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3 Peculiarità del consenso informato per l'uso e la conservazione dei campioni biologici destinati alla ricerca scientifica

Il consenso informato da parte dei soggetti che partecipano ad una ricerca medica per l’uso attuale e futuro dei loro campioni biologici è considerato, come già affermato più volte, un requisito indiscusso e necessario da tutti gli ordinamenti giuridici.93

Il trattamento del materiale biologico è consentito se viene acquisito il consenso libero ed informato, espresso in forma scritta, dopo che il medico/operatore ha chiarito ed indicato l’obiettivo della ricerca, le metodologie impiegate, la durata, i benefici attesi, gli eventuali obblighi, i rischi, le scoperte inattese (cd. incidental findings, se ne parlerà nei capitoli successivi del seguente lavoro) che potrebbero derivare dall’analisi dei campioni.94

Per quanto attiene al consenso informato occorre rilevare come per un paziente che affronta un intervento chirurgico da cui potranno derivare biomateriali utilizzabili anche in ambito di ricerca, esso si articoli in due fasi che è bene tenere tra loro distinte, in quanto caratterizzate da problematiche differenti. Vi è il consenso informato all’asportazione chirurgica del tessuto e il consenso alla conservazione e all’utilizzo del materiale biologico per scopi di ricerca.

Nel caso delle biobanche genetiche, il consenso informato al prelievo deve essere esteso alla conservazione e ad un suo eventuale uso, a scopo di diagnosi e/o di ricerca. Riguardo a questo aspetto, anche se non riferito esplicitamente alle biobanche, la Convenzione Europea di Oviedo stabilisce la liceità di utilizzare campioni conservati purché siano fornite informazioni adeguate, sia garantito l’anonimato e sia ottenuto un consenso scritto. Pertanto, il prelievo di un campione biologico deve essere preceduto da un colloquio durante il quale vengono fornite, in modo semplice e comprensibile, le informazioni necessarie affinché l’interessato possa raggiungere decisioni consapevoli, esenti da qualunque pressione e manipolazione. Inoltre la persona, se lo richiede, deve essere lasciata libera di rivolgersi ad altri consulenti, non coinvolti nella ricerca, per chiarire dubbi e acquisire ulteriori dati.95

93 Nell’ambito della sperimentazione umana nella pratica clinica, il principio del consenso volontario è riconosciuto quale requisito essenziale già dal Codice di Norimberga (1946), dalla Dichiarazione di Helsinki (1964 e successive elaborazioni), dalla Carta di Nizza (art. 3), dalla Costituzione Italiana (artt. 13 e 32 comma2) e dal Codice Privacy (art. 81), opp. citt.

94 E Ferioli, M Picozzi, La conservazione del materiale biologico finalizzato alla ricerca scientifica: questioni giuridiche e riflessioni etiche sulle biobanche, in Med. e Mor., LXI, 4, pagg. 553-584

95 Nel caso di consenso informato di gruppo per studi di popolazione, nel documento SIGU e Telethon, Linee Guida biobanche genetiche, op. cit., si afferma che «Se una popolazione diviene oggetto di ricerca genetica si ritiene che il consenso debba essere richiesto e sottoscritto dalla singola persona e non a livello di gruppo. Le

BIOBANCHE

Appare chiaro che il principio del consenso informato, operante nel campo del biobanking96

, presenta un duplice profilo.

Il primo profilo rinvia al concetto tradizionale di consenso informato, e quindi specifico, attuale (here and now), consapevole, libero e volontario, in modo da assicurare il diritto all’autodeterminazione della persona.97

Per portare un esempio, si consideri il Biobanks in Medical Care Act, entrato in vigore in Svezia il 1 gennaio 2003: dopo aver stabilito in via generale che «tissue samples may not collected and preserved in a biobank without informing the donor of that intention and about the purposes(s) for which the biobank may be used, and

autorità locali (civili, sanitarie, religiose) e il comitato dibioetica, che autorizza il progetto, devono farsi garanti della correttezza e della trasparenza delle informazioni relative alle finalità scientifiche della ricerca, allo sviluppo del programma, alle ricadute positive per il singolo e per la popolazione. Inoltre deve essere tutelata, senza alcuna forma di pressione, la libertà del singolo di rifiutare la partecipazione allo studio»

96 Interessante l’analisi, reperibile on-line, sull’ ipotesi sulla natura giuridica del consenso informato nel contesto delle biobanche di ricerca: «In prima battuta si potrebbe supporre che il consenso del paziente perfezioni un negozio atipico ad effetti reali (ex art. 1376 c.c.) avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del campione, od eventualmente la costituzione o il trasferimento di un diritto reale minore alla biobanca. Si tratterebbe, in linea generale, di una prestazione di cosa futura (ex art. 1348 c.c.), dato che il tessuto da destinarsi alla ricerca verrà ad esistenza solo in seguito agli accertamenti clinici volti a comprovare la buona riuscita di un intervento chirurgico: in sostanza, potrà essere stoccato nella biobanca esclusivamente il surplus eccedente il materiale necessario allo studio anatomo-patologico. Naturalmente tale passaggio e tale alea verrebbero superate qualora il consenso venisse prestato in seguito all’operazione chirurgica ed all’eventuale disponibilità del materiale residuo. Quest’impostazione, in ogni caso, muoverebbe dall’assunto per cui i campioni biologici sono da considerarsi quali res, oggetto di un’obbligazione deducibile in contratto.

Sempre nella stessa ottica, si potrebbe avanzare anche l’ipotesi della donazione (ex art. 769 c.c.), anche se sarebbe difficile vedere nella cessione del campione un depauperamento delle condizioni del donante: il paziente, infatti, avrebbe dovuto in ogni caso sottoporsi all’intervento chirurgico previsto per asportare, ad esempio, una neoplasia e lo scarto operatorio smaltito regolarmente come rifiuto speciale. A tale fattispecie di consenso, che vincola l’utilizzo del campione agli scopi di ricerca che sono stati illustrati al paziente, potrebbe sovrapporsi l’istituto della donazione modale, quale particolare forma di donazione gravata da un onere. Oppure ancora, se considerassimo i campioni biologici umani come frutti naturali (ex art. 820 c.c.) potremmo fare riferimento alla disciplina della donazione di beni futuri (ex art. 771 c.c.).

Infine, se escludessimo a priori che i tessuti umani da destinare alla ricerca possano costituire oggetto di diritti di proprietà, allora il consenso perfezionerebbe un negozio con effetti obbligatori: la biobanca, dunque, destinerebbe il campione secondo l’uso concordato nell’informativa, che integrerebbe un regolamento negoziale. La questione, però, posta in questi termini è comunque monoprospettica e tiene in considerazione soltanto il campione dal punto di vista materiale. Il paziente, tuttavia, con la cessione del campione conferisce non solo la possibilità di effettuare attività di ricerca sul campione in quanto bene materiale, ma anche la facoltà di trattare i dati di carattere personale derivanti dal campione. Dunque, il consenso alla cessione dei materiali biologici è uno strumento complesso che oltre a trasferire una res sembra offrire alla biobanca la possibilità di trattare i suddetti dati»

97 A livello internazionale, il più volte citato Protocollo Addizionale alla Convenzione di Oviedo sulla ricerca biomedica richiede un «informed, free, express, specific and documented consent of the person» (art. 14); la Raccomandazione (2006)4 del Consiglio d’Europa, all’art. 10 comma 2 richiede che informazione e consenso per l’ottenimento di materiali biologici per la ricerca siano «as specific as possible with regard to any foreseen research uses and the choices available in that respect»; la Direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio autorizza un superamento del divieto di trattamento di dati sensibili nei casi in cui sia prestato uno specifico consenso (art. 8); la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea prevede infine che «i dati personali devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate ed in base al consenso della persona interessata» (autore sconosciuto, lavoro reperibile sul sito http://images.to.camcom.it/f/PatLib/13/13513_CCIAATO_28112011.pdf)

obtaining his or her consent»98

, la Section 5 chiarisce poi che ogni utilizzo ulteriore rispetto al quello originariamente previsto deve essere esplicitamente autorizzato (fresh consent).

Il consenso di cui si parla è dunque espressione del diritto del soggetto di autodeterminarsi in relazione a scelte suscettibili di avere effetto sulla propria salute, così come sancito dal secondo comma dell’art.32 della Carta Costituzionale.99

Per quanto concerne il secondo profilo, invece, esso si discosta dal principio di autonomia, includendo un’approvazione, “ora per allora”, now for then, per il campionamento e la conservazione del materiale biologico in vista di un numero indeterminato di ricerche future. Qui perciò si tratta di conservare ed utilizzare un bene che, a seguito di un’operazione chirurgica (consentita da un indipendente atto autorizzativo), ha acquisito una sua autonomia rispetto al corpo (e dunque alla persona) dal quale proviene, tanto che l’attività di stoccaggio e le attività condotte sul campione non hanno alcuna influenza diretta sulla salute del paziente. Ed è proprio sulla base di quest’ultimo profilo che il consenso risulta collegato all’esigenza di tutela la privacy degli individui donatori e della loro parentela genetica: ecco che si ripropone nuovamente il problema di stabilire se il consenso prestato dal paziente alla conservazione dei campioni biologici nella biobanca (a scopo di ricerca medica) trasferisca contestualmente a quest’ultima anche la loro proprietà o se conferisca soltanto un mero diritto di utilizzo sui tessuti vincolato al consenso prestato. Ragionando in tal modo, coloro che cedono i campioni, ovvero i pazienti, non hanno alcuna possibilità di mettere a frutto i materiali biologici conservati nelle biobanche, non essendo dotati delle conoscenze e degli strumenti tecnici per sfruttarne le caratteristiche biologiche. Un godimento indiretto potrà eventualmente rivenire a costoro solo nella forma di benefici per la propria salute, a condizione, beninteso, che i ricercatori abbiano potuto sfruttare la possibilità di ricavare dai campioni i dati da cui trarre tali benefici. Inoltre, attribuire la proprietà dei tessuti raccolti nelle biobanche ai donatori serba il rischio di produrre effetti deleteri sull’integrità delle biobanche e di conseguenza sull’efficienza della ricerca medica. Disponendo della proprietà dei tessuti, i pazienti hanno la facoltà di chiederne la distruzione in qualsiasi momento, limitando la possibilità che i ricercatori possano beneficiare di raccolte aggregate stabili di campioni e di poter eseguire studi comparati. Neppure allocare la

98 Ministry of Health and Social Affairs, Sweden, Biobanks in Medical Care Act, 2002, Chapter 3, Section 1, http://vavnad.se/files/live/sites/Biobanken/files/biobanksverige/9.%20Documetns%20in%20English/Biobanks% 20in%20medical%20care%20act%20%282002-297%29.pdf

99 Ed incontra ovviamente i tradizionali limiti posti dall’art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume

BIOBANCHE

proprietà dei campioni biologici ai ricercatori sembra una scelta ottimale: i ricercatori, diversamente dai pazienti, sono in grado di trarre utilità dai tessuti, in quanto hanno le capacità tecniche per sfruttare le caratteristiche biologiche del materiale e ricavarne preziosi dati. “L’incontro” tra il tessuto e i ricercatori genera informazioni indispensabili per sviluppo della scienza medica e di conseguenza alla salute dell’intera collettività. Tuttavia, lasciare ad essi la gestione esclusiva dei tessuti innescherebbe un palese conflitto di interessi, ove a costoro fosse attribuito il compito di assicurare il rispetto della riservatezza sulle informazioni inerenti ai tessuti oggetto delle loro ricerche. Si verificherebbe una sorta di confusione tra il controllante ed il controllato, non essendovi alcuna scissione tra la dimensione materiale e quella informazionale del campione biologico. Inoltre, ove si attribuisse all’istituzione di ricerca la proprietà dei tessuti conservati nella biobanca, ogni singolo ente potrebbe impedire l’utilizzo del materiale biologico a ricercatori esterni non facenti parte del gruppo di ricerca al quale l’ente appartiene. Le potenzialità di ogni tessuto risulterebbero gravemente ridotte, col contestuale rischio di creare dannose rivalità tra gli istituti di ricerca per la proprietà dei campioni biologici. Alla luce di queste considerazioni, la via da seguire sembra essere quella di considerare i campioni biologici alla luce della categoria economica dei «commons». In questa prospettiva i tessuti non apparterrebbero né agli individui che hanno subito l’ablazione, né ai ricercatori che utilizzano i tessuti, per diventare patrimonio dell’intera comunità. Il campione biologico da bene strettamente personale, a servizio dell’individuo, diviene con il distacco ed il consenso del proprietario-paziente un bene posto al servizio della collettività.100

Ecco che quindi si parla di consenso doppio: here and now and now for then (ora per allora). Problema del consenso ora per allora: come sapere cosa succederà in futuro e quali studi potranno essere fatti su quei dati/materiali? Come è possibile chiedere un consenso attuale che però tuteli l'interessato anche per il futuro?

Quali diritti spettano al corpo biotecnologico? Quale «alterazione, manipolazione, trasformazione del corpo si atale da fare dei materiali umani dei costrutti bioartificiali (bioartificial constructs), prodotti bioingegnerizzari (bioengineered products), invenzioni biologiche (biological inventions) brevettabili»101

?

La caratteristica più rilevante delle biobanche è che i campioni biologici ed i dati correlati

100 Riflessioni di Matteo Macillotti, Proprietà, informazione, disciplina ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca, op. cit., pagg. 231-232

101 Mariachiara Tallacchini, Bodyright. Corpo biotecnologico e diritto, in Biblioteca delle libertà, 1998, n. 147, pag. 37

vengono raccolti e stoccati per un uso ripetuto nel tempo e (probabilmente) per diverse finalità variabili a seconda delle situazioni che si possono sviluppare via via: quando si procede a tali reccolte è impossibile prevedere quali tipi di ricerca potrebbero essere necessari, e, diconseguenza, informare precisamente il soggetto interessato.102

La Human Genetics

Commission, nel 2002, si è espressa su questo problema: un modello di consenso specifico ed informato, se, da un lato, sembra proteggere le esigenze di tutela del singolo e la sua autonomia, garantendo puntuali informazioni circa gli scopi, la natura, il significato e le implicazioni della ricerca, dall’altro rischia di frustrarle103

, in particolar modo le ricerche cd. open-ended tipiche delle biobanche104

.

Nel caso di uso di dati anonimizzati, il consenso informato non sarebbe necessario, poiché il donatore i cui dati personali sono stati eliminati non può intervenire né opporsi in alcun modo, dal momento che la sua identità è stata cancellata.105

Nel caso di campioni personalizzati o pseudonimizzati, invece, sarebbe necessario ottenere il consenso nel caso in cui vi sia un mutamento delle finalità della ricerca, vi dovrebbe quindi essere la possibilità di cambiare la propria decisione ogniqualvolta risulti necessario. Tuttavia, va rilevato che negli ultimi anni si è diffusa l’organizzazione di network di biobanche (in rete quindi), con la conseguenza che non tutti i dati trasferiti verso l’esterno “viaggiano” solo previo consenso.106

102 Francesca Poggi scrive anche che le biobanche svuoterebbero di significato il principio del consenso informato (Francesca Poggi, Diritto e bioetica. Le questioni fondamentali, Carrocci ed. (Roma) 2013

103 UK Human Genetics Commission, Inside Information. Balancing interests in the use of personal genetic data, London, 2002, reperibile sul sito www.hgc.gov.uk/insideinformation. «[…]The difficulties involving in tracing and securing re-consent for different forms of medical research may make obtaining fresh consent impratctical and would seriously limit the usefulness of large-scale population database». Si vedano anche Elena Salvaterra, Lucia Lecchi, Silvia Giovanelli, et al., Banking together. A unified model of informed consent in biobanking, in EMBO Reports, Vol. 9, no. 4, 2008

104 Molto spesso, infatti, le biobanche non vengono costituite per il perseguimento di una soecifica finalità, ma si evolvono gradualmente sulla base dei risultati ottenuti

105 Al tempo stesso, tuttavia, l’anonimizzazione dei dati è stata implicitamente intesa come perdita, da parte del soggetto coinvolto, di qualsivoglia interesse, e conseguentemente esigenza di controllo, sui propri materiali e informazioni, per il carattere di impersonalità acquisito da campioni e dati anonimizzati. E il venire meno dell’interesse è stato infine associato alla volontà di abbandono dei materiali, che possono essere liberamente acquisiti come res nullius da coloro che sono capaci di trasformarli in entità scientificamente ed economicamente rilevanti. Si è così creato un sottile ma chiaro collegamento tra identificabilità del soggetto e potere di controllo sui materiali biologici (cfr. Mariachiara Tallacchini, Biobanche ed il social networking genomico, op. cit.)

106 Condividere le informazioni genetiche tra ricercatori è fondamentale per i progressi della ricerca biomedica, tuttavia presenta anche molti rischi per la sicurezza. Anche le grandi banche dati genetiche sono infatti a rischio di attacchi hacker, come hanno verificato due ricercatori dell'università di Stanford sulle pagine dell'American Journal of Human Genetics. Suyash Shringarpure e Carlos Bustamante hanno utilizzato una tecnica di pirateria informatica per dimostrare che esistono delle falle nella sicurezza delle banche dati genetiche. Vale a dire che, se finissero nelle mani sbagliate, le informazioni sulle condizioni di salute potrebbero essere oggetto di furti e ricatti. Ad esempio, se qualcuno riuscisse ad avere accesso al genoma di una persona potrebbe verificare se è presente nei database delle persone con determinate malattie.

BIOBANCHE

Si aggiunge un altro problema: un’anonimizzazione completa non permetterebbe di ricontattare il donare in caso di incidental findings, andando quindi a ledere il suo diritto alla salute.

Per fronteggiare tali questioni, sono state elaborate diverse tipologie di consenso informato, che rispondono a due diverse impostazioni teoriche.107

Secondo la prima, il donatore mantiene sui campioni prelevati un potere di controllo ed ogni intervento successivo al distacco del materiale necessita del suo consenso. Secondo un diverso orientamento, l’individuo rinuncia alla tutela dei dati personali sin dalla donazione del materiale biologico; egli accetta quindi che i suoi dati personali siano inseriti in un database, i cui usi non sono prevedibili.

Ecco che allora vi sono diverse varianti di consenso informato:108

a) il consenso specifico (specific o fully restricted): il campione biologico può essere utilizzato solo per la ricerca cui la donazione è finalizzata, salva la possibilità di ricontattare il donatore in caso di nuova ricerca. Questo tipo di consenso protegge senza dubbio l’autonomia dell’interessato, ma al tempo stesso rischi di ostacolare la possibilità di attingere ai materiali conservati;109

b) il consenso ristretto (narrow o multilayered consent): possono essere condotte nuove ricerche purché il loro scopo sia identico a quello per il quale era stato prestato il consenso;

c) il consenso ampio (broad consent). Secondo questo modello i campioni biologici

Gli autori della ricerca stanno adesso stanno collaborando con gli investigatori della Global Alliance for Genomics and Health, una rete di dati genetici che consente ai ricercatori di cercare varianti genetiche tra i vari database per studiare malattie rare e trovare altri gruppi di studiosi con cui collaborare. L'obiettivo è individuare strategie di prevenzione. Una soluzione adottata dal database, chiamato Beacon project, è quella di 'de-identificare' i genomi dei singoli individui, in modo che i nomi e altre informazioni identificative non siano collegati al genoma. Ma anche così, i ricercatori hanno calcolato che qualcuno in possesso del genoma di un individuo potrebbe localizzarlo nel database. In un server con il genoma di mille persone 5.000 domande permettono di identificare una persona. Ci sono però alcune misure preventive che si possono adottare, conclude lo studio, come unire i set di dati per rendere più difficile l'identificazione della loro fonte, proibire ai ricercatori anonimi di fare richieste, richiedere l'approvazione dell'utente, e limitare l'accesso per una piccola parte del genoma. (articolo tratto dal sito

http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/biotech/2015/10/29/banche-dati-genetiche-a-rischio-attacchi- hacker_6965fe2e-6647-4601-a217-4a0e6198565c.html- 29 ottobre 2015)

107 Sintetizzate da Sara Azzini, Biobanche, consenso e fonti del diritto: un caso di eccezionale disordine? In La disciplina delle biobanche a fini terapeutici di ricerca, Carlo Casonato, Cinzia Piciocchi, Paolo Veronesi (a cura di), Forum Biodiritto 2012

108 Essi sono definiti dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa sull’uso di materiali biologici umani per finalità di ricerca biomedica (Council of Europe, Reccomendation R(06) Of the Committee ofMinisters to Member States on research on biological materials of human origin, 15 march, 2006)

109 Esso corrisponde, in sostanza, al rapporto che lega medico e paziente, ed è ribadito in numerosi documenti quali la Convenzione di Oviedo, la Direttiva 95/467CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, etc. Queste regole sono state tradotte, come già ribadito, nel contesto Biobancks in Medical Care Act in Svezia nel 2003

possono essere legittimamente utilizzati per ricerche e progetti non specificati al momento del rilascio del consenso. Spesso tale tipologia viene criticata in quanto favorirebbe gli interessid ella ricerca a discapito dell’autodeterminazione del soggetto;110

d) il consenso presupposto (blanket consent): il campione biologico prelevato viene immesso nella biobanche per un tempo indefinito e scopi indeterminati, salva la possibilità per il donatore di esprimere volontà contraria al mantenimento dei dati;111

e) il consenso aperto (open consent): qualora si associno i dati genetici a quelli personali, il donatore deve essere pienamente consapevole che i dati possano essere noti, condivisi e

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