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2 Natura giuridica dei campioni biologici, e la doppia proprietà delle biobanche: proprietà fisica e proprietà intellettuale

proprietà sul campione biologico, la tutela della privacy (con riferimento ai dati sensibili e genetici derivanti dai campioni biologici) ed il delicato ruolo del consenso informato al trasferimento dei campioni ed al trattamento delle informazioni in essi contenuti.

2 Natura giuridica dei campioni biologici, e la doppia proprietà delle

biobanche: proprietà fisica e proprietà intellettuale

La natura giuridica dei campioni biologici è una quaestio di non facile soluzione. La parte staccata dal corpo è sì qualcosa che appartiene al soggetto e che contiene le sue informazioni genetiche, ma al contempo è separata dallo stesso: il campione è insieme parte del corpo e supporto informazionale.

Nel nostro Paese la disciplina dei dati genetici oggi ricade nell’ambito delle norme sul trattamento sulla tutela dei dati personali, con il D.Lgs 30 giugno 2003 n. 196, dove si stabilisce che i dati non possano essere conservati in una forma che consente l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo superiore a quello necessario per realizzare gli scopi della ricerca. E i dati possono essere utilizzati solo per le finalità per cui sono stati raccolti64

. Sulla base di queste disposizioni normative vi è da chiedersi se nella libera circolazione debbano includersi le sole informazioni biologiche o anche i tessuti ad esse collegati. Né i

pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato dei Paesi UE, è stata istituita in Italia ACCREDIA, Ente unico nazionale di accreditamento, riconosciuta dallo Stato il 22 dicembre 2009, nata dalla fusione di SINAL e SINCERT come Associazione senza scopo di lucro. Occorre dunque valutare se competa a questo ente accreditare gli organismi di certificazione delle biobanche. In parziale contrasto con il Regolamento Comunatario, tuttavia, il Decreto Ministeriale del 15 maggio 2006, emanato dal Ministero delle Attività produttive, determinando le procedure per l’abilitazione degli Organismi di certificazione dei CRB ed il riconoscimento delle biobanche “Centro di risorse biologiche”, indica il “Ministero delle attività produttive” quale organo al quale far pervenire la richiesta. Ciò non solo con riguardo agli enti di certificazione, ma anche per le stesse biobanche che intendono accreditarsi quali CRB (si veda art. 9 del Decreto). […] Per quanto attiene ai parametri di “riconoscimento”, si sottolinea come il Decreto Ministeriale del 15 maggio 2006 stabilisca che i parametri di certificazione delle biobanche quali CRB devono essere desunti dai criteri forniti dagli appositi gruppi di studio dell’OCSE e comunicati per l’approvazione ad un apposito ufficio (art. 6). Tuttavia non è chiaro se tali parametri siano stati individuati. Inoltre, occorre evidenziare che tali parametri sono utili alla certificazione delle biobanche quali CRB, ma nulla dicono sui parametri che individuano le biobanche stesse. Pertanto pare opportuno procedere all’individuazione ad hoc dei parametri di “riconoscimento” delle biobanche. La tipologia dei parametri di riconoscimento potrebbe essere duplice, da un lato organizzativa e dall’altro qualitativa.» Fra gli organi interni, continua il testo, dovrebbero esserci: un responsabile della biobanca, un responsabile del trattamento dati (ex art. 29 d.lgs. 196/2003), un responsabile della raccolta e della qualità dei campioni. Fra gli organi esterni: un ocmitato etico, un comitato scientifico/di valutazione

64 Codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali per scopi statistici e scientifici, emanato in base all’art.12 dello stesso decreto

trattati né il diritto derivato, infatti, distinguono fra “dato genetico” e “materiale biologico”, e in questo senso non aiuta nemmeno la direttiva CE/44/98 che, disciplinando il brevetto biotecnologico, definisce i «materiali biologici» come materiale contenente informazioni genetiche e sottopone indistintamente alla stessa disciplina l’elemento materiale e l’elemento informazionale.65

Questione irrisolta è la definizione della natura del rapporto giuridico che lega i donatori con i materiali biologici staccati dal corpo. Non vi è accordo tra i giuristi riguardo ai diritti esercitabili dai pazienti che subiscano l’ablazione di tessuti e dai responsabili delle biobanche, ed incerta è l’attribuzione del diritto di proprietà. I campioni biologici asportati a fini diagnostici esprimono l’identità del soggetto a cui appartengono ma non sono riproducibili né funzionalmente autonomi. È opinione di alcuni giuristi che le parti staccate dal corpo acquistino con la separazione, natura di beni mobili disponibili (art. 810 c.c.) nei limiti imposti dall’art.5 c.c. Un’autorevole interpretazione dottrinale sostiene la tesi dell’occupazione, secondo cui le parti staccate del corpo sarebbero equiparabili alle res nullius, beni che non appartengono ad alcuno e perciò disponibili per chiunque ne prenda possesso. Una terza posizione identifica il diritto sulle parti staccate del corpo con il diritto sulle opere dell’ingegno.66

Da ultimo vi è chi ha considerato le parti staccate dal corpo come “frutti naturali”, ossia quei frutti che provengono direttamente dal corpo originario, eventualmente con il concorso dell’opera dell’uomo, in questo caso il chirurgo.67

Il tessuto costituisce il supporto fisico nel quale i dati sono contenuti.

Quando non si conoscevano le potenzialità, le caratteristiche e le capacità informazionali e predittive del genoma, i tessuti umani rappresentavano soltanto un aggregato di molecole. Una volta asportati dal corpo, i tessuti umani non conservavano alcun legame materiale con il corpo di cui erano parte. Il distacco ne sanciva l’autonomia e l’indipendenza rispetto alle vicende che possono interessare il corpo; gli interventi e le ricerche effettuati sui tessuti dopo l’ablazione, non avevano alcuna influenza diretta sulla salute del soggetto che aveva subito l’asportazione del campione.68

65 Sara Lorenzon, La regolamentazione delle biobanche all’incrocio tra diritto dell’Unione e discrezionalità legislativa nazionale: alla ricerca di un punto di equilibrio tra riservatezza e libertà di ricerca scientifica, In Forum Biodiritto 2010 http://www.biodiritto.eu/sito/images/stories/lorenzonforum2010papersito.pdf.

66 Maria Caporale, Tutela della riservatezza e diritti della personalità nella disciplina giuridica delle biobanche. I modelli di consenso informato per la raccolta, conservazione e utilizzazione di campioni biologici a fini di ricerca, in www.biodiritto.org

67 Matteo Macillotti, La disciplina giuridica delle biobanche, op. cit.

BIOBANCHE

op. cit., approfondisce la questione legata agli atti di disposizione del proprio corpo ex art. 5 c.c.: «[…] Il che esclude la rilevanza dell’art. 5 cod. civ. nell’ipotesi in esame, in quanto tale norma regola gli atti di disposizione del proprio corpo inteso nella sua unità, ma perde efficacia quanto il campione diviene altro dal corpo- soggetto. Già prima della formulazione dell’art. 5 cod.civ. regnava concordia in dottrina sul fatto che le parti staccate dal corpo, quando non comportano una diminuzione permanente dell’integrità fisica (come nel caso di tessuti oggetto di ablazione nell’ambito di operazioni chirurgiche o di attività diagnostiche), acquistano a seguito della separazione dal corpo natura di beni mobili disponibili, suscettibili di diventare oggetto di proprietà alla stregua di qualsiasi altro bene. La vexata quaestio ha riguardato semmai il modo dell’acquisto della proprietà dei campioni biologici. È nota la c.d. tesi della separazione propugnata da Carnelutti, in base alla quale si riconosce il diritto di proprietà sulle parti staccate del corpo all’individuo che, prima del distacco, le possedeva naturalmente, in ragione di uno ius in se ipsum. Il diritto di proprietà che ognuno può vantare sul proprio corpo si estende anche alle parti che da esso si separano, le quali, quindi, continuano senza soluzione di continuità a far parte della sfera giuridica patrimoniale del medesimo soggetto. La tesi fu accolta da un giudice di meritonnegli anni ’60, il quale affermò il diritto del paziente ad ottenere la consegna dei pezzi anatomici asportatigli nel corso di un intervento chirurgico, sul rilievo che solo a costui spettasse disporne. Revocando in dubbio l’esistenza di uno jus in se ipsum, la dottrina più recente ha opinato che, a seguito della separazione, le parti corprali, trasformandosi in cose esterne, sono suscettibili di possesso. Sarebbe quindi fondata la presunzione del loro abbandono e legittima la loro appropriazione da parte di chi abbia interesse ad utilizzare tali tessuti, giacché essi «in linea di massima, non offrono alle persone né un interesse di godimento né un interesse di scambio», con la conseguenza che con la separazione tali beni diverrebbero res nullius per derelictio suscettibili di occupazione. La tesi è stata apertamente avversata in giurisprudenza. Nello stabilire che il paziente ha diritto alla riconsegna dei pezzi anatomici separati dal corpo attraverso interventi chirurgici a lui solo spetta la possibilità di disporne, una corte di merito affermò il principio per il quale l’individuo acquista la proprietà della parte distaccata dal suo corpo all’atto del distacco, a meno che, informato della sorte del bene, non accetti volontariamente di abbandonarlo, a pena del risarcimento del danno. Nell’occasione si rilevò che non si può presumere l’abbandono della parte del corpo sulla quale si sia acquisita, in ragione del distacco, la proprietà, quando non è provata la circostanza che la persona dalla quale tali tessuti provengono fosse stata a conoscenza degli ulteriori impieghi a cui tali tessuti sarebbero stati destinati. La decisione si muove sulla scia delle opinioni di quella parte della dottrina che ravvede nel distacco il fatto da cui dipende l’immediato sorgere, a titolo originario, del diritto di proprietà a favore del soggetto dal cui corpo è avvenuta la separazione. Il distacco è classificato tra i fatti suscettibili di far sorgere il diritto di proprietà a titolo originario, rendendo inutile l’atto dell’occupazione. Il diritto in questione sorgerebbe pertanto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che la parte staccata dal corpo umano non passerebbe per la condizione di res nullius. Le parti staccate rientrerebbero, infatti, «in una preesistente sfera giuridica personale» dello stesso soggetto. Originale è senz’altro la tesi di chi traccia un parallelismo tra il diritto sulle parti staccate dal corpo e quello sulle opere dell’ingegno. Come un soggetto è proprietario delle opere del suo ingegno, così l’individuo dovrebbe essere ritenuto titolare del proprio sostrato biologico, secondo un’interpretazione estensiva dell’art. 2576 cod. civ. La parte prelevata è, secondo questa costruzione giuridica, una res originata per creazione, seppur con l’aiuto del chirurgo, da parte del soggetto, che perciò dovrebbe esserne il solo titolare. La tesi, tuttavia, trova un limite proprio nel disposto dall’art. 2576 cod. civ. (e si veda anche l’art. 6 della l. n. 360/1941), il quale prevede che «il titolo originario dell’acquisto (...) è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale». Vi è poi chi, assimilando i frutti naturali alle parti staccate dal corpo, individua un referente normativo per la disciplina giuridica delle parti staccate dal corpo umano negli artt. 820 e 821 cod. civ., estendendo il concetto di fruttificazione. Come si vede le tesi fin qui rapidamente passate in rassegna, anche se differiscono nell’individuare il modo di acquisto della proprietà dei tessuti, sono concordi nel considerare i campioni biologici unicamente come aggregati di molecole e quindi come beni mobili alla stregua di qualsiasi altro bene. Questa visione, tuttavia, è maturata quando i campioni biologici umani, residuati da interventi chirurgici o diagnostici, erano considerati nulla più che scarti operatori e quindi semplici aggregati di molecole. A livello giuridico pertanto l’accento non poteva che ricadere sulla natura materiale del tessuto. Ma con lo sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie di ricerca in ambito genetico i campioni biologici umani tendono sempre più ad identificare una fonte privilegiata ed insostituibile di dati medici e genetici utili allo sviluppo della scienza medica. Sono dati che offrono informazioni decisive sullo stato di salute, l’identità biologica, la predisposizione a contrarre determinate malattie, la paternità del soggetto al quale appartengono. Si tratta, come si è rilevato in dottrina, di strumenti di identità biologica. I dati leggibili nei tessuti mantengono, anche dopo il distacco dei tessuti dal corpo, un’indissolubile relazione con l’identità del corpo originario, in quanto estrinsecano il patrimonio genetico di quella persona. Dal punto di vista informazionale, quindi, il distacco non sancisce l’autonomia completa del campione biologico dal corpo-

A livello giuridico l’accento ricadeva pertanto sulla natura materiale del tessuto. Le conoscenze scientifiche hanno rivoluzionato questa prospettiva, evidenziando le grandi capacità informazionali provenienti dai tessuti.

Dalla dimensione fisica l’accento è passato alla dimensione informazionale: da semplici aggregati di molecole i tessuti vengono considerati primariamente fonte di dati genetici: infatti, i campioni biologici umani iniziano sempre più a costituire una fonte preziosa di informazioni utili non solo per lo sviluppo della ricerca scientifica ma anche della scienza medica. I dati che possono essere ricavati presentano delle caratteristiche peculiari che li rendono diversi dai dati clinici, in quanto forniscono informazioni sulla predisposizione a determinate patologie; sono uguali ed immutabili durante il corso della vita e possono essere ottenuti anche dopo il decesso della persona; sono ereditari e, pertanto, riferibili non solo al singolo, ma all’intera famiglia biologica. Si tratta quindi di veri e propri strumenti di identità biologica.69

I dati leggibili nei tessuti quindi, mantengono, diversamente da quanto accade per i campioni, un’indissolubile relazione con il corpo originario, anche dopo il distacco da esso, in quanto rappresentano e rivelano il patrimonio genetico e biologico di quella persona. Il punto focale della questione è proprio questo: dal punto di vista dell’informazione in sé (informazionale) il distacco non sancisce l’autonomia completa del campione biologico dal corpo-soggetto.

Le biobanche riuniscono una moltitudine di dati sulle persone, che comprendono informazioni sulla salute e sullo stile di vita, fornendo risultati utili agli studi epidemiologici osservazionali sulle popolazioni. Le informazioni sul profilo genetico degli individui possono valere una fortuna, le aziende che offrono test genetici, raccogliendo dati sanitari sensibili, sono infatti sempre più numerose, e la questione è tanto più pressante se si considera che, essendo presenti su internet, queste imprese operano su scala sovranazionale (un ambito quindi estremamente complesso da regolare e controllare) e possono decidere di collocare la loro sede laddove gli sembrerà più conveniente.70

Se i dati non sono separabili dal loro supporto, la questione della tutela della privacy nelle

soggetto, ma soltanto la possibilità di una sua autonoma circolazione […]» (pagg. 225-226)

69 Stefano Rodotà li individua come “corpo elettronico”: «Pezzi di ciascuno di noi sono conservati nelle numerosissime banche dati dove la nostra identità è sezionata e scomposta dove compariamo come consumatori, ora come elettori, debitori, lavoratori e così via […] Siamo distribuiti nel tempo e nello spazio. Ma questa, che per il corpo fisico rimane una soluzione eccezionale, è ormai la condizione essenziale di ogni persona» (Stefano Rodotà, La vita e le regole, Feltrinelli ed. (Milano) 2006, pag. 81)

70 I test genetici: dubbi sulla privacy e potenzialità, Rassegna Stampa a cura della Redazione FGB, 10 marzo 2010, Sito web della Fondazione Giannino Bassetti, http://www.fondazionebassetti.org/it/rassegna/2010/03/i_test_genetici_dubbi_sulla_pr.html

BIOBANCHE

biobanche emerge quindi con forza. Anche se ogni tessuto conservato è una potenziale fonte di informazioni genetiche (DNA), le biobanche genetiche richiedono precauzioni particolari, perché dall'insieme di dati collegati potrebbe emergere un vero e proprio profilo genetico della singola persona, in quanto è universalmente riconosciuta l'unicità del genoma di ogni singolo individuo.71

L'Organizzazione Mondiale della Sanità e l'Organizzazione Genoma Umano sottolineano che l'informazione genetica è “familiare”, in quanto il genoma è patrimonio della famiglia e ne collega le generazioni. Difatti le biobanche genetiche, proprio per lo status del materiale conservato, possono essere utili, oltre che per le attuali generazioni, anche per quelle future; di conseguenza è essenziale che per ogni campione conservato sia mantenuta la possibilità di identificazione. Quindi, poiché il genoma non è proprietà del singolo ma è condiviso nell'ambito della famiglia (ascendenti e discendenti), deve essere regolamentato anche il diritto di accesso alle informazioni ed al campione stesso da parte dei familiari biologici, purché sia a vantaggio della salute del richiedente. Il Protocollo addizionale sulla ricerca biomedica72

si erge a garanzia della dignità e dell'identità degli esseri umani: esso non si applica alla ricerca sugli embrioni sia in vivo che in vitro, prevede il diritto alla riservatezza dei dati personali e l'accessibilità alle informazioni da parte dei soggetti coinvolti nella ricerca biomedica (artt. 25 e 26); inoltre, stabilisce il principio di proporzionalità tra rischi e benefici (i rischi non devono essere sproporzionati rispetto ai benefici), ed afferma anche il principio del controllo multidisciplinare da parte di comitati scientifici ed etici (artt. 7, 8 e 9)

L’informazione derivante dai campioni biologici si struttura su 2 livelli: la dimensione informazionale comprende i dati anagrafici, sanitari, genetici che permettono l’identificazione del titolare, e questi sono i dati personali; l’altr aparte di dati riguarda le carttareistiche fisico- chimiche del campione biologico, che non permettono di rintracciare il titolare. In sintesi: la dimensione materiale plasmata sul diritto di proprietà e la dimensione informazionale espressione della personalità e dell’identità del soggetto.73

71 Come già citato nei paragrafi precedenti, la Dichiarazione Universale sul genoma umano e sui diritti umani dell'UNESCO del 1997, all'art. 1 stabilisce che: «il genoma umano è patrimonio dell'umanità. Esso presuppone la fondamentale unità di tutti i membri della famiglia umana, così come il riconoscimento dell'intrinseca dignità di ognuno dei suoi membri, affermando che il genoma umano è patrimonio dell'umanità e della famiglia».

72 Consiglio d'Europa, 2005, Protocollo addizionale relativo alla ricerca biomedica (STCE No. 195) adottato a Strasburgo il 25 gennaio 2005 ed entrato in vigore il 1 settembre 2007

Nei materiali biologici, infatti, si fondono e si confondono le antinomie soggetto-oggetto e proprietà-privacy. Il legame “bi-fronte” che si instaura tra il soggetto ed i suoi tessuti, in quanto supporto materiale, ed il medesimo soggetto e i dati derivanti dal campione deve essere sussunto, come è stato notato da alcuni autori,74

nella categoria giuridica dell’appartenenza. Se la dimensione materiale (rapporto individuo-tessuto) può essere ricondotta allo schema proprietario, la dimensione informazionale (rapporto individuo-dati) cadrebbe all’interno dei diritti della personalità. Nei diritti della personalità assistiamo alla fictio dell’ipostatizzazione della cosa appartenuta, che, anche dopo il distacco, continua a riferirsi al soggetto.75

La proprietà, però, ha finito con l’incarnare l’unico schema dell’appartenenza ed oggi appare quantomai limitante, non perché sia inadatto in sé a regolare la relazione soggetto-corpo, ma piuttosto perché le possibilità di separazione hanno conquistato terreni sempre più vicini al nucleo della corporeità e, contemporaneamente, si è diffusa in maniera lapalissiana la constatazione che la parte staccata dal corpo costituisca uno strumento di identità biologica.76

Mentre la proprietà tutela l’autonomia del singolo rispetto al bene posseduto, la privacy invece conferisce autonomia al singolo nella gestione dell’identità personale, e gli permette di avere il controllo sulle proprie informazioni. Quindi nel paradigma proprietario la persona e il corpo sono distinti, invece la tutela della privacy presuppone la personificazione del corpo, il quale è visto come un tutt’uno con la persona: se intendiamo il tessuto come aggregato di molecole allora ci si riferirà alla proprietà, se invece consideriamo il tessuto nella sua dimensione informazionale, allora ci si riferirà alla disciplina della privacy.77

A ciò si aggiunge anche la considerazione di un’ulteriore duplice valenza del materiale/dato genetico conservato dalle biobanche: esso può essere utilizzato sia per un interesse diretto del donatore/paziente, sia a scopo più generale di ricerca, in quanto non solo può predire la suscettibilità individuale ad una manifestazione patologica, ma può avere un impatto significativo sull’intero gruppo familiare (doppia valenza pubblica e privata del dato genetico)78

. Come regolamentare quindi queste 2 dimensioni (materiale ed informazionale)?

74 Robert Rao, Property, privacy and the Human Body, Boston Univ. Law Rev., 2000, April80(2):359-460. 75 Paolo Zatti, Il corpo e la nebulosa dell’appartenenza, in Nuova Giur. civ. comm., 2007, II pagg. 1 ss. 76 Idem, Paolo Zatti, op. cit.

77 Così Matteo Macillotti, La natura giuridica dei campioni biologici a scopo di ricerca medica, in Biobanche e informazioni genetiche. Problemi etici e giuridici, Carla Faralli e Matteo Galletti (a cura di), Aracne ed. (Roma) 2011

78 Comitato Nazionale di Bioetica, Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita, Raccolta di campioni biologici a fini di ricerca: consenso informato, 16 febbraio 2009,

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