TERZO CAPITOLO
3.3 Movimenti divini
Per “jaat”, pellegrinaggio, non bisogna intendere esclusivamente il movimento verso la divinità, uno spostamento fisico-spirituale, un’ascesa-ascesi verso luoghi 'extra-ordinari' dal potere intrinseco e che consentono una comunione con il divino58. In questi casi, come suggerisce Sax, il movimento stesso del pellegrino risulta essere un rito efficace che conferisce la forma ad un paesaggio sacro: “by jounrneying to these powerful places (…) pilgrims achieve some kind of transformation, either themselves or in their circumstances (…) pilgrimage places can themselves be created or transformed by the actions of pilgrims” (cfr. Sax 1990: 492). E' il movimento verso che traccia una geografia sacra che ha il potere di trasformare chi lo pratica, chi rientra nel suo circolo affettivo e familiare, quanto i luoghi che attraversa.
I movimenti e la geografia rituale che intendo prendere in considerazione non evocano il potere di luoghi trascendenti, non rimandano alla capacità individuale di tracciare spazi 'altri' a partire da sé ed il proprio movimento sofferto di 'ascesi'; non hanno a che fare con la distanza dalle attività e spazi del quotidiano, con l'astinenza da cibo e dalle relazioni sociali.
Spesso i pellegrinaggi che caratterizzano le aree himalayane sono un percorso, yatra, compiuto dagli abitanti delle montagne con la divinità localmente venerata; mossa su di un palanchino (palki) la divinità transita all’interno della propria area di influenza che di solito si estende a 4-5 villaggi. Il pellegrinaggio di Naag Devta, la divinità serpente, il devi devta59 venerato a livello locale e considerata
58 Il Garhwal assume un particolare significato per gli Hindu proprio perchè rappresenta un luogo di pellegrinaggio e la sua geografia risponde ad un paesaggio sacro. I principali luoghi pellegrinaggio includono Haridwar, dove il Gange entra i piani del Nord India, luogo considerato sacro dove viene svolto ogni 12 anni il kumbha mela (Sax 1987); Jamnotri, la sorgente del fiume Yamuna sulle cui rive, nei piani dell'India del Nord, nacque Krishna; Gangotri, ritenuta la sorgente del Gange; Kedarnath, considerato uno dei dodici jyotirlinga o “linga di luce”, manifestazioni della grande divinità di Shiva. Il luogo di pellegrinaggio più rinomato è Badrinath, uno dei quattro dhaam, ovvero “dimore” della divinità, (le altre sono Jagganath nella città di Puri, sulla costa orientale dell'Orissa; Rameshvaram in Tsmil Nadu e Dwarika nell'Occidentale stato del Gujarat).
59 Così scrive Berti a proposito del Devi Devta: “dev?-devt? È così? si differenzia da una "divinità di lignaggio",
Claudia Mattalucci 18/4/10 11:36
Commenta [4]: Qui non si può aggiungere
una parola che rafforzi l’unità del capitolo facendo riferimento agli utensili-oggetti-veicoli divini? Idem nel testo, dove ne parli, potresti però mettere un po’ più in evidenza l’associazione corpi+cose o utensili divini.
una delle molteplici forme assunte da Shiva, si snoda come una staffetta il cui percorso è contrattato di anno in anno creando, così, una circolarità nelle precedenze dell’arrivo della divinità nei rispettivi villaggi. Il territorio definito dai movimenti del devi-devta non è fisso nel tempo, ma segue la variabilità tutta mondana delle relazioni di affinità tra i villaggi60. Scontri del tutto mondani, come sulle precedenze nel percorso o sul rinnovamento del palanchino, possono trasformare la geografia rituale, attraverso cambiamenti del pellegrinaggio divino.
Naag Devta “arriva” (Devta andi) per celebrare Toulu in beisaak61 periodo primaverile quando è pronto il grano e le varietà di miglio e verso la fine del periodo monsonico, nel mese di asoj, tra la metà di settembre e metà di ottobre, per Dubri che anticipa i raccolti principali di riso, miglio e legumi. Un palanchino costituito da due legni lunghi circa due metri su cui è riposto il doli (effige) della divinità, ornato da stoffe dorate e sonagli che ricordano l'abbigliamento delle giovani spose, consente il movimento di Naag Devta insieme agli uomini, che “vanno a prenderla” per portarla al proprio villaggio. Il palanchino, afferrato da due uomini alle quattro estremità della coppia di pali che lo sostengono, consente lo spostamento della divinità nello spazio ma anche il movimento su se stessa in una danza (Nag Devta nach raha hai, Naag Devta balla) che è incarnazione e veicolo al tempo stesso di benevolenza divina (Nag Devta kush hai, è contenta). I piedi e le mani umane diventano condizione per la contentezza divina, il corpo uno strumento di danza e di messa in atto .
L'assenso corporeo dei partecipanti, come scrive Sax (2002:12) a proposito del pellegrinaggio di Nanda Devi (parte montuosa dell'Uttarakhand che confina con il Tibet), è necessario alla riuscita62 del
onorata a livello familiare, per il fatto di estendere la sua influenza su tutti coloro che abitano all’interno del suo territorio, indipendentemente dalla parentela o dalla casta” (…) Un dev?-devt? può anche "incarnarsi" in un palanchino, che viene portato sulle spalle dai devoti in occasione delle feste di villaggio”.
60 Il cambiamento dello yatra di Naag Devta viene imputato a scontri tra villaggi sulle precedenze, sul rinnovamento del doli (il palanchino che incarna il devi-devta). Nel corso del tempo un villaggio può essere incluso o escluso dal territorio in cui il doli di Naag devta transita riformulando le aree di influenza. Berti (2003) partendo dalla ricerca di campo compiuta nell'Himachal Pradesh, mette in evidenza come, nel corso di diversi periodi storici, il territorio e le aree di influenza o area tutelare (har) dei devi-devta, siano stati pensati, organizzati e trasformati secondo una pluralità di logiche rituali, politiche, fiscali, amministrative, elettorali.
61 Secondo il calendario garhwali che viene utilizzato sia per scandire i momenti rituali che per le attività agricole,
beisaak è il periodo tra il 15 aprile e il 15 di maggio mentre badon spazia tra il 15 agosto e il 15 settembre.
62 Il riferimento alla riuscita, al fallimento e al rischio connessi alla performance rituale verranno esplicitati più oltre, nella descrizione dell'approccio performativo al rituale come prospettiva teorica da me adottata nell'analisi dei rituali di propiziazione all'abbondanza. Posso qua anticipare ciò che si intende per natura performativa del rituale enfatizzando il
rituale; come ci suggerisce Bourdieu (1990:68) “practical belief is not a state of mind, still less a kind of arbitrary adherence to a set of instituted dogmas and doctrines (believes) but rather a state of the body”. Il corpo non è semplicemente espressivo ma creativo, i suoi movimenti non sono strumenti esplicativi di una realtà essenziale ma sono efficaci, danno forma a relazioni più che rivelare significati. La partecipazione corporea è la condizione stessa per la riuscita del rituale: il rischio di non riuscita mi veniva descritto come mancata condivisione delle danze di Naag Devta, l'estinzione veloce dell'eccitazione che l'arrivo della divinità porta con sé, la mancanza di corpi su cui Naag Devta potesse “aderire” (lagna) e sui quali potesse ballare. Possiamo rintracciare una diversificazione dei movimenti divini in relazione alla corporeità umana durante i pellegrinaggi di Naag Devta: lo spostamento nello spazio da un villaggio all'altro, la danza su se stessa della divinità e la sua aderenza ai corpi umani
(devi-devta lagta hai).
Sono gli uomini rajput63 che si occupano degli spostamenti di Naag Devta da un villaggio all'altro al momento del tramonto: si tratta di movimenti verso e non dal villaggio, si va a prendere il
devi-devta per portarlo a sé e non per allontanarlo. All'imbrunire successivo il doli seguirà gli uomini di
un altro villaggio compreso nel percorso dello stesso yatra divino. Solo il ritorno finale al mandir (tempio) dove il doli viene riposto per uscire solo due volte l'anno, verrà seguito, oltre che dal pundit e dall'ouji64, anche dagli uomini (per lo più ragazzi) dei diversi villaggi che intendono accompagnarla nel viaggio di rientro al suo tempio. Mentre il movimento della divinità, viene affidato agli uomini, alle donne compete il “ruolo gestazionale” (Bourdieu 1999) di preparazione del terreno per il passaggio della divinità. Dai confini verso il centro del villaggio (chonri), le donne versano a terra il panchamirt, un
suo carattere creativo e interattivo come “processi di pratica” (Schieffein 1998:194): il rituale piuttosto che come espressione di una realtà essenziale e messa in atto di un sistema di rappresentazioni e significati, verrà inteso come processo di ricostruzione dell'unità del villaggio come “a complex biomoral entity made up of place, soil, persons and history” (Sax 2002:48).
Dubri quanto Toulu non verranno presi in considerazione come espressioni simboliche rituali della natura stessa
abbondanza ma come creazione, riaffermazione, messa in atto dei “mondi collettivi di sapere e relazioni” (idem: 6), di quel paesaggio locale che ne costituisce la sua stessa precondizione. “The ritual”, seguendo l'approccio performativo, “is seen as helping to shape the world rather than being passively shaped by it” (Sax 2002:5).
63 I Rajput sono “members of the warriors class (ksatriya varna). In Garhwal, the various castes that make up this class are collectively known as Rajputs. They are politically and economically dominant, and like dominant castes elsewhere in India, they fulfill the “royal function” in several important respects (...). Close attention to the Rajput's language and practices reveals that they consider themselves to be like Brahamans in certain important respects” (Sax 2002: 93).
liquido considerato purificatore e costituito da cinque elementi: burro, urina di mucca, miele, yogurt, latte.
Il movimento della divinità è impensabile senza almeno un ouji, i suonatori che intervengono in ogni rituale pubblico. Gli ouji, suonano il dhol, un tamburo a due facce suonato con un bastone (eventualmente accompagnato dal damaaum, una specie di timpano suonato con due bacchette), che scandisce i tempi rituali cruciali della collettività: fiancheggiano il palanchino degli sposi durante il
barat (processione) matrimoniale, annunciano l’inizio dei riti di primavera durante il mese di chait
(metà marzo-metà aprile)65, ma soprattutto con i loro suoni ritmici “fanno ballare la divinità” dal momento in cui esce dal tempio fino a quando ci ritorna. Per giorni si può seguire il percorso di Naag
Devta attraverso le mulattiere che portano da un villaggio all’altro solo ascoltando le direzioni sonore
del dhol. Durante i rituali di propiziazione all'abbondanza che precedono il raccolto, per una settimana si costituisce un vero paesaggio sonoro che conferisce un senso di connessione ai villaggi in cui Naag
Devta transita. È ancora il ritmo imperterrito del dhol anche a notte fonda che fa intuire il rituale ben
riuscito: se l'ouji da una parte ha l'abilità di far ballare la divinità, è anche vero che le percussioni si affievoliscono fino a tacere se non intervengono performativamente sui corpi. Il corpo, come scrive Sax (2002: 54) a proposito della danza rituale del Pandav Lila66 che mette in relazione in Mahabharata ai dettagli mondani della vita contadina, “believes in what it plays at”; il dhol diventa così il mezzo indispensabile per rendere la credenza uno stato del corpo, “un dato di fatto” e non solo della mente. E' l'espressione corporea che rende il rituale convincente e collettivamente ben riuscito; è attraverso la performance corporea che i significati vengono formulati in uno spazio sociale più che cognitivo (Shieffelin 1985)67.
65 Cerimonie di primavera sono i Phul Dalna, durante i quali i bambini del villaggio raccolgono fiori all'alba e lei pongono di fronte alle porte dei familiari e conoscenti. Il Phul Dalna viene portato a termine con la preghiera collettiva a Popria Sankrant, il primo giorno del mese di Beisaak (aprile-maggio) performata dai bambini del villaggio.
66 Tambiah a proposito della natura performativa del rituale fa riferimento all' “uso forzato di determinati strumenti e mezzi di comunicazione come modo per attivare lo straordinario, l'extramondano”(1995:128). I lila (giochi e drammi divini) , sempre secondo Tambiah, consentono agli dei di diventare manifesti in questo mondo e in quanto tali rappresentano un'esperienza intensificata del divino. L'azione rituale, seguendo le intuizioni di Tambiah non è né derivante né secondaria rispetto alle credenze. É proprio qua che risiede il carattere creativo (o, appunto, performativo) del rituale come “mezzo per trasmettere significati, per costruire la realtà sociale, per creare e portare alla luce lo schema cosmologico stesso” (idem: 132). La credenza di per sé non basta per spiegare adeguatamente la forma dell'evento rituale. Richiede la messa in atto che implica sempre un elemento di tensione, incertezza e fortuità.
Il ballo del devi-devta è quindi un'attività congiunta della capacità di trasportare dei ritmi dhol quanto della disponibilità dei corpi stessi ad essere trasportati nella danza. Non si tratta di un ballo collettivo, non tutti ballano, anzi, la maggior parte dei partecipanti al rituale osservano anche se sarebbe inappropriato far riferimento alla dimensione passiva e inefficace dell'osservazione. La natura processuale, interattiva e rischiosa della performance rituale fa sì che l'espressività appartenga alla situazione e non ai singoli soggetti che la mettono in atto: non basta che Naag devta balli o che aderisca a qualche corpo; la riuscita del rituale è collettiva, rimanda ad un orizzonte di senso ed emozionale condiviso. Come scrive Shieffeling (1998), il potere della performatività sta nel suo carattere interattivo e quindi nella natura della relazione tra performer e gli altri partecipanti al rituale.
L'osservazione partecipante ai balli di Naag devta ha significato riconoscere la concezione etnocentrica occidentale della relazione teatrale tra performer e audience: non c'è chi guarda e chi performa in un rituale riuscito. Prendere parte al rituale richiede di riconosce la diversificazione delle forme di partecipazione appropriate al proprio posizionamento oltre che alla natura dei diversi movimenti incarnati della divinità.
Posso spiegare meglio questo aspetto facendo riferimento ad una forma di incomprensione cui ha dato adito un mio modo di partecipare all'arrivo di Naag Devta a Khera, il villaggio principale dove ho compiuto la ricerca di campo. Il suono del dhol e il ballo del doli avevano creato un'eccitazione collettiva, i bambini correvano e saltavano intorno alla divinità; le donne buttavano panchamirt e si riunivano in cerchio lasciando lo spazio necessario a Naag Devta per ballare su se stessa; gli uomini si avvicinavano e si alternavano al palanchino per creare i movimenti oscillatori di Naag Devta.
I miei pregiudizi sulla partecipazione mi avevano portato a muovermi a ritmo di musica; partecipare per me voleva dire prendere parte attivamente attraverso i movimenti del mio corpo e non semplicemente “osservare” passivamente uno 'spettacolo', una performance a me esterna ed estranea. Le timide danze attraverso cui cercavo di prender parte al rituale crearono lo scompiglio delle donne che mi circondavano che preannunciavano l'adesione di Naag devta al mio corpo, una performance partecipativa ben più complessa per risultare efficace, coinvolgente e “convincente”. Mi sono immobilizzata ed ho iniziato ad osservare per comprendere come partecipare in modo appropriato. Mentre i balli di Naag Devta su se stessa vengono accolti con la creazione di un senso diffuso di leggerezza emotiva ed allegria, osservando a mani giunte il doli che sovrasta i due portatori, quando il
cui la “ performance does not construct a symbolic reality in the manner of presenting an argument, description or commentary. Rather it does so by socially constructing a situation in which the partecipants exprerience symbolic meanings as part of the process of what they are already doing”.
devi-devta aderisce o balla sui corpi, si crea un'atmosfera preoccupata, intimorita e di notevole trasporto
emotivo che porta con sé l'insicurezza sui risultati. Mentre sono gli uomini che fanno ballare la divinità, sono soprattutto le donne68 che ne incarnano il ballo in forme di possessione. La danza viene annunciata dal processo di adesione della divinità al corpo durante il quale il prescelto/la prescelta inizia a tremare come se la propria volontà cedesse progressivamente ai lievi movimenti sincopati. I lunghi capelli delle donne vengono liberati dalle trecce e dai lacci e lasciati cadere disordinatamente sulle spalle e sul viso, lasciando solo intravedere uno sguardo perso nel vuoto e gli occhi rivolti verso l'alto. L'adesione completa di Naag Devta fa sì che il/la dungadi (medium)69 si lanci a braccia levate in mezzo al cerchio costituito dai partecipanti al rituale. La perdita di controllo individuale si dissolve in una danza che viene accolta e alimentata come fenomeno collettivo.