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Diritto alla privacy vs privilegio informativo: incidental findings e terzi non estrane

IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA NELL'USO DEL DATO GENETICO IN AMBITO CURATIVO

4. Diritto alla privacy vs privilegio informativo: incidental findings e terzi non estrane

Problema cruciale è anche quello relativo agli incidental findings, termine anglosassone che indica la scoperta non prevista di informazioni (dati, reperti) non cercate e rilevanti per la salute del paziente o di una persona ad esso geneticamente legata, che emergono durante un test condotto per altri scopi (clinici o legati alla ricerca). In virtù della multiproprietà del dato

167 Matteo Galletti, Conoscenza e responsabilità. Alcune implicazioni etiche dei test genetici e medicina personalizzata, op. cit., a pag. 31

genetico, che è condiviso da più generazioni (la famiglia biologica), qualora emergano informazioni importanti ed utili per la salute per i cd. “terzi non estranei”168 è lecito comunicarli? E a quali condizioni? Qui il diritto a sapere / non sapere collide con il diritto alla salute.

Esistono infatti diversi interessi, a volte anche contrapposti: il soggetto cui appartengono i dati genetici (il quale può vantare un diritto a sapere o non sapere le proprie caratteristiche genetiche; i discendenti / consanguinei di questo soggetto (i quali potrebbero avere la pretesa di conoscere determinate informazioni genetiche); la collettività nel suo insieme e la comunità scientifica.

Sembra non vi sia soluzione. L'obbligo di comunicazione dei risultati a persone terze (da parte del medico o dello stesso interessato) rischia di sollevare una duplice violazione di privacy: da un lato la persona che si è sottoposta alle analisi magari è contraria alla divulgazione, dall'altro anche il destinatario terzo può non voler essere coinvolto. Ma la possibilità di tacere sugli esiti potrebbe però violare il diritto alla salute. Pensiamo, ad esempio, ad una situazione ipotetica in cui una donna scopre, in tarda età, di essere afflitta da una rara malattia genetica (ad esempio una forma di Alzheimer precoce ereditario), ha già vissuto parte della sua vita, ed ha anche concepito dei figli, alcuni dei quali hanno quindi ereditato i geni malati: appare chiaro che, se avesse avuto la possibilità di scoprirlo prima magari avrebbe evitato di procreare, oppure sarebbe ricorsa alla fecondazione medicalmente assistita, magari eterologa (se permessa nel suo Paese). Non solo, i suoi figli sono a rischio, ma non è assolutamente certo che siano afflitti dallo stesso male: come comportarsi in casi di questo genere? Potrebbe accadere, un giorno, che gli stessi figli ricorrano ad un Tribunale per vantare la violazione di un diritto a non nascere ed un conseguente danno patito? Qui ad essere violato è il diritto alla salute di un'intera famiglia. La Raccomandazione n. R (92)3 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa relativa ai test genetici ed allo screening genetico per scopi di natura sanitaria raccomanda che «in conformità con la legislazione nazionale, i risultati inattesi possono essere comunicati alla persona sottoposta al test solo se sono di importanza clinica diretta per la sua persona o la sua famiglia. La comunicazione di risultati inattesi ai membri della famiglia della persona interessata

168 «Si utilizza l'espressione “terzi non estranei”, o “terzi non esclusi” per fare riferimento a soggetti membri della linea genetica di un individuo, suoi discendenti o parenti collaterali o componenti della sua famiglia sociale, che hanno pertanto una posizione intermedia tra il soggetto dei cui dati genetici si tratta ed i terzi estranei veri e propri» Lorena Forni, Test genetici predittivi e terzi non estranei, tra autonomia dei soggetti e principio di giustizia, in Patrizia Borsellino, Silvia Salardi (a cura di), Genetica: opportunità, rischi e garanzie, op. cit., a pag. 33

dovrebbe essere autorizzata dalla legge nazionale se il soggetto stesso ne ha dato espresso consenso in caso di grave pericolo per le loro vite»169 In questo caso si ritiene quindi che, qualora l'informazione non abbia una rilevanza clinica (o riveli anche l'esistenza di una patologia per la quale non ci sono possibilità di intervento), non sia il caso di comunicarla ai soggetti coinvolti, né ai familiari biologici né soprattutto al soggetto coinvolto: in tal modo però il principio di autonomia, di sviluppo della libera personalità e di controllo sulle proprie informazioni vengono lesi, lasciando discrezione totale a medici (e ricercatori) che devono stabilire i criteri per definire un dato clinicamente rilevante.

Un soluzione potrebbe essere ulteriore a quella che prevede una preventiva acquisizione di consenso informato in sede di consulenza genetica (che prevede l'avvertimento dell'esistenza della possibilità che, in sede di analisi, possano emergere informazioni “extra”): in tale contesto si potrebbe anche conoscere la volontà del soggetto interessato a coinvolgere o meno i familiari e/o “parenti biologici” (chiedendo perciò un consenso “doppio” ed ulteriore).

Un aspetto non trascurabile del test genetico predittivo è identificato come “effetto trascinamento”. Poniamo caso che un uomo, deceduto a causa di una grave malattia genetica ad insorgenza tardiva, lasci tre figli, di cui uno maggiorenne, con il dubbio di tale ereditarietà: si tratta di una situazione che si verifica nel momento in cui si iniziano delle indagini genetiche a partire da un primo soggetto (che potrebbe essere il maggiore dei tre, il quale esprime una determinata volontà di sapere); il secondi soggetti (i fratelli minorenni) vengono comunque coinvolti dopo l'esecuzione del primo test, a prescindere dal fatto che il genitore rimanente presti o meno il suo consenso, in quanto godono necessariamente di un minor grado di tutela del diritto a non essere informati, proprio a causa del suddetto “effetto trascinamento”, dovuto in parte anche alla caratteristica fondamentale dei dati genetici, che li rende condivisi all'interno della famiglia biologica.170

169 Council of Europe, Reccomendation nr. R (92)3 of the Commitee of Ministers to member States on genetic testing and screening for health care purposes, principio numero 11, reperibile sul sito https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?command=com.instranet.CmdBlobGet&InstranetImage=57388 3&SecMode=1&DocId=601492&Usage=2

170 Saverio Luzzi, Caso n. 4. Test genetici per malattia ad insorgenza tardiva, Il punto di vista medico e deontologico, in Patrizia Funghi, Fausto Giunta, Caterina Paonessa (a cura di), Medicina, Bioetica e diritto. I problemi e la loro dimensione normativa, Ets ed. (Pisa), 2012

In un caso come questo, dal punto di vista bioetico la linea prevalente è quella di condurre le analisi su tutti i membri della famiglia (previo consenso dei genitori nel caso di minorenni) solo nel caso esistano trattamenti preventivi efficaci, mentre, in caso contrario, si ritiene più opportuno rinviare il test ad un'età in cui il soggetto sia in grado di effettuare una valutazione autonoma (per approfondimenti si veda il parere di Monica Toraldo di Francia, nel medesimo caso).

In ambito nazionale, il Codice per la Protezione dei Dati Personali non contiene una disposizione specifica per questa evenienza: è previsto il solo trattamento (e non la comunicazione)171 dei dati sensibili e sanitari senza il consenso della persona cui si riferiscono, qualora sia necessario per la salvaguardia della vita o l'incolumità fisica di un terzo (art. 20, comma I, lett. e); art. 26, comma IV, lett. b); art. 76, comma I, lett. b) del dlgs. 196/03).172

Analizzando la questione più in profondità, occorre distinguere due nozioni: la confidenzialità e la privacy.

Il fatto che i risultati dei test debbano rimanere confidenziali significa innanzitutto che essi possono essere resi noti soltanto al soggetto interessato; su questo concetto non mancano le disposizioni presenti sia nei documenti internazionali sia nei documenti nazionali: la Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina) dedica un intero capitolo (il III) al rispetto della vita privata ed al diritto di informazione, stabilendo che ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata allorché si tratta di informazioni relative alla propria salute, ed ha altresì il diritto di conoscere ogni informazione raccolta sulla propria salute (tuttavia, la volontà di una persona di non essere informata deve essere rispettata).173 Un altro documento molto citato è la Raccomandazione n. R (97) 5 del Comitato dei Ministri agli stati membri relativa alla protezione dei dati sanitari (adottata dal Comitato dei Ministri il 13 febbraio 1997), nella quale si sottoscrive che la nozione di

Dlgs. 196/2003 e dal Documento Test genetici e medicina personalizzata (redatto dal CNB e dal CNBBSV), op. cit., secondo cui «i test che non siano di diretto interesse dei minori devono essere posticipati fino alla maggiore età, quando essi potranno esprimere autonomamente il proprio consenso» (per approfondire si veda il commento di Cinzia Piciocchi, sempre al medesimo caso)

171 Si vedano le definizioni elencate all'art. 4 del dlgs. 196/03: «a) "trattamento", qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati; [...] l) "comunicazione", il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato, dal rappresentante del titolare nel territorio dello Stato, dal responsabile e dagli incaricati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione; [...]»

172 Pare che il problema sia stato risolto, anche se parzialmente, dal legislatore, in relazione però all'esito dei test sull'infezione da HIV. Qualora il test conduca ad una diagnosi di sieropositività, l'art. 5, comma IV della l. 135/1990 prevede espressamente che «la comunicazione di risultati di accertamenti diagnostici diretti o indiretti per infezione da HIV può essere data esclusivamente alla persona cui tali esami sono riferiti». Resta concorde anche il Garante per la Protezione dei Dati Personali, che afferma la validità di tale principio in tutti i suoi provvedimenti e pareri, in ultimis, anche se non esplicitamente, nella rinnovata Autorizzazione al trattamento dei dati inerenti lo stato di salute e la vita sessuale n. 2/2013 (doc web n. 2818529)

173 Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e la dignità dell'essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, op. cit., art. 10

confidenzialità vincola tutti coloro che hanno ricevuto l'informazione con menzione di riservatezza; dunque anche i membri della famiglia ed il medico / consulente genetista se tale è stata la volontà espressa dal comunicante.174

La nozione di confidenzialità si applica bene a quelle informazioni che il paziente ha fornito con sentimento di fiducia al medico (o ad altro operatore sanitario) in confidenza, e cioè con la legittima aspettativa che tali informazioni non siano trasmesse a terzi senza che il paziente ne abbia dato esplicita autorizzazione.

Il rispetto sin dove è possibile del principio di confidenzialità è giustificato dalla bioetica con diverse motivazioni. Può essere considerato come presupposto necessario del rapporto interpersonale paziente - medico, al fine di evitare, con la diffusione di notizie, la perdita della fiducia del paziente verso l’affidabilità del medico. Il mantenimento della confidenzialità può essere considerato come un atto di reciproco rispetto dell’autonomia sia del paziente che del medico, che convergono nell’azione terapeutica con reciproca lealtà e trasparenza. Può altresì essere considerato come rispondente al principio di “non malevolenza” esercitato dal consulente nei riguardi del consultante.

Ciò premesso, vi sono circostanze in cui deve subentrare nel medico il “senso di responsabilità allargato” della propria professione verso la tutela di persone che, a causa dell’informazione connessa ad un singolo paziente, si trovano anch’esse a “rischio” genetico pronunciato di malattia o di danno alla salute, particolarmente grave, ma evitabile se si adottano provvedimenti tempestivi. Allo stesso tempo nel paziente stesso dovrebbe subentrare un sentimento di solidarietà responsabile verso coloro che, inconsapevoli, sono esposti ad un rischio, la cui

174 Raccomandazione R (97) 5 del Comitato del Consiglio dei Ministri agli Stati Membri relativa alla protezione dei dati sanitari, art. 8.2 «L'accesso ai dati sanitari può essere rifiutato, limitato o differito soltanto se la legge lo prevede e: a) se questo costituisce una misura necessaria in una società democratica alla protezione della sicurezza dello stato, alla sicurezza pubblica o alla repressione delle infrazioni penali; o b) se la conoscenza di queste informazioni è suscettibile di causare un pericolo grave alla salute della persona interessata; o c) se l'informazione sulla persona interessata rivela anche informazioni su terzi, o, per quanto riguarda i dati genetici, se queste informazioni sono suscettibili di portare un danno grave a parenti, consanguinei o uterini, o a una persona avente un legame diretto con questa linea genetica; o d)se i dati sono utilizzati per fini statistici o ricerche scientifiche quando non esistano rischi manifesti di pericolo per la vita privata di persone interessate, in particolare per il fatto che i dati non sono utilizzati per decisioni o misure relative ad una persona determinata. Art. 8.4 Scoperte Inattese: La persona sottoposta ad un'analisi genetica dovrà essere informata delle scoperte impreviste se le condizioni seguenti sono soddisfatte: a) il diritto interno non vieta una tale informazione; b) la persona ha fatto richiesta esplicita di questa informazione; c) l'informazione non è suscettibile di causare un danno grave alla salute della persona, ad un parente consanguineo o uterino della persona, ad n membro della sua famiglia sociale o ad una persona avente un legame diretto con la linea genetica della persona, a meno che il diritto interno non preveda garanzie appropriate. Con riserva del comma a) la persona dovrà essere ugualmente essere informata, se queste scoperte rivestono per lei un'importanza terapeutica o preventiva diretta» (reperibile sul sito http://www.privacy.it/CER-97-5.html)

conoscenza potrebbe aprire loro spazi di prevenzione e, dove possibile, di cura. In questo caso il “testato” stesso dovrebbe dare dunque la disponibilità a non ostacolare la trasmissione del dato.

Accanto quindi al concetto di confidenzialità, si pone poi la problematica questione, di natura non solo etica ma anche giuridica, della privacy che si traduce nell'imperativo etico di non rendere noti i risultati dei test ad altri che al soggetto stesso perché altrimenti costui verrebbe esposto al rischio di discriminazioni sia in termini di stipula di contratti amministrativi e di assicurazioni sanitarie, sia di possibilità di accedere ai posti di lavoro.

Nell'ambito della privacy genetica si distinguono due tipi di informazioni: un'informazione genetica primaria (o di I livello), relativo ai dati genetici di partenza ed informazione genetica secondaria, «che consiste nell'assumere e nel vagliare l'insieme di informazioni / dati che, scaturiti dall'indagine genetica sul soggetto direttamente coinvolto, possono interessare soggetti diversi da quello esaminato in partenza»175: tralasciando i due principi bioetici di beneficenza e non maleficenza (secondo i quali, ovviamente, le informazioni genetiche dovrebbero essere estese anche ai terzi non estranei), si ritiene opportuno richiamare anche il principio di giustizia, in quanto molto attinente a questa problematica. Giustizia nelle scelte bioeticamente rilevanti considera eticamente giustificata ogni prassi clinica o assistenziale realizzata in attuazione di una politica sanitaria che garantisca l'accesso degli individui alle cure mediche in condizioni di equità: questa interpretazione, tuttavia, non consente di capire se sia opportuno o meno estendere le informazioni genetiche anche ai terzi non estranei.

Come collegare il tema della giustizia a quello dei terzi non estranei in genetica? Lorena Forni propone un approccio teorico alternativo, confutando le tesi di due illustri filosofi: John Rawls176 ed Amartya Sen177. In particolare, L'Autrice, evidenziando le maggiori critiche che Sen

175 Lorena Forni, Test genetici predittivi e terzi non estranei, op. cit., a pag. 34

176 Secondo John Rawls, in Una teoria della giustizia, nella determinazione delle scelte pubbliche si devono tenere presenti due principi: il primo (principio liberale) è che ogni persona ha un uguale diritto al più ampio sistema di eguali libertà fondamentali, compatibilmente con un simile sistema di libertà per tutti; il secondo (principio di differenza) sostiene che le inuguaglianze economiche e sociali devono essere a) di grande beneficio per gli svantaggiati e b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di uguaglianza (interpretazione di Lorena Forni, Test genetici predittivi e terzi non estranei, op. cit.)

177 Amartaya Sen, L'idea di giustizia, Mondadori ed. (Milano) 2010 critica il pensiero di Rawls, affermando che il modello di giustizia da lui ideato rischia di attribuire al concetto di libertà un ruolo eccessivo. Per dare concretezza all giustizia come equità, Sen ritiene che l'impianto ideologico di Rawls dovrebbe essere rivisto, dando maggiore rilievo alla realtà concreta di partenza da cui si originano le diverse condizioni dei soggetti. «Sen propone un'originale definizione del termine “vantaggi” […] intende la capacità concreta dei dì soggetti di interagire con l'ambiente in modo da modificarlo e di riuscire così a fare “ciò che al soggetto stesso assegna un valore”. […] In un primo senso l'espressione assume il significato di “ciò che vale la pena di fare / essere”. In un secondo senso, Sen ritiene che “assegnare un valore”, vale a dire individuare “ciò che vale la pena fare o

muove a Rawls, sostiene che è possibile prospettare quali scelte appaiano giustificate in situazioni di emergenza, e che l'informazione genetica può essere “allargata” ai terzi non estranei se essi decidono di avvalersi di strumenti predittivi e terapie efficaci: una panoramica dettagliata (quando è possibile) che permetta una pianificazione è infatti considerata determinante in scelte di questo genere.

Quindi, riflettendo sulle condizioni di equità a cui fare riferimento si può in realtà definirle come come quelle condizioni che garantiscono ai soggetti l'effettiva opportunità di scegliere fra varie possibilità in relazione al proprio piano di vita.178

Alla luce della varie considerazioni etico – giuridiche sopra riportate, appare chiaro che la questione della condivisione delle informazioni genetiche è molto complicata: senza dubbio il principio prevalente dovrebbe essere quello dell'autonomia e dell'autodeterminazione del soggetto interessato e coinvolto (e quindi del consenso), magari supportato da una corretta ed

adeguata consulenza genetica affiancata da un parere ad hoc di un comitato etico; in tale modo

verrebbe garantita la tutela della riservatezza della persona cui il dato genetico si riferisce in prima battuta, ma, in via eccezionale, di fronte ad un rischio grave ed evitabile verrebbero considerati anche gli interessi del / dei terzo / i.

essere” sia un altro modo di individuare ciò che è considerato risorsa. […] » (Lorena Forni, Test genetici predittivi e terzi non estranei, op. cit., a pag. 38)

178 «[...] si può pervenire ad una seconda ridefinizione: è eticamente giustificata ogni prassi informativa clinica o assistenziale realizzata in attuazione di una politica sanitaria che consenta l'accesso alle informazioni (sulle) e /o cure mediche in modo che sia garantita ai soggetti l'effettiva opportunità di scegliere tra vari possibili risultati / corsi d'azione in relazione al proprio piano di vita o esistenziale» Lorena Forni, Test genetici predittivi e terzi non estranei, op. cit., a pag. 39

Capitolo 4

IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA NELL'USO DEL

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