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Partecipazione al “Cibo-Prasaad” e località

TERZO CAPITOLO

3.6 Partecipazione al “Cibo-Prasaad” e località

Avvicinarmi al carattere performativo ed interattivo dell'arrivo di Naag Devta prendendo parte alle pratiche di condivisione del cibo-prasaad mi ha consentito di percepire le differenziazioni tra molteplici forme di partecipazione al rituale in relazione a diversificate relazioni di appartenenza al luogo e di prender parte al paesaggio condiviso. Osservare il rituale partecipando attivamente per mezzo del cibo, infatti, mi consentiva di non conferire troppa importanza alle “interpretazioni discorsive”80

79 Il cibo, sempre seguendo l'articolazione teorica di Appadurai al riguardo, indica e costruisce relazioni caratterizzate da uguaglianza, intimità o solidarietà; oppure può servire a sostenere relazioni caratterizzate dalla distinzione, distanza, segmentazione. In entrambi i casi si può ritenere che siano relazioni “inclusive”, nel senso che la specificità del proprio posizionamento viene riconosciuta e messa in relazione attraverso una differenziazione delle transizioni di cibo. 80 Se l'efficacia rituale non ha a che fare con delle informazioni che vengono trasmesse, recepite o trasformate a livello

semantico (Shieffelin 1985: 709), se si realizza in come processi di pratica (Shieffelin 1998: 194) con finalità interattiva piuttosto che sistemi di rappresentazione e trasmissione di informazioni o significati, se ha a che fare con abitudini del corpo più che con strutture di simboli, con azioni più che testi, allora mi sembrerebbe più appropriato riferirsi alla diversificazione delle pratiche di partecipazione e di costituzione collettiva dell'unità del villaggio piuttosto che alle

orientandomi piuttosto attraverso le modalità di partecipazione alle pratiche di condivisione del prasaad. Il cibo, con il suo carattere di potente mezzo di intimità e contatto con effetti omologanti tra persone quanto gruppi, è un elemento rituale indispensabile nella costituzione del villaggio come unità bio-morale, dove la condivisione, l'omologazione, solidarietà e comunità sono percepiti come risultati desiderabili. Nello stesso tempo, però, come esprime in maniera efficace Appadurai (idem:508) “the idea of homogenization is formalized in a variety of commensal concepts and rules” che enfatizzano le diverse modalità di partecipazione appropriate alla propria identità individuale. La finalità omologante del cibo viene perseguita attraverso pratiche di partecipazione differenziata che mettono in evidenza come il rituale sia intrinsecamente un “segmented affair where different groups participate in different periods, aspects and portion of the ritual process” (idem: 509).

La condivisione formalizzata del prasaad coinvolge gli abitanti effettivi uniti da relazioni esclusive con il luogo di residenza patri-virilocale. Nel caso dell’uomo, questo luogo coincide con lo spazio dei propri antenati, con il proprio luogo natale, nonché con quello che sarà il luogo per la propria discendenza maschile. Per quanto riguarda la donna sposata, invece, lo spazio sociale appropriato coincide con l’abbandono (mai così totalizzante e definitivo come gli uomini amano rappresentare) dei luoghi legati alla propria infanzia e il contenimento nello spazio81 del marito. La stessa definizione di

Dubri per indicare il rituale che precede il raccolto nel periodo monsonico, viene riportato al nome di

un’erba che si diffonde sulle colline himalayane, dublu gaas82. Proprio per la sua capacità di attecchire e

diverse “interpretazioni” (vd Sax; ). L'esperienza corporea del paesaggio è intrecciata al proprio posizionamento: essere donna, uomo, rajput o dalit, con più o meno disponibilità di risorse, giovane o anziano, parte di una famiglia allargata o nucleare, sono prima di tutto modalità di partecipazione al paesaggio locale prima che “interpretazioni”. Ripartire dalle pratiche di partecipazione alla collettività, anche rituale, ci consente di assumere un punto di vista che non è quello rappresentato pubblicamente (sia nella sua versione “dominante” quanto in quella “eversiva” o “critica”, o “marginale”), ma dalla messa in atto delle relazioni, posizioni, status propri di ognuno. . Il cibo mi ha consentito di percepire le molteplici modalità di partecipazione al rituale: anche se l'unità del villaggio è risultato dell'efficacia rituale, ciò non implica un'omogeneità nelle pratiche di partecipazione. Cogliere l'appropriatezza degli atti gastro-politici durante il momento rituale, quanto nella quotidianità, significa partecipare alla dimensione interattiva delle pratiche di consenso sull'identità sociale a partire dalla diversificazione dei posizionamenti individuali.

81 Sax, mette in evidenza come nel contesto del Garhwal, essere inseriti nello spazio di qualcun altro significa esserne subordinato (Sax 1990, p.496)

82 La doob gass è la Cynodon dactylon, una varietà di pianta infestante più conosciuta come gramigna. È della famiglia delle graminacee, molto competitiva, presenta un esteso apparato radicale, che può arrivare a 2 metri di profondità. SI propaga quindi più come apparato radicale piuttosto che aereo. Sono ritenute essere il principale creatore e fornitore di sostanza organica nel terreno con il loro apparato radicale fascicolato in continua evoluzione e sviluppo.

per facilità nel riprodursi che la fa assimilare ad un'erba infestante, la dublu gaas assume un valore simbolico e viene utilizzata in molti rituali di propiziazione all’abbondanza, alla fertilità e al radicamento. Viene donata alla nascita di un figlio maschio che, differenza delle figlie femmine, continuerà la relazione della discendenza paterna con il luogo di residenza; ma è anche shaguun83, un elemento rituale di buon auspicio per una relazione di appartenenza feconda al territorio, che accompagna le attività di ogni periodo di raccolta agricola.

C’è un detto garhwali che dice “gaanth gaanth se sab aur se barti dublu gaas hoti hai, usi

prakaar tu (stri) hamko maatr-gotra aishvarya se vismrat karo”, “come la dublu gaas cresce da ogni

nodo, cosi’ tu (donna) diffondi la discendenza con prosperità”. Il riferimento è alle donne come doob

gaas: condizione per la fecondità “legittima” consiste nel “mettere le radici a terra” e diffondere il gotra

(lignaggio) del marito attraverso nuova prole. Le donne diventano quindi l’anello di continuità con le relazioni di residenza; consentono, e non solo simbolicamente, che la comunità familiare rimanga legata al territorio e che venga rafforzata dalle relazioni comunitarie all’interno del villaggio. Il radicamento, la stabilità, i legami con la località e la fecondità legittima sono ciò che fa di un “essere femminile” una “devi” (la stessa parola viene usata sia per la divinità femminile che nomignolo post-maritale per la donna). La trasformazione femminile che avviene attraverso il matrimonio, è rappresentata, quindi, come un viaggio, esistenziale oltre che geografico, senza ritorno, allontanamento definitivo dai luoghi della propria fanciullezza, dagli spazi affettivi prematrimoniali, dal contesto ecologico del villaggio di origine. La donna, come la dublu gaas, è immobile, anello di radicamento al luogo, che attecchisce dove la metti e che diventa tale nel momento in cui “si sposa al luogo di residenza” (patri-virilocale) sancito dalle alleanze matrimoniali delle rispettive famiglie; diventa devi con l’entrata nello spazio del marito, consentendo una discendenza legittima e la continuità di una relazione del lignaggio maschile con il territorio.

La condivisione del prasaad che prevede la partecipazione femminile alla preparazione del cibo cerimoniale e la sua diffusione secondo gerarchie di precedenza sociale accordata attraverso discriminanti di genere e generazionali84, mette in atto un'ideologia agnatizia secondo cui le pratiche identitarie di relazione al luogo di residenza virilocale risultano essere esclusive. Si esorcizza, in questo

83 Durante il mundi, la mondatura del grano,per esempio, un ciuffo di questa erba viene fatto sbucare da un cono fatto con escrementi di mucca (anch’essi , insieme all’urina di mucca, considerati un elemento rituale purificatore) e posto in cima al giogo intorno cui vengono fatti ruotare i buoi

84 Mentre in linea teorica i primi ad essere serviti sono gli uomini anziani, gli ultimi saranno i ragazzi non sposati e le donne.

modo, il movimento della sposa come relazione tra luoghi che la collocherebbe sempre un po’ anche “altrove”. Cucinare il cibo, trasformare i prodotti del proprio lavoro e di una specifica relazione ecologica con l'ambiente, e condividerlo secondo le gerarchie proprie di un luogo di residenza virilocale, ribadisce i contenimento femminile e il controllo sociale delle sue capacità riproduttive all'interno del patrilignaggio maritale. La metafora culinaria, come mettono in evidenza alcuni studi di genere (cfr Feldman), è centrale nella comprensione del ruolo sociale femminile e della costruzione delle reti sociali e familiari. Il rapporto tra suocere e nuore85 , espressione del potere e dei conflitti generazionali tra donne all’interno della famiglia, può essere considerato emblematico a tal riguardo. Parlando con le donne che hanno figli maschi sposati (e che hanno quindi tutte le carte in regola per esibire il loro pieno radicamento al luogo di residenza) viene spesso riferito di come le loro bhwari (nuore) non sappiano “fare niente”, di come debbano imparare tutto ciò che la renderà, nel tempo, una brava sposa, madre ed eventualmente suocera. Il riferimento alla mancanza di’“abilità” nei lavori agricoli e routine quotidiane, quanto nella loro capacità di trasformazione in cibo appropriato, è particolarmente significativo nel definire ciò che, nell’ottica della suocera, ancora manca alla giovane sposa per radicarsi definitivamente al locale, ad una nuova geografia condivisa nel villaggio del marito. La negoziazione dell’appartenenza della donna allo spazio, il suo radicamento, avviene, quindi, attraverso quella che viene rappresentata come iniziazione alle pratiche agricole ed alla pratica culinaria in grado di mantenere un equilibrio di umori (un aspetto che verrà approfondito nel seguente paragrafo). L’uscita dal luogo natale viene quindi rappresentata, questa volta secondo l’ottica dominante rappresentata dalle suocere, con l’acquisizione dal nulla di abilità che sanciscono una nuova relazione, culturalmente mediata, con lo spazio ecologico e sociale.

Eppure le bambine, sin da tenera età, rappresentano un aiuto spesso indispensabile nelle famiglie

pahari. Collaborano con la madre nella raccolta del foraggio per gli animali, nella sarchiatura del

terreno dopo l’aratura; sanno riconoscere le piante utili da quelle dannose e sono spesso abili nella mondatura e nella macinazione manuale dei grani; sono un prezioso sostituto in cucina, nella pulizie e nell’accudire i bambini più piccoli durante i periodi di intenso lavoro agricolo che tengono la madre lontana da casa dall’alba fino al calare del sole. Le loro abilità nello specifico contesto rurale

himalayano sono considerate un elemento non da poco nelle contrattazioni matrimoniali, a volte più dell’educazione scolastica. La loro incapacità esibita dalle suocere, sembra ribadire che il divenire donna ha origine da un vuoto, da una cancellazione. Imparare a partecipare attraverso gesti di

85 Si mette in evidenza come l’ideologia dominante non sia supportata necessariamente ed esclusivamente dagli uomini

produzione quanto di trasformazione culinaria e di condivisione del cibo sono condizioni indispensabili per far parte di un luogo, prendere spazio all'interno di un paesaggio attraverso relazioni di appartenenza esclusiva.

La caratteristica dei pellegrinaggi di Naag Devta consiste nella sua organizzazione a staffetta, per cui il rituale viene performato in tempi differenti nei diversi villaggi. Questo aspetto di dilazione temporale risulta essere particolarmente importante per le giovani donne che organizzano ritorni alla mait per festeggiare l'arrivo di Naag Devta al proprio villaggio natale. Si parla di amicizia (dosti) di

Naag Devta con la dhyiaani (figlia sposata) e della sua contentezza (kushi) se le viene concesso di

tornare alla mait (casa natale) durante i festival, In realtà questo viene riferito da informatori/trici solo in seguito ad una mia domanda diretta (“le dhyiaani tornano a casa per Dubri?”). Le riposte mettevano in evidenza il fatto che fosse di buon auspicio che soprattutto le giovani spose tornassero alla propria casa natale. Nello stesso tempo, però, ci tenevano a precisare la non obbligatorietà di questo ritorno (se non vanno non ci sarà maledizione-dos-da parte della divinità). Sancendo la marginalità della visita alla casa natale rispetto alla riuscita della performance rituale, rendono questo momento di celebrazione di una prospettiva femminile sul locale contingente alle volontà individuali e quindi innocuo per quanto riguarda le politiche dominanti di genere. Riconoscere alle donne la loro condizione di migranti, infatti, significherebbe anche riconoscere la natura ibrida della relazione al locale che si fa punto di incontro tra luoghi ed appartenenze diverse.

Nello stesso tempo, la tempistica differita della performance rituale consentono la costituzione di una rete di ospitalità femminile gestita dalle donne più anziane della famiglia: le relazioni con la mait, con la famiglia natale e più in generale con un lignaggio matrilineare vengono ribadite intorno al

chullah, a lato dello scambio pubblico di cibo-prasaad. La dispersione spaziale del matrilignaggio si

localizza nelle pratiche di condivisione rituale attorno al focolare.

La mia partecipazione ai rituali che anticipano il raccolto era tutt'altro che statica. Soprattutto le donne più giovani non “aspettavano” semplicemente l'arrivo del devi-devta; ma ne seguivano i movimenti per conciliarli con le loro relazioni affettive con luoghi altri. I movimenti divini mi portavano a seguire gli spostamenti delle giovani donne sposate verso luoghi eccentrici rispetto alla pretesa centralità della residenza patri-virilocale. Il giorno successivo all'arrivo di Naag Devta mi ritrovavo a consumare il cibo rituale scambiando informazioni, pettegolezzi, dolori e nostalgie attorno al fuoco per la cottura, con le donne degli altri villaggi ma che avevano relazioni parentali mai completamente rinnegate dal matrimonio e da nuove forme di residenza. Attorno allo scambio di cibo tra donne si percepisce una fitta rete di ospitalità che ribadisce, in modo silenzioso quanto inderogabile, la natura

ambigua della posizione femminile rispetto alla località; ci raccontano del legame tra i due luoghi che, in una prospettiva femminile86, sembra inalienabile, anzi, sembra essere condizione stessa del vivere un luogo, il locale in quanto donna.