le Metamorfosi di Chariteo… cit., p.135. 100 Metamorfosi, III, 136-142.

101 Sul cenacolo d‟Ischia nella prima metà del XVI secolo cfr. T. TOSCANO, Letterati, corti,

accademie: la letteratura a Napoli nella prima metà del Cinquecento, Loffredo, Napoli 2000; S.

THERAULT, Un cénacle humaniste de la Renaissance autour de Vittoria Colonna châtelaine d‟Ischia, Sansoni: Firenze, M. Didier: Paris, 1968.

102 Su Costanza d‟Avalossi veda la voce «Costanza d‟Avalos, principessa di Francavilla», a cura di C.

MUTINI, in Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, vol. IV, Roma 1962.

103 Vedi il contributo di B. CROCE, Un canzoniere d‟amore per Costanza d‟Avalos, duchessa di

101 grazie al prestigio culturale che assunse la sua corte all‟indomani del tramonto della dinastia aragonese, che fece di Ischia un luogo di attrazione e di riferimento per la classe intellettuale della Napoli cinquecentesca. Venuto meno il prestigio culturale dell‟Accademia, dopo la morte del Pontano, e mancando una corte in cui riconoscersi, gli intellettuali rivolsero le loro attenzioni al cenacolo d‟Ischia, dove, grazie all‟amore per le lettere e per le arti di Costanza e Vittoria Colonna104, si era ricreato quel medesimo ambiente cortigiano, vitale per la vecchia e nuova generazione di poeti in cerca di riferimenti, dopo il crollo del 1502.

Sembra verosimile che anche lo stesso Cariteo, in seguito al ritorno a Napoli, abbia frequentato la corte di Ischia105, divenendo uno degli artisti più apprezzati ed imitati, per via della componente petrarchista dell‟Endimione, ampiamente coltivata dalla nuova generazione di poeti106. La riverenza nutrita dal nostro per l‟affascinante

Costanza, vedova di Federico del Balzo e unica superstite dei d‟Avalos, da tempo protettori del poeta, dovette ispirarlo nella composizione di alcuni testi107, molti dei quali rivolti alla dama nel tentativo di confortarla per i lutti susseguitisi. Tra questi componimenti è doveroso ricordare almeno la lunga consolatio, scritta all‟indomani della morte dell‟ultimo fratello, Innico. Il canto, dal titolo Cantico per la morte de

don Innico de Avelos marchese del Vasto, composto presumibilmente dopo il 1503,

anno della morte del cavaliere, fu un estremo omaggio inviato a Costanza e insieme

104 Sulla poetessa Vittoria Colonna cfr. la voce a cura G.PATRIZI, di in Dizionario Biografico degli

Italiani Treccani, vol. 27, 1982. A. BERNARDI AMY, La vita e l‟opera di Vittoria Colonna, Firenze 1947;; R. CARBONE, Vittoria Colonna d‟Avalos marchesa di Pescara, Ianieri, Pescara 2009; F. Flora, Gaspara Stampa ed altre poetesse del Cinquecento, Nuova Accademia, Milano 1962, 180-198; Sulla permanenza a Napoli di Vittoria Colonna cfr S.THERAULT, Un cenacle humaniste… cit.

105 Come asserisce anche PARENTI: «Cariteo, negli ultimi anni, fece sicuramente parte della brillante

società aristocratica e intellettuale riunita intorno alla castellana di Ischia», in Benet Garret… cit., p. 122.

106 Spiegano DE BLASI,VARVARO, in Napoli e l‟Italia meridionale… cit., p. 373: «Il petrarchismo

napoletano, che come fenomeno letterario dura per l‟intero secolo e anche oltre, non si configura come un‟esperienza unitaria e compatta, ma si distribuisce sui diversi livelli della stretta regolarità classicista, della ricerca di artifici stilistici innovativi e della scrittura vissuta come gioco». Per un approfondimento vedi G.FERRONI,A.QUONDAM, La «locuzione artificiosa». Teoria ed esperienza

nella lirica a Napoli nell‟età del manierismo, Bulzoni, Roma 1973; RAIMONDI, Il petrarchismo… cit., pp. 95-123.

107 Il rapporto che Cariteo istituisce con Costanza è molto singolare, chiamata a confidente delle sue

pene amorose per la bella Luna. Oltre alla misteriosa Luna, la donna più omaggiata nei versi del poeta è la Duchessa; cfr. Endimione, sonetti XCVIII, CX, CXI, CXII, CXXXIII, CXXXVI, CLVIII e CLXV; oltre ai versi delle Metamorfosi (II, 85-93), la ritroviamo nei versi conclusivi della Pasca, tutti dedicati all‟esaltazione delle sue virtù (VI, 109-147) e nel canto composto proprio per Costanza in occasione della morte dell‟ultimo fratello, Innico d‟Avalos.

102 alla vedova Laura Sanseverino108. Nel testo in questione è ripercorsa tutta la lunga serie di lutti che nel giro di un ventennio aveva decimato la famiglia d‟Avalos. Oltre ad Innico e ai genitori di Costanza, sono così ricordati più distesamente Alfonso, Rodrigo, Martino e Ippolita, tutti deceduti tra il 1984 e il 1503.

Anche in questo scritto, che l‟autore deve aver composto tenendo presente il precedente poema delle Metamorfosi, il ricordo del marchese Alfonso è legato al tema della fama, quest‟ultima rappresentata secondo la descrizione virgiliana109 come un‟entità che con cento bocche si fa portavoce del valore immortale di Alfonso. Ritornano in questi versi gli accenti alle abilità belliche del Marchese e la spiegazione della sua morte con l‟intromissione fraudolenta di Marte:

O de gli Aveli excelsi et trïomphali

Excelso honore, Alfonso, o gran Marchese!, Essendo tu de le cose immortali,

Chi crederà che mai morte ti prese, Et che sian teco in breve urna sepolti Tanti trophei, tant'alte, strenue imprese? Cento occhi, cento lingue et cento volti Mostra la fama tua, ch'al mondo grida, Vociferando gli atti, chiari et molti. Quanto più l'huom nel cor forte si fida, Tanto men può schifare il tradimento Del terror de gli human, Marte homicida. Consumar mi conven sempre in lamento, Per dar camino al duol, che 'l cor mi rompe, Ch'altro remedio è vano al mio tormento110.

Questi versi del Cantico, redatti per consolare l‟affranta Costanza dopo l‟ennesima disgrazia, sembrano svolgere in un minor numero di endecasillabi ciò che costituisce uno dei momemti principali del poema delle Metamorfosi, tutto articolato, nella sua sezione centrale, sul ricordo del marchese Alfonso d‟Avalos.

A metà del II canto, commentando l‟ingiusta sorte di Isabella d‟Aragona, sposa e vedova di Gian Galeazzo Sforza, costretta ad assistere nell‟arco di pochissimi anni alla contemporanea perdita del ducato di Milano e del regno paterno111, Partenope nomina colei che più fra tutte le celebri dame del secolo sembrava essere stata

108 Sempre in occasione della morte del Marchese, Cariteo aveva indirizzato il sonetto CXIII a Laura

Sanseverino.

109 Pércopo, Le Rime… cit., vol. II, p. 342n.

110 Cariteo, In morte de don Innico de Avelos marchese del Vasto, 43-57. 111 Vedi Metamorfosi, II, 76-84.

103 dimenticata dalla cieca fortuna, Costanza d‟Avalos, vittima inerme, come gli eventi parevano dimostrare, dell‟instabile sorte. Accordandosi alla tipica credenza dell‟affinità del nome con il temperamento degli esseri umani, Cariteo chiama Costanza, la sola che può «guardar con mente immota»112, a giudicare la dissoluzione del Regno, essendo l‟ultima rappresentante di quella roccaforte aragonese radunatasi ad Ischia prima della disfatta generale. Proprio in virtù della sua fortezza d‟animo, che le aveva permesso di resistere dignitosamente ai molti colpi inferti dalla sinistra fortuna, la donna è ricordata come baluardo dell‟isola, espressione di quella fedeltà alla causa aragonese, che il poeta non si stanca di omaggiare, ritraendola come una dolcissima sirena, ma anche come una belligerante Diana o più semplicemente come musa ispiratrice113:

O Costanzia, per cui l‟Aonio fonte Febo dispregia e quel beato Eurota, e cole l‟alto, arguto Enario monte, tu sola puoi guardar con mente immota come fortuna fa tragiche scene, nel teatro di sua volubil rota! Dulcissima tra più dulci Sirene, Diana in selva, e sacra Vesta in ara, Carite in Pafo, e Musa in Ippocrene114.

Congiuntamente a Costanza, il pensiero delle Sirene va ad Alfonso, così ingiustamente osteggiato dalla Fortuna. Dal verso II, 96 al verso III, 78, la parte centrale del poema è dedicata alla commemorazione di capitano, che non avviene tramite il canto delle Sirene, interrotto improvvisamente per l‟eccessivo dolore delle creature marine, manifestato con urla e pianti, ma attraverso la narrazione del poeta, il quale approfitta dell‟interruzione della voce di Partenope per riprendere la parola e raccontare una vicenda che l‟aveva coinvolto direttamente. Infatti è l‟autore stesso a

112 Metamorfosi, II, 88.

113 Quest‟ultima caratterizzazione spiega anche la presenza del termine Aonio, quasi sempre adoperato

nei versi con i quali Cariteo omaggia la dama (cfr. anche il son. CXXXIII, 2). L‟aggettivo riporta alla fonte Aganippe, che sgorga dal monte Elicona, secondo la tradizione sorgente sacra ad Apollo e alle Muse. Quasi sempre, come anche nelle stesse Metamorfosi, Costanza è considerata dal poeta la decima musa della poesia, come afferma esplicitamente in Pasca, VI, 142-144: «In numero sarà decima Musa, / prima in honor, ne l‟Heliconio colle: / gratia celeste in pochi al mondo infusa». Ciò sembrerebbe motivare il costante riferimento alla fonte Aganippe (cfr. anche in Endimione i sonetti CLXV e XCVIII).

104 rivelare la sua intimità con il Marchese, raccontando dei molti rimproveri, al fine di mettere in guardia il capitano dai pericoli che sembrava ignorare, nei giorni concitati dell‟assalto al monastero di Santa Croce115. Le raccomandazioni di Cariteo, stando a quello che lo stesso poeta riferisce, furono ignorate dal d‟Avalos, troppo desideroso di vincere i nemici francesi e restituire il Regno al suo re Ferrandino. La fidelitas verso il caro Ferrandino, la cui amicizia è largamente attestata nelle cronache e nei resoconti del tempo116, è un altro elemento che il poeta catalano non si stanca di sottolineare, accennando nel testo perfino alle preoccupazioni del Re per il destino del Marchese. Con la prima parte del racconto (II, 95-187) il poeta rievoca i momenti precedenti alla morte del condottiero: le preoccupazioni del poeta sono puntualmente respinte dal valente cavaliere, desideroso di acquistare gloria e incurante perfino della morte. La concezione della gloria e della fama che anima il Marchese è tutta rinascimentale e cortigiana, acceso da un forte desiderio di adempiere ai propri doveri di cavaliere. Alfonso spiega al Cariteo di essere pronto anche ad affrontare la morte, in quanto è più che consapevole che questa sia la condizione necessaria per partecipare alla gloria dei cieli. Il Regno celeste diviene in questa prospettiva la ricompensa per le anime degli uomini giusti e valorosi, compenso a cui aspira lo stesso Alfonso, pronto ad immolarsi per la causa aragonese. Ciò che più spicca nel ritratto disegnato da Cariteo è l‟indiscussa fedeltà verso il proprio sovrano. Il capitano si dichiara apertamente disposto a dare la propria vita pur di serbare la parola data a Ferrandino e portare a termine quanto iniziato. In questa caratteristica del nobile Marchese, che più volte Cariteo si preoccupa di evidenziare, sembra adombrata una più sottile critica alla società contemporanea, soprattutto a quella militare, dominata da capitani di ventura e mercenari, che sembrano ignorare il significato dell‟antica fedeltà feudale117. Infatti il giudizio negativo verso questo tipo di figure serpeggia un po‟ per tutto il XV e XVI secolo negli scritti che trattarono

115 Sui riferimenti storici all‟episodio dell‟agguato del Marchese cfr. le note ai vv. 112-119 di

Metamorfosi, II.

116 Cfr. le pagine, e i riferimenti storiografici ivi contenuti, su Alfonso d‟Avalos di R.COLAPIETRA, 7

settembre 1495: morte eroica e trasfigurazione letteraria del marchese di Pescara, Istituto nazionale

di studi sul Rinascimento meridionale, Napoli 1991, pp. 34-40.

117 Molto interessante è l‟affresco della società rinascimentale delineato nella raccolta di contributi a

cura di E.GARIN, L‟uomo del Rinascimento, Laterza, Bari 1989, a cui rimando per il saggio di M. MALLET, Il condottiero, pp. 45-72.

105 dell‟argomento, sino alle opinioni di Machiavelli e Guicciardini, esposte quando il pericolo tangibile delle invasioni straniere sembrava estendersi a tutta la Penisola118. Cariteo intreccia varie tematiche tipicamente rinascimentali: al desiderio di gloria subentra il fatum, invocato per spiegare una sorte altrimenti poco comprensibile119; al destino deciso dalla sorte avversa si accompagna la risolutezza del capitano, sprezzante del pericolo e promotore di un tipo di vita attiva, versata al raggiungimento della gloria e del bene per il Regno. Le parole del capitano sembrano riecheggiare la prospettiva ciceroniana della vita nell‟aldilà che si legge nel Somnium

Scipionis120. Anche in questo brano della sezione conclusiva del De re publica, l‟immortalità concessa alle anime dei valorosi è la ricompensa per una vita spesa in nome della patria. Scipione l‟Africano, vincitore di Annibale, apparso in sogno al nipote Scipione Emiliano spiega a questi in che modo la morte, vera liberazione dalle catene del corpo, costituisca un trionfo per le anime degli uomini onesti e valorosi, che hanno trascorso la loro vita nel rispetto della giustizia, dei valori romani e soprattutto della res publica121. Cariteo ripresenta in questi versi la stessa situazione del Somnium ciceroniano, reinterpretando le parole dell‟Africano alla luce della

118 MALLET, in Il condottiero cit., p. 46, nota che «con Machiavelli e Guicciardini la condanna dei

condottieri giunse ad un nuovo “crescendo” allorché le gesta eroiche e la professionalità militare, riconosciute suo malgrado da Bruni e dai suoi contemporanei, sembrarono dimenticate nel disastro della marcia di Carlo VIII su Napoli e della facile conquista di Milano da parte di Luigi XII».

119 Questi argomenti sono al centro dei dibattiti umanistici. Sono numerosi i trattati dedicati all‟analisi

della fortuna, del libero arbitrio degli uomini, degli influssi astrologici nel determinare i caratteri o le inclinazioni degli individui. Vedi su questo argomento quanto esposto nel paragrafo successivo.

120 Sul Somnium Scipionis cfr. la valida edizione a cura di A.INTAGLIATA, Somnium Scipionis, Talìa

Editrice, Torino 2001.

121CICERONE, Somnium Scipionis, VI, 14-16: «Hic ego, etsi eram perterritus non tam mortis metu

quam insidiarum a meis, quaesivi tamen viveretne ipse et Paulus pater et alii, quos nos exstinctos arbitraremur.„Immo vero‟inquit„hi vivunt, qui e corporum vinculis tamquam e carcere evolaverunt, vestra vero quae dicitur vita mors est. Quin tu aspicis ad te venientem Paulum patrem?‟Quem ut vidi, equidem vim lacrimarum profudi, ille autem me complexus atque osculans flere prohibebat. Atque ego ut primum fletu represso loqui posse coepi, „Quaeso‟ inquam, „pater sanctissime atque optime, quoniam haec est vita, ut Africanum audio dicere, quid moror in terris? quin huc ad vos venire propero?‟ „Non est ita‟ inquit ille.„Nisi enim deus is, cuius hoc templum est omne, quod conspicis, istis te corporis custodiis liberaverit, huc tibi aditus patere non potest. Homines enim sunt hac lege generati, qui tuerentur illum globum, quem in hoc templo medium vides, quae terra dicitur, iisque animus datus est ex illis sempiternis ignibus, quae sidera et stellas vocatis, quae globosae et rotundae, divinis animatae mentibus, circulos suos orbesque conficiunt celeritate mirabili. Quare et tibi, Publi, et piis omnibus retinendus animus est in custodia corporis nec iniussu eius, a quo ille est vobis datus, ex hominum vita migrandum est, ne munus humanum adsignatum a deo defugisse videamini. Sed sic, Scipio, ut avus hic tuus, ut ego, qui te genui, iustitiam cole et pietatem, quae cum magna in parentibus et propinquis, tum in patria maxima est. Ea vita via est in caelum et in hunc coetum eorum, qui iam vixerunt et corpore laxati illum incolunt locum, quem vides‟ (erat autem is splendidissimo candore inter flammas circus elucens), „quem vos, ut a Graiis accepistis, orbem lacteum nuncupatis».

106 rivelazione cristiana, messa in evidenza dalla ripresa dei alcuni versetti dell‟Apocalisse di Giovanni (XIX, 9 e 17) e del Vangelo di Luca (XIV, 15)122:

…Colui che sobrio prande, ne la mensa regal cena con Cristo, e gusta dolci angeliche vivande.

Per gire in cielo, in terra or fama acquisto, non per viver tra voi, poco l‟externo pregiando, il proprio ben solo conquisto. Fugge l‟irreparabil tempo eterno, talché ciascuno affatigar si deve in dar la vita al nome sempiterno: Col bel morir s‟allunga il viver breve123!

In realtà, la particolare atmosfera di questo canto, così come il colloquio tra il Marchese e il fedele poeta catalano, sembrano essere stati ispirati da un altro componimento, scritto a ridosso della morte del d‟Avalos da Sannazaro124, che per

primo rielaborò il triste avvenimento in un testo, oggi facente parte della raccolta

Sonetti e canzoni, dal titolo Visione in la morte de l'Illustrissimo Don Alfonso d'Avalo Marchese di Pescara125, composto tra il 1495 e il 1497, come si può supporre per la presenza di un riferimento ad Ippolita, in quel tempo ancora sotto la tutela di Costanza126.

122 Per i rimandi ai testi sacri si veda la nota al canto II, 124. 123 Metamorfosi, II, 133.

124 Pércopo per primo individuò la fonte sannazariana; cfr. Introduzione a Le Rime… cit., p. CLX. 125 Cfr. Sannazaro, Son. e canz., C (Iacopo Sannazaro, Sonetti e canzoni, Rime disperse, in Id., Opere

volgari, a cura di A. Mauro, Laterza, Bari 1961). Da questo memento ci si riferirà sempre all‟edizione

di Mauro per i testi del Sannazaro citati. Cfr. Pontano in Tum., I, 3; (Ioannis Ioviani Pontani, De

Tumulis, a cura di M. Monti Sabia, Liguori, Napoli 1974) rese omaggio al Marchese: «Arma manu

tibi capta et victo ex hoste trophaea / Haec tibi marmorea erunt, haec tibi erunt tituli; / Hoc tibi Mars statuit, statuit bellona sepulcrum, / O Davale, haec cineri debita busta tuo. / His, Alfonse, iaces ornatus et obrutus armis: / Arma tibi tumuli, tela tibi tituli». Nel componimento si ha un primo accenno alle responsabilità di Marte nella morte del capitano.

126 È ciò che sostiene COLAPIETRA, in 7 settembre 1495. Morte eroica…cit., p. 50, che antepone la

stesura del testo prima del 1499, data presunta delle nozze tra Ippolita e Carlo d‟Aragona, che deduce dalla testimonianza della «lettera del 23 settembra 1499 di re federico ad Innigo d‟Avalos marchese del vasto per sollecitarlo a venire a Napoli per le nozze della sorella Ippolita con Carlo d‟Aragona, figlio di Enrico marchese di Gerace, e perciò nipote illegittimo di re Ferrante, e fratello del cardinal Luigi». Colapietra poi anticipa la data post quem della Visione al 1497, in quanto «l‟accenno a Rodrigo conte di Monteodorisio ancora vivo sposta poi ulteriormente la data ante la morte di quest‟ultimo, gennaio 1497, combattendo contro i Della Rovere nella valle del Liri, ad Isola». A queste supposizioni di Colapietra si potrebbe aggiungere che l‟assoluta assenza di riferimenti alla morte di Ferrandino, avvenuta il 7 ottobre del 1496, a cui Alfonso predice, erroneamente, un‟esistenza ricca di trofei e di gloria, anticipi la datazione del componimento ai mesi precedenti l‟inaspettata morte del re, e quindi tra il 7 settembre del 1495 e il 7 ottobre del 1496.

107 Nel componimento di Sannazaro, è indiscussa l‟influenza del brano ciceroniano. Il poeta di Mergellina, seduto pensieroso su un‟altura di Posillipo, si assopisce e viene visitato in sogno dall‟anima fulgente del Marchese, morto poco prima, quella stessa notte. Il poeta, che non è al corrente dell‟accaduto, stenta a riconoscerlo e apprende la notizia proprio dalle parole del defunto, che fornisce una spiegazione dei fatti avvenuti rivisitando i pensieri ciceroniani espressi nel Somnium, e che poi si ritrovano per l‟analoga circostanza riutilizzati anche dal Cariteo:

…Amico, io son di vita spento;

ossa e polpe non ho, non prender doglia, ché del mio stato io son lieto e contento; ché quella calda et eccessiva voglia, che sempr'ebbi in mostrar l'intera fede, non mi fe' mai pregiar la cara spoglia127.

Tutta la situazione immaginata da Cariteo nel poema sembra riecheggiare la Visione del Sannazaro, a cui riconduce l‟ambientazione della vicenda a Posillipo128 e lo sconvolgimento dello scenario circostante il protagonista129, molto simile al contesto che si ritrova nel canto incipitario delle Metamorfosi130. Cariteo, rispetto alla Visione narrata da Sannazaro, varia alcuni elementi e ne introduce di nuovi: la condizione onirica viene rinviata al IV canto, mentre risalta l‟inserimento del gruppo di Sirene, figure molto legate alla tradizione partenopea, su cui sovrasta il personaggio di