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La letteratura due-trecentesca

Attraverso una costante allusione al repertorio classico, in cui vengono combinati materiali mitologici e reminiscenze letterarie, il poeta compone i suoi versi sempre cercando di non offuscare troppo la ripresa classica, ma al contrario di permettere al lettore di riconoscerla e metterla in relazione con tutto il sistema letterario della lirica volgare. Rino Consolo, analizzando la presenza classica tra le liriche dell‟Endimione, riconosce nella continua tessitura dei versi, che continuamente riprendono i testi latini e, in misura minore i testi greci, la caratteristica più saliente della poetica cariteana. Lo studioso, nell‟analizzare le modalità in cui questa profonda erudizione classica penetrava nei versi del canzoniere, recupera da Nencioni il concetto di agnizione27 sostenendo che per permettere nel lettore, sebbene colto al pari dell‟autore, il riconoscimento della fonte fosse necessario non rendere troppo oscuro il dettato del testo:

perché il dispositivo dell‟agnizione possa mettersi in moto. È necessario quindi che il testo evocato sia riconoscibile in trasparenza, isolato dal complesso di una tradizione idealmente perfetta, che rappresenta in questo caso, anche il concreto terreno d‟esercizio di un‟approfondita esperienza umanistica; meglio ancora, però, se l‟evocazione si presenta motivata dalla trama complessiva del libro,

137 dando luogo a sua volta ad una fitta serie di corrispondenze e richiami, alla compattezza di una struttura28.

Questo processo messo in luce da Consolo, per spiegare l‟intento della nutrita presenza classica nell‟opera maggiore, è ravvisabile anche nelle Metamorfosi, dove la fonte classica è facilmente riconoscibile, avendo l‟autore la vera intenzione di ricondurre il lettore all‟opera che realmente l‟aveva ispirato nel comporre un determinato passo. Questo è quanto avviene ad esempio con le riprese petrarchesche, dove il dettato o l‟immagine desunta da Petrarca spesso è inserita in un contesto dalla marcata imitazione classica. Ma questo discorso andrebbe esteso a tutta la poesia volgare, che Cariteo recupera integralmente spaziando con le sue riprese dallo Stilnovo alla lirica dei contemporanei come Poliziano e Boiardo, senza, ovviamente, dimenticare l‟importante apporto degli umanisti meridionali, come Sannazaro, accanto al quale è obbligatorio ricordare Pontano, le cui opere furono esclusivamente latine, per citare solo i maggiori, richiamati e omaggiati continuamente nei versi del nostro.

La critica ha rintracciato tra le molte componenti dell‟Endimione, anche una certa presenza stilnovista, mediata a Napoli attraverso il dono della Raccolta Aragonese, in cui insieme ai prodotti della lirica contemporanea di Poliziano e dello stesso Lorenzo de‟ Medici, venivano riproposti anche i testi della letteratura duecentesca, cha a Firenze avevano dato vita al movimento del Stilnovo29. L‟amore tormentato e angosciato di Cavalcanti, le rime di Cino da Pistoia, e soprattutto la poesia di Dante, della Vita nuova, così come delle Rime, tornano frequentemente nelle liriche dell‟Endimione, affiancandosi alla più importante presenza petrarchesca. Il repertorio tematico dello Stilnovo, che Cariteo doveva aver conosciuto negli anni della sua formazione in Spagna30, viene recuperato attraverso il codice neoplatonico e veicolato in una sorta di Neostilnovismo, che giunge a Cariteo dai sonetti di Lorenzo de‟ medici, ed è verificabile nella rielaborazione che si ha di queste tematiche nei

28 CONSOLO, Il libro di Endimione, cit., pp. 28-29.

29 Per un inquadramento generale del movimento duecentesco cfr. l‟importante lavoro di M. Marti,

Storia dello Stil Nuovo, Milella, Lecce 1972.

30MARTINES PERES, L‟espai, dimensió poètica de contact entre el Dolce Stil Novo i la poesia catalana

del segle XV, in La corona d‟Aragona in Italia, Atti del XIV congresso internazionale della Corona d‟Aragona (Napoli, 1997), a cura di G.D‟AGOSTINO, G.BUFFARDI, Paparo edizioni, Napoli 2000, pp. 373-380.

138 sonetti XLIX e L di Endimione. È la lezione cavalcantina dell‟amore-morte ad essere recuperata dal poeta31, che nel IV canto delle Metamorfosi riprende alcuni aspetti di quella lirica, ravvisabile nel pallore dei volti prossimi alla fine e nel più generale esito di morte a cui l‟amore sembra condurre, come è detto chiaramente in

Metamorfosi, IV, 77-78 «mercé d‟amor, che a l‟anima subietta / al fin per guidardon

suol dar la morte».

Sempre afferente al neostilnovismo sembra essere anche la caratterizzazione delle figure femminili, le cui lodi paiono rimandare al codice dello stilnovo per l‟insistito elogio della candida bellezza e della loro lucentezza32. Queste tematiche erano state oggetto di numerose liriche nel canzoniere, che il poeta ora recupera per celebrare l‟inumana bellezza delle Sirene, ma anche quella altrettanto singolare delle regine aragonesi. Accanto ai più consueti versi petrarcheschi, sono le rime di Dante e quelle di Cavalcanti e Cino ad ispirare il poeta nella scelta dei termini adatti a descrivere la bellezza e la superiorità delle regine d‟Aragona (cfr. Met., II, 40-90 e n). La centralità riconosciuta allo sguardo o l‟indugio sulla descrizione degli occhi, che nella fenomenologia dell‟amore rivestivano una funzione fondamentale per la nascita del sentimento amoroso, riportano ancora una volta alla lirica dello Stilnovo; frequenti sono i verbi che descrivono l‟atto del guardare, come si legge in

Metamorfosi, I, 100, «Volgendo in me la dea gli occhi turbati», chiara derivazione

dalla Commedia, (Purg., XXX, 66) «drizzar li occhi ver‟ me di qua dal rio», mentre altre volte vengono presi di peso sintagmi di derivazione dantesca, come avviene ad esempio con il sintagma «occhi santi», utilizzato da Dante diverse volte nella

Commedia (cfr. Purg., XXXI, 133; Par., III, 24; Par., XVIII, 9), che si ritrova in Metamorfosi, I, 134 «e l‟acqua, che piovea da gli occhi santi».

La presenza dantesca nell‟opera non si esaurisce solo con la lirica giovanile della

Vita Nuova o delle Rime; accanto alle altre fonti utilizzate da Cariteo, un posto

d‟eccezione spetta proprio alla Commedia. È doveroso rilevare che la presenza dell‟Alighieri è sicuramente più marcata in questo tipo di componimenti in terza

31 Cfr. a tal proposito BARBIELLINI AMIDEI, Alla Luna…cit., pp. 142-147; anche Parenti ha rintracciato

nel canzoniere di Cariteo, specie nella prima edizione del 1506, una certa componente stilnovista, dovuta, secondo lo studioso, oltre che alla suggestione della Raccolta Aragonese, anche ad una certa ascendenza di Cavalcanti su alcune liriche giovanili di Petrarca. Cfr. PARENTI, Benet Garret…cit., p. 83.

32Per un più ampio approfondimento sulle tematiche della lirica dello Stilnovo si veda E.SAVONA,

139 rima, rispetto all‟Endimione, dove sovrasta su tutte le possibili fonti il magistero di Petrarca. Forse può aiutare a dare un‟idea della singolare importanza della lirica dantesca in quest‟opera la particolare vicinanza che l‟autore, nei mesi in cui redigeva l‟opera, doveva avvertire con l‟Alighieri, condividendo con l‟illustre poeta la dura esperienza dell‟esilio. Forse questo avvenimento così doloroso per Cariteo (sono infatti molti i sonetti dove l‟autore lamenta le sofferenze dell‟esilio romano) può in parte spiegare la maggiore vicinanza a Dante e il passaggio dalle liriche amorose di imitazione petrarchesca ai pungenti versi in terza rima33. Com‟è noto, la Commedia e più in generale tutte le opere dell‟Alighieri dovevano essere ben conosciute presso la corte napoletana del Quattrocento.

L‟apprezzamento per la letteratura trecentesca e specialmente dantesca da Firenze si era propagato negli altri centri italiani, grazie alla migrazione di dotti toscani che, lavorando presso le corti italiane più importanti, si fecero promotori del culto delle tre corone34. Ciò era accaduto anche a Napoli, dove la singolare personalità del Magnanimo aveva attirato i più celebri intellettuali fiorentini come Valla, Bruni, Filelfo, Poggio, Manetti, che soggiornarono presso la corte per periodi più o meno lunghi, facendovi crescere e prosperare l‟ammirazione per l‟illustre concittadino e arricchendo la celebre biblioteca aragonese con la presenza di molti codici di opere dantesche35. Grazie a questi umanisti, e alla diffusione delle prime edizioni della

Commedia, il culto dantesco prese vigore anche a Napoli, città nella quale, accanto

alla più raffinata produzione latina, inneggiante alla cultura classica, troviamo una, seppur minima, produzione volgare di derivazione dantesca, rappresentata da poemi come il Giardeno36, il Rosarium de spinis, ed infine dalla più importante di queste imitazioni, Le sei etate della vita humana di De Jennaro.

33 Si deve rilevare che è proprio con gli anni della crisi politica che gli anni della crisi politica

comportarono nel canzoniere l‟abbandono delle tematiche amorose, tralasciate per poetare di questioni politiche e culturali. Cfr. E. Fenzi, Cariteo. Il fascino…cit.

34 Per una panoramica sulla fortuna dantesca nel XV secolo cfr. F.TATEO, Dante fra latino e volgare

nel Quattrocento, in Dante nei secoli, a cura di D.COFANO,I.GIABAGKI,R.PALMIERI,M. RICCI, Edizioni del Rosone, Foggia 2006, pp.39-57.

35 Cfr. C.CARMINA PERITORE, La Conoscenza e lo studio di Dante alla corte aragonese di Alfonso il

Magnanimo, in Dante nel pensiero e nella esegesi dei secoli XIV e XV, Atti del Convegno di studi

(Melfi 27 settembre - 2 ottobre 1970), Olschki, Firenze 1975, pp. 433-441: 435.

36 Cfr. F.TATEO, Sulla ricezione di Dante in ambiente devoto: il «Giardeno» di Marino Jonata, in

Aspetti della cultura dei laici in area adriatica. Saggi sul tardo medioevo e sulla prima età moderna,

a cura di R.PACIOCCO,L.PELLEGRINI,A.APPIGNANI, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1998, pp. 241-256.

140 La riverenza per Dante nel Cariteo doveva avere radici più antiche, ascrivibili a quella prima formazione classica degli anni barcellonesi, in cui presumibilmente il poeta conobbe e studiò anche i trecentisti toscani, allora così apprezzati dai più celebri poeti catalani del tempo, tutti imitatori delle rime dantesche, come Andrea Fabrer, traduttore della Commedia, Ausias March, Juan de Mena, Inico Lopez de Mendoza, per citare solo alcuni37. Forse fu proprio questa maggiore dimestichezza con il volgare fiorentino, acquisita, negli anni giovanili, studiando e ammirando i trecentisti, che portò Cariteo, una volta giunto a Napoli, a prediligere la lingua volgare toscana rispetto a quella latina.

Ritornando all‟analisi delle Metamorfosi, la derivazione dantesca dell‟opera non traspare solo dalla scelta del genere e della terza rima, o dalla stessa marcatura „dantesca‟ del lessico adoperato: tutta l‟atmosfera di cui è intessuto il testo risente dell‟Inferno dantesco, che viene riproposto con la scelta di rappresentare Napoli, dopo l‟abbandono degli Aragonesi, come una novella città di Dite. L‟atteggiamento di Cariteo nell‟incipit del componimento ricorda molto il comportamento del pellegrino all‟inizio della Commedia: proprio come Dante, anche il poeta attraversa un momento di smarrimento, conseguenza inevitabile dello sconvolgimento causato dall‟arrivo dei Francesi, che lo porta ad interrogarsi sulla magnanimità del Signore e sulla ragione dei suoi disegni. La situazione immaginata in apertura però viene contaminata con la ripresa di un sonetto di Petrarca (R.V.F., XV, 9-11) che ha l‟effetto di sviare il lettore da una troppo certa derivazione dalla Commedia. Dopo aver allargato lo sguardo sul circostante paesaggio napoletano, che rinvia ancora una volta ad altre opere ed altri contesti, la città si trasforma sotto i suoi passi, divenendo un territorio impervio e pauroso, dominato dalle Furie infernali, la cui descrizione è mutuata da Virgilio, adoperando di fatto la stessa fonte di cui si era servito Dante. È l‟autore stesso, sin dall‟inizio, a svelarci la derivazione dantesca dei suoi versi con delle spie testuali anche fin troppo evidenti, come il ricorso alle rime dura-oscura che ritroviamo nei primi versi dei canti incipitari delle due opere, rispettivamente ai vv. 2-4 nella Commedia (mi ritrovai per una selva oscura / Ché la diritta via era smarrita. / Ahi quanto a dir qual era è cosa dura) e ai vv. 4-6 nelle Metamorfosi (benché pensier sì vano in me non dura / ché caldo di ragion suscita un vento, che

141 fuga dalla mente ogni aria oscura). Gli omaggi al poema sono molteplici in tutti i quattro canti e non si limitano solo alla ripresa di rime, che rinviano alla Commedia, che ricorrono numerose in tutta l‟opera, o al riuso di immagini o locuzioni dal sapore dantesco. La derivazione dalla Commedia si riscontra nella stessa tecnica narrativa che viene riproposta, la medesima capacità di raccontare, fondendo miti, storia, religione e poesia in un testo che, oltre al ricco ordito dantesco, si configura come un calderone in cui confluiscono gli elementi più vari, attinti dalla cultura classica, cristiana, ebraica e medievale, riadoperati e messi insieme in una commistione tutta umanistica, riscontrabile in ogni buon prodotto quattrocentesco.

È difficile indicare un passo che sia esaustivo del recupero dell‟Alighieri messo in atto dal Cariteo, proprio per l‟ingente mole di citazioni, dirette e non, che si susseguono nei quattro canti. Oltre al canto iniziale in cui domina un‟ambientazione dantesca, un altro momento di più marcata imitazione si riscontra alla fine del II canto, quando il poeta deve raccontare delle sensazioni provate nell‟attimo in cui apprese della morte del Marchese Alfonso. In quel frangente il poeta costruisce una similitudine tutta giocata sulla ripresa di alcuni luoghi della Commedia:

Qual uom che sogna cosa che l‟infesta, e sognando vorria che sogno fosse, e pugna per destarsi, e non si desta; tal io rimasi, e tanto mi commosse quel mal, ch‟io fui di me subito fora, per la doglia mortal che mi percosse Poi ch‟io non fui del tutto extinto allora, che fortuna a vertù fe‟ sì gran torto, non si può dir che di dolor si mora!

In quel punto io non fui vivo, né morto, 175 ma di vita e di morte in tutto privo,

perduto il mio presidio e ‟l mio conforto38

Alla famosa immagine del sognatore, tratta da Inf., XXX, 136-140, Cariteo fa corrispondere nelle Metamorfosi una similitudine identica, rafforzata anche da un codice fortemente dantesco, come la scelta del latinismo pugna, ben dimostra «Qual è colui che suo dannaggio sogna, / che sognando desidera sognare, / sì quel ch‟è, come non fosse, agogna, / tal mi fec‟io, non possendo parlare». Segue la ripresa di

142 un altro celebre passo della Commedia, in cui l‟autore, guardando ai versi conclusivi del V canto dell‟Inferno, precisamente ai vv. 139-142, racconta del suo improvviso svenimento, alla notizia della morte del marchese, ripensando all‟analoga perdita di coscienza che colse Dante per l‟eccessivo coinvolgimento nella vicenda dei due cognati: «Mentre che l‟uno spirto questo disse, / l‟altro piangea, sì che di pietade / io venni men così com‟io morisse; / e caddi come corpo morto cade».

Ripresi i sensi, per esprimere il dispiacere provato alla notizia della perdita del marchese, che viene appellato con una locuzione decisamente dantesca «‟l mio conforto», perifrasi con la quale più volte nella Dante indica Virgilio, Cariteo ripensa allo sgomento e al brivido di terrore che percorsero Dante alla visione orrenda di Lucifero. Per fornire al colto lettore, a cui si rivolge, una precisa idea dell‟intensa sofferenza provata in quell‟istante, chiama Dante come metro di paragone per quantificare la sua confusione dinanzi ad una notizia così inaspettata. Si legge in

Inf., XXXIV, ai vv. 25-28, «Io non mori‟, e non rimasi vivo: / pensa oggimai per te,

s‟hai fior d‟ingegno, / qual io divenni, d‟uno e d‟altro privo».

Questi esempi possono illuminare poco sulla ripresa dantesca nell‟opera, tanto questa è radicata e combinata con le altre fonti, generalmente classiche, riutilizzate nel poemetto; solo un‟attenta lettura dell‟opera potrà dare ragione di quanto sostenuto e portato alla luce nel commento.

Accanto all‟Alighieri, spicca la predominante figura di Petrarca, così rilevante nel Cariteo da portare molti studiosi a vedere in questi un antesignano del movimento petrarchista, corrente che avrà tanta fortuna nel Cinquecento39, per l‟ingombrante presenza dei Rerum Vulgarium Fragmenta all‟interno del canzoniere cariteano, tanto da delinearne la stessa struttura40. A tal punto è inveterata nel nostro la conoscenza

39 Cfr. L.BALDACCI, Il petrarchismo italiano nel Cinquecento, Liviana, Padova 1974; C. Mutini, Un

capitolo di storia della cultura: il petrarchismo, in Id., Saggi sulla letteratura del Cinquecento,

Bulzoni, Roma 1973. Sul petrarchismo in area meridionale cfr. E. Raimondi, Il Petrarchismo

nell‟Italia meridionale, Accademia nazionale dei Lincei Roma 1973; M. Lefèvre, Una poesia per l‟impero: lingua, editoria e tipologie del petrarchismo tra Spagna e Italia nell‟epoca di Carlo V,

Vecchiarelli, Manziana 2006.

40 È quanto ha messo in luce SANTAGATA in Sanazzaro, Cariteo e la lirica…cit., anche se il critico

nella più o meno marcata facies petrarchesca, ravvisa la differenza tra la poesia Sannazarina, le cui liriche sono fortemente orientate all‟imitazione del modello petrarchesco e la lirica di Cariteo, dove la felice combinazione di più componenti rende difficilmente codificabile il linguaggio cariteano in un determinato «collettore petrarchesco», tanto da far guadagnare al poeta l‟epiteto di “sfuggente”, che tanto piacerà alla critica successiva: «Cariteo, insomma, è un poeta sfuggente: nella misura in cui sopporta di essere connotato e collocato in una pluralità di aree letterarie e culturali, svilisce a poco

143 dei versi del Petrarca che il poeta non può fare a meno di citarlo continuamente, riprendendone i motivi topici e lo stesso codice petrarchesco. Capita, alle volte, di imbattersi in riecheggiamenti di interi versi o emistichi, presi di peso dai Fragmenta, così come dalle altre opere petrarchesche. Ma altre volte la fonte petrarchesca è più velata, perché allusiva, o anche ricondotta ad altre fonti, quindi meno percettibile. Questo avviene solitamente quando l‟autore opera sul testo con l‟attenzione del filologo, arrivando a riconoscere la vera fonte seguita da Petrarca, che viene poi ripresa in un secondo momento anche dal Cariteo e rielaborata con quanto di quella fonte aveva riformulato Petrarca. Un esempio concreto riuscirà ad illustrare meglio quanto detto, anche se lo stesso procedimento è già stato analizzato in precedenza con l‟analisi del mito di Atteone. Nei versi delle Metamorfosi (IV, 139-141) si ha un analogo procedimento allusivo con alcuni versi ispirati da un sonetto di Rerum

Vulgarium Fragmenta (CCCXI, 1-6) che Petrarca a sua volta aveva redatto

riformulando Virgilio (Georg., IV, 511-515). L‟autore aveva già rielaborato i versi petrarcheschi in un precedente sonetto di Endimione, dove il motivo è sviluppato con una maggiore aderenza alla traccia petrarchesca, ma ora riproponendoli nelle

Metamorfosi, si distacca maggiormente, contaminando il modello petrarchesco e

virgiliano con un componimento catulliano (Carmina, LXV, 12-13):

Virgilio, Georgicon, 511-515 Petrarca, R.V.F., CCCXI, 1-6 Cariteo, Endimione, CXXXVIII, 9-14 Catullo, Carmina,LXV, 12-13. Caiteo, Metamorfosi, IV, 139-141 qualis populea maerens

philomela sub umbra / amissos queritur fetus, quos durus arator / observans nido implumes detraxit; at illa / flet noctem ramoque sedens miserabile carmen /integrat et maestis late loca questibus implet

Quel rosignuol, che sí soave piagne / forse suoi figli, o sua cara consorte, / di dolcezza empie il cielo et le campagne / con tante note sì pietose et scorte, / et tutta notte par che m'accompagne, / et mi rammente la mia dura sorte

Qual roscigniuol sotto populea fronde / piange i suoi figli, che 'l duro aratore / gli ha tolti, insidïando al caro nido, / lui repetendo il miserabil grido, / chiama la notte et nullo gli risponde, / empiendo i boschi e 'l ciel del suo clamore Quali sub densis romorum coninit umbris / Daulias absumpti fata gemens Itylei Tra i rami il roscigniuol, che‟l nido ha perso, / piange la notte, et empie di lamenti / le selve e i campi, in lagrimabil verso più di etichette tali connotazioni e collocazioni. Al confronto la lirica di Sannazaro appare di una linearità decisamente cinquecentesche».

144 Ma gli esempi che si potrebbero fare sono moltissimi, perché l‟autore sin dal principio delle Metamorfosi desume da Petrarca il clima problematico che si respira ad inizio canto (Met., I, 1-6), innestando il linguaggio petrarchesco, costruito con il ricorso a domande retoriche e sintassi franta, su un contesto dantesco, che ci riporta ai primi versi della Commedia. Ciò che è interessante è la prospettiva critica con la quale il poeta catalano riutilizza i versi petrarcheschi; questo significa che Cariteo nel riaccostarsi ai testi del maestro compie una precisa distinzione di genere, adeguando le riprese agli argomenti trattati e ai toni della sua poesia41. La presenza del

Canzoniere è decisamente diffusa ed intensa in tutta l‟opera delle Metamorfosi, ma la

rielaborazione avviene soprattutto nei versi dedicati al motivo d‟amore. Il travaglio