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LA LEGGE N.63/ 2001: LE “RICADUTE” DELLA RIFORMA DELL’ART 111 COST SULLA DISCIPLINA CODICISTICA NEL

COSTITUZIONE E NUOVA DISCIPLINA DEL DIRITTO AL SILENZIO:

3.3. LA LEGGE N.63/ 2001: LE “RICADUTE” DELLA RIFORMA DELL’ART 111 COST SULLA DISCIPLINA CODICISTICA NEL

TENTATIVO DI BILANCIAMENTO TRA DIRITTO AL SILENZIO E DIRITTO AL CONTROESAME:

Dalla riforma costituzionale del giusto processo scaturiscono, secondo l’analisi qui svolta, chiare e precise indicazioni sul terreno dei materiali utilizzabili a fini decisori e, quindi, sul complesso delle regole di inclusione ed esclusione probatoria. Più incerte e sfumate appaiono le implicazioni sul diritto al silenzio, al riguardo l’art. 111 Cost. non detta espressamente alcuna direttiva; con la conseguenza che le valutazioni in termini di legittimità costituzionale non sembrano, almeno formalmente, arricchirsi di nuove prospettive133. Tuttavia, un processo in cui le prove si formano in contraddittorio, deve per sua stessa funzionalità garantirsi dal rischio che chi ha reso dichiarazioni nell’indagine preliminare si sottragga al dibattimento all’esame incrociato; esigenza che, invece può ignorare un modello a sfondo inquisitorio, dove ogni informazione raccolta dagli organi inquirenti è recuperabile al processo, tanto se il soggetto accetta quanto se rifiuta l’esame134. Nel sistema accusatorio (tanto più a seguito della riforma costituzionale del giusto processo) “il giudizio è un luogo di parola, di scontro dialettico e non sede di mortificanti silenzi; sarebbe una grave

133P. Ferrua, “Il giusto processo”, Zanichelli, Bologna 2005, p. 169. 134 P.Ferrua, Op. cit., p.170.

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sconfitta per il contraddittorio se si riducesse ad una sfilata di soggetti muti che rifiutano il confronto con le parti sugli stessi temi di cui hanno parlato nell’indagine preliminare135”

Nonostante appari innegabile che il diritto al silenzio dell’imputato costituisca una specifica e imprescindibile estrinsecazione del suo diritto di difesa, e risulti quindi razionalmente garantito soltanto in relazione al fatto proprio, appare evidente che un’estensione eccessiva di tale diritto (così come configurato dal codice vigente sino all’entrata in vigore della l.1 marzo 2001, n.63) ha finito per tutelare una serie di figure soggettive rispetto alle quali il riconoscimento del diritto in parola non poteva non apparire ultroneo rispetto all’esigenza di tutela di altri beni di pari rango costituzionale, primo fra tutti, come abbiamo visto, l’effettività del contraddittorio. Già prima della riforma costituzionale si era affermato che “la crescente trasformazione del dibattimento (rectius di alcuni dibattimenti) da luogo della parola e del confronto in celebrazione del silenzio, determinata dalla estensione a dismisura della facoltà di non rispondere (…)può (contingentemente, ed a seconda del regime di utilizzabilità degli atti di indagine) giovare all’accusa o alla difesa, ma uccide il processo. Un autentico contraddittorio esige una nuova disciplina del diritto al silenzio, della connessione, dei benefici conseguenti alla collaborazione136”.

135 P.Ferrua, Op. cit, p.170.

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La garanzia di cui al quarto comma dell’art.111 Cost. postulava una legge capace di assicurare l’attuazione dell’itinerario formativo della prova in linea con gli standards imposti rispetto a tutti i soggetti depositari di sapere probatorio137, così «riducendo al minimo indispensabile le ipotesi in cui gli stessi possano legittimamente sottrarsi al confronto dialettico con le parti interessate»138.

Identificato il principio del contraddittorio quale metodo di ricostruzione della verità, non poteva infatti risultare sufficiente a garantirlo la mera irrilevanza probatoria degli elementi unilateralmente raccolti nel corso delle indagini139 e quindi una mera definizione in negativo della regola probatoria. Occorreva prefigurare anche l’obbligo di rispondere in dibattimento per chiunque avesse reso dichiarazioni sulla responsabilità altrui, a fronte di una facoltà di tacere giustificata solo in via eccezionale, con riferimento a ben definite esigenze ritenute dal legislatore meritevoli di tutela.

Procediamo adesso ad analizzare le tappe fondamentali del “processo genetico” della legge 1 marzo 2001 n.63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma

137 V.Patanè,cit., p.145.

138

V.Grevi, “Qualche variazione sui rapporti tra il contraddittorio «per» la

prova e limiti al diritto al silenzio dell’imputato sul fatto altrui, in Pol.dir.,

2001, n.1, p.90

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dell’articolo 111 della Costituzione) che ha codificato le ricadute della riforma costituzionale sull’impianto del rito penale.

Fin dalle battute iniziali dell’iter parlamentare che ha preceduto il varo della l. 1.3.2001 n.63, si ebbe un espresso richiamo alla sentenza costituzionale n.361 del 1998140 ed in particolare ci si preoccupò di sottolineare come all’aspirazione originaria alla riaffermazione dell’ “effettività del contraddittorio” avrebbe dovuto necessariamente accompagnarsi una contrazione dell’ “area del diritto al silenzio” e un correlativo ampliamento degli spazi operativi dell’ “obbligo di testimoniare”141. Si rilevò infatti, come tale disegno fosse destinato a “sviluppa(re) le indicazioni contenute nella sentenza della Corte […] che […] ha costituito, per i suoi contenuti, un contributo importante nel lavoro di approfondimento svoltosi nell’ambito della Commissione”142 ed in questo senso “[…] era l’assunto iniziale da cui la Corte muoveva nel dipanare la complessa motivazione, costituire un vero e proprio punto di non ritorno in vista di un intervento organico sul metodo di formazione dialettica della prova: la tendenziale sovrapponibilità tra le

140 L.Bresciani, L. 1.3.2001 n.63 (Attuazione dell’Art. 111 Cost.) –Art.6, Leg.

Pen.2002, p.197.

141 Sen.Calvi, relatore per il d.d.l. 1502 e abbinati presso la Commissione

giustizia del Senato, seduta 27.10.1999 (Atti Senato, Giunte e commissioni, 27.10.1999,2)

142 Sen.Calvi, presso la Commissione giustizia del Senato, durante la seduta

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posizioni del testimone e dell’imputato portatore di dati conoscitivi

erga alios […]”143.

Dal punto di vista dell’esperienza parlamentare merita che sia sottolineato il percorso dell’iter legislativo come contrassegnato da uno sforzo di convergenza tra i parlamentari dei diversi gruppi in ciascun ramo del Parlamento e da una dialettica tra le due Camere tesa ad un progressivo affinamento e miglioramento del testo di legge.144 Già dalle prime prese di posizione nel contesto del dibattito parlamentare è emersa la volontà di ricercare una soluzione in grado di conciliare il diritto al contraddittorio dell’accusato e il diritto a non accusarsi del dichiarante, cui è andato accompagnandosi, però, un diffuso scetticismo sulla concreta praticabilità di soluzioni davvero capaci di imporre un ragionevole contemperamento tra valori costituzionali che hanno la stessa radice ed appaiono difficilmente compatibili145.

Il primo testo approvato quasi all’unanimità dal Senato nel novembre 1999, pressoché contestualmente alla approvazione della riforma costituzionale, aveva ipotizzato che il diritto al silenzio dell’imputato accusatore dovesse ritenersi rinunciato irrevocabilmente quando costui,

143 L.Bresciani, L. 1.3.2001 (Attuazione dell’Art. 111 Cost.), Art. 6, Leg.pen.

2002,p. 197.

144G.Russo “Considerazioni sulla legge n.63 del 2001” In “Il giusto processo tra contraddittorio e diritto al silenzio” a cura di R. Kastoris,

Giappichelli editore,Torino;2002, p.328.

145 L.Bresciani, L. 1.3. 2001 (Attuazione dell’ Art.111 Cost.), Art. 6, Leg.pen.

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davanti al giudice avesse scelto di parlare: da quel momento avrebbe prevalso il diritto dell’accusato a confrontarsi con l’accusatore.

Si trattava in sostanza dell’introduzione della “testimonianza volontaria dell’imputato” accompagnata dalla «eliminazione della figura ibrida dell’imputato connesso»146, istituto in cui il criterio di discrimine era fondato non sull’oggetto della deposizione, bensì sulla scelta di rinunciare al diritto al silenzio. Il progetto Ferrua –Tonini, nonostante i contenuti largamente condivisi dalla Commissione Giustizia del Senato non venne ratificato dall’omologa Commissione della Camera. Questo perché si temette che «vi fosse da un lato il rischio di “robusti consigli” (da parte di magistrati, ma soprattutto di poliziotti) a non rifiutare un’opportunità suadente ma pericolosa, dall’altro quello di una suggestione psicologica, soprattutto nei confronti dei giudici popolari, che, in barba a qualsiasi solenne contestuale proclamazione legislativa del “nemo tenetur se detegere” e della presunzione d’innocenza, sarebbero stati facilmente indotti a ricavare, dal mancato ricorso a un mezzo offerto dall’ordinamento come la testimonianza volontaria, un segnale di ammissione di colpevolezza»147.

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Sintesi ad opera degli stessi proponenti:cfr. P.Ferrua-P.Tonini,

Testimonianza volontaria dell’imputato e tutela del contraddittorio, in Cass.

Pen.,2000, p.2868.

147 M.Chiavario, “Contraddittorio e “ius tacendi”: troppo coraggio o troppa

prudenza nell’attuazione di una riforma costituzionale “a rime(non sempre) obbligate?, in Leg.pen., 2002,p.146.

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Il testo approvato alla Camera in prima lettura prevedeva per il dichiarante sul fatto altrui l’obbligo di verità in contraddittorio dinanzi al giudice prescindendo però dalla formale assunzione della qualifica di testimone e quindi dall’applicabilità dell’art.198 comma 2 c.p.p. Tale soluzione fu ampiamente criticata durante i lavori parlamentari al Senato, in quanto, soprattutto nell’ipotesi di coimputato nel medesimo reato o di persona imputata in un procedimento connesso ai sensi dell’art.12 comma1 lett.a c.p.p., il soggetto era indotto a non rendere alcuna dichiarazione sul fatto altrui per evitare di rendere dichiarazioni sul fatto proprio, vista l’inscindibilità dei fatti ed anche perché si riteneva che il progetto non garantisse in modo pieno neppure il diritto dell’accusato a confrontarsi con l’accusatore.

Emergeva con tutta evidenza l’inadeguatezza del criterio, utilizzabile quale discrimine tra fatto proprio e il fatto altrui, fondato esclusivamente sull’oggetto delle precedenti dichiarazioni, dimenticando che l’apporto del correo all’accertamento non è un dato immutabile, cristallizzato fin dalle indagini, ma è un contributo in fieri, i cui confini variano e si modulano in sintonia con le scelte difensive ritenute più opportune.148 Proprio l’oggettiva difficoltà, se non addirittura l’impossibilità, di distinguere il fatto proprio dal fatto altrui, come nell’ipotesi di coimputati nel medesimo reato o di connessione “qualificata” ex art.12 comma1 lett.a c.p.p., indussero ad una soluzione

148 A.Sanna, “L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nei procedimenti

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di compromesso, riducendo moderatamente l’area del diritto al silenzio, non fino alle estreme conseguenze ipotizzate nel corso dei lavori preparatori.149

Tenuta ferma l’idea di non «scalfire il “nocciolo duro” dell’incompatibilità a testimoniare dell’imputato»150, il Senato decideva di riprendere, rielaborandolo con alcuni emendamenti, l’originario progetto(n.1502 del 1999) a suo tempo predisposto dalla relativa Commissione giustizia, licenziando un nuovo testo che poi, approvato anche dall’altro ramo del Parlamento, diventava la legge 1 marzo 2001,n.63.

La nuova legge si propose di dare attuazione al principio del contraddittorio nella formazione della prova sotto un duplice profilo: in positivo, intervenendo sul regime della connessione processuale e delle incompatibilità tra la qualità di imputato e quella di testimone(vedi

infra) ed anche in negativo escludendo che, salvi i casi

eccezionalmente previsti dalla Costituzione, dichiarazioni raccolte unilateralmente da una delle parti (non solo dal pubblico ministero ma anche dal difensore), al di fuori dunque dal contraddittorio, potessero avere valore di prova.

Alla prima finalità rispondono in particolare : l’art.1 che riduce i casi di connessione di procedimenti e restringe le ipotesi di riunione dei

149 V.Patanè,cit., p. 157.

150 C.Conti “L’imputato nel procedimento connesso.Diritto al silenzio e

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processi previste dall’art.17 c.p.p.; l’art.5 che, modificando l’art. 197 c.p.p., ridefinisce in senso più restrittivo i casi di incompatibilità tra la qualità di imputato e l’ufficio di testimone e a questo ricollegati gli artt 2 (che modifica l’art.64 c.p.p.),l’art.6 (che introduce nel codice penale l’art.197bis), l’art. 8 (che modifica l’art.210 c.p.p.), l’art.12 e 13 (che modificano l’art.294 e 351 c.p.p.) ed infine l’art.20 che introduce nel codice penale l’art.377 bis il reato di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria nei casi in cui la persona indotta abbia la facoltà di non rispondere. Alla seconda finalità rispondono in particolare gli artt.3,4,7,9,15,16, e 18 modificativi rispettivamente degli artt.190 bis, 195, 203, 238, 499, 500(il cui combinato disposto dei commi 2e 3 riformulati previdero la limitazione di principio del valore dei verbali -ancorché utilizzati per le contestazioni – quali strumenti ad efficacia circoscritta anche se utili per saggiare la credibilità del teste e al comma 7 che subordina al “consenso delle parti” l’acquisizione di dichiarazioni al verbale dibattimentale in attuazione dell’art.111 comma 5) e dell’art.513 c.p.p. L’articolazione dell’intervento legislativo (e che attiene alla prima delle finalità anzidette) passa anche attraverso una ridefinizione in senso restrittivo delle ipotesi di connessione ed una contemporanea espansione dei casi di collegamento di indagini con un opportuno raccordo sistematico coinvolgente la riunione dei procedimenti.

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Si provvede a ridurre i casi di connessione, espungendo dalla lett.c dell’art.12 i riferimenti al nesso “occasionale” (reati commessi in occasione d’altri reati) e “strumentale”(reati commessi per conseguire o assicurare gli esiti d’altre condotte criminose). Ciò non comporta un’automatica riduzione dei casi di incompatibilità a testimoniare, giacché “occasionalità” e “strumentalità” sono pur sempre destinate ad operare come cause di collegamento fra diversi procedimenti in quanto le ipotesi espunte dall’art.12 comma 1 lett. c c.p.p. sono state “travasate” nell’art.371 comma 2 lett. b. Più modestamente la revisione normativa dei casi di connessione sortisce l’effetto di ridurre la trattazione cumulativa delle regiudicande, contribuendo così a rendere meno frequente l’eventualità di coimputati in un medesimo procedimento penale.151Il legislatore interviene anche, nell’ottica di un

favor separationis, a restringere i presupposti della riunione tra

procedimenti di cui all’art.17 c.p.p. prevedendosi che la riunione potrà essere disposta non più «quando non pregiudichi la rapida definizione degli stessi» ma «quando non determini un ritardo nella definizione degli stessi».

Infine a chiusura della novella l’art.19 introduce nell’art.526 c.p.p. nel comma 1 bis il principio contenuto nel secondo periodo del quarto comma del art.111 Cost. secondo cui «La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per

151 R.Orlandi, “Dichiarazioni dell’imputato su responsabilità altrui:nuovo

statuto del diritto al silenzio”,in “Il giusto processo tra contraddittorio e diritto al silenzio” a cura di Kastoris cit., p.159

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libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore».

Si è elaborata una disciplina delle incompatibilità a testimoniare modulata sia sulla definitività o meno delle differenti posizioni processuali, sia sui rapporti di collegamento tra i vari procedimenti ovvero sulla tipologia di dichiaranti, apprestando un diverso trattamento delle incompatibilità suddette.

In estrema sintesi, e prima di inoltrarci nell’analisi approfondita dei singoli istituti, si può dire che il nuovo statuto del diritto al silenzio risulta ora strutturato su tre livelli, variabili in ragione del tipo di fatti cui si riferiscono le dichiarazioni rese dall’imputato all’autorità giudiziaria.

Al primo si colloca l’imputato dichiarante de se, assolutamente incompatibile ad assumere la funzione di testimone rispetto ai fatti che lo riguardano.

Al secondo livello si colloca l’imputato dichiarante de se simul et aliis, il quale assume la veste di testimone solo se prosciolto o condannato con sentenza irrevocabile e, comunque, con i limiti posti dall’art. 197

bis comma 4 primo periodo (vedi infra). Questa figura soggettiva

comprende gli imputati in procedimenti connessi ex art.12 lett.a, i quali, si ritiene, non possono essere interrogati sui fatti concernenti responsabilità penale altrui senza, al contempo, essere costretti a

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riferire anche fatti riguardanti la propria responsabilità(c.d. “connessione forte”).

Il terzo livello è occupato dagli imputati in procedimenti connessi ad altro titolo (art.12 lett.c) o collegati (art.371 comma 2 lett.b), i quali sono destinati ad assumere l’ufficio di testimone sia in relazione ai fatti oggetto di un giudizio definitivo nei loro confronti, sia in relazione ai fatti riguardanti responsabilità altrui, che essi abbiano avuto occasione di esporre alla polizia od all’autorità giudiziaria. Anche le dichiarazioni provenienti da costoro possono riguardare simultaneamente “fatti altrui” e “fatti propri” e, di fronte all’impossibilità di scindere, la legge esonera il dichiarante dall’obbligo di testimoniare in base a quanto disposto dall’art. 197 bis comma 4 secondo periodo (vedi infra): non potendo però essere data per scontata, in anticipo, l’inscindibilità fra quei fatti, il relativo problema dovrà essere risolto caso per caso dal giudice.

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3.4. GLI AVVERTIMENTI DELL’ART.64 COMMA 3 DELL’ART. 64