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1 Biobanche: definizioni e normativa applicabile

Il rapido avanzamento della ricerca e delle tecnologie applicate alla genetica ha portato ad un considerevole aumento di interesse verso le collezioni di materiali biologici umani, oggetto di utilizzi sempre più intensivi nell’ambito della ricerca e della diagnosi medica. Un tempo considerati meri “scarti operatori”, oggi tali campioni sono protagonisti di una “nuova corsa all’oro”1

, poiché contengono informazioni essenziali per la ricerca medica, la comprensione dei processi patologici, la preparazione di nuovi medicinali e l’identificaione di nuove tecniche diagnostiche. Il valore assunto dai campioni biologici ha condotto alla proliferazione di banche di raccolta di tessuti umani sia all’interno dei grandi centri di ricerca che dei piccoli ospedali e alla nascita di società private che offrono servizi di stoccaggio e conservazione di materiali biologici. Ed ancora si è assistito alla creazione di grandi biobanche di popolazione, nelle quali vengono raccolti, catalogati e studiati i materiali biologici di inter-nazioni, banche di DNA ad uso forense e militare, nonché da ultimo banche di cellule staminali cordonali, con le quali si intende assicurare la salute futura dei propri figli.

Le biobanche possono essere considerate archivi o repository costituiti principalmente da librerie, intese come collezioni di contenuto, laddove il contenuto è il materiale biologico prelevato da differenti individui o specie, beni tangibili preziosi per il singolo e la collettività.2 Agganciata al contenuto risiede l’informazione, sottoforma di dati, un bene intangibile ma di inestimabile valore.

Il termine biobank è apparso per la prima volta nella letteratura scientifica a metà degli anni

1 Espressione usata da Matteo Macillotti in un suo articolo, nel quale riprende l’espressione usata da Dorothy Nelkin, nel libro Il mercato del corpo, op. cit. (Matteo Macillotti, Proprietà, informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche, in La Nuova Giur. Civ. Comm., n. 7-8 luglio/agosto 2008, a pag. 222

2 Antonella De Robbio, Biobanche e proprietà intellettuale: commons o caveau? Bibliotime, anno XIII, numero 3 (novembre 2010), reperibile on-line sul sito http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xiii- 3/derobbio.htm

’903 : con esso si individua l’attività di stoccaggio di materiale biologico (organi, tessuti, sangue, cellule e fluidi aventi una quantità di DNA o RNA che consenta analisi di carattere genetico) svolti nei presidi ospedalieri e nelle strutture pubbliche e private; tuttavia, essendosi susseguite, nel corso degli anni, svariate definizioni, traduzioni e spiegazioni, non esiste ancora una definizione condivisa. L’enorme sviluppo della ricerca, soprattutto genetica, ha determinato una proliferazione di raccolte di materiale biologico di diversa natura, immagazzinate in diversi luoghi, con tecniche di conservazione che variano da Stato a Stato e quindi anche con regolamentazioni difformi, non sempre standardizzate.

La prima definizione legislativa è svedese, del 2002 ed è contenuta nella Lag (2002:297) om biobanker i hälso- ochsjukvården m.m. All’art. 2, il legislatore svedese descrive la biobanca come: «biological material from one or several human beings collected and stored indefinitely or for a specified time and whose origin can be traced to the human or humans from whom it originates»4.

Rilevante al fine di individuare una possibile definizione di biobanca è poi il documento di lavoro sui dati genetici prodotto dal Gruppo 29: tale report, facendo proprio quanto elaborato dal gruppo istituito dal governo danese per valutare l’esigenza di nuove proposte di legge in Danimarca, ha descritto la biobanca come «raccolta strutturata di materiale biologico umano accessibile in base a determinati criteri, e in cui le informazioni contenute nel materiale biologico possono essere collegate a una determinata persona»5.

Definizione che riecheggia quella fornita dal Consiglio d’Europa nella Raccomandazione R (94) 1. In questo atto, però, si prevede che la banca di tessuti adotti la forma giuridica dell’«l’organizzazione no-profit ufficialmente riconosciuta dalle autorità sanitarie competenti degli Stati membri»6

Una definizione assai lata ed inevitabilmente generica del concetto di biobanca è stata prima anticipata in via introduttiva. Il nostro Ministero delle attività produttive ha recentemente definito le biobanche quali centri fornitori di servizi per la conservazione, il controllo e l’analisi

3 L’impiego del termine appare all’interno della banca dati mondiale PubMed nel 1996, all’interno dell’articolo di Loft S, Poulsen HE, Cancer risk and Oxidative DNA Damage in Man, J Mol. Med. 1996, 74:297-312 4 Documento proposto nel 2009 dallo Swedish Medical Research Council

5 Art. 29-Gruppo di lavoro per la tutela dei dati personali, Documento di lavoro sui dati genetici, adottato il 17 marzo 2004, pag. 11

6 In essa la definizione che viene data di biobanca è la seguente «un’organizzazione no-profit che deve essere ufficialmente riconosciuta dall’autorità sanitaria competente negli stati membri e che deve garantire il trattamento, la distribuzione e la conservazione del materiale, secondo certi standard di qualità di professionalità»

BIOBANCHE

di cellule viventi, di genomi di organismi e informazioni relative all’ereditarietà e alle funzioni dei sistemi biologici, i quali conservano organismi coltivabili (microrganismi, cellule vegetali, animali e umane), parti replicabili di essi (genomi, plasmidi, virus, DNA), organismi vitali ma no più coltivabili, cellule e tessuti, così come anche banche dati concernenti informazioni molecolari, fisiologiche e strutturali rilevanti per quelle collezioni.7 Sempre il medesimo decreto identifica invece quali «centri di risorse biologiche» (c.d. CRB) le biobanche che hanno chiesto ed ottenuto la certificazione del proprio sistema di gestione per la qualità da parte di un apposito organismo di certificazione.

Laura Palazzani definisce le biobanche “banche della vita”:8 istituzioni o unità operative di servizio, preposte a raccogliere, conservare, gestire e distribuire materiali biologici umani (in particolaree cellule, linee cellulari, tessuti e campioni di tessuti, parti del corpo, DNA e materiale transgenico, prelevati da individui con patologie genetiche (o predisposizioni a patologie genetiche), gruppi di individui affetti da patologie o porattori di patologie (con alta frequenza), popolazioni con carattersitiche genetiche idonee all’individuazione di geni di suscettibilità, per finalità biomediche (di ricerca, diagnosi e terapia). Le biobanche prevedono anche la raccolta di informazioni e l’immagazzinamento dei dati in un elaboratore elettronico. Una distinzione chiara e netta fra biobanche di ricerca, diagnostiche e terapeutiche appare difficile, anche in dottrina vi sono diverse linee di pensiero.

Gottweis e Zatloukal individuano 4 tipi di biobanche di ricerca: «[…] clinical case/control based on biological specimens from patients with specific diseases and from non-doseased controls (e.g. pathology archives); longitudinal population based biobanks that follow a portion of the population over a large period of time (e.g. Estonian and UK Biobank); population isolate biobanks with an homogeneous genetic and environmental setup of the population represented (e.g. the Icelandic Biobank); twin registries with samples from monozygotic and dizygotic twins

(e.g. the GenomEUtwin and the Swedish Twin registry)»9

Paolo Rebulla (et al. ) classificano addirittura 6 tipi di biobanche: «leftover tissue biobanks

7 Con il d.m. (Attività Produttive) del 26.10.2006 si è stabilita la procedura di certificazione dei CRB (Centri di Risorse Biologiche). Tuttavia il d.m. non definisce direttamente quali siano i criteri di certificazione dei CRB rinviando ai «criteri forniti dagli appositi gruppi di studio dell’OCSE e comunicati per l’approvazione all’Ispettorato tecnico dell’industria della Direzione generale dello sviluppo produttivo e competitività del Ministero delle attività produttive»

8 Laura Palazzani, Le biobanche come problema per il biodiritto, in Iustitia 2006, fasc. 1, a pag. 33

9 Herbert Gottweis, K. Zatloukal, Biobank governance: Trends and perspectives, Pathobiology 74(4): 206-211 (2007)

collected during clinical pathology diagnostic procedures; population biobanks; twin biobanks; disease biobanks from patients suffering from a specific condition; organ biobanks; nonhuman biobanks»10

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Ancora, un’ulteriore distinzione per quanto riguarda le biobanche di ricerca, può essere fatta fra biobanche per gli studi sulle popolazioni (focalizzate quindi sullo studio degli sviluppi delle malattie complesse su grandi numeri) e le biobanche di tessuti e dati clinici, a loro volta suddivise in banche di tessuti e banche per le malattie rare.11

Infine, un’ultima classificazione da prendere in considerazione12: le biobanche si differenziano sotto vari profili, tra i quali due sono fondamentali, e cioè il tipo di materiale biologico raccolto e la finalità per cui vengono realizzate. Di conseguenza, una classificazione tipologica delle biobanche deriva dalle fonti da cui provengono i tessuti e organi umani che compongono le "collezioni della biobanca" e precisamente:

- materiale derivato da interventi diagnostici (tra cui screening) o terapeutici (noto anche come surplus di materiale rispetto alle richieste cliniche);

- materiale specificamente donato per un progetto di ricerca e conservato per usi successivi (sangue cordonale, cellule staminali…);

- materiale donato per trapianto e non utilizzato o ritenuto inadatto;

- materiale proveniente da persone decedute e sottoposte ad autopsia.

Sostanzialmente si può tracciare una differenziazione tra biobanche dei tessuti e biobanche genetiche. Le biobanche genetiche attirano l'attenzione del mondo scientifico perché costituiscono una risorsa preziosa proprio in rapporto allo sviluppo delle conoscenze sul genoma umano. In Italia è stato istituito un gruppo di lavoro, nell'ambito della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) e della Fondazione Telethon, che ha elaborato delle Linee guida per la creazione, il mantenimento e l'utilizzo di biobanche genetiche: «Sono definite biobanche genetiche le raccolte di campioni di tessuti e linee cellulari da cui si ottengono acidi nucleici e proteine, che rappresentano un'importante fonte di risorse per la diagnosi e la ricerca da quella di base fino alla sperimentazione di terapie per le malattie genetiche. La peculiarità delle

10 Paolo Rebulla, Lucilla Lecchi, Silvia Giovanelli, barbara Butti, Elena Salvaterra, Biobanking in the year 2007, Transfud Med Hemoterap 2007, 34:286-292 (July, 6 2007)

11 Barbara Parodi, Biobanks: A definition, in Ethics, Law and Governance of Biobanking. National, European and International Approaches, Deborah Mascalzoni Editor, Springer ed. (Dordrecht, Heidelberg, New York, London) 2015

12 Quanto scritto successivamente è una sintesi tratta da Antonella De Robbio: biobanche e proprietà intellettuale. Commons o caveau? Op. cit.

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biobanche genetiche richiede che i campioni conservati siano collegabili ai dati anagrafici, genealogici e clinici relativi ai soggetti da cui deriva il materiale depositato»13.

In relazione al profilo funzionale, invece, si possono individuare tre distinti macro-settori dove collocare le biobanche. I primi due sono rappresentati dalle finalità di ricerca (pura o applicata) e dalle finalità clinico-terapeutiche (trapianti), sia per uso autologo (caveau) che per uso allogenico (commons). Difatti sia le biobanche con finalità di ricerca sia quelle a scopo di trapianto hanno come obiettivo di costituire reti nazionali, europee e internazionali per lo studio e la cura di specifiche malattie su determinate popolazioni, anche a fini preventivi o per l'erogazione di servizi clinico-terapeutici, utili al singolo donatore (o a un membro della sua famiglia) o alla collettività.

Il terzo ambito ha invece finalità di pubblica sicurezza, con scopi di investigazione criminale. Biobanche ad uso forense e militare, che afferiscono ai campi di studio della criminologia, hanno la funzione di ricavare il profilo genetico per la tipizzazione, al fine di comparazione dei profili genetici di soggetti coinvolti in attività criminose. A livello nazionale, per facilitare l'identificazione degli autori dei delitti, a seguito delle novità introdotte dalla Legge 30 giugno 2009, n. 85 è stata istituita, presso il Ministero dell'interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, la banca dati nazionale del DNA, che ha funzioni di banca dati a supporto delle indagini sul terrorismo internazionale e immigrazione clandestina.14

13 Linee guida sulle biobanche genetiche della Società di genetica umana e di Telethon Fondazione Onlus, <http://www.cnrb.it/loghi/telethonlinee%20guida%20biobanche%20genetiche%20.pdf>.

14 Vi è un recente lavoro di tre studiosi dell’Università di Leida, che mette in luce una serie di pre-requisiti utili a un'analisi classificatoria delle biobanche, tra i quali l'adeguatezza del campione in termini di "sufficienza" e di "qualità", l'adeguatezza dell'infrastruttura, il budget per far fronte ai costi di gestione e mantenimento di una risorsa che deve poter essere mantenuta nel tempo, il rispetto dei requisiti legali, etici e di governo che derivano da norme, regolamenti e raccomandazioni. Il lavoro ha consentito di allocare le biobanche nelle seguenti categorie: 'storage', 'bring-and-share', 'catalogue', 'partnership', 'contribution', 'expertise', proponendo un sistema di classificazione che dovrebbe aiutare a comprende meglio le funzioni di una biobanca entro una rete chiusa o aperta, al fine di identificare soluzioni adeguate. Darren Shickle - Marcus Griffin - Karen El-Arifi, Inter-and Intra-Biobank Networks: Classification of Biobanks, "Pathobiology", 77 (2010), p. 181-190, <http://content.karger.com/ProdukteDB/produkte.asp?Doi=292651>. Il lavoro aveva lo scopo di classificare le biobanche, al fine di comprendere meglio i problemi delle biobanca entro la creazione di reti. Sono stati intervistati alcuni ricercatori e dirigenti responsabili di 33 biobanche in 9 paesi.

Il principio di gratuità è stato sancito dall’art. 21 della Convenzione Europea sulla Biomedicina, firmata ad Oviedo nel 1997 (recepita dalla l. 28.3.2001, n. 145. Sul punto si veda Cinzia Piciocchi, La Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina: verso una bioetica europea?, in Dir. pubbl. comp. eur., 2001, III, 1301). Il principio di gratuità è espresso in numerose disposizioni. In particolare cfr. l’art. 7 della Raccomandazione R(2006)4 del Consiglio d’Europa (Disciplina della ricerca condotta suimateriali biologici di origine umana), l’art. 3 della Carta di Nizza, la direttiva n. 04/23/CE (Definizione di norme di qualità e sicurezza per la donazione) nonché la direttiva n. 06/17/CE, di attuazione; la direttiva n. 02/98/CE (Norme di qualità e sicurezza per la raccolta e distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti).

A questo principio si conforma anche l’Autorizzazione del Garante al Trattamento dei Dati Genetici n. 8/2014, op. cit.

Al di là di queste prime definizioni impiegate, le biobanche attendono perciò ancora oggi una specifica regolamentazione legislativa: manca ancora una definizione condivisa di biobanca e prolificano invece le guidelines e altri strumenti non vincolanti.

A livello internazionale le fonti, di carattere generale, sono essenzialmente riconducibili a due istituti: l’Unesco ed il Consiglio d’Europa; di portata più specifica è, invece, la Recommendation on Human Biobanks and Genetic Research Databases (HBGRD) dell’OCSE, che si propone di fornire dei principi-guida per la creazione, governance, gestione, attività, accesso, uso ed eventuale interruzione dei servizi di biobanca e database genetico con fini di ricerca.15 Da segnalare al riguardo, sono anche le Best Practice Guidelines for BRCs (Biological Research Centres) dell’OCSE, le quali si preoccupano sia di fornire una prassi per la raccolta, lo stoccaggio e l’approvvigionamento dei materiali biologici, sia di fissare gli standards qualitativi per i BRC. Trattandosi di strumenti di soft law, essi tuttavia potranno solo fungere da modello per la normativa nazionale e comunitaria, fornendo linue guida e best practices, anche se rappresentano comunque dei documenti importanti ed autorevoli da prendere in considerazione.

Abbiamo la Dichiarazione universale sul genoma umano e dei diritti dell’uomo dell’Unesco del 1997, il cui articolo primo esordisce affermando che «il genoma umano sottende l’unità fondamentale di tutti i membri della famiglia umana, come pure il riconoscimento della loro intrinseca dignità e della loro diversità. In senso simbolico, esso è patrimonio dell’umanità.»16 Questa affermazione è indice del sommo valore riconosciuto al genoma umano, ma ciò ovviamente non esclude la possibilità di fare ricerca in questo settore, del quale le biobanks sono uno strumento fondamentale, che può dimostrarsi utile non solo ai donatori maall’intera società. Tale beneficio è esplicitamente indicato nell’art. 12 della Dichiarazione, ove si proclama che «la libertà della ricerca, necessaria al progresso della conoscenza deriva dalla libertà di pensiero. Le applicazioni della ricerca soprattutto quelle in biologia, genetica e medicina, concernenti il genoma umano, devono tendere ad alleviare la sofferenza ed a migliorare la salute dell’individuo e di tutta l’umanità»17 inoltre, l’art. 2 della Dichiarazione riconosce l’unicità del genoma degli individui, circostanza che rende necessaria la protezione

15 OCSE, Recommendation on Human Biobanks and Genetic Research Databases http://www.oecd.org/dataoecd/41/47/44054609.pdf

16 Unesco, Dichiarazione Universale sul genoma umano e sui diritti dell’uomo, op. cit., art. 1 17 Unesco, Dichiarazione Universale sul genoma umano e sui diritti dell’uomo, op. cit., art. 12

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delle prerogative degli individui, non solo in termini di possibili discriminazioni, ma soprattutto perché tale unicità rende possibile identificare «uno specifico genoma» tra vari campioni di

DNA. Diviene quindi un dovere primario per le biobanks adottare regole, standard e

procedure idonee ad assicurare la segretezza dei dati in esse contenuti.

La Dichiarazione internazionale sui dati genetici umani, sempre dell’Unesco, del 200318 stabilisce che i dati genetici ed i campioni biologici possono essere utilizzati solo se è stato previamente raccolto il consenso libero ed informato dei donatori, maturato senza la prospettazione di guadagni economici e personali. Limitazioni al principio del consenso informato possono essere previste dalle norme nazionali solo nel caso di ragioni eccezionali, secondo quando previsto dalle norme internazionali sui diritti dell’uomo.19

La Convenzione di Oviedo all’art. 4 prevede che ogni intervento nel campo della salute, compresa la ricerca, debba essere effettuata nel rispetto delle norme e degli obblighi professionali. Ogni intervento, secondo il successivo art. 5, può essere eseguito solo dopo che la persona coinvolta abbia concesso il suo consenso libero e informato; al soggetto devono essere previamente tra-smesse informazioni appropriate sullo scopo e la natura dell’intervento, sugli eventuali rischi, sulle sue conseguenze e sulla facoltà di ritirare liberamente il consenso in ogni momento. L’art. 10 della convenzione enuncia il fondamentale diritto di ogni persona di vedere rispettata la propria vita privata allorché si tratti di informazioni relative alla propria salute. Ogni persona inoltre ha il diritto di conoscere ogni informazione raccolta in tale ambito. Tuttavia, viene riconosciuta anche la volontà di un soggetto di non essere informato, sancendo il dovere di rispettarla. La suddetta facoltà si inscrive nel novero di un più ampio diritto all’autodeterminazione informata del cittadino-paziente. Da ultimo, l’art. 11 della convenzione vieta ogni discriminazione basata sul patrimonio genetico di una persona. La raccolta, lo stoccaggio ed i possibili utilizzi dei tessuti umani per la ricercadevono essere preceduti da un

18 Unesco, Dichiarazione internazionale sui dati genetici umani, op. cit.

19 A proposito di consenso, tema che verrà approfondito in questo lavoro nei paragrafi successivi, se prestato riguardo dati genetici o proteomici o materiali biologici raccolti con finalità mediche o di ricerca scientifica, può sempre essere revocato dalla persona interessata, «a meno che tali dati siano irrevocabilmente dissociati da una persona identificabile» (art.9 lett.a). Se così non fosse, tali dati e materiali dovrebbero essere trattati solo previo consenso informato della persona. Se le volontà del soggetto non dovessero risultare praticabili o sicure, dati e materiali andrebbero irrimediabilmente dissociati o distrutti (art.9 lett.c). Al momento del consenso la persona interessata deve essere messa a conoscenza del diritto ad essere informata o meno dei risultati che potrebbero derivare dalla ricerca effettuata sul proprio campione. Tale regola, però, come enunciato all’art.10, non si applica alla «ricerca sui dati irrimediabilmente dissociati da persone identificabili o a dati che portano a risultati univoci riguardo alle persone che hanno partecipato all’esperimento di ricerca». La norma si preoccupa di precisare come il diritto a non essere informati dei risultati della ricerca dovrebbe estendersi ai parenti identificabili che possano risentire delle conseguenze derivanti dalle informazioni

preventivo consenso fornito dal soggetto al quale sono stati prelevati i tessuti. A questo proposito la Convenzione di Oviedo, riferendosi implicitamente alle attività condotte da una biobanca, stabilisce il principio per cui è lecito l’uso e lo stoccaggio di campioni, a condizione che siano fornite adeguate informazioni, che i dati siano raccolti anonimamente, e si sia ottenuto un consenso scritto. Principio cardine riconosciuto a livello internazionale e ripreso dall’art. 21 della convenzione risiede nel divieto di trarre profitto dal corpo o dalle sue parti.20 Si rammenta che la Convenzione di Oviedo non è totalmente efficace nel Nostro Paese: l’Italia ha sottoscritto il trattato ed il Parlamento ed ha adottato lo statuto per l’autorizzazione a tale ratifica, ma il processo formale non è compiutamente realizzato, in quanto manca tutt’oggi il deposito degli strumenti della stessa ratifica presso il Segretariato Generale del Consiglio d’Europa.21

Il Consiglio d’Europa ha affrontato il tema della raccolta di materiale biologico con una Raccomandazione, la R(2006)422: tale Raccomandazione disciplina l’attività di ricerca medico- scientifica condotta attraverso il materiale biologico di origine umana, rimosso e conservato sia ai fini di uno specifico progetto di ricerca, che per fini differenti, ma comunque utile all’attività di ricerca. La disposizione certamente più discussa della Raccomandazione è senz’altro rappresentata dall’art. 10 comma 2 il quale dispone che ai fini dell’utilizzo dei tessuti è

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