Capitolo 6 – Narrare la sclerosi multipla
6.2 Alla ricerca della quotidianità perduta
Uno degli aspetti che appaiono più evidenti dalle narrazioni delle persone con sclerosi multipla è quello della noia, dell’infinitezza delle giornate, del tempo che non passa mai e che sembra tempo perduto e sottratto alle attività di una vita vera. Molte persone sono state costrette a lasciare il lavoro per poter effettuare le terapie o perché le forze venivano sempre meno, altri invece, soprattutto le persone più anziane, essendo già in pensione o casalinghe, hanno drasticamente rallentato i ritmi di vita e diminuito o annullato completamente le attività che precedentemente facevano nel tempo libero. Le giornate sono quindi caratterizzate da attività monotone e ripetitive, senza stimoli e novità, in attesa che il tempo passi.
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”Attualmente la mia vita non è
così….esagerata! Questa malattia mi
impedisce di essere attiva”
(Intervista N°20)
“La mia giornata? La mattina, aspettare che arrivi sera. La sera, aspettare che arrivi la mattina”
(Intervista n°4)
“(…) anche per il solito discorso, se stai bene puoi affrontare qualsiasi cosa diciamo, se cominci ad avere un piccolo problema … la giornata diventa molto lunga.”
(Intervista n°2)
Nonostante i cambiamenti, la noia e le poche attività rimaste da fare, molte delle persone intervistate cercano comunque di mantenere una routine quotidiana che gli permetta di rimanere, per quanto possibile, attivi e abili e, agli occhi degli altri, il più possibile normali. Si tratta di ciò che viene definito come strumento di normalizzazione221, che consiste nel tentativo di tenere immutata la propria quotidianità, la vita sociale e le relazioni familiari a amicali, con la speranza di fondo (spesso inconscia) di non essere discriminati in quanto malati. Molti intervistati attraverso le loro narrazioni, hanno voluto esprimere la loro voglia di essere ancora capaci di fare ciò che
221 Bury M., The Sociology of Chronic Illness: a Review of Research and Prospects,
198 desiderano, che si tratti di attraversare la strada, andare in barca o fare un viaggio, nonostante la malattia e tutto ciò che questo comporta.
“(…) apro una piccola parentesi, per salire in barca, la barca sappiamo tutti e due che si muove e cominci a dondolare per conto tuo, però non esiste, io devo salire in barca! Perché devo andare a pescare! Dopo, c’è mare mosso, benissimo, a me non crea nessun problema. Magari tanti “eh ma sai, giornata nera, c’è vento, è meglio stare a casa, ci sono un sacco di onde..” per me non esistono tutte ste cose. Una volta che son salito mi son tranquillo, son a posto, mi go tutta quanta l’attrezzatura che mi serve, passo la giornata tranquillamente, vado a casa la sera … e dopo il pesce resta li perché mi sembra che ultimamente mi sembra sempre un po’ meno. Comunque …”
(Intervista N°2)
La stessa persona però, poco dopo, contraddice in parte ciò che aveva detto in precedenza di sé stesso e delle sue capacità, in quanto, cambiando registro narrativo lascia scoprire al suo uditore che ciò che aveva detto in precedenza era l’autorappresentazione del self che voleva mostrare agli altri, quando nella realtà le cose vanno diversamente:
“bah insomma… lei capisce che … se prima potevo fare 50 cose su un giorno, adesso, attualmente ne faccio 20 … 30 di meno sono
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già un bel rallentamento insomma. Però pianino, con comodo, senza fretta, riesco a fare abbastanza insomma. Quando vado a casa, se ho voglia, preparo la tavola, metto su l’acqua, insomma, quello che posso insomma … “
(Intervista N°2)
Il protagonista di questa narrazione, almeno inizialmente, ha voluto dare un’immagine di se molto più forte e attiva di quello che probabilmente è nella realtà, sciolti alcuni nodi critici durante l’intervista e probabilmente presa fiducia nel suo uditore, si è lasciato andare alle considerazioni sulle sue reali attività, sui limiti imposti dalla malattia e sulle sue reali strategie di normalizzazione.
La maggior parte delle persone però, consapevole e conscia dei propri limiti e delle proprie forze, afferma di cercare di fare tutto ciò che in quel momento è in grado di fare, niente di più e niente di meno. Raccontano di un netto rallentamento nelle azioni e nelle attività quotidiane, sia nell’intensità che nella quantità.
“Perché quando decido una cosa, pianino, capisco che una persona normale la fa prima, la fa meglio, però voglio arrivare anche io alle stesse cose. Magari con una settimana di tempo ma voglio arrivarci”
(Intervista N°2)
“Ovviamente cambiando, perché quello che puoi fare o quello che potevo fare fisicamente, manualmente, mentalmente, tre, quattro anni
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fa non è lo stesso di quello che posso fare oggi, cioè l'età non è assolutamente uguale, quindi, prima mi adattavo a fare una cosa, adesso devo adattarmi a farne un'altra, i tempi, invece che impiegare mezzora magari impiego tre giorni...
(…) Credimi, è vero. Quando una volta dovevo attaccare un chiodino, mi ricordo, su una scrivania, per fissare un filo. È una cretinata, cioè, basta...chiodino sul legno, basta poco. Ho provato una volta e non ci son riuscito. Il giorno dopo ho detto: “Ma porco cane! Possibile che non ci riesco?”, e ho provato di nuovo. E son passati due giorni. Il terzo giorno ho detto: “No, ascolta, impiantare un chiodo sul legno?”. Ho usato qualcosa per tenere in mano la...e il terzo giorno l'ho piantato. Ho detto: “Porco cane – ho detto - possibile che non ci riesca?”.
Si, magari ci impieghi un giorno, due giorni, invece che mezzora, però...l'importante è arrivarci e farlo”.
(Intervista N°4)