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Daniel Nijs e la vendita della collezione Gonzaga

libri a Venezia

4. I mercanti di Venezia e i Gonzaga

4.3 Daniel Nijs e la vendita della collezione Gonzaga

Il mercante fiammingo Daniel Nijs (1572-1647), che visse a Venezia per gran parte della sua vita, è noto per la vendita della collezione Gonzaga al re Carlo I Stuart, il più “grande affare d’arte” del XVII secolo, che spostò a Londra il baricentro degli scambi collezionistici europei. Per più di un secolo gli studi di Alessandro Luzio sulla vendita della collezione mantovana hanno trasmesso un’immagine distorta di questo mercante, considerato “insidioso”, “privo di scrupoli” e “patetico”, perché ritenuto responsabile della dispersione delle opere della famiglia con la complicità del diplomatico della corte Alessandro Striggi432.

Christina M. Anderson ha recentemente tracciato un diverso profilo di Daniel Nijs in uno studio monografico nel quale la sua figura è giustamente ricollocata in un contesto internazionale che permette di comprendere le sue relazioni con la comunità calvinista di provenienza, con il mercato veneziano, con la corte inglese e con quella mantovana433. La lettura dei documenti del carteggio veneziano, ora trascritti per intero a differenza degli estratti della pubblicazione di Luzio, consente di cogliere altri aspetti della sua personalità e mette a fuoco i suoi rapporti con gli intermediari della vendita.

Nato in esilio nel 1572 a Wesel in Germania, Nijs è figlio di rifugiati protestanti dei Paesi Bassi meridionali, oggi territorio belga. Nel 1590 circa egli si trasferisce a Venezia per lavorare con i cugini Jacques, Jean e Pierre Gabry, originari di Tournai, che avevano una ditta di commercio internazionale. Quando Pierre Gabry lascia la città per ritornare in Germania, Daniel diventa responsabile

432 In una lettera del Nijs a Lord Dorchester del 2 febbraio 1629 il mercante dichiara di aver fatto

“risolvere” la vendita della galleria al duca Ferdinando prima della sua morte (cfr. LUZIO, La

Galleria cit., p. 54 e pp. 159-161).

433C. M. ANDERSON, The flemish merchant of Venice. Daniel Nijs and the Sale of the Gonzaga Art

Collection, Yale University Press, New Haven and London 2015. Sul mercante cfr. anche FAVARETTO, Arte antica cit., pp. 131-132, p. 155; M. ZORZI, Le collezioni di antichitàcit., pp. 75- 76; M. HOCHMANN, Peintre et commanditaires cit., pp. 217-218; M. VAN GELDER, Acquiring

artistic expertise: the agent Daniel Nijs and his contacts with artists in Venice, in M. KEBLUSEK-V. BADELOCH (a cura di), Double Agents. Cultural and Political Brokerage in Early Modern Europe

(Studies in Medieval and Reformation Traditions), Brill, Leiden 2011, pp. 111-123; C. M. ANDERSON,The art of friendship: Daniel Nijs, Isaac Wake and the sale of the Gonzaga collection,

del ramo veneziano della ditta che ha relazioni in Europa con la comunità dei commercianti fiamminghi.

Come Bartolomeo dalla Nave anche Nijs è definito “honorato mercante” da Vincenzo Scamozzi nell'Idea dell'Architettura Universale del 1615434 ed è ricordato come patrono del letterato bresciano Giulio Cesare Gigli435 (1570ca- 1640ca.) che gli dedica il volume La Pittura Trionfante, pubblicato a Venezia nel 1615 presso Giovanni Alberti, un testo che adotta un criterio di tipo geografico e valorizza la pluralità delle scuole pittoriche dell’Italia centro-settentrionale in aperta polemica con l’impostazione vasariana che privilegia Firenze436. Nell’opera è presente l’unico ritratto noto di Daniel Nijs (fig. 60) inciso da Odoardo Fialetti (1573-1637/1638), un artista bolognese che si era formato con i Carracci e poi era passato a Venezia nella bottega di Jacopo Tintoretto437. L’opera di Gigli sembra segnare una svolta perché è dedicata “Al molto illustre & generosissimo Signore il Signor Daniel Nijs” che doveva essere in quel momento uno dei dominatori della piazza degli affari artistici veneziani, in quegli anni la più attiva del mondo. Il Nijs avrà forse pagato la stampa del volume ma è indicativo che il suo nome, per giunta straniero, abbia sostituito quello di un sovrano o di un patrizio veneziano438.

Per la vendita della collezione mantovana Daniel Nijs ha relazioni importanti con artisti, diplomatici e collezionisti che seguono tutta la trattativa: il musicista inglese Nicholas Lanier (1588-1666), l’artista tedesco Philipp Esengren (1594-1631) detto “il Filippone”, i conti inglesi Thomas Arundel (1585-1646) e Althea Talbot Arundel (1585-1654) e l’ambasciatore inglese Isaac Wake

434SCAMOZZI, L’Idea cit., lib. III, cap. XIX, p. 306.

435M. SPAGNOLO, Appunti per Giulio Cesare Gigli: pittori e poeti nel primo Seicento in “Ricerche

di Storia dell’Arte”, 1996, n. 59, pp. 56-74.

436 Per una rilettura critica del testo cfr. S. GINZBURG-B. AGOSTI (a cura di), La Pittura trionfante di

G. C. Gigli, I Quaderni del Battello Ebbro, Bologna 1996.

437 R. PALLUCCHINI, La Pittura veneziana del Seicento, 2 voll., Electa, Milano 1981, I, p. 78 e pp.

80-81.

438 S. MARINELLI, La pittura emiliana nell’entroterra veneto: l’età barocca in S. MARINELLI-

A.MAZZA, (a cura di), La Pittura emiliana nel Veneto, Banca Popolare di Verona, Banco S. Geminiano e S. Prospero, Modena 1999, pp. 116-140, qui p. 117.

(1580/81-1632). La selezione delle opere appare faticosa sia per la scelta degli oggetti sia per la trattativa economica che dura alcuni anni. Dopo aver iniziato la trattativa con il duca Ferdinando ed aver ottenuto da Vincenzo II una prima lista di opere nel 1627, il mercante sarà tentato nel 1628 da un secondo gruppo di tele che includeva i famosi Trionfi di Cesare di Andrea Mantegna oggi ad Hampton Court. L’acquisto di questo secondo lotto determinerà la sua rovina perché la corona inglese non sarà più in grado di pagare i dipinti e il mercante sarà costretto al fallimento. Lasciata Venezia Nijs si rifugerà in Inghilterra dove, pur tentando di recuperare le perdite, morirà in povertà a Londra nel 1647439.

Il carteggio esaminato conferma il suo importante ruolo in tutta la trattativa e mette in evidenza anche altre figure che prendono parte a questa vicenda. Già prima del 1626 Nijs è in rapporto con il duca Ferdinando per la fornitura di specchi, di pellicce, di vasi, di profumi e vanta un credito di 4.000 ducatoni che vuole recuperare. La prima lettera in cui il mercante è citato è datata 21 maggio 1622 quando Michel Vignen scrive alla corte mantovana che “Daniel Niss fiamengo” sta trattando la vendita di alcuni opali che potrebbero interessare al duca (doc. 361). Nello stesso anno il mercante scrive a Ferdinando Gonzaga un’accorata lettera in cui celebra le virtù del principe e offre alla corte specchi, opali e vasi di lapislazzuli. Egli dichiara di esser giunto in Italia per vivere in pace dopo aver abbandonato le Fiandre, la Francia e la Germania che erano in guerra (doc. 363). Qualche mese più tardi offre al duca anche del muschio (doc. 365) che è inviato a Mantova all’inizio dell’anno seguente (docc. 416, 534, 536 e 541).

Il 30 luglio 1622 il residente Francesco Battaini scrive a Mantova che nella casa del Nijs è presente un agente del Palatinato e che già era stato suo ospite un “agente del Masfeld” (doc. 378). Queste informazioni confermano il ruolo chiave del mercante a Venezia non solo per questioni commerciali ma forse anche per ragioni diplomatiche. Nel gennaio del 1625 Nijs scrive di essere in contatto con due mercanti, Giulio Cesare Zavarelli e Giovanni Battista Nazari, più volte coinvolti nella trattativa della vendita, ai quali versa 1.000 ducatoni (doc. 514)

439 Daniel Nijs per rimettere in sesto le sue finanze propone alla corona inglese nel 1635 un modo

per “pulire la città di Londra”, rifare i condotti e i canali e rendere più vivibile la città per gli abitanti (cfr. M. HOCHMANN, Peintres et commanditaires cit., p. 218).

mentre nel febbraio dello stesso anno invia a Mantova una lettera per presentare il “signor Recourt”, proprietario di un diamante, che desidera barattarlo con alcuni cavalli dei Gonzaga (doc. 519).

Il 2 agosto 1625 il mercante scrive ad Alessandro Striggi per presentare alla corte il suo primo intermediario, Nicholas Lanier440, famoso cantore inglese, liutista e compositore ma anche pittore ed esperto d’arte, erede di un’importante famiglia di musicisti (docc. 552, 553). Il nonno, che aveva lo stesso nome, era stato al servizio di Enrico II d’Inghilterra, aveva avuto rapporti con Robert Cecil, primo conte di Salisbury, e con Dudley Carleton, ambasciatore inglese a Venezia tra il 1610 e il 1615. John Lanier, suo padre, era anch’egli musicista e suonava il sackbut441 mentre la madre era italiana.

Nicholas Lanier fin dal 1610 faceva parte dell’orchestra di liutisti di Carlo I Stuart e nel 1613 aveva composto un’opera per il matrimonio del conte di Somerset442. Nel 1626 aveva ottenuto il titolo di Master of the King's Musick che terrà per lungo tempo anche dopo il Commonwealth e tra il 1625 e il 1628 compie almeno tre viaggi in Italia, soggiornando soprattutto a Venezia, alla ricerca di opere d’arte per il re che lo considerava un connoisseur fidato. Le sue competenze artistiche derivano dai suoi contatti con numerosi collezionisti inglesi e con molti pittori. In Italia Lanier conosce Orazio Gentileschi e vive un’intensa storia d’amore con Artemisia, figlia di Orazio. La critica gli riferisce con certezza un solo dipinto, un Autoritratto oggi alla Facoltà di Musica dell’Università di Oxford, anche se un inventario di York House (1635) riporta sette opere con il suo nome, tra cui ritratti e miniature443. E’ noto invece un bel ritratto dell’artista, eseguito da Antony van Dick intorno al 1628, oggi a Vienna (Kunsthistorisches Museum, Inv GG501, fig. 61).

440 G. J. CALLON, Nicholas Lanier: The complete works, Severinus Press, Hereford (UK) 1994; M. I.

WILSON, Nicholas Lanier. Master of the kings musick, Scolar Press, Aldershot 1994; M. ADINOLFI,

Il ruolo di Nicholas Lanier nell’acquisto della Galleria dei Gonzaga per la Corona britannica, in “Civiltà mantovana”, XXIX (1994), terza serie, pp. 27-33.

441 Antico trombone ideato nel XV secolo probabilmente in Borgogna.

442 Robert Carr (1587-1645), conte di Somerset, favorito di Giacomo I d’Inghilterra. 443WILSON, Nicholas Lanier cit., p. 76.

Durante l’estate del 1625 Nicholas Lanier si reca alla corte di Mantova per omaggiare Ferdinando Gonzaga. Dalla lettera di Nijs non trapela che fosse sua intenzione visionare la collezione ducale ma piuttosto di passare da Mantova per continuare il suo viaggio verso Roma dove voleva acquistare dei dipinti. Isaac Wake, ambasciatore inglese a Venezia, è invece a conoscenza dell’incarico che gli aveva dato il re e per questo lo mette in contatto con Daniel Nijs a Venezia444.

Il mercante fiammingo e il musicista inglese hanno rapporti con i conti Arundel, già committenti di Peter Paul Rubens e grandi esperti di dipinti e di marmi antichi la cui raccolta è oggi dispersa in vari musei445. Dopo aver dichiarato bancarotta del 1631446, Nijs venderà proprio agli Arundel nel 1636 la sua collezione che arriva così in Inghilterra447. La critica ritiene che il conte e la contessa Arundel abbiano avuto un ruolo ben preciso nella vendita delle opere

444 Il segretario di stato inglese, Lord Conway, avvisa Isaac Wake dell’arrivo di Nicholas Lanier a

Venezia con una lettera del 2 giugno 1625 (IVI, pp. 83-85). La lettera è pubblicata anche in ANDERSON, The Flemish Merchant cit., p. 119.

445 La raccolta Arundel è oggi divisa tra i beni dell’attuale duca di Norfolk (erede di Thomas

Howard e proprietario di Arundel Castle) e il conte di Stafford, discendente di Mary, moglie di uno dei figli del conte di Arundel. Altri quadri sono stati dispersi tra vendite e donazioni o sono confluiti in importanti musei americani. La collezione è stata rappresentata in due grandi tele dal pittore olandese Daniel Mytens (1590-1647/48): l’una raffigura i due coniugi seduti davanti alla galleria delle sculture di Arundel House, l’altra i due coniugi dinnanzi ai quadri di loro proprietà (Londra, National Gallery, in deposito ad Arundel Castle). Un terzo ritratto degli Arundel, oggi tra i beni del duca di Norfolk, li rappresenta senza le opere alle spalle (Arundel Castle). L’inventario dell’asta dei loro beni, tenutasi a Stafford House nel 1720, riportava 90 dipinti senza autore, diversi disegni con indicazione dell’artista, sculture, gioielli ed arazzi (cfr. A. CASAREO, “His

house was resplendent with wonderful paintings and fine ancient statues”. Nuova luce sulla collezione Arundel da un inventario inedito, in G. AURIGEMMA (a cura di), Dal Razionalismo al

Rinascimento. Per i quaranta anni di studi di Silvia Danesi Squarzina, Campisano editore, Roma 2011, pp. 378-384).

446 Il documento che dichiara il fallimento della bottega di Nijs è conservato all’Archivio di Stato

di Venezia (ASVe, Atti Notarili, b. 8433, 19 maggio 1631).

447 La raccolta di Daniel Nijs comprendeva circa 80 dipinti, disegni di Albrecht Dürer e di Luca di

Leida, miniature, smalti, pietre intagliate, 40 statue e 80 busti (cfr. I. FAVARETTO, Arte antica e

cultura cit., p. 155-157; C. M. ANDERSON, Daniel Nijs’s cabinet and it sale to Lord Arundel in

Gonzaga perché conoscevano bene la raccolta mantovana attraverso i racconti di Rubens, di Dudley Carleton, ambasciatore inglese a Venezia negli anni di Vincenzo I, e di Inigo Jones che aveva seguito il conte in un viaggio in Italia tra il 1613 e il 1614. Una lettera dell’Archivio Gonzaga del 13 maggio 1580 documenta il passaggio del conte Arundel in Italia che tuttavia non sembra arrivare fino a Mantova448. Nel 1622 la moglie, Althea Talbot, soggiorna invece a Venezia (docc. 352, 353, 382) e un anno più tardi è nella città dei Gonzaga. Nello stesso momento il marito richiede alla corte, attraverso un inviato milanese, il modellino di palazzo Te con la descrizione dettagliata delle opere di pittura e di scultura presenti nelle sale449. La richiesta è motivata dalla volontà di conoscere meglio uno degli edifici più importanti della città con le opere presenti per predisporre le gallerie del loro castello e non per verificare quali dipinti e sculture c’erano nella collezione della famiglia mantovana poiché queste erano allestite in gran parte a Palazzo Ducale450.

Per tornare al ruolo di Nicholas Lanier nel negoziato della vendita, con ogni probabilità egli aveva avuto dal re l’incarico di approvare o di scartare i dipinti scelti da Daniel Nijs il quale, nell’agosto del 1625, ringrazia la corte mantovana per l’accoglienza riservata all’inglese che era partito dalla città “tutto rapito et in estasi” (doc. 559). La presenza di Lanier a Mantova non sembra risolvere tutti i nodi della trattativa poiché nel gennaio del 1626 il mercante Giovanni Battista Nazari informa Alessandro Striggi che Daniel Nijs intende inviare un altro intermediario (doc. 575). Ciò confermerebbe, ancora una volta,

448VENTURINI, Le Collezioni cit., doc. 241.

449 Ottavio Anfizzi da Milano scrive alla corte mantovana il 18 luglio 1623 che il conte Thomas

Arundel desiderava avere ”il modello del palazzo del serenissimo signor duca di Mantova, detto del Tei, ma vorrebbe che fusse fatto con ogni puntualità et per mano di persona inteligente e che mostrasse ogni particolarità con una destinta narazzione delle cose principali ci sono dentro, in materia di scultura e pitura, cioè in camera o sala tale vi è la tale e tal cosa e quando si potesse havere il modello istesso originale sopra il quale fu fatto l'edificio sarà molto più grato. Desidera parimente sua eccellenza il modello di un cortile del palazzo di Mantova di ordine rustico fabricato non è molto tempo con la medema puntualità” (cfr. LUZIO, La Galleria cit., p. 68; PICCINELLI, Il

carteggio tra Milano, doc. 1246).

che il re inglese, pur apprezzando il ruolo del mercante fiammingo, sembra deputare ad altri la decisione finale della scelta delle opere.

Nell’aprile dello stesso anno Nijs comunica che si sta occupando di due “negozi” importanti per il sovrano inglese senza fornire altri dettagli (doc. 590). Il 14 novembre 1626 egli invia le sue condoglianze a Mantova per la morte del duca Ferdinando Gonzaga ed esprime le sue felicitazioni per la nomina di Vincenzo II, col quale riprende la trattativa (doc. 618). Nello stesso momento dichiara che si recherà presto a Mantova per visionare di persona le opere (docc. 620 e 621).

Nel gennaio del 1627 Nijs invia in città un secondo intermediario, Philip Esengren, documentato a Venezia come incisore, pittore, orafo e scrittore tra il 1594 e il 1631451 (doc. 623), che intrattiene col lui un rapporto di fiducia perché gli affida anche l’inventario dei suoi beni452. Dell’artista è stata rintracciata nell’Archivio Gonzaga questa lettera del 2 febbraio 1623 indirizzata a Ferdinando Gonzaga:

“vengo con le presenti a far humilissima riverenza a vostra altezza serenissima con raccordarmele servitore d’incomparabil’affetto et supplicarla di restar servita di favorirmi di quel libretto che le diedi, mentr’era in questa città con quelli ovadini di historiette in bergamina453, essendomi più volte state addimandate da chi me le

diedero da dimostrargliele, siché non aggradendole mi farà gratia di farle consegnare a monsignor Vincenzo Feti che lui me le recapiterà” (doc. 412).

Esengren aveva già incontrato il duca a Venezia e gli aveva consegnato un libro di disegni di cui chiedeva la restituzione attraverso Vincenzo Fetti, fratello di Domenico. Pertanto poteva conoscere la corte e il valore dei capolavori mantovani ed era un ottimo intermediario per il Nijs che gli chiede di riportare due liste di opere (doc. 626). Purtroppo questi due elenchi non sono stati rintracciati pertanto

451 Cfr. la scheda biografica di E. ANTONIAZZI ROSSI in F. PELLEGRINI (a cura di), Da Tintoretto a

Bison. Disegni del Museo d’Arte. Secoli XVI-XVII, catalogo della mostra (Padova, Musei Civici degli Eremitani), Il Poligrafo, Padova 2005, pp. 63-65.

452L. BOREAN, voce Filippo Esengren, in L. BOREAN-S. MASON(a cura di), Il collezionismo d’arte

cit., p. 270.

si può fare riferimento al solo inventario generale dell’eredità di Ferdinando Gonzaga del 1626-1627 che è stato redatto nello stesso momento.

Il 13 marzo 1627 Nijs sembra aver scelto i dipinti da acquistare e invia a Mantova una prima lista con quadri e cristalli affinché la corte possa scrivere i suoi prezzi (doc. 627). Dopo due giorni il mercante invia un’altra nota comprendente l’elenco già inviato e altre opere, ma senza le gioie, i cristalli e i quadri migliori (doc. 628). Al 27 marzo si data un terzo elenco con i prezzi indicati in scudi mantovani.

E’ utile fare un confronto tra le diverse liste di Daniel Nijs per comprendere come egli imposta la trattativa con la corte mantovana in una transazione che non prevedeva la sottoscrizione di vero e proprio contratto: alla prima nota di dipinti, che sono valutati 19.598 scudi, il mercante aggiunge altre opere per un valore di 15.102 scudi che, sommati ad una tela del valore di 300 scudi, porta a un totale complessivo di 35.000 scudi (doc. 629). Insieme a questo denaro Nijs richiede anche il saldo di 4.000 ducatoni per una “palla con ovadi di lapis” venduta alla corte nel 1622 (doc. 363).

In questo primo negoziato sono indicati alcuni dei capolavori della collezione mantovana: i Cesari di Tiziano454, la “Madona granda” o Madonna e il

Bambino con sant’Anna e il Battista, detta La Perla, capolavoro di Raffaello

454 Tra il 1538 e il 1540 Tiziano esegue 11 tele con i ritratti degli Imperatori romani per il

camerino dei Cesari, decorato da Giulio Romano e bottega, nell’appartamento di Troia di Federico II Gonzaga in Palazzo Ducale. Nel 1561 Bernardino Campi aggiunge di sua invenzione il ritratto di Domiziano. La fortuna di questa serie fu tale che lo stesso Campi ne realizzò diverse in Italia (una anche a Sabbioneta), in ambito asburgico e presso la più alta aristocrazia spagnola. Il successo dei Cesari tizianeschi spinse anche i duchi di Mantova ad ordinarne copie ai loro pittori per farne dono a committenti illustri. Ad esempio nel 1574 Fermo Ghisoni ricevette un pagamento per una serie di imperatori destinata al potente ministro regio Antonio Pérez, acquistata poi dall’imperatore Rodolfo II, mentre nel 1585 Teodoro Ghisi ne realizzò almeno una per Ludovico Gonzaga duca di Nevers12 (per la bibliografia più recente cfr. G. SARTORI, La copia dei Cesari di

Tiziano per Sabbioneta, in G. BOCCHI-G. SARTORI (a cura di), La Sala degli Imperatori di Palazzo

Ducale a Sabbioneta, Rotary Caslamaggiore, Viadana, Sabbioneta, Arti Grafiche Castello, Viadana (mantova) 2015, pp. 15-28).

datato tra il 1519 e il 1520455 (Madrid, Museo Nacional del Prado, Inv. P-301, fig. 62), la Madonna con il Bambino tra san Matteo e un angelo, detta Madonna della

scala, di Andrea del Sarto datata 1522 anch’essa al Prado (Inv. P-334, fig. 63)456, una tela con san Girolamo riferita a Giulio Romano non rintracciata457, i due dipinti di Correggio dello Studiolo di Isabella d’Este458, l’Allegoria del Vizio qui indicato come “Marzio e Apollo” (Paris, Musée du Louvre, Inv. 5927, fig. 64) e l’Allegoria della Virtù (Paris, Musée du Louvre, Inv. 5926, fig. 65), un dipinto con Le tre Grazie, Venere e Amore di Guido Reni459, la Parabola dei ciechi di

455 Nell’Inventario Gonzaga del 1626-1627 l’opera, considerata “la perla” della collezione di

Filippo IV di Spagna, è così segnalata: “Un quadro con sopra una Madona, Santa Elisabetta, San Giovanni et Nostro Signore, con ornamento freggiato d'oro, di mano di Rafaele d'Urbino, stimato scuti 200, lire 1200. V” (cfr. LAPENTA-MORSELLI, Le Collezioni Gonzaga. La quadreria cit., pp. 184-186, n. 672). La tela è stata realizzata per Ludovico conte di Canossa, nobile prelato veronese e diplomatico al servizio del papa, e fu acquisita da Vincenzo I Gonzaga all’inizio del Seicento (cfr. T. HENRY-P. JOANNIDES, Late Raphael, catalogo della mostra (Madrid, Prado e Parigi, Louvre), Museo Nacional del Prado, Madrid 2012, n. 50, pp. 200-207).