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LA NUOVA DISCIPLINA DELL’INCOMPATIBILITÁ A TESTIMONIARE DEL RIFORMATO ART.197 C.P.P.:

COSTITUZIONE E NUOVA DISCIPLINA DEL DIRITTO AL SILENZIO:

3.5. LA NUOVA DISCIPLINA DELL’INCOMPATIBILITÁ A TESTIMONIARE DEL RIFORMATO ART.197 C.P.P.:

A distanza di pochi mesi dalla modifica apportata con la legge n.397 del 2000 dell’art. 197 comma 1 lett. d c.p.p., il catalogo delle incompatibilità con l’ufficio di testimone viene nuovamente aggiornato dall’art. 5 della c.d. legge sul giusto processo con un intervento riformatore che ha interessato le prime due lettere (interamente riscritte) dell’art. 197 c.p.p..

La normativa sull’incompatibilità a testimoniare dell’imputato disegna la cornice del diritto al silenzio e serve, quindi, a definirne i contorni. Nessun articolo della nostra legge processuale – a ben vedere – contiene una positiva enunciazione di tale diritto.

La riduzione del raggio d’azione del diritto al silenzio dell’imputato dichiarante erga alios, operata dalla legge n. 63 del 2001, è stata realizzata attraverso la ridefinizione dell’incompatibilità a testimoniare di imputati in procedimenti connessi o collegati, che, sancendo un limite all’espansione del dovere testimoniale, risulta idonea a circoscrivere il diritto ab externo.

Complessivamente, il quadro delle incompatibilità a testimoniare si articola su una pluralità di livelli – rispetto ai quali viene ad essere calibrato il nuovo statuto normativo dello ius tacendi – variabili in

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relazione alle tipologie di dichiaranti e ai fatti cui si riferiscono le dichiarazioni rese.

Al primo dei tre livelli appartiene la situazione dell’imputato interrogato o esaminato sul fatto proprio. Una simile situazione non è nemmeno contemplata nell’art. 197 c.p.p. probabilmente perché si è ritenuto superfluo e ridondante farne l’oggetto di una apposita previsione ostativa, ripudiando il nostro ordinamento l’idea che l’imputato possa essere esaminato come testimone sul fatto proprio, ritenuto implicito nel riconoscimento del diritto al silenzio. Tuttavia non è fuori luogo classificare tale situazione come incompatibilità a testimoniare in quanto di fatto essa riproduce il nucleo più genuino e inattaccabile del diritto al silenzio e la cui portata non ha subito compressioni di sorta essendo quella stessa che vigeva prima della legge n. 63 del 2001. In questi casi l’imputato ha invece la facoltà di farsi esaminare, dietro sua richiesta o consenso, comunque senza obbligo di verità, e non può essere accompagnato coattivamente in udienza se non per partecipare all’assunzione di prove diverse dall’esame (vedi più dettagliatamente infra).

All’art. 197 comma 1 c.p.p., le lettere a e b sono sostituite dalle seguenti (art.5 della l. n. 63 del 2001):

a) I coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’ art. 12 comma 1 lettera a, salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di

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proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444;

b) Salvo quanto previsto dall’art.64, comma 3, lettera c, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lettera c, o di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera

b, prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza

irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444.

Quindi il legislatore nell’intento di operare una riduzione rispetto al passato del novero di ipotesi di legittimo esercizio di diritto al silenzio, ha da un lato enucleato ex novo i casi in cui la compatibilità ad assumere la veste di testimone erga alios deriva automaticamente per effetto di tale irrevocabilità; dall’altro – e limitatamente i casi previsti nella lettera b del novellato articolo 197 c.p.p. – ha devoluto alla libera determinazione del potenziale testimone, non ancora destinatario di uno dei predetti provvedimenti irrevocabili, la scelta di rendere dichiarazioni eteroaccusatorie, assumendo quindi in esito a tale opzione, disciplinata dal novellato art.64 comma 3 lett.c c.p.p., la veste di testimone “assistito” con obbligo di verità disciplinata dall’art. 197

bis c.p.p. (vedi infra).

È ovvio che la disciplina in materia di incompatibilità, ancorché riferita espressamente «all’imputato», per effetto di quanto statuisce l’art. 61

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c.p.p., sia applicabile alle stesse condizioni alla persona sottoposta ad indagini anche a prescindere da una formale imputazione199.

Dal novellato testo dell’art. 197 lettera a c.p.p. si evince che l’imputato non può mai fungere da testimone, neanche qualora narri fatti collegati a responsabilità di altri imputati, quando questi appartengano ad un contesto spazio-temporale unitario, vale a dire, nei procedimenti connessi per una delle ragioni previste dall’art. 12 lett. a c.p.p. (concorso o cooperazione nel medesimo reato, nonché pluralità di condotte indipendenti sfociate in un medesimo evento). In siffatti casi il legislatore del 2001 ha ritenuto praticamente impossibile scindere il fatto proprio da quello altrui, tra l’altro non senza un travagliato iter parlamentare (vedi infra), prevedendo tuttavia una regola che si presenta ben diversa da quella previgente e che, con un duplice intervento, riduce l’area di questa incondizionata affermazione di incompatibilità. Per un verso, vengono escluse dal raggio di azione della norma in parola altre situazioni che prima vi rientravano: precisamente i casi di connessione evocati dal vecchio testo dell’art. 12 lettera c c.p.p.(parzialmente refluiti nell’art. 371 comma 2 lettera b c.p.p. e che ora rientrano nella revisione dell’art. 197 lettera b c.p.p.), giacché in relazione a questi si è ritenuto non impossibile scindere i fatti riguardanti le diverse vicende di più imputati. Per altro verso, l’art. 197 lettera a c.p.p. riduce il novero dei candidati

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all’incompatibilità, assoggettando al dovere testimoniale tutti coloro che siano stati giudicati con decisione irrevocabile, non soltanto di proscioglimento come nel testo previgente, ma anche in caso di condanna e di applicazione di pena patteggiata ex art. 444 c.p.p. Il primo dato che si pone all’attenzione dell’interprete è che, a differenza di quanto avveniva nelle precedenti versioni del regime di assunzione delle dichiarazioni di persone coinvolte nella vicenda processuale (considerati tali anche dopo l’epilogo definitivo della sentenza), possono oggi essere assunti come testimoni soggetti condannati o che abbiano riportato sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., che costituisce una novità assoluta nel nostro sistema e pare rappresentare “il vulnus più evidente di quel diritto di difesa”200 (o quanto meno uno dei più evidenti) che la sentenza n.361/1998 aveva ritenuto non intaccabile.

Precedentemente alla novella del 2001 si riteneva infatti che il diritto al silenzio del condannato anche con sentenza irrevocabile fosse preordinato a proteggere il condannato sia in vista di possibili giudizi civili o amministrativi, scaturenti dal reato per il quale egli era stato dichiarato colpevole, sia nell’eventuale giudizio di revisione per il medesimo fatto.

200 A.Diddi, “La prova penale”,a cura diP.Ferrua,E.Marzaduri,G.Spangher;

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Come verrà meglio precisato in seguito, analizzando l’istituto della testimonianza assistita (art. 197 bis c.p.p.), proprio nel timore che l’apparato di garanzie predisposto in via generale per l’esame del testimone potesse rivelarsi inadeguato allo scopo, la legge n. 63 del 2001 predispone un sistema che continua comunque a farsi carico delle esigenze di garanzia in favore della suddetta categoria di soggetti, introducendo taluni limiti alla testimonianza sul fatto già giudicato e istituendo opportuni divieti probatori a tutela del dichiarante (art. 197 bis commi 3,4,5 e 6 c.p.p. vedi infra)

Quindi,all’art.197 lett.a c.p.p., il legislatore del 2001 ha ritenuto che, con riferimento ai “coimputati nel medesimo reato” e alle “persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’art. 12, comma 1 lett.a”, l’incompatibilità con l’ufficio di testimone venga a cessare una volta pervenuti all’epilogo definitivo segnato dal passaggio in giudicato della sentenza sia di condanna sia di patteggiamento. Il legislatore ha ritenuto, infatti, adeguatamente tutelato il soggetto condannato o “patteggiato” sia dalla “prevista sterilizzazione di qualunque effetto pregiudizievole derivante dalle proprie dichiarazioni201” (da intendersi sia in senso preventivo e successivo di cui ai commi 4, 5 art 197 bis c.p.p.) sia dalle ordinarie garanzie riconosciute al testimone ex art.198 comma 2 c.p.p.

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La scelta normativa in ordine “alla applicazione della pena patteggiata

ex art.444 c.p.p.” ha destato qualche perplessità, pur essendo sorretta

dalla medesima ratio posta a fondamento delle altre due ipotesi prima menzionate. Il legislatore ha infatti optato per l’esplicita menzione nel art.197 c.p.p. di questo tipo di provvedimento, nel dichiarato timore che la giurisprudenza potesse «non riconoscere alla sentenza di patteggiamento i medesimi effetti della sentenza di condanna, nonostante l’indicazione in tal senso contenuta nel comma 1 dell’art.445 c.p.p.»202. Scelta che è stata giudicata criticabile “laddove si tenga presente del mancato richiamo alla sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione o di competenza e ad altri decreti terminativi come il decreto penale di condanna, in relazione ai quali non resta che affidarsi ad un’ardita lettura analogica della norma codicistica”.203 La problematica applicazione a questi soggetti (usciti dal giudizio a seguito di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 c.p.p.) dell’art.197 c.p.p. consiste nel fatto che la garanzia secondo cui «il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione» di cui all’art.197 bis comma 4 primo

202

Sen.Calvi, in Atti Senato,XIII leg., Commissione giustizia, seduta 9.11.1999

203 F.Caprioli,Commento all’art.5 l.1.3.2001 n.2001 n.63-Modifiche al codice

penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e

valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’art.111 della Costituzione, in Leg. Pen.,2002,186.

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periodo, verrebbe a tutelare esclusivamente gli ex imputati condannati ma non anche coloro che abbiano “patteggiato” la pena. Questo, si è contestato, “potrebbe avere ricadute pericolose nella misura in cui il rischio di un futuro obbligo alla testimonianza nel processo altrui possa finire con il condizionare la strategia difensiva nel processo proprio, con tendenziale pregiudizio al diritto al silenzio e alle stesse prerogative in punto di accesso ai riti semplificati”204. A ciò si aggiungeva che poteva porsi “un problema di legittimità costituzionale sotto il profilo della legittimità del diritto di difesa: perché l’imputato sarebbe (stato) costretto a non “patteggiare” tutte le volte in cui volesse esercitare il suo diritto al silenzio, inteso non solo e non tanto come diritto al silenzio nel suo processo ma come diritto al silenzio in assoluto,in tutti i procedimenti in cui, in via principale o incidentale, si dovesse trattare di fatti di reati che lo riguardano in qualità di imputato”205.

Tuttavia la più recente giurisprudenza e dottrina hanno ritenuto che la scelta operata dal legislatore di garantire, in relazione al successivo obbligo testimoniale, maggior cautela per l’imputato condannato a seguito di giudizio, rispetto a quello che abbia scelto di definire la propria posizione processuale mediante il “patteggiamento”, “risulta non ingiustificato alla stregua delle differenti caratteristiche strutturali

204V.Santoro, “Il cambio da coimputato a teste esalta il confronto”,Op.cit.p.42

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M.Maddalena, “Giusto processo e funzione dell’accusa”, a cura di R.E.KOSTORIS, cit.,p.363, nota13.

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dei due riti”206. A tale riguardo la stessa Corte costituzionale ha ritenuto opportuno richiamare, accanto alle profonde diversità che caratterizzano i due procedimenti posti a raffronto e le sentenze che ne costituiscono l’epilogo, il rilievo che la posizione di coloro che decidono di accedere al patteggiamento diverge rispetto al modulo processuale dell’accertamento “ordinario”, specificatamente in relazione alle caratteristiche dei dichiaranti, in quanto “in quest’ultima situazione l’imputato è naturalmente chiamato a dichiarare in relazione alla vicenda processuale e si prospettano, in corrispondenza di ciò, varie situazioni processuali conseguenti alle diverse manifestazioni dichiarative (confessioni; dichiarazioni di innocenza; chiamata in correità; facoltà di non rispondere e simili)”207. Tale varietà di ipotesi continua la Corte “è eccentrica rispetto alla posizione del soggetto che abbia optato per l’applicazione della pena su richiesta: costui, proprio perché proiettato verso una soluzione processuale di nolo contendere, si propone quale soggetto sostanzialmente indifferente rispetto a prospettive difensionali diversificate e, dunque, rispetto alla stessa molteplicità delle possibili dichiarazioni”208. Quindi l’eventuale profilo di illegittimità di tale disciplina rispetto all’art.24 comma 2 Cost. deve considerarsi non profilabile in quanto “adeguatamente salvaguardato : sia dalle garanzie connaturate dall’audizione di (tali soggetti) come

206 A.Diddi, “La prova penale”, di P.Ferrua, E.Marzaduri, G.Spangher,

Giappichelli Editore, Torino, 2013, p.276.

207 Corte cost. 28 dicembre 2007,n.456 in Giur.cost., 2007,p.4920. 208 Corte cost. 28 dicembre 2007, n.456 in Giur. Cost., 2007,p.4920.

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testimoni assistiti (in particolare commi 3, 5), sia dal complesso di garanzie che risultano attuate in altre norme del sistema quali quelle del comma 2 dell’art. 198 c.p.p. e dell’art. 384 del codice penale”209. È necessario sottolineare come il novellato art.197 lett. a e b c.p.p. non comprenda, nella sua nuova formulazione, tra i provvedimenti terminativi del procedimento (sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art.444) idonei a provocare il passaggio dell’indagato o dell’imputato allo stato di (potenziale) testimone, il decreto o l’ordinanza di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p. Infatti, nella assoluta impraticabilità di un’applicazione analogica dell’art.197 e 197 bis c.p.p., i provvedimenti di archiviazione e di non luogo a procedere sono da distinguersi dalle sentenze propriamente irrevocabili in quanto si tratta di provvedimenti dotati di minore stabilità210, essendo “definitivi” solo allo stato degli atti, essendo ben possibile una riapertura delle indagini ai sensi dell’art.414 c.p.p., sia una revoca della sentenza di non luogo a procedere ex artt.434 e ss. c.p.p. Sono queste, infatti, le ragioni sulla cui base la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità degli artt.197 e 197 bis c.p.p. nella parte in cui vietano di sentire come testimone l’indagato o

209 Corte cost., 28 dicembre, n. 456, in Giur. Cost.,2007,p.4920. 210 P.Ferrua, Il “giusto processo”, Zanichelli, Bologna 2005, p.173.

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l’imputato dopo la pronuncia dell’archiviazione o della sentenza di non luogo211.

Va segnalato che in tal modo viene ad essere ricompresa nell’area del diritto al silenzio una ipotesi che, alla stregua della poco precedente sentenza n.294 del 2000 della Corte costituzionale, ne era stata esclusa. Tuttavia si tratterebbe di una ipotesi assai circoscritta e precisamente quella di un imputato di reato collegato (nel solo caso di interferenza probatoria tra i procedimenti previsto dal previgente e meno esteso art.371 comma 2 lett.b c.p.p.) nei cui confronti sia stato pronunciato decreto di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a procedere, nei cui confronti la Corte costituzionale, con la citata sentenza, aveva ritenuto, alla stregua del previgente testo dell’art.197 lett.b c.p.p., che «l’intervenuta archiviazione del procedimento probatoriamente collegato produce l’effetto di dissolvere la correlazione qualificata tra le regiudicande e, con essa, l’incompatibilità ad assumere l’ufficio di testimone»212. A ben vedere si tratterebbe di una marginale estensione dello ius tacendi in quanto la nuova legge ha allargato le possibilità di testimonianza per gli imputati di reato collegato (di cui all’art.371 comma 2 lett.b c.p.p.) e per gli imputati di reato connesso (di cui all’art.12 lett.c c.p.p.), esclusi soltanto i coimputati nel medesimo reato (ai sensi dell’art.12 lett.a c.p.p.), ben al di là delle ipotesi di archiviazione, prevedendola anche nella attualità della pendenza del

211 Corte costituzionale ord. 76 del 27 marzo del 2003.

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procedimento, alla sola condizione che l’imputato renda dichiarazioni riguardanti la responsabilità altrui dopo l’avvertimento di cui all’art.64 comma 3 lett.c c.p.p. Sicché, in definitiva, soltanto l’imputato di reato collegato(secondo il previgente art.371 comma 2 lett b c.p.p.), che, avvertito ai sensi dell’art. 64 comma 3 lett.c c.p.p., non abbia inteso o non intenda rendere dichiarazioni sulla altrui responsabilità, avrebbe potuto- dopo l’archiviazione o il non luogo a procedere nel procedimento a suo carico- essere sentito come testimone nella normativa previgente, secondo l’interpretazione datane dalla citata sentenza della Corte costituzionale, e non potrà più esserlo alla stregua della nuova legge213.

Quindi, la limitatezza della ipotesi ora considerata, raffrontata con le più ampie possibilità di testimonianza che, su altri versanti, la nuova legge assicura, non sembra venga ad infirmare il giudizio che la nuova legge, valutata nel suo complesso, segni in realtà un significativo avanzamento sulla linea della restrizione dell’area del diritto al silenzio.214

Questa conclusione, con riferimento al provvedimento di archiviazione, è stata oggetto di recenti critiche da parte della dottrina in quanto si presterebbe a facili strumentalizzazioni da parte dell’imputato il quale potrebbe incolpare (anche falsamente) un

213 G.Russo, Op.cit., p.336.

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testimone per neutralizzarlo, “posto che nemmeno con il decreto di archiviazione gli si potrebbe restituire la verginità iniziale”215.

Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione le quali, attraverso una ricostruzione logico sistematica ed alcuni appigli testuali, hanno concluso nel senso che “la disciplina limitativa della capacità testimoniale di cui all’art. 197 comma 1 lett. a e b, dell’art. 197 bis c.p.p. e dell’art. 210 c.p.p. non è applicabile alle persone sottoposte alle indagini nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di archiviazione”216. La conclusione a cui perviene la Corte, poggia su alcuni dati letterali, estrapolando dagli artt.197 e 197

bis c.p.p. Questi ultimi, infatti, secondo la corte, per delineare le

situazioni giuridiche soggettive a cui fanno riferimento, utilizzano il termine «imputato» ed il comma 4 dell’art. 197 bis c.p.p., nel tracciare i confini dell’obbligo testimoniale, impiega la locuzione «reato per cui si procede o si è proceduto» in tal modo sottintendendo sempre, in capo al dichiarante, la qualità di imputato che restringerebbe il campo d’azione della disciplina alla sola sentenza di non luogo a procedere emessa nell’udienza preliminare.

Tale ricostruzione, nonostante la apparente solidità dei dati testuali impiegati, non è apparsa convincente217. In primo luogo: l’estensione

215 M. D’Andria, “Le nuove qualifiche soggettive create dalla l. n.63 del

2001 e la riforma dell’art. 64 c.p.p”., in Cass.pen, 2002,p.856.

216 Cass. Sez. Un., 17 dicembre 2009, De Simone, in

Dir.pen.proc.,2010,5,p.538.

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alla persona sottoposta ad indagini delle garanzie previste per l’imputato discende dall’art. 61 c.p.p. con la conseguenza che qualunque diritto attribuito al primo deve essere specularmente attribuito al secondo. Inoltre la possibilità di una strumentalizzazione della disciplina non costituisce un argomento del tutto irresistibile in quanto il pubblico ministero potrebbe sempre ovviare alla iniziativa maliziosa dell’indagato esaminando la persona a sua volta denunziata facendo precedere al’’audizione l’avviso di cui all’art. 64 comma 3 c.p.p218(eccetto il solo caso previsto dall’art. 12 lett.a c.p.p.). Infine si ritiene che la prevista estensione ai soggetti destinatari di un provvedimento di archiviazione delle garanzie della testimonianza assistita (art. 197 bis) ed in particolare la sottoposizione delle loro dichiarazioni alla valutazione di cui all’art. 192 commi 3 e 4 c.p.p., sia tutt’altro che irragionevole posto che “la precarietà delle decisioni conclusive dell’iter processuale accresce in maniera considerevole i rischi derivanti da un’eventuale autoincriminazione, fino a renderli assimilabili a quelli delle vicende ancora in itinere”219

Il testo approvato in seconda lettura dalla Camera dei Deputati prevedeva una più radicale soppressione del diritto al silenzio, in quanto si ipotizzava che anche i coimputati del medesimo reato (art.12 lett a) avrebbero assunto, prima della pronuncia di sentenza irrevocabile, l’obbligo di deporre sul fatto altrui se, avvertiti ai sensi

218 A.Diddi, Op. cit., p.267.

219 A.Sanna, “L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nei procedimenti

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del nuovo comma 3, lettera c dell’art. 64 c.p.p., avessero reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri. Sottoposta al vaglio della Commissione Giustizia del Senato, la proposta venne tuttavia bocciata perché ritenuta scarsamente funzionale. «Tale scelta», si fece notare, «è ispirata da una finalità senz’altro condivisibile – e cioè quella di assicurare il maggior grado di effettività possibile al contraddittorio processuale – ma la sua concreta formulazione suscita non trascurabili perplessità in conseguenza del fatto che il dichiarante sul fatto altrui verrebbe ad assumere, in merito ai fatti oggetto delle dichiarazioni, l’obbligo di dire la verità e di rispondere in contraddittorio davanti al giudice, con la conseguenza che la sua posizione difensiva potrebbe risultare pregiudicata in quanto egli potrebbe trovarsi nell’impossibilità di evitare di rendere dichiarazioni auto incriminanti: ciò potrebbe sortire effetti controproducenti rispetto alle finalità perseguite, in quanto i rischi sopra delineati potrebbero indurre il potenziale dichiarante ad astenersi fin dall’inizio da qualsiasi risposta» 220.

Come la grande maggioranza della dottrina ha sostenuto, infatti, “l’intreccio tra le posizioni dei concorrenti in un medesimo reato sono, infatti, per lo più, così strettamente intrecciate tra loro da rendere impossibile, o quantomeno estremamente difficile, scindere le une

220 Atti Senato, XIII leg., Commissione giustizia, seduta 5.12.2000, intervento

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dalle altre […] tale da far sì che pressoché ogni domanda sul fatto altrui si rifletta inevitabilmente sul fatto proprio”221.

Non si potrebbe distinguere a seconda della condotta processuale del singolo coimputato chiamato a rispondere, come era stato sostenuto, infatti “anche colui che ha confessato ha il diritto, per difendersi, di