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La consulenza genetica quale strumento di tutela giuridica per l'individuo

IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA NELL'USO DEL DATO GENETICO IN AMBITO CURATIVO

2. Informativa e consulenza genetica

2.2 La consulenza genetica quale strumento di tutela giuridica per l'individuo

La consulenza genetica è un processo di informazione e comunicazione che precede e segue

89 Si riportano due casi da esempio:

8 giugno 2014, Nato primo bebè sano a cui è stato mappato il DNA, notizie Ansa: in California è nato un bambino il cui DNA è stato sequenziato per intero senza motivazioni mediche, data la buona salute del piccolo, solo per volere del padre, un dottorando di ricerca in genetica. «Adesso che sequenziare il DNA sta divenendo sempre meno costoso, ha commentato diana bianchi, direttore esecutivo del “Mother Infant Research Institute” alla Tufts University, i casi di genitori che vorranno conoscere il genoma dei propri figli o dei feti potrebbero farsi più forti; con non pochi rischi, sostiene: “perché la scoperta di un difetto genetico potrebbe indurre la coppia all'aborto, ma sul DNA non c'è scritto il destino e spesso una persona ha una mutazione ma è sana”»

26 luglio 2014, Fecondazione in vitro selettiva, primo caso in Uk. Biopsia per evitare malattie genetiche, articolo de Il Fatto Quotidiano: «Un nuovo test per selezionare gli embrioni più adatti ad essere impiantati nel grembo di una donna. Un'analisi che prevede una biopsia quando il frutto del concepimento è ancora composto da poche centinaia di cellule […] IL tutto per scongiurare malattie genetiche […] A Londra è stato annunciato il primo caso di successo, almeno in Europa, di fecondazione in vitro selettiva […] Karen Doye, direttrice delle operazioni di “Pre-implantation genetic diagnosis” della clinica che ha effettuato il trattamento, spiega: “Questo è un metodo rivoluzionario e viene valutato caso per caso, in ogni suo aspetto, anche etico. Ma non dimentichiamoci che sono le coppie a cercare questo trattamento e questa selezione, che è assolutamente consentita dalle leggi britanniche”. La tecnica consente ai medici, infatti, di scegliere quegli embrioni liberi da mutazioni genetiche trasmesse dai genitori. […] Però una cosa è certa: ci si avvicina sempre di più a quell'avvenire di “designer babies”, bambini su misura come un vestito dal sarto, [...]»

l'effettuazione di un test genetico: accompagna quindi il soggetto nell'iter diagnostico, prima dell'effettuazione del test (consulenza pre – diagnostica) e dopo il test, al momento della comunicazione del risultato (consulenza post – diagnostica).91

Essa va distinta dal consenso informato: cronologicamente lo precede; inoltre, a differenza del consenso (che consiste, sostanzialmente, in un modulo precompilato da firmare), la consulenza è un vero e proprio colloquio.

L'espressione “genetic counseling”, comunemente tradotta in consulenza genetica, venne

impiegata per la prima volta dalla comunità scientifica nel 194792 (anche se questa espressione fu utilizzata già nel 1945 dal professore Sheldon Reed, che cercò di sostituire il termine “eugenetica” con quello di “consulenza genetica)93, ma la definizione definitiva risale al 197494, per poi essere utilizzata dall'Ad hoc Committee on Genetic Counseling come «processo di comunicazione che concerne i problemi umani legati all'occorrenza, o al rischio di ricorrenza, di una patologia genetica in una famiglia. Questo processo consiste nel tentativo, da parte di uno più professionisti specificamente preparati, di aiutare l'individuo o la famiglia: 1) a comprendere le informazioni mediche che includono le diagnosi, il probabile decorso della malattia e le forme; 2) a valutare il modo in cui l'ereditarietà contribuisce al al verificarsi della malattia ed il rischio di ricorrenza esistente per taluni familiari; 3) a capire tutte le opzioni esistenti nell'affrontare il rischio di malattia; 4) a compiere le scelte che essi riterranno più adeguate, tenuto conto sia del rischio che delle aspirazioni dei familiari, e ad agire coerentemente rispetto alle scelte compiute; 5) a realizzare il maggior adattamento possibile alla malattia del familiare affetto e/o al rischio di ricorrenza della malattia stessa »95.

Nella Dichiarazione Universale sul Genoma ed i Diritti Umani (UNESCO, 1997) la consulenza genetica non viene menzionata96; la si ritrova invece nella Convenzione di Oviedo (1997) all'art.

91 Laura Palazzani, Introduzione, in Laura Palazzani (a cura di), Gen – Ius. La consulenza tra genetica e diritto, Studium ed. (Roma), 2011

92 Si veda Deborah Hellmann, What can makes genetic discrimination exceptional?, in American Journal of Law and Medicine, 2003, n. 29, a pag. 107

93 Paolo Sommaggio, Possibilità e limiti della consulenza genetica, in Laura Palazzani (a cura di), Gen – Ius. La consulenza tra genetica e diritto, op. cit.

94 Si veda Frank Clarke Fraser, Genetic Counseling, in American Journal of Human Genetics, 1974, n. 26, pagg. 639 - 659

95 Ad hoc Committee on Genetic Counseling, Genetic Counseling, American Journal of Human Genetics, 1975, n. 27, pagg. 240 – 242, la traduzione italiana si trova in molte pubblicazioni e recensioni, fra cui anche il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica Test genetici di suscettibilità e medicina personalizzata

96 Verrà inserita dall'UNESCO in un altro documento, nel 2003, La Dichiarazione Internazionale sui Dati Genetici, dove, all'art. 11, il ricorso alla consulenza è considerato eticamente imperativo quando i test potrebbero avere implicazioni significative per la salute della persona; si aggiunge anche che essa deve essere non direttiva, culturalmente adeguata, e rappresentare il migliore interesse per la persona coinvolta

12 (dove si definiscono le tipologie dei test genetici ammessi) che sancisce la consulenza genetica come strumento necessario in sede di somministrazione di test genetici predittivi.97 Nel 2008, nel Protocollo addizionale alla Convenzione sui test genetici utilizzati per scopi sanitari, all'art. 8, rubricato “Information and genetic counseling”, si afferma l'obbligatorietà di una consulenza genetica non–direttiva ed appropriata solo per i test predittivi.98

La non direttività compare, oltre che nella già citata Dichiarazione sui Dati Genetici Umani

dell'UNESCO del 2003, anche al punto n. 9 delle 25 Raccomandazioni concernenti le

implicazioni etiche, giuridiche e sociali dei test genetici predisposte dalla Commissione Europea: la consulenza genetica viene qui prevista soltanto per alcune tipologie di test (quelli predittivi di gravi patologie), e non dovrebbe mai essere di tipo direttivo, infatti l’obiettivo fondamentale di questo tipo di counseling è aiutare i pazienti o le famiglie a capire ed affrontare la patologia genetica, e non a ridurre l’incidenza delle malattie, la decisione finale spetta al diretto interessato.99

La consulenza genetica è altresì un momento di processi decisionali complessi, riguardanti molteplici aspetti legati alla malattia genetica tra i quali particolare rilievo assumono sia le scelte riproduttive in situazioni di rischio, sia la scelta fra conoscere o meno la propria costituzione genetica e quindi il proprio rischio di malattia. «Si tratta di decisioni che, per le loro risonanze profonde, non possono essere delegate ad alcuna figura professionale e richiedono la piena autonomia decisionale, come condizione essenziale perché l'esito di tali scelte, quale esso sia, venga integrato in modo non distruttivo nel mondo psicologico ed etico dell'individuo o della coppia.»100

L'Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OECD) ha adottato nel 2007 le Linee Guida per l'assicurazione di qualità di test di genetica (molecolare): esse contengono una serie di raccomandazioni dirette ai Governi ed alle Autorità coinvolte nella gestione di

97 Inoltre, l'art. 5 della Convenzione stabilisce che la persona interessata deve preventivamente ricevere

un'informazione adeguata in merito allo scopo e alla natura dell'intervento, nonché alle sue conseguenze ed ai suoi rischi; l'art. 10 stabilisce che ogni persona ha diritto a conoscere tutte le informazioni relative alla propria salute e che la sua volontà a non essere informata deve comunque venire rispettata

98 Il documento è reperibile sul sito http://www.conventions.coe.int/Treaty/EN/Treaties/Html/203.htm

99 Paolo Sommaggio, Possibilità e limiti della consulenza genetica, op.cit., aggiunge: «In questo contesto si ritiene imprescindibile la presenza di professionisti specializzati, purtroppo però, non si specifica se la specializzazione attenga la sola parte tecnico – genetica, oppure anche la parte etico – psicologica della consulenza […] Negli altri casi,ove non si tratti di gravi patologie, si ritiene sufficiente che il medico o anche il personale non specializzato possa fornire adeguate risposte circa i test. [...]» (a pag. 67)

100 Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie (CNBB), Linee Guida per i test genetici, op. cit., a pagg. 13-14

servizi genetici. I principi generali stabiliscono che:

«- il consenso informato ai test dovrebbe essere la norma e dovrebbe essere ottenuto secondo gli standard legali, etici e professionali stabiliti;

- il counseling prima e dopo i test dovrebbe essere non solo disponibile, ma anche appropriato e proporzionato alle caratteristiche del test, ai suoi limiti, alla sua potenziale pericolosità ed alla rilevanza del risultato sia per il paziente che per i suoi familiari [...]»101

Anche il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ha avuto modo di occuparsi di consulenza genetica nel parere Orientamenti bioetici per i test genetici: «la consulenza genetica richiede competenze tecnico – scientifiche, etiche e psicologiche, rivolte, da un lato, a permettere scelte libere e responsabili del o dei potenziali fruitori, e dall'altro a garantire, con l'imparzialità dell'informazione, la non direttività da parte del consulente.»102

In base al principio di “non direttività”103 del test genetico e della consulenza genetica, a fronte dell'impatto che talune informazioni genetiche potrebbero avere sugli stili e la pianificazione di vita di ciascun individuo, al genetista / consulente è fatto obbligo di non indurre la persona ad effettuare il test ed a non condizionarne l'autonomia decisionale.104

È utile ricordare le Linee Guida per i test genetici (1998) del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie: «[...] a differenza di altre analisi in uso nella pratica clinica i risultati dei test genetici hanno numerose implicazioni sul piano psicologico, sociale e riproduttivo. Il patrimonio genetico rappresenta infatti un elemento fondante dell'identità personale e familiare. La decifrazione e la circolazione dell'informazione genetica possono assumere, più di altre informazioni biologiche, aspetti di minaccia e violazione del sé oltre che a esporre a potenziali discriminazioni sociali»105. Si riconosce quindi che i test sollevano delicate

101 Organization fo Economic Cooperation and Development (OECD), OECD Guidelines for quality assurance in molecular genetic testing, 2007, reperibile sul sito http://www.oecd.org/dataoecd/43/6/38839788.pdf

102 Comitato Nazionale per la Bioetica, Orientamenti bioetici per test genetici, 19 novembre 1999, reperibile sul sito http://www.governo.it/bioetica/pdf/40.pdf, a pag. 71

103 Nel parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, Orientamenti bioetici per i test genetici, 19 novembre 1999, si legge che «la consulenza genetica richiede competenze tecnico – scientifiche, etiche e psicologiche, rivolte a permettere scelte libere e responsabili del / dei potenziale / potenziali fruitore / i ed a garantire la non direttività da parte del consulente» (reperibile sul sito http://www.governo.it/bioetica/pdf/40.pdf, a pag. 13). In modo analogo, nel parere del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie Linee Guida per i test genetici, 19 maggio 1998, si afferma che «chi gestisce il test, ha l'obbligo di stimolare una decisione autonoma del soggetto e di informarlo del suo pieno diritto di decidere diversamente» (disponibile sul sito http://www.governo.it/biotecnologie/documenti/linee_guida_test_genetici.pdf, a pag. 14)

104 Quindi, la reazione al test genetico non è solo di tipo medico, «nel contesto della consulenza genetica […] non ci troviamo davanti ad un consueto rapporto diagnostico – terapeutico, ma a nuove forme di relazione professionale» (Marina Casini, Claudio Sartea, La consulenza genetica in Italia, op. cit. a pag. 1124)

105 Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie (CNBB), Linee Guida per i test genetici. Rapporto del Gruppo di Lavoro, 19 maggio 1998, reperibile sul sito

questioni etiche, sociali e psicologiche, non solo nella fase che precede la decisione di sottoporsi al test, ma anche in quella che segue alla comunicazione dei risultati; il documento, inoltre, ribadisce l'indelegabilità delle decisioni del professionista sanitario e la piena autonomia decisionale del paziente106 (ed anche qui si rafforza il carattere non direttivo della consulenza). A livello normativo (nazionale) vi sono anche le Linee Guida per le Attività di Genetica Medica che, al punto n. 3.3 recitano: «il test deve essere offerto in modo non direttivo e nell'ambito di una consulenza esauriente, che consenta di conoscere le opinioni dell'interessato. È importante che al soggetto sia garantita la possibilità di prendere una decisione autonoma, sulla base della propria scala di valori. Le persone devono essere consapevoli che un risultato positivo può avere implicazioni per i figli attuali e futuri e per altri consanguinei»107. Il punto n. 2 dell'accordo riconosce infatti che la consulenza genetica è un processo di comunicazione estremamente complesso, e prevede anche l'eventuale partecipazione di figure professionali diverse dal medico o dal genetista (senza però specificare quali potrebbero essere le ulteriori competenze). «Il processo di consulenza genetica si propone di aiutare la persona e la famiglia a: comprendere le informazioni mediche, inclusa la diagnosi (pre e post natale), il probabile decorso della malattia e gli interventi preventivi, terapeutici ed assistenziali disponibili; comprendere la componente genetica della malattia ed il rischio di trasmetterla; comprendere le opzioni disponibili nell'affrontare il rischio di malattia; comprendere le opzioni procreative; affrontare le scelte più appropriate in rapporto al rischio e alle aspirazioni dei familiari, agendo coerentemente nel rispetto delle decisioni prese; realizzare il miglior adattamento possibile alla malattia. Infine, come previsto dalle linee guida nazionali ed internazionali, i test genetici devono essere preceduti dalla consulenza collegata al test, finalizzata a: chiarire il significato, i limiti, l'attendibilità, la specificità del test genetico; acquisire e/o integrare dati sull'albero genealogico, quando questi non siano già forniti; ottenere il consenso all'esecuzione del test»108. Al par. 7 del documento si considera come parte integrante di un test genetico la

http://www.governo.it/biotecnologie/documenti/linee_guida_test_genetici.pdf, a pag. 12

106 «Si tratta di scelte che, per le loro risonanze profonde, non possono essere delegate ad alcuna figura professionale e richiedono la piena autonomia decisionale, come condizione essenziale perché l'esito di tali scelte, quale che sia, venga integrato in modo non distruttivo nel mondo psicologico ed etico dell'individuo o della coppia» (Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie (CNBB), Linee Guida per i test genetici. Rapporto del Gruppo di Lavoro, 19 maggio 1998, op. cit., a pag. 31)

107 Accordo del 15 luglio 2004 tra Ministero della Salute, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, Linee Guida per le Attività di Genetica Medica, op. cit., punto n. 3.3

108 Accordo del 15 luglio 2004 tra Ministero della Salute, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, Linee Guida per le Attività di Genetica Medica, op. cit., punto n. 2

comunicazione, l'interpretazione del risultato e la riflessione relativa alle sue possibili implicazioni: il consenso informato al test, infatti, rappresenta un momento cruciale nell'iter di comunicazione attraverso un vero e proprio dialogo, che avviene in modo completo, obiettivo e non direttivo, ponendo perciò il consulente ed il paziente su un piano di parità, senza alcuna gerarchia (non è più il rapporto ordinario fra medico ed assistito). «La persona che necessita il test, o i suoi familiari, non devono essere forzati o influenzati, in alcun modo, a prendere una specifica decisione. Il rispetto dell'autonomia del soggetto deve essere assoluto. Questo implica la necessità di disporre di informazioni aggiornate ed esaurienti e di essere liberi da costrizioni esterne. La persona alla quale viene offerto il test deve sapere che la sua accettazione è volontaria e che, qualunque sia la sua decisione, non sarà messo in discussione il suo diritto ad essere assistito nel migliore dei modi. […] Se chi offre il test ha difficoltà a discuterne in modo esauriente ed obiettivo, sia perché non sufficientemente convinto dell'importanza del processo di consulenza, oppure perché non sufficientemente informato sul test, o ancora per mancanza di tempo, deve indirizzare la persona a chi, nell'ambito della struttura, è in grado di soddisfare questa esigenza in modo adeguato»109.

Una recente ulteriore definizione (citata nel paragrafo precedente) si ritrova anche nell'Autorizzazione generale al trattamento dei dati genetici rilasciante dal Garante privacy (AG/14).

Laura Palazzani110 sostiene che vi sono diversi modelli di consulenza genetica nell'ambito delle diverse concezioni etiche. Secondo la bioetica liberale–libertaria111, che pone al centro il principio di autonomia ed autodeterminazione individuale, e la bioetica utilitarista112, basata sul principio del calcolo costi/benefici (e massimizzazione benefici/minimizzazione costi), la consulenza genetica si configura come un'informazione meramente tecnica che il medico

109 Accordo del 15 luglio 2004 tra Ministero della Salute, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, Linee Guida per le Attività di Genetica Medica, op. cit., punto n. 7. Paolo Sommaggio, Possibilità e limiti della consulenza genetica, op. cit., afferma che quest'ultimo riferimento appare di notevole importanza per comprendere quali siano i punti principali della consulenza: emerge infatti, dal tenore del documento, il timore di un conflitto di interessi; sembra inoltre che, chi ha stilato il documento, tema che la figura del medico non sia il soggetto più indicato per fornire una consulenza genetica, questo spiegherebbe la possibilità di nuove ed ulteriori figure a quelle del professionista sanitario (di formazione filosofica o psicologica)

110 Laura Palazzani, Modelli bioetici a confronto, Laura Palazzani (a cura di), Gen – Ius. La consulenza tra genetica e diritto, Studium ed. (Roma), 2011, pagg. 91 - 103

111 In questo filone l'Autrice colloca Nikolas Agar, Liberal Eugenics, in Helga Kuhse, Peter Singer, Bioethics, Blackwell (London), 2000; Hugo Tristam Engelhardt, Manuale di bioetica, Il Saggiatore ed. (Milano), 1999 112 Qui Laura Palazzani cita Peter Singer, Ripensare la vita. La vecchia morale non serve più, Il Saggiatore

(Milano), 1996; John Harris, Wonderwoman e Superman. Manipolazione genetica e futuro dell'uomo, Baldini & Castoldi (Milano), 1997

fornisce al soggetto che intende effettuare un test, presentando tutte le possibili alternative in modo descrittivo e neutrale, senza condizionare né orientare il soggetto stesso: tale modello si inquadra perciò nell'ambito di una medicina contrattualista, dove il rapporto medico–paziente è simmetrico. Secondo invece la bioetica che difende la dignità umana e che riconosce la salute come bene oggettivo dell'uomo113, la consulenza consiste in un'alleanza terapeutica, dove l'informazione non è solo descrizione dei fatti, ma anche indicazione di consigli finalizzata a stimolare e sollecitare il paziente ad una presa di coscienza e ad un'elaborazione ragionata dei problemi.

Nell'ambito dei test pre–natali la consulenza è assai problematica. Secondo il filone liberale– libertario essa è ritenuta una prassi legittima, non essendo l'embrione ed il feto ancora soggetti di diritti in quanto dipendenti dalla madre: pertanto, se la donna accetta, mediante consenso informato, sono ammesse sia la diagnosi pre-impianto e post-impianto, sia l'interruzione di gravidanza, nel caso in cui il feto abbia malformazioni incurabili o forti difetti fisici114. L'utilitarismo ritiene che le tecniche (sia pre– sia post-impianto) si debbano applicare, in quanto l'embrione non è considerato soggetto di interessi ed il feto, nella misura in cui avesse patologie genetiche o fisiche che lo potrebbero condizionare, non avrebbe quindi una vita degna di essere vissuta: la consulenza post-diagnostica avrebbe quindi la funzione di informare sullo stato di salute del nascituro e di proporre l'aborto come “prevenzione” alla malattia.115 Secondo il modello relazionale (che pone al centro la dignità umana) la diagnosi genetica pre-impianto è considerata illecita (a causa della sperimentalità delle tecniche), quella post-impianto è considerata lecita a certe condizioni: la consulenza ha quindi il compito di comunicare esaustivamente i rischi ed i benefici di ogni intervento, rispettando la libertà morale del paziente (anzi, in questo caso della coppia).

Per quanto riguarda i test post-natali, la consulenza genetica si distingue a seconda che sia rivolta

113 Jürgen Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi di un'eugenetica liberale, Einaudi ed. (Torino), 2002 114 «In questa prospettiva, si configura una sorta di “dovere di abortire” della madre, e correlativamente, di “diritto

a non nascere” del feto, con la possibilità, per il feto divenuto adulto, e portatore di disabilità o handicap, di chiamare in causa il medico e i genitori per averlo fatto nascere, accusandoli di danno da procreazione per una wrongful life e wrongful birth» (Laura Palazzani, Modelli bioetici a confronto, op. cit. a pag. 95)

115 «Il modello liber-libertario e quello utilitarista sono suscettibili di alcune considerazioni critiche. Emerge il rischio che tale modello di consulenza possa portare ad una concezione di indifferenza etica rispetto alle possibili scelte, legittimando implicitamente una differenza fra vite degne e vite indegne. È il rischio del “pendio scivoloso”: se riteniamo che alcuni individui non meritino di nascere in quanto malati, prevedibilmente disabili e portatori di handicap, […] per le stesse ragioni non si dovrebbero ritenere meritevoli di rispetto, ma anche di assistenza e sostegno sociale, le cd. “vite marginali” di individui colpiti da malattie invalidanti o con gravi menomazioni fisiche» (Laura Palazzani, Modelli bioetici a confronto, op. cit., pag. 96)

ad adulti, a minori o a incapaci.116 Qui l'utente deve essere consapevole che il test può portare alla conoscenza di informazioni non richieste (i cd. incidental findings, di cui se ne parlerà nei paragrafi successivi): nel caso in cui il paziente esprima la sua volontà di non conoscere alcuni elementi, il medico deve rispettare tale richiesta. Come è ben noto, però, i dati genetici sono condivisi fra più persone, perciò il problema emerge nel caso di possibile “danno” ad altri: la bioetica liberale ritiene che la scelta di non sapere costituisce un limite per il diritto a sapere degli altri, e perciò può subire restrizioni da valutare caso per caso; secondo il modello

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