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Bahuguna: paesaggio etico del Chipko

Paesaggi in movimento

4.5 Bahuguna: paesaggio etico del Chipko

Sunderlal Bahuguna125 rappresenta l'evoluzione più radicale di questo aspetto del gandhianesimo himalayano:126 le politiche forestali, responsabili del deterioramento dell'ambiente montano, in ultima istanza, sono il sintomo di una visione antropocentrica della natura intrinseca alla civilizzazione industriale moderna. La crisi himalayana affonda le proprie radici nella moderna civilizzazione materialistica, che fa delle persone i “macellai della terra” (Bahuguna 1980:18). Il Chipko per Bahuguna è l'espressione di una originale tradizione culturale indiana pre-coloniale “one of the main gift of Indian culture is to see God in nature-in rivers, mountains, forests and in all forms of life. It is sacred duty to

124 Behn significa “sorella” in hindi ed è un appellativo utilizzato per gli attivisti sociali del movimento gandhiano

125 Bahuguna aveva lavorato con Mira behn nella valle Bhilangna, portandone avanti le intuizioni ecologiste. Appena tredicenne si era unito alla lotta per l'indipendenza e divenne presto segretario del partito del Congresso nell'Uttar Pradesh. Nel 1954 sposò Bimla behn che aveva trascorso otto anni nell'ashram fondato da Sarla behn. Durante un'intervista, Bimla

behn mi introduce alla storia del loro matrimonio come inestricabilmente intrecciata alla storia dell'attivismo himalayano:

entrambi discepoli delle due seguaci di Gandhi, la loro coppia rappresenta la sintesi dell'aspetto ecologico (enfatizzato da Mira behn) e della consapevolezza del ruolo svolto delle donne nella società himlayana (al centro dell'attivismo di Sarla behn). Condizione posta a Bahuguna da parte di Bimla per accettare il matrimonio è stata quella di abbandonare il ruolo ricoperto all'interno del partito, trasferirsi nelle aree rurali più remote e fondare l'ashram nel villaggio di Silyara, tut'ora esistente. L'ashram ha svolto un ruolo attivo nel movimento anti-proibizionista che mirava a ridurre le forme di alcoolismo cronicotra gli uomini della regione, iniziò progetti di educazione rurale e organizzò una cooperativa di lavoro locale impegnata nella costruzione delle strade. Il carattere forte e determinato di Bimla hanno profondamente influenzato il pensiero e le pratiche di attivismo di Bahuguna, rimanendo la parte in ombra del personaggio pubblico.

126 Guha in un articolo intitolato Ideological Trends in Indian Environmentalism (1998), traccia una sommaria differenziazione tra diverse correnti dell'ambientalismo indiano: i Crusading Gandhian, di cui Bahuguna è un rappresentane noto a livello internazionale, denunciano gli stili moderni di vita rifacendosi ad idiomi religiosi opponendo una “tradizione culturale indiana” all ideologie moderniste quali il razionalismo e la crescita economica. L'approccio delle tecnologie appropriate,, in cui viene rintracciata la genealogia intellettuale di Bhatt, invece, non si pone in maniera esclusiva rispetto alla società industriale riconoscendo piuttosto la necessità di una sintesi operativa tra agricultura e industria per mezzo di imprese su piccola scala e di diffusione locale; le azioni sono dirette soprattutto alla dimostrazione pratica di alternative locali al presente modello di sviluppo urbano-industriale. Il terzo e più eclettico approccio è quello dei marxisti ecologisti che, in opposizione alle pratiche e discorsi ambientalisti gandhiani, esprimono un atteggiamento anti-tradizionalista econsiderano il sistematico cambiamento economico precondizione stessa della stabilità ecologica. Nonostante la sinteticità della classificazione di Guha, l'ho trovata utile per interpretare le diverse correnti interne al Chipko inserendole in un più vasto quadro dell'ambientalismo a livello nazionale.

protect these”. 127 L'opposizione rispetto ad un paesaggio coloniale si articola nelle narrative di Bahuguna128 in un amore antico e spirituale per la natura, in una purezza della cultura indiana non ancora contaminata da pratiche e discorsi coloniali. Bahuguna traccia l'eredità culturale del Chipko riportandolo al personaggio di Amrita Devi, come diretta antecedente del movimento. La leggenda, che con l'attivista di Tehri diventa la preistoria del movimento, racconta che nel 1731 questa donna, che faceva parte della setta di Bishnoi in Rajastan, fondata nel 1485 contro la deforestazione degli alberi

khejri, fu smembrata mentre li abbracciava per proteggerli dall'abbattimento per la costruzione del

palazzo del maharaja di Jodhpur. Il suo martirio ispirò la partecipazione di diversi villaggi, facendo dilagare la protesta che culminò nella vittoria finale con la stessa rivoluzione interiore dello stesso maharaja. Vandana Shiva, che fonda la sua interpretazione del Chipko sulle narrative di Bahuguna, scrive a questo proposito “Inizia con questo evento la storia documentata del Chipko”. (Shiva 1988:79). L'eredità storica del Chipko tracciata da Bahugunaji utilizza alcune strategie retoriche proprie delle narrative ambientaliste: l'autodefinizione attraverso la presa a prestito di un lignaggio e la costruzione di una genealogia simbolica che trascende spazio e tempo. Nel caso specifico, la costruzione di una continuità tra il Rajastan del diciottesimo secolo e l'area himalayana dell'Uttar Pradesh del ventesimo secolo è finalizzata a dare consistenza storica e culturale ad una coscienza ecologica indigena e precoloniale, parte di una cultura Hindu originale, rappresentativa dell'intero continente del sud-est asiatico. Il Chipko, in questo modo, diventa un “attempt to re-establish the values of aranya [foresta] culture129 by making spirituality the guide of science and technology for the well-being of all living

127 Citaz.in Weber 1988:34

128 Bahuguna ha fatto della diffusione del “messaggio del Chipko” la sua missione, prendendo posizione sia attraverso ciclostilati, articoli di giornale, libri ma anche direttamente con numerosi discorsi tenuti in ambienti tra loro diversificati (dalle scuole delle montagne del Garhwal, alle conferenze internazionali). Io stessa durante i periodi di ricerca sul campo mi sono imbattuta, senza aspettarmelo, in discorsi pubblici tenuti da Sunderlal Bahuguna. La prima volta lo conobbi ad un

dharna (opposizione non violenta) contro la costruzione della diga di Tehri dove fu chiamato a fare un discorso a fianco

dei politici locali; la seconda volta, invece, al RFSTE della Shiva, invitato a tenere una lezione sull'ecologia ad un auditorio occidentale. Il Chipko nei discorsi e nelle parole scritte di Bahuguna rappresenta una chiave di lettura ambientalista per questioni di stretta attualità, senza limitarlo alla gestione delle foreste. La figura di messaggero del

Chipko, come lui stesso si definisce, implica una continua produzione e diffusione delle narrative che legittimano le sue

posizioni di ambientalismo radicale, ampiamente criticato a livello locale e osannato a livello globale.

129 Vandana Shiva (1988: 67-68) riprende l'argomentazione di Bahuguna secndo cui il Chipko è un'espressione dell'aranya samskriti, la cultura della foresta. Scrive a tal proposito Shiva (1988.67): “le foreste hanno sempre avuto un ruolo centrale nella civiltà indiana: sono state venerate come Aranyani, dea della foresta, sorgente primaria della vita e della fertilità; e l foresta come comunità è stata vista come un modello di evoluzione sociale e civile. La diversità, l'armonia e la

beings” (Bahuguna 1987:246). L'imagine pre-coloniale e pre-capitalistica del villaggio come esempio di armonia sociale ed ecologica si inserisce in una storia della civiltà indiana da riscoprire sotto le macerie sociali, culturali e naturali lasciate dagli Inglesi.

Le narrative di Bahuguna possono aiutarci a comprendere l'evoluzione del Chipko da strategia di protesta finalizzata alla creazione di imprese economiche locali a icona ambientalista, da questione politica della partecipazione attiva delle comunità rurali nella gestione delle risorse locali a un simbolo auto-evidente e globale di protezione e conservazione della natura. Le questioni di giustizia distributiva, il sostentamento di un paesaggio agrario definito dal diritto consuetudinario di chi lo vive, così come la contesa radicale tra modelli di sviluppo e il controllo dei mezzi di produzione sono stati resi politicamente innocui spostando l'attenzione pubblica dalle molteplici relazioni che costituiscono il paesaggio locale ad una natura dal valore assoluto, liberata dalle pratiche di vita che le danno una forma localizzata, resa patrimonio da proteggere e simbolo universale ed etereo di relazioni spirituali tra uomini e natura130.

Prendendo a prestito una definizione data da Tim Ingold (2001), si può pensare ai cambiamenti nella rappresentazione del Chipko in termini di trasformazione del paesaggio in natura, dalla reality for ad una reality of , dal mondo percepito e costituito nelle relazioni, alla realtà fisica come natura, fatta di oggetti neutrali e valorizzati proprio dalla loro indipendenza ed indifferenza nei confronti di un osservatore esterno. La molteplicità delle relazioni che costituiscono il paesaggio come locale viene ribaltata da Bahuguna in una natura che, nel suo valore assoluto, dissociato dalle pratiche quotidiane, si fa espressione di una cultura ideale, si costituisce come paesaggio morale verso cui re-indirizzare la vita di ogni uomo. La costruzione culturale dell'ambiente sembra essere preludio piuttosto che un epilogo dell'azione pratica.

“Initially Chipko was an economic movement. The activities planned with great enthusiasm [were] various economic programmes like setting up of small saw mills, working with forest labour cooperative to fell the trees and extract resin from pine trees etc.” (cit. in Weber 1988: 34). L'Himalaya come paesaggio agricolo era al cuore stesso del manifesto stilato da Bahuguna e che fu diffuso nei distretti di Tehri e Pauri Garhwal. Scrisse infatti Bahuguna che “since time immemorial, forests have remained the socio-economic basis of our lives (…); we solicit our birthright to get our basic needs of the inhabitants of this region (…). the material used in village industry and other daily needs should be

natura autosufficiente della foresta hanno costituito i principi organizzativi guida della civiltà indiana”. 130 A questo proposito ritengo importanti gli studi compiuti da Ingold sulla differenza tra paesaggio e natura

made available to common-folk and small industries should be set up in the vicinity of forests for the processing of raw materials obtained there” (ibidem). Nel paesaggio agricolo del Chipko, inteso come forma di lotta contadina possiamo intravedere una continuità tra le pratiche quotidiane di sussistenza e una prospettiva temporale generazionale, tra diritti d'uso consuetudinario e la dimensione continuativa della rigenerazione delle risorse. La temporalità del paesaggio131, la storia delle relazioni agri-culturali che gli hanno dato forma, è ciò che, utilizzando l'espressione di Bahuguna, legittima il “diritto di nascita” degli abitanti a veder soddisfatti i propri bisogni quotidiani. Lo scontro tra comunità locali e stato avviene proprio sul terreno di formazione del paesaggio rurale: chi ha il diritto di definirne le pratiche appropriate? Quali relazioni sono legittime e quali, invece, di sfruttamento? Quali i confini e le relazioni tra un dentro ed un fuori, e i movimenti consentiti?

Il carattere politico delle proteste del Chipko consiste nella rivendicazione della natura mutuale di collettività contadine e ambiente nella costituzione del paesaggio, nell'impossibilità di astrazione dalle relazioni economiche, sociali, culturali che gli conferiscono, nel tempo, un significato localmente condiviso.

È proprio il passaggio dal paesaggio alla natura132 come fulcro per interpretare le proteste contadine che ha consentito la diffusione del Chipko come movimento di difesa degli alberi, paradossalmente indifferente alle possibilità di sopravvivenza delle comunità locali. Amita Baviskar che ha fatto ricerca sul movimento contro le dighe nel Narmada Valley, nel suo bel libro “In the belly of the river”, si chiede che cosa venga perso nella rappresentazione ambientalista delle lotte locali sulla gestione delle risorse. Anche in questo caso sembra che la terra agricola e il suo uso siano scorporati da un natura come “wilderness”; la relazione di continuità attraverso cui le comunità rurali percepiscono le risorse forestali, idriche, animali e umane come fonte di sussistenza viene spezzata in atomi

131 Scrive Ingold a proposito della temporalità del paesaggio (1993:152): “landscape is constituted as an enduring record of-and testimony to- the lives and works of past generations who have dwelt within it, and in so doing, have left there something of themselves”. La temporalità del paesaggio risponde, sempre secondo il teorico dell'antropologia ecologica, a una “dwelling perspective(...) [that] might enable us to move beyond the the sterile opposition between the naturalistic view of the landscape as neutral external backdrop to human activities and the culturalistic view that every landscape is a particular cognitive or symbolic ordering of space.”(ibidem)

132 Scrive Ingold (1993: 154): landscape is not nature (…) the idea of landscape(...) runs counter to recognition of any simple binary relationship between man and nature. (…). Thus neither is the landscape identical to nature, nor is it on the side of humanity against nature. . As the familiar domain of our dwelling, it is with us, not against us. And through living in it, the landscape becomes a part of us, just as we are a part of it.

dall'intrinseco valore ambientale. La foresta per cui lottano i contadini del Garhwal diventano alberi “là fuori” , di per sé evidenti ad un osservatore esterno e che anticipano ogni forma di percezione e di significazione; “all kind of entities”, scrive Ingold (1993: 154) cercando di tracciare un confine tra natura e paesaggio, “are supposed to exist out there; but not you and I. We live 'in here' in the intersubjective space marked out by our mental representations”. Attraverso la valorizzazione della foresta del Garhwal come espressione di una civilizzazione antica ed ecologicamente evoluta, simbolo di una relazione etica tra esseri umani e il mondo naturale, Bahuguna riproduce la dicotomia tra natura e cultura che ha come effetto paradossale l'alienazione delle comunità contadine dal paesaggio locale. Il paesaggio rurale perde consistenza dissolvendosi in una natura dal valore universale e non localizzato, patrimonio morale dell'umanità che deve essere protetto dalle relazioni stesse che lo costituiscono come contestuale e irripetibile. In questo modo, attraverso una natura distillata dalle relazioni che la rendono parte di un paesaggio, Bahuguna può esercitare un atteggiamento profetico (vd Guha 1996:159) nei confronti dell'umanità intera che “our materialistic civilization has made the butcher of nature” (Bahuguna 1986:6). L'intento pedagogico del sarvodaya di Tehri fa del Chipko “not simply a movement to protect few trees (...) but an attempt of people to re-establish the once armonious relationship between man and nature (ibidem). Il “Chipko” di Bahuguna è animato da un interesse globale (idem:5): non cerca esclusivamente un cambiamento delle politiche governative e una trasformazione del ruolo svolto dal dipartimento forestale; ma, attraverso una diffusione globale” of its philosophy deeply rooted in Indian ancient culture”, (idem:6) il Chipko diventa il simbolo di stili di vita alternativi alla industrializzazione moderna di stampo occidentale. Per la sua autenticazione internazionale, le narrative di Bahuguna si reggono su di una forma di orientalismo che caratterizza le visioni occidentali sulle relazioni tra popolazioni asiatiche e la natura. Come mettono in evidenza Kalland e Persoon (1988) nel loro studio antropologico sui movimenti ambientali in Asia, alle popolazioni asiatiche viene attribuita una relazione ecocentrica con la natura, in posizione simmetrica rispetto all'antropocentrismo che caratterizza la storia della dominazione occidentale sull'ambiente. La conservazione e lo sfruttamento risultano in questo modo due approcci culturali alla natura in competizione tra loro, seppur prendano vita da una stessa preliminare dicotomia tra cultura e natura. Questa forma di “orientalismo verde”133 e la metamorfosi del paesaggio rurale in natura, delle proteste locali come forme di critica culturale e resistenza politica in una visione protezionista e conservazionista, hanno facilitato il processo di

“traduzione”, di “presa a prestito”134 del Chipko su di un palcoscenico globale.

Scrive Ingold (1993:154) “whereas the order of nature is explicate, the order of landscape is implicate”. Si può riconoscere quella che Baviskar definisce “landscape of resistance” (2008 :42) solo a partire da una percezione emica del paesaggio rurale dove, utilizzando una efficace espressione di Ingold (1993: 154) “each component enfolds within its essence the totality of its relations with each and every other”. La dicotomia tra natura e cultura non può che rispondere ad una prospettiva estranea o alienata rispetto al paesaggio in cui/che si vive; richiede un atto di distacco o “disangagement” (Ingold 2000), un gesto introspettivo in cui si perde la dimensione interattiva del paesaggio come processo di costituzione mutuale tra persone e ambiente. In questo senso, mentre le qualità del paesaggio in termini di ciò che consente la realizzazione di progetti di vita irripetibili non possono che aprirsi di fronte ai molteplici posizionamenti individuali, rimanendo irriducibili ad ogni tentativo di sintesi etica, la natura si costituisce a valore assoluto ed universalmente condivisibile. La prospettiva emica ci può invece restituire il dinamismo proprio tra proprietà dell'ambiente percepite da chi lo abita (quelle che Ingold definisce affordance) in relazione alle capacità/possibilità di azione di ognuno/a. Le “risorse” come aspetto dell'ambiente naturale, sono tutt'altro che riconducibili ad aspetti neutrali, oggettivi, universali. Le risorse non sono parte della natura, non vengono semplicemente date/prese/controllate/gestite, ma vengono create in un processo continuo di interazione dove né la socialità, né la cultura, né l'ambiente là fuori, così come la natura, possono essere dati a priori. Solo in questo modo, a mio parere, possiamo comprendere i processi di cambiamento, le contese intorno alla gestione delle risorse, la trasformazione delle dinamiche sociali, i processi di ibridazione tecnico-culturale, le rivendicazioni politiche e i tentativi di appropriazione ideologica non in termini di azione/re-azione, quanto piuttosto come elementi interconnessi di un ambiente condiviso. Interpreto in questo modo i riferimenti fatti da Ulf Hannerz (2001) a proposito della “dimensione ecologica della diversità culturali”: le culture sono ecologicamente costruite tanto quanto le ecologie locali sono espressioni culturali; una loro percezione emica non può che rivelare la molteplicità delle soggettività coinvolte in relazione diversi modi di “abitare il mondo”. Gli esseri umani non costruiscono il mondo in virtù di ciò che sono ma in relazione alle loro concezioni di possibilità, quindi nell'atto di coinvolgimento pratico nel flusso delle loro attività quotidiane. (Ingold, ecologia della cultura :111).

Questa precisazione teorica mi sembra particolarmente importante per comprendere le diverse interpretazioni che sono state date dell'attivismo femminile all'interno del Chipko ed in particolare

dell'evento di Dogri Pantoli descritto nel paragrafo precedente. Bahuguna si definisce “messaggero” (…) un “portavoce efficace della volontà delle donne” e che “tradusse le loro intuizioni in una filosofia delle foreste naturali come sistemi di supporto vitale, facendo della lotta del Chipko una lotta per conservarli” (Shiva 1988: 83). Sono le donne che, a partire da Dogri Pantoli e attraverso l'opposizione non solo al dipartimento forestale ma anche ai loro stessi uomini, hanno trasformato il Chipko da movimento puramente economico ad espressione di una coscienza ecologica universale che “will establish the harmonious relationship between man and Nature- the relationship of Child with the Mother” (Bahuguna 1987: 246); sono le donne che svolgono un ruolo fondamentale per il mantenimento di quel legame biologico e sociale necessario per la continuazione della vita sulla terra. Come scrive Vandana Shiva (1988: 83), le cui narrazioni del Chipko sono profondamente intrecciate al ruolo profetico assunto dal discepolo di Mira behn, durante i suoi padyatra 135 Bahuguna ha ascoltato “le voci silenziose delle donne” per “elaborare i principi ecologico femminili del Chipko” (ibidem). Nel villaggio del distretto di Chamoli, secondo Bahuguna, avviene una svolta radicale del movimento che, nato come rivendicazione economica e di giustizia distributiva da parte delle comunità rurali, diventa espressione ben più radicale di un principio ecologico di cui le donne sono depositarie. Secondo questa rappresentazione sono loro, infatti, che dal 1973 contrastando la volontà dei loro uomini disposti a vendere la foresta per il profitto, iniziano a lottare per “a sane society which is free from explotation of man and the explotation of mother earth” (Bahuguna 1987.246). L'immagine culturale della foresta che Bahuguna propone, affonda le proprie radici in una dicotomia di genere: mentre gli uomini si fanno rappresentanti di un principio di sfruttamento economico della foresta come risorsa, le donne vengono ad incarnare, invece, la tradizione di una relazione ecologica e conservazionista. Lo slogan del Chipko si trasformò dal 'maschile' “no trees to be cut until the needs of the local are met” nel motto femminile “save trees, save mankind” (cfr. Weber 1987: 621). Il messaggio delle donne del Chipko viene espresso dalla stessa rivoluzione personale del loro portavoce maschile. Ci dice infatti Bahuguna: “Se la proposta