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GLI AVVERTIMENTI DELL’ART.64 COMMA 3 DELL’ART 64 C.P.P :

COSTITUZIONE E NUOVA DISCIPLINA DEL DIRITTO AL SILENZIO:

3.4. GLI AVVERTIMENTI DELL’ART.64 COMMA 3 DELL’ART 64 C.P.P :

Fulcro della disciplina che regola la trasformazione dell’imputato in testimone è, in particolare, la disposizione espressa nell’art. 64 comma 3 (anche e soprattutto con l’aggiunta della lett. c) c.p.p., riformato dalla novella del 2001, dal quale si prende le mosse nell’analisi del nuovo statuto del diritto al silenzio, che fino a quel momento proteggeva indistintamente tutti gli imputati in procedimenti connessi o collegati. Innanzitutto la riforma rende più articolata l’attività nella quale si esprime il dovere dell’interrogante di avvertire l’interrogato con riguardo ai diritti che gli spettano e all’uso che delle sue dichiarazioni dovrà essere fatto nella restante parte del processo. Il previgente testo dell’art. 64 comma 3 c.p.p. riteneva necessario (e sufficiente) che prima dell’inizio dell’interrogatorio la persona fosse avvertita che «(…)salvo quanto disposto dall’art.66 comma 1, ha la facoltà di non rispondere e che, se anche non risponde, il procedimento seguirà il suo corso». Necessità che viene ribadita dal nuovo testo dell’art. 64, precisamente alla lett.b del comma 3 il cui testo, con un’ espressione lievemente mutata nella forma ma affine nella sostanza, fa riferimento alla facoltà di non rispondere «ad alcuna domanda», salvo quanto previsto dall’art.66 comma1 c.p.p. per ciò che concerne le generalità, «ma comunque il procedimento seguirà il suo corso». Si viene quindi

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ad esplicitare, valorizzandolo, il riconoscimento di un diritto al silenzio anche “parziale”, “non essendo in alcun modo sostenibile la necessità di un suo esercizio in toto, per cui o si tace completamente o, se si parla bisognerebbe dire tutto”152.

A questo avvertimento la legge ne aggiunge altri al fine di rendere edotto l’interrogato circa gli effetti che le sue dichiarazioni potrebbero avere sul suo futuro status processuale.

Alla lettera a del comma 3 si afferma che l’interrogato deve essere avvertito anche che «le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti» con una formula di ammonimento nota alla giurisprudenza nordamericana (il c.d. Miranda Warning che però hanno un ambito operativo meno esteso poiché riguardanti solo reati di una certa gravità e ad interrogatori di imputati privati della libertà personale153). Da più parti è stata mossa la critica che, per una maggiore completezza degli avvertimenti in parola, sarebbe stato opportuno un espresso riferimento alla facoltà di mentire o quantomeno all’assenza di un dovere di verità in capo all’imputato che non si avvalga della facoltà di non rispondere; in quanto trattasi “di una prerogativa che, al pari della facoltà di non rispondere, caratterizza la posizione dell’indagato nei confronti dell’autorità procedente, non si comprende il motivo per cui anche la recente revisione normativa

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G. Ubertis, “Nemo tenetur se detegere” e dialettica processuale, in

Giust.pen.,1994, III,c.97 e ss.

153 W.R. La Fave-J.H. Israel-N.J.King, Criminal Procedure,III ed., St.Paul

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dell’art. 64 c.p.p., abbia ignorato l’esigenza di completare il quadro informativo delle facoltà esercitabili in sede di interrogatorio”154. La previsione di cui alla lett.a comma 3, comunque, non deve essere presa troppo alla lettera, poiché le dichiarazioni eventualmente rese sono sì “sempre utilizzabili”, ma entro i limiti sanciti dalla legge processuale, in ordine all’efficacia (probatoria o soltanto investigativa) propria dell’atto che viene in considerazione.155 Quindi ad esempio quelle documentate in un verbale di polizia saranno utilizzabili in misura inferiore a quelle registrate nel verbale di un interrogatorio condotto dal giudice o del pubblico ministero.156

Per quanto funzionale all’esercizio del diritto di autodifesa, non si deve erroneamente ritenere configurabile una sorta di fungibilità tra l’assistenza difensiva e gli avvertimenti in parola: anche se il difensore può ben mettere al corrente l’assistito dei propri diritti, è comunque innegabile che i due istituti dell’avvertimento e dell’assistenza difensiva, pur essendo finalizzati a tutelare la medesima esigenza, (ovvero garantire la libera autodeterminazione dell’imputato sottoposto

154 O.Mazza, “L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nel suo

procedimento”, Giuffrè, Milano 2004, p.126.

155 R.Orlandi, “Dichiarazioni dell’imputato su responsabilità altrui: nuovo

statuto del diritto al silenzio e restrizioni in tema di incompatibilità a testimoniare”, in R.E.KOSTORIS (cit.), p.162.

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ad interrogatorio) si collocano su piani diversi, realizzando tale finalità in maniera distinta e complementare.157

Prima che l’art.64 c.p.p. subisse la revisione normativa, la linea di demarcazione fra diritto al silenzio e dovere di testimoniare era tracciata dalla legge processuale, con previsioni di carattere statico, atte ad individuare preventivamente, in via astratta, i soggetti titolari di quel diritto e che, per ciò stesso, erano esonerati da quel dovere.158 Oggi si può dire che una disciplina di questo tipo sopravvive per i soli imputati di reati connessi a norma dell’art. 12 comma1 lett a (ovvero per i reati commessi da più persone in concorso tra loro, ovvero nei casi di cooperazione colposa o, ancora, quando l’evento criminoso costituisce l’esito di più condotte pur tra loro indipendenti). In relazione agli altri casi di connessione di cui all’art. 12 lett.c (ovvero laddove gli uni sono stati commessi per eseguirne o per occultarne altri) e per i casi di collegamento di cui all’art. 371 comma 2 lett.b (legati dal nesso di “occasionalità” o “strumentalità” o “collegamento inter probatorio), si è escogitato un meccanismo di altro tipo, che istituisce un confine mobile per l’incompatibilità a testimoniare di coimputati e imputati.159

Infatti ai sensi dell’art. 64 comma 3 lett. c c.p.p., l’interrogato è informato che «se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la

157 V.Patanè, Op.cit., p.185. 158 R.Orlandi,Op. cit., p. 163. 159 R.Orlandi, Op.cit.p.163

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responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall’art. 197 e le garanzie di cui all’art. 197 bis». In base alle nuove regole, e con riguardo ai casi di connessione e di collegamento previsti dalle norme da ultimo citate, non è più possibile stabilire in anticipo se l’imputato in un procedimento connesso o collegato (come sopra specificato) sia soggetto o meno al dovere di testimoniare. Il suo diritto a tacere, infatti, viene meno, quando egli, in qualsiasi fase del procedimento, accetti consapevolmente di rendere dichiarazioni «su fatti che concernono la responsabilità di altri».

L’autoassoggettamento dell’imputato al dovere di testimoniare si risolve in una rinuncia (parziale) a un diritto soggettivo (il diritto al silenzio), del quale l’imputato dispone. Tale rinuncia non può che essere l’effetto di una scelta libera e consapevole e, benché la legge non ne faccia menzione, la volontarietà si deve ritenere un presupposto essenziale della scelta in questione. Sennonché da una prima interpretazione della norma sembrerebbe elevarsi “a presupposto di un (pur parziale) mutamento di status processuale, il comportamento concludente dell’imputato, lasciando sullo sfondo la manifestazione di volontà della quale quel comportamento è espressione”160 Nel penultimo passaggio alla Camera dei Deputati, la formulazione era «se decide di rendere» la cui enfasi era posta sull’atto di scegliere e quindi

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sul lato soggettivo della scelta che poi è stato sostituito col più sobrio «se renderà»:ciò nondimeno la volontarietà resta un requisito ineliminabile dell’atto in questione.161

Ragionando diversamente, si dovrebbe trarre la conclusione che tale mutamento di status possa essere incontrovertibilmente accertato, limitandosi a constatare l’esistenza di una dichiarazione erga alios nel fascicolo processuale. Tesi questa avallata da parte della dottrina secondo cui “il dato testuale rende palese l’inidoneità dell’avvertimento, così come configurato (….) ad assolvere la funzione di consentire un’effettiva consapevolezza in ordine alle implicazioni e alle ricadute riconnesse alla scelta di parlare”.162

Tuttavia, essendo tale scelta idonea a comprimere un diritto individuale e determinare un mutamento di status, si ritiene che la documentazione sia certo indice di valutazione dell’avvenuta dichiarazione, ma bisogna vedere come, in quali circostanze e nel rispetto di quali regole questa sia stata resa. Essa presupporrebbe, quindi, la capacità di intendere e di volere, nonché la libera determinazione di chi la rende e va dunque riguardata come “atto”, anziché come semplice “fatto giuridico”, che opera quale “condizione risolutiva” rispetto al diritto al silenzio.163 Questo non implica, necessariamente, che il dichiarante sia consapevole che le informazioni

161R.Orlandi,Op.cit., p.184 nota 73 . 162 V.Patanè,Op.cit., p.190. 163 R.Orlandi,Op.cit., p.165.

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da lui fornite alla polizia o all’autorità giudiziaria, siano (in concreto) rilevanti nei confronti di altri imputati. “A garantire la libertà di condotta evocata nel testo è sufficiente che l’informato de aliis sia istruito circa le possibili conseguenze che, in astratto, le dichiarazioni rese potrebbero sortire sul suo futuro status processuale. Di qui l’estrema difficoltà di una difesa vigile e attenta, in grado di prevedere il concreto evolversi delle situazioni probatorie, anche con riguardo a fatti concernenti responsabilità altrui. È chiaro che il concreto livello di consapevolezza circa le conseguenze alle quali l’imputato va incontro, accettando di rispondere alle domande dell’interrogante, varia in ragione dello stato di avanzamento della vicenda penale: il grado di prevedibilità di quelle conseguenze, solitamente minimo nelle fasi iniziali dell’indagine, è destinato di regola ad aumentare via via che

l’iter processuale si avvicina alla decisione di merito”164.

La necessità degli avvertimenti ex art.64 comma 3 c.p.p. si profila ogniqualvolta si proceda ad atto qualificato come interrogatorio (o ad esso equiparato) ed a prescindere dal soggetto dinanzi al quale la persona interrogata renda dichiarazioni (giudice, pubblico ministero e polizia giudiziaria). Il contesto nel quale la norma opera principalmente, tuttavia, viene, di fatto, ad essere quello della fase preliminare al giudizio. Vengono in considerazione, a questo riguardo, le sommarie informazioni raccolte dalla polizia ai sensi dell’art. 350

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P. Ferrua, “L’attuazione del giusto processo con la legge sulla formazione

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c.p.p., restando però escluse dall’ambito di operatività della norma le dichiarazioni eventualmente raccolte dalla polizia «sul luogo o nell’immediatezza del fatto» a norma dell’art.350 comma 5 c.p.p.,delle quali non si prevede la documentazione (comma 6) e la presenza del difensore e quindi inidonee a porsi quale presupposto applicativo dell’art.64 comma3 c.p.p. Inoltre sono “interrogatori” ai sensi del art. 64 comma 3 c.p.p.: quelli effettuati dalla polizia giudiziaria su delega del p.m.(art.370 c.p.p.), quelli condotti direttamente dal p.m. sia durante l’indagine preliminare (artt.362 e 415 bis c.p.p.), sia nell’ambito dell’eventuale supplemento investigativo ordinato dal giudice dell’udienza preliminare (art.421 c.p.p.). Infine vengono ricompresi nell’ambito della norma anche quelli condotti dal giudice; sia quelli occasionalmente affidati al giudice per le indagini preliminari (art.294 c.p.p. e 299 comma 3 ter c.p.p.), che pur appartenendo alla vicenda cautelare entrano a pieno titolo nel patrimonio conoscitivo del procedimento principale, sia quelli affidati al giudice dell’udienza preliminare(art.422 c.p.p.). Per le audizioni successive alla prima e, in particolare, per gli esami di imputati dichiaranti de aliis che hanno luogo nella fase del giudizio vale l’analoga regola enunciata dall’art. 210 comma 6 c.p.p. che richiama espressamente l’art. 64, comma 3 c.p.p.(vedi infra).

Restano escluse dall’ambito di operatività della norma, invece, le dichiarazioni raccolte da altre autorità pubbliche (ad. es. in sede di

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inchiesta parlamentare o in sede amministrativa) o comunque al di fuori dal contesto di un procedimento penale.

Sono inoltre escluse le dichiarazioni rese nell’ambito di un’indagine difensiva (disciplinata dagli artt. 391 bis ss c.p.p.) in quanto solo le dichiarazioni erga alios fornite nel corso dell’indagine pubblica posseggono la virtù di trasformare l’imputato in testimone ma non quelle rese al difensore nell’indagine da lui svolta. In ciò si esprimerebbe un tipico tratto di “superiorità” dell’indagine pubblica rispetto a quella privata.165

Un’uteriore precisazione viene ad essere necessaria, in quanto l’interrogatorio a cui farebbe riferimento l’art.64 comma 3 c.p.p. sembrerebbe essere quello rappresentato dalle dichiarazioni fornite in seguito a specifiche domande dell’autorità e, quindi, si verrebbe ad alludere ad una distinzione tra dichiarazioni “spontanee”o “provocate”. In realtà, ciò che viene ad essere rilevante ai fini dell’applicabilità dell’istituto verrebbe ad essere la presenza del difensore. Nonostante le dichiarazioni spontanee siano spesso rese da soggetti sforniti d’assistenza tecnica come accade davanti alla polizia giudiziaria (art.350 comma 7 c.p.p.) e davanti al p.m.(art.374 c.p.p.), niente esclude che esse avvengano in presenza dell’avvocato,magari nel corso di un interrogatorio, fra una domanda e l’altra o quale aggiunta a una

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risposta166. “La presenza obbligatoria del difensore al compimento dell’atto viene ad apparire essenziale nell’ottica di garantire all’interrogato un’effettiva libertà di scelta in ordine alla rinuncia al privilegio in parola, evitando che l’autorità inquirente possa elevarsi ad unico arbitro nella configurazione, in capo all’inquisito, di un obbligo di rispondere secondo verità”167. “Si consideri, inoltre, che l’argine- di per sé assai fragile- dell’incompatibilità “rigida” configurata per l’imputato concorrente nel medesimo reato (art.197 comma1 lett. a c.p.p.) potrebbe essere travolto, causa lo sviluppo ancora acerbo del procedimento, a cui ben si attagliano imputazioni dalle linee sfumate.[…] In tal caso, solo il tempestivo intervento del difensore, teso a far valere la reale qualifica del dichiarante, sventerebbe sul nascere un’applicazione distorta della disciplina codicistica” 168. In questa prospettiva, sarebbe stato forse opportuno prevedere come necessaria la presenza del difensore in tutte le ipotesi in cui, ponendosi in essere un atto rapportabile alla fattispecie dell’interrogatorio, debba operarsi il rinvio all’art.64 comma 3 c.p.p.169

Concentrandosi sulla delimitazione dell’esatta portata dell’espressione «fatti che concernono la responsabilità di altri», bisogna guardarsi da interpretazioni troppo estese che avrebbero l’effetto di restringere oltre

166R.Orlandi, Op.cit., p.168. 167

V.Patanè, Op.cit.p.198.

168 A. Sanna, “L’esame dell’imputato sul fatto altrui, tra diritto al silenzio e

dovere di collaborazione”,in Riv.it.dir. e proc.pen., 2001,p.462 ss.

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il dovuto l’area dei ius tacendi per gli imputati qui considerati, 170 dichiaranti informati de aliis, che, proprio in ordine a tali fatti, assumeranno obblighi testimoniali. Tuttavia l’interpretazione che risulta maggiormente plausibile e accreditata sembra essere quella che porta a ritenere che, per l’assunzione all’impegno a testimoniare rilevino i fatti idonei, una volta provati, sia ad affermare sia a negare la responsabilità penale del chiamato in causa. Questo in quanto il riferimento alla “responsabilità” allude non soltanto al presupposto di una punibilità, ma, assai più genericamente, alla semplice possibilità che il reato sia attribuito all’imputato-terzo, ancorché non imputabile.171 Si tratterebbe, in altri termini, di una rilevanza a tutto campo delle dichiarazioni “erga alios”, piuttosto che, riduttivamente, delle sole “contra alios”, riferite a fatti che possono spaziare dalla descrizione analitica di una circostanza storica all’affermazione generica di una condotta criminosa, fino, eventualmente, a smentire l’ipotesi accusatoria.172Riguarderà, ad esempio, il fatto altrui, “la dichiarazione concernente un elemento che concorre alla ricostruzione del fatto di reato, ovvero che assume rilevanza come riscontro, o ancora, che paralizza una prova a discarico, come nel caso in cui la dichiarazione del coimputato confuti l’alibi, o che invece scagioni il

170 R.Orlandi,Op.cit., p.169.

171

R.Orlandi,Op.cit., p.170.

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chiamato”173. L’imputato potrebbe essere gravato di un obbligo di rispondere secondo verità anche in ordine a profili rimasti inesplorati nel corso dell’interrogatorio, purché attinenti a fatti altrui sui quali abbia reso pregresse dichiarazioni : dichiarazioni la cui ampiezza non anticipa esattamente la futura testimonianza, per quanto l’espansione del tema non possa spingersi fino al punto da obbligare l’interrogato a rispondere su fatti nuovi, sebbene correlati a quelli in ordine ai quali ha fornito informazioni, ovvero su responsabilità di soggetti diversi da quelli indicati, sia pure concorrenti nel reato.174

La dichiarazione deve, comunque, concernere “altri” imputati. Si pone, quindi, un problema rispetto a quelle dichiarazioni ibride, in cui i fatti narrati riguardano altri soggetti ma hanno, al contempo, valore indiziante nei confronti di chi le rende. Situazione destinata a cadere sotto il divieto sancito dall’art.197 bis comma 4 c.p.p., il quale affranca l’imputato, trasformatosi in testimone, dall’obbligo di «deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto» (vedi infra), e che quindi viene a delimitare la capacità espansiva dell’art.64 comma 3 lett.c c.p.p.

Apposite sanzioni contribuiscono a rafforzare il quadro delle disposizioni che compongono il nuovo statuto normativo del diritto al silenzio. Più precisamente il comma 3 bis dedica due distinte

173 S.Corbetta, “L’attuazione del giusto processo con la legge sulla

formazione e valutazione della prova. (II).Principi del contraddittorio e riduzione del diritto al silenzio”,in Dir.pen.proc.,2001,p.684.

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disposizioni a sanzionare l’inosservanza delle regole espresse nel comma precedente evocando la categoria dell’inutilizzabilità, con ciò innovando rispetto alla normativa previgente nella quale vi era la mancanza di qualsiasi esplicita indicazione normativa al riguardo. Anteriormente alla riforma del 2001, si era elaborata, non senza oscillazioni della giurisprudenza175, una sanzione per l’inosservanza dell’avvertimento della facoltà di non rispondere in termini di nullità a regime intermedio. Evidente quindi il cambiamento di rotta operato attraverso l’intervento di riforma : da un’ipotesi di nullità ricostruita in via interpretativa, comunque eccepibile entro rigorosi limiti temporali e quindi sanabile, si passa all’esplicita previsione legislativa della sanzione di inutilizzabilità, da cui discende l’irrilevanza nel processo di dichiarazioni rese senza il previo avviso concernente la facoltà di non rispondere.176 L’inutilizzabilità è, notoriamente, rimedio assai più drastico di una nullità a regime intermedio e più adeguato di quest’ultima a tutelare interessi di carattere anche oggettivo, quali quelli coinvolti nel novellato art.64 c.p.p.177

Entrambe le sanzioni sono idonee a neutralizzare la rilevanza dell’informazione ottenuta contra legem non solo in vista della sentenza dibattimentale di merito, ma anche in relazione a tutte le decisioni suscettibili di annullamento, che possono essere adottate

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Cass., sez.VI,12 novembre 1991,Marino, in Cass.pen.,1994,p.98.

176 V.Patanè,Op.cit.p.204. 177 R.Orlandi, Op.cit., p.180.

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lungo l’intero iter procedurale, ivi comprese quelle in materia di questioni cautelari o reali.178

Per quanto riguarda l’omissione degli avvertimenti di cui alle lett.a e b del comma 3 si prevede una inutilizzabilità assoluta delle stesse, tanto da un punto di vista soggettivo, quanto da quello oggettivo a prescindere dal tenore delle stesse179; questo anche se alcune voci della dottrina sostengono l’irrilevanza della regola dell’inosservanza quando si profili un uso in bonam partem180 (come sostenuto in giurisprudenza per l’affine sanzione dell’inutilizzabilità assoluta nell’ipotesi disciplinata dall’art.63 comma 2 c.p.p.181) .

Qualora l’omissione sia relativa all’avvertimento con il quale si rappresenta al dichiarante l’effetto vincolante, a determinate condizioni, delle dichiarazioni rese erga alios (art.64 comma3 lett.c c.p.p.), l’inutilizzabilità assoluta delle stesse sembrerebbe quella maggiormente coerente e comunque,al di là del piano squisitamente oggettivo, viene a comportare l’inidoneità delle dichiarazioni rese a far assumere al dichiarante obblighi testimoniali. Si tratterebbe quindi di un esonero da qualsiasi obbligo di verità, attesa la configurazione della condizione ostativa all’assunzione dell’ufficio di testimone, che viene ad imporre una rinnovazione dell’atto, previo adeguato avviso, pena la perdita di qualsiasi contributo conoscitivo eventualmente veicolabile

178R.Orlandi, Op. cit.,p.181

.

179 V.Patanè,Op. cit.,205. 180 R.Orlandi,Op.cit.,p.181.

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all’interno del procedimento.182 La disposizione in parola avrebbe una portata generale, che, quindi, sanziona l’omissione dell’avvertimento qualunque sia la sede nella quale tale omissione si è verificata.

Oltre alle ipotesi di inutilizzabilità espressamente previste dal comma 3

bis dell’art.64 c.p.p., parte della dottrina 183 ritiene sussistente una

patologia delle dichiarazioni qui considerate, che si riallaccia al vizio di volontà del dichiarante. Infatti come abbiamo visto, benché la legge non ne parli, bisogna supporre che la dichiarazione da cui scaturisce l’obbligo di testimoniare sia il frutto di una scelta libera e consapevole. Da queste premesse si è sostenuta (in via interpretativa) la necessità dell’esistenza della sanzione dell’inutilizzabilità perché altrimenti resterebbe senza conseguenze sul piano processuale qualsiasi pressione, anche illecita, esercitata da privati, per indurre l’imputato in procedimento connesso o collegato a rendere dichiarazioni contro voglia e a trasformarsi così in testimone184. (Diversamente laddove il condizionamento della volontà del dichiarante provenisse dalla polizia o dal magistrato essa porrebbe in essere una patologia sanzionabile con l’inutilizzabilità della dichiarazione “estorta” ai sensi dell’art.188 c.p.p.).

La l. 63 del 2001 ha introdotto nel codice penale la disposizione di cui all’art.377 bis c.p. la quale punisce chiunque, con violenza, minaccia,