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4. I mercanti di Venezia e i Gonzaga

4.2 Bartolomeo dalla Nave e il Cammeo Gonzaga

Il celebre mercante Bartolomeo dalla Nave (1571/1579ca.-1632), artefice di un’importante raccolta d’arte veneziana nei primi decenni del Seicento, fin dal 1622 è in relazione con la corte Gonzaga che non gli richiede tele o sculture ma prodotti esotici. Membro di una famiglia di origine bergamasca, arricchitasi grazie al redditizio commercio di spezie, Bartolomeo gestiva a Venezia un celebre negozio di cere, di droghe e di colori ed emanava garanzie concedendo prestiti e affitti di immobili419.

418 ASV, Notarile, Atti, Fabrizio Beacian, b. 621, f. 51r-86v pubblicato in MASON RINALDI, A

l’einseigne du calice cit., pp. 42-44 (l’articolo non riporta l’elenco dei gioielli).

419 Per il profilo del mercante cfr. M. ZORZI (a cura di), Collezioni di antichità a Venezia nei secoli

della Repubblica (dai libri e documenti della Marciana), catalogo della mostra (Venezia, Biblioteca Marciana), Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1988, p. 74; per la sua collezione cfr. S. FURTLEHNER-R. LAUBER,La Collezione di Bartolomeo della Nave in L. BOREAN- S. MASON(a cura di), Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Seicento, Venezia 2007, pp. 258-261.

La fama di Bartolomeo dalla Nave, il cui ritratto è stato riconosciuto da Stefania Mason in una tela di Palma il Giovane in cui l’uomo tiene in mano un disegno (Birmingham, Museum & Art Gallery, Inv. 1961P48, fig. 57)420, è data dalla sua ricca collezione, descritta nell’Idea dell’Architettura universale di Vincenzo Scamozzi (1615). La sua raccolta comprendeva trenta statuette (alcune appartenute a Pietro Bembo), un centinaio di dipinti, tra cui diverse tele di Tiziano e di Giorgione, e disegni e modelli provenienti dalla collezione di Alessandro Vittoria421. Le sue opere sono celebrate anche nella Galeria di Giambattista Marino (1620), nella Carta del Navegar Pitoresco di Marco Boschini (1660) e hanno avuto lo stesso destino delle tele Gonzaga poiché sono acquistate per il re inglese dal marchese Hamilton tramite il cognato Basil Fielding, ambasciatore della corona presso la Serenissima. Più tardi, nella metà del Seicento, gran parte dei dipinti di Bartolomeo dalla Nave è rivenduta a Leopoldo Guglielmo d’Austria che, nel 1660, chiese a David Teniers in Giovane di inciderli nel Theatrum

Pictorium422.

Nella primavera del 1622 Ferdinando Gonzaga si trova a Venezia e visita la sua bottega come riferisce in una lettera il residente Francesco Battaini:

“tutto quello che mi ha ordinato vostra altezza che qui compri è pronto e posdimani l’inviarò a cotesta volta con le robbe haute dal speciale dell’Agnusdei et così altre da messer Bartolomeo della Nave et alcuni libri di musica che mi sono stati portati da certo libraro con dirmi che vostra altezza li aveva pagati dal legatore” (doc. 362).

Di questa frequentazione abbiamo notizia in un testo di Giovanni Antonio Moschetti, il Pulice (Venezia, 1625), dedicato a Bartolomeo, in cui si attesta che

420 S. MASON RINALDI, Palma il Giovane. L’opera completa, Mondadori Electa, Milano 1984, p.

76, n. 30 e L. BOREAN, Ritratti di collezionisti a Venezia tra secondo Cinquecento e prima metà del

Seicento: alcune considerazioni, in “Artibus et historiae”, 68, 2013, 105-119.

421V. SCAMOZZI, Idea dell’Architettura universale, 6 voll., Venezia 1615, libro III, cap. XIX, p.

306.

la sua collezione era frequentata dagli Aldobrandini, i Ludovisi, i Bevilacqua, i principi di Polonia, quelli di Mantova e il principe di Condé423.

Il 25 maggio 1622 il mercante scrive a Mantova di aver procurato alcune delle spezie richieste mentre la “pelle di quell’animale da cui si fa il muschio” sarà fornita da un altro mercante, Daniel Nijs, di cui si tratterà in dettaglio per la vendita della raccolta d’arte mantovana (doc. 365). Dopo alcuni giorni l’ambasciatore dei Gonzaga scrive una lettera in cui segnala che Bartolomeo dalla Nave desiderava sapere in quale bottega il duca Ferdinando avesse visto un’altra spezia, il “cocco del Maldino” (doc. 366). Poco più tardi l’inviato invia alla corte una lista di merci in cui figurano saponi, candelieri di ottone, legni, spezie e cannocchiali forse acquistati nella bottega del mercante (doc. 367).

Con altre lettere il residente invita il duca a scrivere direttamente a Bartolomeo dalla Nave non solo per ringraziarlo dei prodotti inviati ma perché era un uomo molto stimato e amato a Venezia424. Questo il documento di Battaini inviato alla corte il 9 settembre 1622:

“Devo anco di più dirle che un principale mercante qui, chiamato messer Bartolomeo della Nave, molto ben conosciuto da sua altezza, mandò all’altezza sua, poco dopo la sua partenza di qui, certo legno medicinale in una cassetta accompagnandola con una sua lettera per direttiva a sua altezza et hora si dole meco che non solo mai ha hauto sodisfatione per lo legno ma non pur risposta; compete al signor duca di tenersi amici et servitori homini per diversi rispetti. Laudarei però chi non solo li si dasse sodisfattione ma risposta anco alla sua lettera et massime si deve fare con questo tale per essere amato et stimato da molti di questi principali senatori et dalla repubblica stessa” (doc. 372).

Il 6 agosto dello stesso anno l’inviato scrive che il credito di Bartolomeo dalla Nave per la merce venduta è di 153 ducati e 15 grossi (doc. 380) e ne sollecita il

423 Il Pulice di Gio. Antonio Moschetti, Venetia: appresso Euangelista Deuchino, 1625, p. 3. 424 Il 16 luglio Francesco Battaini scrive alla corte di inviare una comunicazione al mercante

Bartolomeo dalla Nave (ASMn, AG, b. 1554, f. I, c. 136). Il 23 e il 30 luglio il residente scrive al segretario ducale Magni per richiedere ancora una lettera della corte per il mercante (ASMn, AG, b. 1554, f. I, c. 140 e 144).

pagamento425. Nel frattempo la corte mantovana invia un nuovo ambasciatore nella città lagunare e il 10 febbraio 1623 è Valerio Crova a segnalare di aver acquistato altre spezie presso la bottega dal mercante (doc. 416).

Nel 1624 l’ingegnere Gabriele Bertazzolo si trova a Venezia per trattare con la Serenissima la costruzione di un canale che doveva permettere la navigazione fino al Po, al Mincio e all’Adige, progetto in cui è coinvolto anche l’ingegnere idraulico Giambattista Aleotti detto l’Argenta426 (1546-1636).

425 Il 13 e il 27 agosto Battaini ricorda al segretario Magni di risolvere la questione di Bartolomeo

dalla Nave (ASMn, AG, b. 1554, f. I, c. 157 e c. 163). Le stesse richieste proseguono il 24 settembre (doc. 388) e il 5 novembre (doc. 393).

426 Giambattista Aleotti (1546-1636) è stato architetto, ingegnere idraulico e militare, cartografo,

scenografo teatrale, cultore di storia e di letteratura, filosofia e musica. Nato ad Argenta, nel ducato di Ferrara, ancor giovinetto entra al servizio di Alfonso II d’Este (1533-1597), come apprendista architetto, sotto la direzione del marchese Cornelio Bentivoglio (1519-1585), Commissario generale del Duca. Appena ventenne, egli dimostra di essere un esperto perito agrimensore e cartografo, essendo in grado di rilevare le piante delle campagne per la bonificazione del Polesine di Ferrara, detta di S. Giovanni Battista, o Grande Bonificazione Ferrarese (1566), affidata ad Antonio Guarini. A 29 anni diventa Architetto ducale prendendo il posto di Galasso Alghisi da Carpi, e coprirà questo ruolo per 22 anni, fino alla morte di Alfonso II nel 1597. Le sue competenze gli procurano anche commissioni fuori dal ducato ferrarese da parte di Alessandro Farnese III duca di Parma. Esegue in questo periodo diversi progetti tra cui la piazza e il palazzo Bentivoglio a Gualtieri (1580), il teatro della Marfisa a Ferrara (1580), palazzo Bentivoglio a Ferrara (1583), i giardini nelle adiacenze del Baluardo di San Benedetto e della Castellina (1583), i giardini di Campogalliano nel Modenese (1597). Degni di nota sono i progetti idraulici urbani, con varie finalità, in cui prevalgono gli aspetti estetici, legati alla magnificenza della corte. Nei giardini vicino al Baluardo di S. Benedetto (1583) progetta fontane, giochi ed artifici e l’innaffiamento, con un acquedotto derivato dal Po di Volano. Nel 1590 confronta il livello del Po di Ferrara con quello della piazza e consiglia il modo di condurvi le acque per costruire pubbliche fontane. Nel 1595 si reca a Venezia dove prende contatto con Ottavio Fabbri, ingegnere della Serenissima, per dirimere una complessa questione di confini fra tre Stati, interessante la terra veneta di Loreo, quella pontificia di Ariano e la Sacca di Goro, che Venezia aspira ad includere nel suo territorio, per immettervi le acque del Po detto delle Fornaci o di Maestra, ed allontanarle così dalle lagune, che contribuiscono ad interrare. Dopo la morte di Alfonso II, l’erede Cesare d’Este (1562-1628), è riconosciuto dall’Impero ma non dal Papa ed è quindi costretto ad abbandonare il feudo pontificio di Ferrara, ritirandosi nel dominio di Modena e Reggio (1598), dove gli Estensi rimarranno ancora due secoli, fino alla rivoluzione francese. L’Argenta si pone dunque al servizio del nuovo Sovrano, il papa Clemente VIII, alle dipendenze

L’inviato dei Gonzaga ha l’occasione di vedere presso Bartolomeo dalla Nave un importante cammeo che è subito messo a confronto con quello più celebre e antico della raccolta Gonzaga. Così scrive il Bertazzolo alla corte il 2 marzo 1624:

“Havendo veduto, con l’occasione di considerare il prezzo d’alcune robbe per un contratto di un amico mio, un cameo della grandezza et forma che nella qui annessa carta vostra signoria illustrissima vedrà quale ho fatto fare acciò sua altezza la vegga perché a me pare che sarebbe buono da accompagnare quel suo tanto celebre et credo che appunto si guardarebbero l’un l’altro s’io non m’inganno. Questo credo si havrebbe per honesto prezzo perché è fatto veramente male a quello havrebbe potuto farlo se fosse stato valente quello che lo scolpì. Egli è quasi tutto piano, parlando della prima testa, onde col restringerla un poco tutto all’intorno et dargli una conveniente rotondità, o come voglian dire, proporzionato rillievo, si avvalorarebbe assaissimo et con tale occasione si raccorcierebbe la punta del naso della prima testa che nel lavorarla con la zappa la dovevano havere guasta, così nel filo del fondo nel rovescio si veggono altri colpi, del resto non è guasto in luogo alcuno e quel poco manco non disdice molto. Ha poi un fondo leonato scuro uguale et bellissimo et il bianco delle teste è bellissimo, macchiato di rosso, come appunto il disegno che ho fatto fare dimostra, et se vorrà sua altezza che gli ne faccia io, un’ impronta giusto di gesso da mandargli glielo farò. Quando sappia che sia cosa alla quale sua altezza habbia inclinatione et vado anco credendo che il fondo uguagliarà col giù et

della Reverenda Camera Apostolica, continuando a svolgere le medesime funzioni, per la provincia ferrarese, fino alla fine nel 1636. Il papa si avvale dell’Aleotti per l’edificazione di una gigantesca Fortezza ai margini della città di Ferrara, circondata dalle acque del canale di Burana. La questione del taglio del Po preteso dai Veneziani si conclude con la loro vittoria nel 1600 e i Ferraresi riescono a stento a modificare alcuni particolari del progetto. Come architetto comunale, Aleotti svolge anche un ruolo decisivo nella complessa questione del Reno, che tanta importanza avrà, per tutto il Seicento ed il Settecento, nell’idraulica italiana. Negli ultimi anni di vita, Aleotti è ancora attivo in vari campi e grazie alla sua conoscenza del territorio e dei problemi idraulici, non cessano gli incarichi ad alto livello. Nel 1632, a 86 anni, Carlo I Gonzaga Nevers, duca di Mantova, gli chiede un parere sul cavo di Melara. Nel corso della sua lunga vita, l’Argenta lavora ad un trattato d’idraulica (con il titolo iniziale Architettura idraulica, poi modificato in Idrologia,

overo scienza et arte dell’acque), che costituisce la sua opera principale e verrà pubblicata molto tempo dopo la sua morte (cfr. M. DI FIDIO-C. GANDOLFI, Idraulici italiani, Fondazione Biblioteca Europea di Informazione e Cultura, Milano 2014, pp. 25-41).

grandezza quello di sua altezza e veramente quando se gli facesse fare la servitù che ho detto non sarebbe immeritevole di stare appresso all’antico di sua altezza et si farebbe presto et con poca spesa, facendo fare pare il modello di cera o di piombo, che quanto alle ruote et artifici, con tutto il banco bisognevole, io l’ho fornito havendo fatto già lavorare in casa altre cose. Questo è in mano hora del signor Bartolo della Nave il quale lo darà per sé solo ovvero quando anco sua altezza volesse che io rimettessi in piedi quel contratto del quale io so che sua altezza m’ha trattato altre volte, circa a quel suo dimante di 18 caratti, con una soma di 18, overo 20 milla scudi appresso, a conto della corte della Ca’ de gli Oppi, n’entrarebbe anche questo cameo per quello si rimanesse d’accordo, ma bisognerebbe che a lui restasse l’obligo di sodisfare il signor Loredano, si come credo anco che fosse l’intentione di sua altezza et quando sua altezza potesse sbrigarsi di quel debito et fare acquisto di quel diamante et di questo cameo a toccare ventimilla scudi, credo non sarebbe partito biasmevole, pure i[o] mi rimetto a quello comandarà sua altezza che tratti: ciò è stato a caso et l’occasione di havere veduto io questo cameo et il pensiero che subbito mi è venuto di accompagnare quello di sua altezza è stato cagione, che di una cosa siamo venuti anco a discusarne dell’altra” (doc. 480).

Bertazzolo si era offerto di intervenire direttamente sull’opera per migliorarne le qualità e il rilievo. La sua attività d’intagliatore, compresa tra i caratteri del tecnico idraulico, è documentata anche in altre lettere. Nell’inventario dei suoi beni, redatto alla morte nel 1626, sono presenti pietre preziose di ogni foggia e misura, tagliate o grezze (corniole, turchesi, granate, diaspri, lapislazzuoli, agate, ametiste). Non mancano neppure gli strumenti di lavoro come i ferri per battere, tagliare e limare, né i trattati come il De re Metallica Libri XXI di Giorgio Agricola, vera e propria guida per la ricerca di minerali preziosi, e il

Mechanicorum di Guidobaldo Del Monte427. Tra i suoi beni tuttavia non compaiono cammei perché l’ingegnere certamente li lavorava, ma non li acquistava a causa del loro alto prezzo.

Bertazzolo mette a confronto il cammeo di Bartolomeo dalla Nave con quello più antico della collezione mantovana che la critica ormai identifica

nell’esemplare con i ritratti di Tolomeo II Filadelfo e di Arsinoe II oggi all’Ermitage di San Pietroburgo428 (Inv. GR12678, fig. 58).

Per comprendere meglio la vicenda di questa pietra è necessario affrontare l’intricata questione dei diversi cammei appartenuti alla famiglia mantovana partendo dalla citazione di un grande esemplare, “fornito d’oro con due teste di rilievo di Cesare et Livia”, appartenuto a Isabella d’Este e descritto nell’inventario Stivini redatto tra il 1540 e il 1542. Questo cammeo è stato riconosciuto di volta in volta dalla critica nell’esemplare di San Pietroburgo oppure in un altro, altrettanto importante, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna (Inv. Lxa 81, fig. 59).

In base alla documentazione è certo che Isabella d’Este non possedette mai la pietra di Vienna, in passato associata alla voce inventariale del 1540-1542. Il suo ingresso nei tesori dei Gonzaga pare invece riconducibile al 1587 quando il duca Vincenzo I Gonzaga è consigliato da due collezionisti veneti, Girolamo Canossa e Mario Bevilacqua, sull’acquisto di un cammeo di eccezionale grandezza definito “antico e di buon maestro, ma in qualche parte modernamente ritoccato” 429. Si tratta della pietra di Vienna riconosciuta anche in una descrizione

428 Una mostra dedicata al cammeo di San Pietroburgo e ai suoi passaggi collezionistici è stata

organizzata a Palazzo Te nel 2009 (cfr. O. CASAZZA (a cura di), Il Cammeo Gonzaga. Arti preziose

alla corte di Mantova, catalogo della mostra (Mantova, Palazzo Te), Skira, Milano 2008). Dell’argomento si è occupato a più riprese Clifford Brown (cfr. C. M. BROWN, The Gonzaga

Cameo, in “The Burlington Magazine”, CXXII, 922, 1980, pp. 69-70; ID., Isabella d’Este

Gonzaga’s Augustus and Livia Cameo and the “Alexander and Olympias” Gems in Vienna and Saint Petersburg, in Engraved Gems. Survivals and Revivals, “Studies in the History of Art”, 54, 1997, pp. 85-107; ID., Ancora sul “Cammeo di Augusto e Livia” di Isabella d’Este. Nuove

considerazioni dopo la mostra “Il Cammeo Gonzaga”, in “Civiltà mantovana”, III serie, anno XLIV, n. 127, 2009, pp. 115-121). Per il periodo in cui il cammeo si trova a Roma cfr. L. PIRZIO BIROLI STEFANELLI, Intorno al “Cammeo Gonzaga. La montatura di Giuseppe Valadier, in “Bollettino dei musei comunali di Roma”, n. s., 22, 2009 (2010), pp. 103-110). Recentemente l’opera è stata esposta ai Musei Vaticani con lo stesso riferimento alla collezione Gonzaga (cfr. E. ARSENTYEVA, Il Cammeo Gonzaga. Passato e presente, in G. CORNINI-C. LEGA (a cura di),

Preziose antichità. Il museo profano al tempo di Pio VI, catalogo della mostra (Musei Vaticani, Sala delle Nozze Aldobrandine), Edizioni Musei Vaticani, Città del Vaticano 2013, pp. 127-134).

fatta dall’erudito Fulvio Orsini che, nell’ottobre del 1586, la segnala ad Alessandro Fernese, definendola per bellezza seconda solo alla celebre Tazza di calcedonio appartenuta a Lorenzo il Magnifico a quell’epoca nella collezione farnesiana. E’ anche noto che la gemma di Vienna era inserita in origine nello

Scrigno dei Re Magi a Colonia, da cui fu asportata nel 1574 per arrivare sul mercato.

La presenza a Mantova di questa pietra è testimoniata da notizie successive contenute in una missiva dell’inizio del XVII secolo scritta da Nicolas- Claude Fabri de Peiresc, esperto conoscitore di glittica in rapporto con Peter Paul Rubens, in cui l’autore descrive con precisione il cammeo del “duca di Mantova”. Pertanto dell’esemplare oggi a Vienna sembra essere possibile ricostruire il percorso senza interruzioni dalla metà del XIII secolo fino al 1668-1669, quando il viaggiatore inglese Edward Brown lo vide nelle collezioni imperiali.

Diversamente la connessione del cammeo di San Pietroburgo con Mantova è meno chiara. La gemma è nel 1653 nelle mani di Raphaël Trichet Du Fresne, consulente artistico di Cristina di Svezia, perché è rappresentata in un dipinto perduto a noi noto attraverso delle stampe. È certo che la pietra faceva già parte della raccolta della regina nel 1648 a seguito del sacco di Praga delle truppe svedesi430. Dalla collezione di Cristina di Svezia, dove rimase fino al momento della sua morte nel 1689, il cammeo di San Pietroburgo passa al cardinale Decio Azzolino, fedele amico della sovrana, e da questi al nipote Pompeo, quindi al duca Livio Odescalchi. Nel 1794 il cammeo è acquistato da papa Pio VI insieme al Gabinetto delle Medaglie di Cristina e rimane a Roma fino all’occupazione della città pontificia da parte dei francesi, quando è portato a Parigi e regalato da Napoleone a Giuseppina Beauharnais, che, a sua volta, lo invia in Russia in dono allo zar Alessandro I nel 1814.

La scoperta di questi documenti inediti dell’Archivio Gonzaga complica la ricostruzione di questa storia perché risulterebbe che, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, almeno due cammei di grandi dimensioni con effigi di regnanti erano nella raccolta mantovana. Nel 1587 i due collezionisti Girolamo Canossa e Mario Bevilacqua, dopo aver presentato la loro pietra al duca Vincenzo

I, affermano che essa poteva stare insieme a quella “d’Augusto e Livia che tiene Vostra Altezza Serenissima”, ancora presente a corte. Nel 1603 una non meglio specificata “pietra con quelle due teste” è richiesta a Vincenzo I da Aderbale Manerbio, suo inviato a Praga, per l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo al quale la gemma viene ceduta.

Pertanto uno dei cammei si trasferisce a Praga ma un altro esemplare di dimensioni importanti è ancora presente a Mantova perché Daniel Nijs, incaricato dal re inglese di acquistare le opere della collezione mantovana, dal 1627 tratta la vendita di un cammeo grande con il mercante Giulio Cesare Zavarelli, prima intermediario della corte e poi segretario ducale di Carlo I Gonzaga Nevers (docc. 708, 712, 737, 739, 743, 751).

Alla luce di questi elementi la critica ha ipotizzato che i cammei di San Pietroburgo e di Vienna siano rispettivamente il primo quello citato nell’inventario Stivini e appartenuto a Isabella d’Este, quindi inviato da Vincenzo I a Praga nel 1603 e poi confluito nelle raccolte di Cristina di Svezia in seguito al Sacco della città nel 1648. Il secondo invece fu acquistato da Vincenzo I nel 1587 e giunse a Vienna per il matrimonio di Eleonora Gonzaga con l’imperatore Ferdinando II d’Asburgo nel 1622431.

Nella complessa identificazione dei passaggi collezionistici di questi cammei si inseriscono ora i documenti inediti di questo carteggio che attestano ancora la presenza a corte, nel 1624, di una grande pietra antica e famosa ma soprattutto l’esistenza di un terzo esemplare di pari grandezza nella collezione veneziana di Bartolomeo dalla Nave.

Un’altra lettera di Gabriele Bertazzolo, datata 9 marzo 1624, conferma l’eccezionalità di questa gemma:

“parlerò al signor Giulio Cesare [Zavarelli] del cameo et con esso lui consultarò il modo di farglilo vedere perché non so se vorrà venire a trattare col signor Bartolo