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Capitolo 5 – Salute, malattia e cronicità: fra sociologia e

5.3 La malattia cronica

5.3.3 Biografie e identità

Negli anni Settanta dello scorso secolo, Strauss e i suoi colleghi hanno avviato un filone di studi atto ad indagare le ripercussioni delle malattie croniche sulle identità delle persone affette. In particolare hanno mostrato come i malati cronici si trovino costretti a lottare con quello che Strauss ha definito “identità estesa”, ovvero l’identità che gli altri attribuiscono alla persona in funzione della sua malattia, mentre i malati cronici hanno una percezione di se stessi molto più ampia in quanto, oltre a essere malati cronici sono genitori, figli, amici, professionisti e così via.

La maggior parte degli studi sociologici sulla cronicità si è interessato alla dirompente irruzione della malattia cronica nelle persone e ne hanno studiato le conseguenze a livello biografico e identitario. Di fondamentale impatto negli studi sulla malattia cronica risulta essere la pubblicazione di

184 un articolo nel 1982 Michael Bury206. L’articolo verte su una serie di interviste semi-strutturate ad alcuni pazienti del nord-ovest dell’Inghilterra, colpiti da artrite reumatoide. Il suo scopo era quello di concentrarsi sulle persone con una malattia ad uno stadio iniziale, per comprendere quali fossero i principali problemi e cambiamenti nelle relazioni e nella vita quotidiana, causati dallo sviluppo della malattia.

Bury, rimprovera all’approccio interazionista, che fino a quel momento aveva avuto il monopolio sullo studio sulla malattia cronica di essere eccessivamente descrittivo e non sufficientemente teoricocentrico. In questo articolo, l’autore ha inteso dimostrare come la malattia cronica costituisca uno dei principali tipi di esperienza distruttiva.

La mia tesi è che la malattia, e soprattutto la malattia cronica, sia quel tipo di esperienza dove le strutture della vita quotidiana e le forme di conoscenza che le corroborano, vengono distrutte. La malattia cronica comporta una ricognizione dei mondi del dolore e della sofferenza, perfino della morte, che normalmente sono

visti solo come possibilità distanti o la piaga degli altri207.

Bury definisce la malattia cronica una “rottura biografica” (biographical

disruption) che scompone in tre livelli: la distruzione dei comportamenti e

degli assunti dati per scontati, che induce a fare particolare attenzione agli stati del corpo e a ricercare aiuto; la rottura dei sistemi esplicativi normalmente usati dalle persone, che porta a ripensare la propria biografia e la concezione di sé; la reazione alla rottura porta alla mobilitazione di risorse per affrontare la situazione alterata dalla malattia.

206 M. Bury, Chronic Illness as Biographical Disruption, Sociology of Health and Illness,

vol. 4, n. 2, pp. 167-182, 1982.

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185 Gli individui colpiti da questo genere di patologie sono posti di fronte alla distruzione delle normali regole di reciprocità che erano presenti nella famiglia, ma anche nei legami sociali in generale, vedendosi diventare sempre più dipendenti dagli altri. L’autore afferma che il cambiamento biografico porta al passaggio dalla traiettoria percepita come normale, verso una che è completamente fuori dalla norma e profondamente nociva: scompare la relazione tra la realtà interna e quella esterna208.

In un saggio pubblicato successivamente, Bury insiste sull’importanza del contesto sociale e sostiene che “la nozione di biografia suggerisce che, nella malattia cronica, il senso e il contesto non possono essere separati”. Il contesto di cui parla l’autore è costituito ad esempio dalle politiche sociali, dalle associazioni di patologia, dalle associazioni di assistenza e dai mezzi di comunicazione. Secondo l’autore la malattia cronica ha due sfumature di significato diverse: in prima istanza il suo senso (meaning) è legato alle conseguenze che porta alla persona, dai sintomi dolorosi che permeano tutta la sua vita quotidiana alla loro gestione e alla ricerca di aiuto per farne fronte; successivamente il senso di malattia cronica può essere letto in termini di significato (significance), diverse condizioni portano infatti a differenti connotazioni di essa. Queste possono avere una grande influenza sull’autostima delle persone e su come credono che gli altri li percepiscano.209. Bury sostiene che la malattia cronica crea una situazione di “significati a rischio”: le persone testano in continuazione il senso che viene attribuito alla loro situazione di malattia in contrapposizione con l’esperienza quotidiana che realmente vivono. Il rischio risiede nel fatto che le persone non possono essere certe che le loro percezioni saranno condivise dagli altri, sia nelle relazioni informali sia con i professionisti.

Nel 1987 Corbin e Strauss introducono il concetto di lavoro biografico: secondo gli autori, coloro che sono affetti da una malattia cronica devono

208 Ibidem, p. 171 209

186 confrontarsi con la necessità di effettuare un lavoro biografico, come detto in precedenza al fine di affrontare l’inedita situazione provocata dall’insorgenza della patologia. Al fine di comprendere tale concetto, è necessario riconoscere che la biografia di ciascuno si compone di tre dimensioni principali, la cui combinazione garantisce struttura e continuità ad ogni biografia: il tempo biografico, la concezione di sé e le concezioni

del corpo. Il tempo biografico è rappresentato dal tempo passato, presente e

futuro e dalla concezioni personali del tempo e dall’uso del tempo in rapporto alle attività legate alla malattia. Le concezioni del corpo rappresentano il corpo come un intermediario attraverso il quale sono elaborate le concezioni del sé, le concezioni del sé, invece, integrano i diversi aspetti si sé che si sono formati attraverso il corpo e in risposta al corpo. “Quando questa catena biografica è interrotta dall’irizzino della

malattia cronica – ciò che Bury analizza in termini di rottura biografica- ciascuna delle tre componenti della biografia viene a vacillare a causa del fallimento del corpo. “Riattaccare i pezzi” è ciò che Corbin e Strauss

chiamano “lavoro biografico”.”210

In linea con l’ottica interazionista troviamo poi il lavoro di Charmaz, la quale si interessa in particolare delle ripercussioni delle malattie croniche sull’identità delle persone che ne sono colpite.

Il dolore fisico, lo stress psicologico e gli effetti delle procedure mediche causano sofferenza al malato cronico. In ogni caso, una visione del dolore limitata alla prospettiva medica e quindi definita unicamente come un problema fisico, ignora o minimizza il più vasto significato della sofferenza sperimentata dagli adulti debilitati dalla malattia. La natura di tale sofferenza, io

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sostengo, è la perdita del sé percepita da molte persone

colpite da una malattia cronica.211

Secondo l’approccio interazionista, la natura del self è sociale e relazionale: secondo l’autrice, quindi, la malattia è insieme perdita del sé (loss of self) e occasione di nuove definizioni del sé, in quanto la malattia cronica porta il malato a riflettere sul senso della propria vita e provoca così l’emergere di nuove sfaccettature della sua identità212.

Le persone affette da malattia cronica, fanno spesso esperienza della frantumazione delle immagini che avevano di sé prima della malattia senza riuscire a svilupparne di nuove. Possono così emergere problematiche capaci di andare dalla perdita delle funzioni produttive, crisi e difficoltà economiche, fino alla tensione in famiglia o alla stigmatizzazione. L’autrice pone l’accento, nel suo studio, che la malattia porta con sé una diminuzione della capacità di controllo sulla propria vita e sul proprio futuro, minandone autostima e identità delle persone malate: si tratta della sofferenza che emerge nelle situazioni in cui il “sé è ridotto”213

. Charmaz esamina quindi come l’esperienza della malattia dia forma a situazioni in cui la persona impara nuove definizioni del sé che spesso sostituiscono quelle passate. Alla luce di questo, la malattia cronica costituisce un’area privilegiata in cui studiare il sé, poiché è proprio da questa esperienza che gli aspetti del self diventano evidenti: le persone affette da malattia cronica acquistano grande consapevolezza degli aspetti del sé prima dati per scontati. La malattia, proprio perché cronica e quindi pervasiva, diventa centrale nella vita quotidiana di chi ne è colpito: i regimi del trattamento, i sintomi, le terapie, portano ad una esistenza ristretta che inevitabilmente limita le possibilità di avere valutazioni positive del sé.

211 K. Charmaz., Loss of Self: a fundamental form of suffering in the chronically ill,

Sociology of Health and Illness, vol. 5, n. 2, pp. 168-195, 1983, p.168

212 Ibidem 213

188 L’autrice prosegue teorizzando che i positivi riflessi sul loro sé nelle interazioni con la famiglia, con gli amici, con i medici o con i colleghi di lavoro permettono loro di concepire se stessi sotto una luce positiva. Quando invece il self è danneggiato e screditato proprio dagli individui considerati importanti, mantenere un’immagine positiva di sé diventa un lavoro arduo214.

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