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L‟apporto della poesia del Quattrocento è invece molto limitato, rispetto agli autori fin qui analizzati. Tra i possibili interlocutori del Cariteo si hanno certamente Lorenzo de‟ Medici, recuperato in virtù della componente neostilnovista, a cui si è accennato in merito alla lirica dello Stilnovo. Molte sono infatti le citazioni dal

Canzoniere, mentre qualche volta si verificano anche delle riprese dalle opere morali,

come dal De sommo bene. Boiardo è l‟altra grande figura che emerge nella lirica del XV secolo facente parte delle biblioteca dell‟autore, a cui si affiancano le ottave di Pulci, di frequente riutilizzate. Della poesia boiardesca, Cariteo non recupera solo il canzoniere amoroso o il famoso poema cavalleresco; diffuse sono anche le citazioni dalle egloghe delle Pastoralia, spiegabili con la nutrita presenza di queste nell‟Arcadia, ma anche con la generale approvazione che riscossero presso gli umanisti. A questi autori si aggiungono tanti altri letterati minori che compaiono di volta in volta a suggerire espressioni o sintagmi. Discreta è la presenza di Filenio Gallo, il medesimo che aveva ispirato anche le composizioni dell‟Arcadia e che si trova frequentemente citato nei versi del Sannazaro; anche il Tebaldeo viene citato con una certa frequenza, mentre altri rimatori minori, come Giusto de‟ Conti, autore

147 di un canzoniere che ebbe una notevole diffusione, o Niccolò de Rossi, compaiono saltuariamente, ma la ripresa è decisamente funzionale, in quanto i loro testi vengono adoperati solo come repertorio per desumere sintagmi o sistemi di rime. Sorprende invece che non ci sia nel Cariteo un‟ampia presenza di Poliziano, il cui magistero nel secondo Quattrocento è ampiamente attestato. Cariteo conosce probabilmente ed utilizza la traduzione che fece Poliziano dell‟Iliade, ma sembra tenere poco a mente la restante produzione poetica, nonostante questa sia costruita sull‟intarsio dei versi classici e verta molto verso il neoplatonismo, interesse caro ad entrambi i poeti. Per quanto riguarda invece la memoria letteraria che si rileva verso le produzioni degli umanisti di area aragonese, contemporanei o poco meno all‟autore, è necessario fare una distinzione, l‟analoga distinzione che fece Cariteo verso i letterati della cerchia accademica; nel testo delle Metamorfosi non vi sono numerosi omaggi verso gli amici accademici, fatta eccezione per le riprese dal De Jennaro, la cui raccolta lirica doveva ben essere conosciuta dalla generazione del poeta, avendo questa costituito a lungo un modello compositivo per le raccolte di ispirazione amorosa, nell‟ambito della corte aragonese. Un trattamento diverso è invece riservato al Pontano e soprattutto al Sannazaro, che al pari, o forse, più dei classici sono riutilizzati e citati innumerevoli volte. La ripresa di questi due autori appare così naturale nei versi di tutta l‟opera del Cariteo, come se le opere dei due umanisti soccorressero puntualmente la mente dell‟autore, suggerendo l‟immagine o il sintagma più appropriato.

Pontano nelle sue opere si era occupato variamente di Napoli, della sua storia nel De

bello Neapolitano, ma anche delle sue origini mitiche nella Lepidina, la prima egloga

della raccolta avente per oggetto le nozze del dio Sebeto con la ninfa Partenope. In questo‟opera si ha una dettagliata descrizione di Partenope, ma anche del gruppo di nereidi della II pompa, che molto deve aver pesato nell‟immaginazione e raffigurazione delle Sirene che si ha nelle Metamorfosi. Tratto caratterizzante delle figure ideate da Pontano è un indescrivibile candore della pelle che irradia intorno una lucentezza abbagliate. Proprio questo niveo candore è la particolarità che viene sottolineata più volte dal Cariteo, abbagliato dalla luce di quei corpi provenienti dal mare (Met., I, 65 si legge «vidi venir per l‟onde un lume accenso»). L‟attenzione di entrambi i poeti cade su quei bianchi corpi ed in particolare sui candidi seni di

148 Partenope. Il precedente è in Catullo (Carmina, LXIV, 81), ma il primo a rielaborarlo fu Pontano (Eclogae, I, 8 «Hic mihi tu teneras nudasti prima papillas»), poi riadattato dal Cariteo (Met., I, 72, «mi radïar ne gli occhi le papille»). Ulteriore somiglianza nelle descrizioni che i poeti immaginano di Partenope è ravvisabile nello sguardo magnetico che Pontano attribuisce alla giovane (Eclogae, I, 42). Prendendo spunto dal maestro, attraverso il lessico desunto dallo Stilnovo e da Dante, Cariteo caratterizzerà a tal punto gli occhi di Partenope da farne il canale principale della trasformazione, recuperando in questo modo la centralità dello sguardo della lirica stilnovistica, ma ribaltando di fatto gli effetti nefasti, che da salutari diventano per il protagonista dannosi, al pari di quelli di Medusa.

Tralasciando le moltissime riprese pontaniane del I canto, si deve segnalare una presenza inferiore di queste nel II canto e nel III canto, per poi tornare numerose nell‟ultimo, dove la poesia del lamento sembra decisamente più adatta ai versi del Pontano. Il quarto libro, come si è già visto, si apre con una descrizione della notte di stampo virgiliano, che il poeta mutua da Sannazaro. Dopo la comparsa di Sebeto, abbiamo un primo omaggio alla produzione poetica di Pontano con il ricordo da parte del dio Sebeto della trasformazione in fiume, come punizione per aver amato la bella Doride, ideata dal Pontano nel Parthenopeus, II, 14. Le liriche del

Parthenopeus, ricorrono con larga frequenza, soprattutto nella descrizione delle pene

amorose. Allo stesso modo molto frequente è il riutilizzo del poema astronomico

Urania, citato all‟occasione per tutta l‟estensione dell‟opera ed in particolare nella

resa dei fenomeni astrologici o temporali. L‟altra opera che condivide con le metamorfosi il clima pessimismo e di un più generale disincanto, è il De hortis

hesperidum, che insieme all‟Arcadia e alle Metamorfosi sono portavoce delle

delusioni provate dagli umanisti all‟indomani del tracollo aragonese44.

Dopo l‟ampia composizione dell‟Urania e dopo il Meteorum liber45, negli ultimi anni Pontano si dedicò alla scrittura di un poemetto georgico dedicato apparentemente alla cura di un orto, ma sottilmente percorso da un più profonda

44 L‟opera fu compiuta nel 1500, ma rivista dopo il 1501; pertanto è ascrivibile alla serie delle ultime

opere dell‟umanista. Cfr. TATEO, Astrologia e moralità…cit., p. 104.

45 Sulle due opere pontaniane cfr. M. De Nichilo, I poemi astrologici di Giovanni Pontano : storia del

testo; con un saggio di edizione critica del Meteororum liber, Dedalo libri, Bari, 1975; Id., Ancora sul testo dei Metorum libri di Giovanni Pontano, «Atti dell‟Accademia Pontaniana», 28, 1979, pp. 129-

149 meditazione sulla realtà circostante, che negli anni in cui scriveva il poeta era in pieno rivolgimento. Quell‟orto, nello specifico il poeta si rivolgeva all‟agrumeto della villa di Sanazzaro, a Mergellina, metafora più grande della raffinatissima poesia coltivata negli anni precedenti a Napoli, curato con tanta attenzione e amore, ora versava in uno stato di incuranza, mancandovi il poeta esule in Francia.

Come nota Tateo, tra l‟Arcadia, il poemetto georgico del De hortis e le Metamorfosi c‟è un sottile filo rosso che le unisce, tante sono le affinità e le corrispondenze che le legano46. In particolare tra le Metamorfosi e l‟Arcadia sembra esserci un vero dialogo, come se la composizione del poemetto del Cariteo, che attinge a piene mani dal testo di Sannazaro, riprendesse proprio quell‟opera per raccontare la stessa storia, questa volta ambientata solo Napoli, in un continuo omaggio all‟amico Sincero. I riferimenti alle liriche sono talmente numerosi che lasciano bene immaginare quanto Cariteo dovesse conoscere e ammirare l‟operato del Sannazaro. In particolare sono già stati messi in luce, nel II capitolo a cui rimando, i debiti del Cariteo nei confronti della canzone di Sannazaro dedicata alla commemorazione del Marchese Alfonso (cfr. Sonetti e canzoni, C), che sicuramente, proprio per le molte riprese testuali, funse da modello nel costruire l‟episodio del Marchese.

Molto più intenso appare il dialogo tra le Metamorfosi e l‟Arcadia, quest‟ultima completata e stampata quasi negli stessi anni in cui Cariteo aveva da poco composto le Metamorfosi. Come hanno dimostrato i molti studi sull‟argomento, l‟opera del Sannazaro, le cui prime egloghe vennero redatte tra il 1480 e 1482, venne elaborata in due momenti diversi; un primo nucleo ragionato di 10 egloghe e 10 prose, composte tra il 1482 e 1486, a cui si aggiunsero le due prose finali con rispettive egloghe, probabilmente vergate tra il 1492 e 1496, a cui si aggiunse un congedo finale dell‟autore, risalente al 1503, aggiunto all‟opera poco prima della sua stampa, la cui editio princeps del 1504 fu opera dell‟amico Summonte47. Ora, in questa intricata vicenda editoriale, ci si deve chiedere quale ruolo giocò il nostro, così coinvolto nella finzione poetica del testo e nella stessa stampa dell‟opera, che l‟autore doveva conoscere bene, come si deduce dalla lettera di dedica del

46 Cfr. TATEO, Le Metamorfosi del Chariteo…cit., 126.

47 La vicenda editoriale dell‟Arcadia è stata oggetto d‟indagine da parte di A.MAURO, Le prime

edizioni dell‟«Arcadia» del Sannazaro, in «Giornale storico di filologia», II, 4, 1949, pp. 341-351. Ma

si veda anche l‟interessante lavoro svolto da M.RICUCCI, Il Neghiottoso e il fier connubio. Storia e

150 Summonte, dove quest‟ultimo sottolinea quanto Cariteo l‟abbia «con ragione indutto», se non «con tutte le forze de la amicizia constretto»48 ad occuparsi della pubblicazione dell‟opera. Una collaborazione editoriale che avrebbe, quindi, portato l‟autore in contatto con il manoscritto dell‟Arcadia, lasciato nel 1501 a Napoli da Sannazaro in custodia al fratello; ciò spiegherebbe i molti punti di contatto tra le due opere, soprattutto per quanto riguarda la sezione conclusiva del prosimetrum, aggiunta successivamente49.

I due testi, accomunati dalla stessa tematica, sono accostabili per l‟analoga situazione raccontata, in cui un protagonista, coincidente con la stessa persona dell‟autore, si ritrova ad osservare, magari dopo un lungo esilio, una città sconvolta e deturpata dagli orrori della guerra. Raffrontando la prosa e l‟egloga XII, dove lo stesso Cariteo compare come personaggio insieme a Summonte, non possono passare inosservati alcuni importanti elementi comuni in entrambe le opere, così come delle evidenti riprese testuali o la citazione delle medesime fonti, cosa che avviene davvero spessissimo in tutte le Metamorfosi.

Come si è visto in apertura del capitolo l‟inizio del poemetto con l‟elogio del suggestivo paesaggio napoletano è un omaggio al Sannazaro, che aveva iniziato la prima prosa dell‟Arcadia con un‟analoga descrizione della valle, dominata dal Parnaso con le sue due vette (che nelle Metamorfosi diventeranno i due gioghi del Vesuvio). Sempre alla Napoli di Sannazaro ci riporta l‟aggettivo dilettevole utilizzato in entrambi i testi per descrivere la città (cfr. Arc., VII, §3 e Met., I, 16). Proseguendo nella lettura del poemetto, al II canto ci si imbatte in un‟amara riflessione sulla perduta primavera, metafora dei tempi felici inesorabilmente trascorsi. Lo stesso tono e lo stesso argomento si ravvisano nella VI egloga del prosimetrum, tutta incentrata sul raffronto tra i tempi attuali, dominati dal vizio (è questa la prospettiva di Serrano) e gli anni passati, paragonati ad un‟eterna primavera (attraverso la rievocazione di Opico). L‟egloga, che sembrerebbe l‟ultima della giovanile raccolta, ha un valore

48 Si legge nella lettera del Summonte «E per questo, senza altra sua ordinazione, anzi forse (se io mal

non estimo) non senza qualche offesa de l‟animo suo quando per aventura il saprà, ho pensato esse così utile come necessario darle subito in luce, facendole imprimere da quello originale medesmo, quale ho trovato di sua mano correttissimo in potere del magnifico Marco Antonio Sannazaro, suo fratello; movendomi ancora a questo non poco la auttorità del vostro Cariteo, dal quale non solo sono stato a ciò con ragione indutto, ma con tutte le forze de la amicizia constretto». Cfr. Sannazaro,

Arcadia, a cura di C.VECCE, Appendice, §4, p. 355.

151 politico non indifferente e testimonierebbe proprio il clima di crisi politica in cui era precipitata la capitale negli anni del conflitto sociale fra la dinastia e i baroni. Cariteo, avendo colto il significato del testo, decise di riutilizzarlo nelle prime battute di Partenope, tese a descrivere la mutatio temporum e la nuova situazione di Napoli soggiogata ai dominatori francesi.

Alcune spie testuali poi ci permettono con una certa sicurezza di confermare la ripresa, come ad esempio la citazione del mito di Proteo (Arc., VIe, 52-54, Met., 9) e l‟analogo riuso del modulo dell‟ubi sunt carico di valenze politiche che si riscontra in entrambi i testi (sul motivo dell‟ubi sunt e sul rimpianto dell‟età aurea cfr cap. II). Le riprese testuali che si rintracciano nel II e III canto delle Metamorfosi sono, in verità, moltissime ed elencarle porterebbe soltanto alla stesura di un elenco privo di interesse. È giusto sottolineare che l‟imitazione del Sannazaro nei versi seguenti incentrati sul ricordo del Marchese, attinge dalle Rime, non essendoci nell‟Arcadia alcun riferimento all‟assassinio di Alfonso d‟Avalos, né una diretta e particolareggiata celebrazione di Ferrandino (che si avrà invece in Met., III). A dire il vero l‟autore mantiene una certa distanza tra le opere riprese, non mescidando mai eccessivamente le fonti; in altre parole se in un determinato passo si ha l‟imitazione di un autore contemporaneo, questo raramente è combinato con un altro autore afferente al medesimo ambiente. I testi moderni sono spesso riproposti attraverso i classici, che vengono a costituire, in questo modo, un repertorio comune per entrambi i componimenti. Il procedimento, se non apertamente dichiarato con riprese testuali, diviene allusivo ed è necessaria tutta la competenza del lettore per mettere insieme le «tessere». Questo avviene ad esempio anche con Pontano nel riutilizzo della Lepidina, di cui sopra. Non avendo ancora composto Sannazaro le Eglogae

Piscatorie, Pontano rimane per il poeta la fonte moderna più attendibile da utilizzare

per la descrizione delle Sirene, caratterizzate così bene attraverso i versi dell‟egloga dedicati alle Nereidi. Nel passo dedicato all‟arrivo di Partenope e delle sue compagne vi sono pochissime citazioni dall‟Arcadia, che invece tornano ad influenzare la compagine del testo appena viene a mutare l‟oggetto della narrazione, e quindi la fonte.

Un uso più marcato dell‟Arcadia si rileva sin dall‟inizio del IV canto delle

152 prosa dell‟Arcadia. In questa, dopo una notte insonne, Sincero riesce ad addormentarsi, ma il suo sonno è turbato da una strana visione, che costituisce l‟unico sogno dell‟Arcadia, carica di presagi di morte. Sincero si ritrova in un luogo che stenta a riconoscere, intimorito e nell‟incapacità di gridare o camminare (qualcosa del genere avviene anche all‟inizio del I canto delle Metamorfosi cariteane). Poco dopo appare al protagonista una sirena, che «sovra uno scoglio amaramente piangeva» (allo stesso modo Cariteo si imbatte nell‟incontro con le Sirene che piangono lo stato attuale del Regno). Segue a questa visione l‟immagine di un arancio tagliato, sul cui significato la critica ha a lungo dibattuto. Secondo alcuni l‟arancio potrebbe indicare una donna, secondo altri la stessa dinastia aragonese (essendo il termine arangio anagramma di aragoni). Infine giunto a Napoli, dopo il percorso sotterraneo in cui ha incontrato anche il dio Sebeto, Sincero non viene riconosciuto dagli amici Cariteo e Summonte, nelle vesti rispettivamente di Barcinio e Summonzio, tanto le fattezze dell‟esule erano cambiate per via del dolore (proprio come era cambiato l‟aspetto di Cariteo a seguito della trasformazione per opera di Partenope).

Anche il IV canto delle Metamorfosi cariteane si apre con una descrizione dell‟insonnia notturna, tema caro alla lirica d‟amore, per poi assumere l‟aspetto di un lungo sogno, in cui, muovendo dall‟VIII libro virgiliano, dove si racconta dell‟incontro tra Enea e il dio Tiberino, il giovane poeta si addormenta presso la foce del Sebeto. Ma il sogno assume presto le movenze di una visione, con l‟apparizione del dio che racconta al poeta della generale afflizione del genere umano; a riprova di quanto sostenuto rievoca lo «strano caso» della sirena Inarime, trasformatasi nell‟isola d‟Ischia. In questo canto che forse è il più ovidiano dei quattro componimenti, agiscono varie fonti diverse, tra loro magistralmente combinate. Molto deve aver pesato nella costruzione del canto l‟episodio della VIII prosa dell‟Arcadia, dove il pastore Carino, racconta a Sincero, con l‟intento di attenuarne le sofferenze, la storia personale di un amore non ricambiato, narrazione che si estende per tutta la lunghezza della prosa.

Cariteo riprende ampiamente dal brano dell‟Arcadia la descrizione dei tempi felici della vicenda, da cui emerge l‟idea di un rapporto basato sulla totale condivisione delle giornate e delle esperienze (cfr. Arc., VIII, §9-10, Met., IV, 58-66). Anche le

153 successive sofferenze d‟amore verranno descritte da Cariteo seguendo la maniera sannazariana, che porterà l‟autore a sviluppare maggiormente la ripresa con la citazione della medesima fonte virgiliana. Il lamento di Inarime è ulteriormente svolto con un omaggio all‟Arcadia, nel ripescaggio delle stesse immagini con cui Sannazaro aveva fatto esprimere Barcinio nel racconto delle sofferenze di Pontano per la morte dell‟amata Filli. Gli spunti dell‟Arcadia vengono riproposti attraverso il filtro virgiliano, non solo delle Eglogae, da cui aveva attinto Sannazaro, ma anche e soprattutto dall‟Eneide, per il modello della regina Didone, con il quale viene reso il dolore di Inarime dopo la partenza di Febe, a cui lo stesso Cariteo si era ispirato nel descrivere nell‟Endimione l‟ennesima storia di separazione.

Ma prima di analizzare l‟ultima rielaborazione del poeta desunta dall‟Arcadia, vorrei riflettere brevemente sulla strana coincidenza con l‟episodio e il personaggio di Carino e il riuso cariteano. Questo diviene interessante perche la critica ha recentemente ipotizzato che dietro al personaggio di Carino possa esserci ancora una volta il poeta Cariteo, già presente nell‟opera nelle figure dei pastori Cariteo (II, §8) e Barcinio (XIIe). Carino, dai più ritenuto l‟ennesima controfigura dell‟autore, una sorta di doppio, potrebbe in realtà, come lo stesso nome parrebbe suggerire per la comune etimologia dei due nomi, derivanti probabilmente da Charis, essere ancora l‟amico Cariteo. Tale supposizione oltre che dalla vicinanza dei due nomi, potrebbe anche essere suggerita dalla descrizione del personaggio carino redatta da Sannazaro, quando questi compare sulla scena nella VI prosa, parlando di un giovane bellissimo dalle lunghe chiome bionde (alla stessa capigliatura bionda accenna anche Cariteo, in

Met., I, 106, descrivendo la sua trasformazione).

La Becherucci, convinta della coincidenza tra Cariteo e Carino, analizza il singolare rapporto che si crea tra questi due pastori nell‟Arcadia, motivando proprio con la presenza dell‟amico Cariteo l‟apertura del personaggio Sincero e il racconto della sua vicenda d‟amore (Arc., VII). Sincero dopo essersi presentato ai pastori, attraverso il racconto del suo esilio, concede la parola a Cariteo, che risponde al resoconto amoroso di Sincero, raccontando a sua volta del suo amore non ricambiato, riprendendo in parte molti dei motivi caratterizzanti l‟Endimione.

Proprio a quelle liriche e alla puntuale rispondenza di alcuni topos ravvisabili nelle parole di Carino, la Becherucci arriva a concludere che «diversi sono i segnali che

154 nel racconto di Carino rimandano alla poesia di Cariteo, primo fra tutti la ripresa del

topos del cigno che canta il suo funebre canto»50.

Le parole della Becherucci sembrerebbero quindi confermate dalla singolare ripresa che Cariteo fa di quella prosa nel IV canto delle Metamorfosi. L‟autore non aveva certo bisogno di trarre ispirazione dalle composizioni altri per poetare d‟amore, avendo alle spalle un intero canzoniere dedicato proprio a quel genere di versi. La ripresa di quella storia, che era poi la sua stessa storia, potrebbe essere interpretata, e l‟ipotesi sembrerebbe alquanto verosimile, come un omaggio al poeta e amico Sincero, in quegli anni con il re Federico in terra francese, che aveva fatto del Cariteo uno dei personaggi principale della sua Arcadia.

Un‟ulteriore condivisione di posizioni si ritrova nei versi finali delle Metamorfosi, dove Cariteo, muovendo dall‟XI egloga dell‟Arcadia, prenderà le distanze dalla lirica d‟amore, dando vita ad un congedo, nella finzione poetica rappresentato dall‟addio alle «pontaniane schiere» di Inarime, che sembra ricalcare il monologo di Ergasto, il quale, poco prima che l‟opera giuga a termine, conclude il suo canto, deponendo la