Capitolo 3 Diagnosi e metodologia clinica della scleros
3.4 Elementi diagnostici
“Ai medici piace fare la diagnosi, a loro piace risolvere il giallo”
Medico Anonimo 2012
La diagnosi clinica di malattia, come già accennato in precedenza, si avvale del rilievo e della valutazione di elementi clinici, ovvero di fenomeni che aiutano a dimostrare la presenza o meno delle malattie che li hanno provocati; è in questo caso che viene appunto ripreso il concetto sopra esposto di valore segnaletico dei rilievi clinici. Possono essere considerati elementi clinici sia i disturbi che possono essere riferiti dal paziente, sia i rilievi che il medico può osservare all’esame obiettivo, oltre che i risultati di esami strumentali e di laboratorio.
Viene definita positività di un rilievo clinico la caratteristica che è in grado di attestare la presenza della malattia e quindi, al contrario, viene definita
negatività di un rilievo clinico la caratteristica del rilievo tendente ad
attestare l’assenza della malattia. Al fine di distinguere tra valori positivi e valori negativi per una data malattia è necessario considerare un valore
soglia di separazione tra i valori associati alla presenza della malattia e
l’ambito dei valori associati all’assenza della malattia. In alcuni casi un sintomo riferito può assumere diverse intensità, come ad esempio il dolore addominale che può essere descritto come dolenzia, crampo, dolore intenso o di tipo colico; si tratta di variazioni di intensità che permettono di considerare per ogni grado di intensità un suo proprio valore segnaletico. I parametri di laboratorio, invece, possono assumere valori in un intervallo continuo di variabilità.
Strettamente connesso al valore soglia troviamo quello di gold standard, con il quale si indica il criterio adottato per affermare la presenza di una determinata malattia. Le differenze fra il concetto di gold standard e quello
97 di valore soglia (o soglia discriminante) sono molto sottili: riprendendo Scandellari, il gold standard è scelto ed utilizzato come elemento che afferma a priori la presenza della malattia, mentre la soglia discriminante rappresenta uno strumento per verificare o meno la presenza di malattia in un determinato soggetto.
E’ necessario prestare attenzione però ad un possibile inganno: sia in un risultato di laboratorio, così come un sintomo, esiste un intervallo di valori che possono essere riscontrati sia nei soggetti portatori della malattia presa in considerazione, sia in soggetti sani o portatori di un’altra malattia. La distribuzione delle due popolazioni, affetti dalla malattia in questione e non malati della data malattia, in merito ad uno specifico parametro clinico, presenta spesso una più o meno estesa sovrapposizione tra soggetti appartenenti all’uno o all’altro gruppo (popolazione). Quando questo succede, il valore soglia suddivide l’insieme di soggetti malati e non malati in quattro categorie:
Soggetti malati con rilievo clinico positivo (VP – veri positivi)
Soggetti non malati con rilievo clinico positivo (FP – falsi positivi)
Soggetti non malati con rilievo clinico negativo (VN - veri negativi)
98
Fig 1. Rappresentazione grafica della positività e negatività dei rilievi clinici114
L’entità relativa a queste quattro popolazioni varia da caso a caso, conferendo a ciascun rilievo clinico un diverso grado di valore segnaletico per la presenza o assenza di una determinata malattia. Per questo è necessario stabilire degli indici diagnostici in grado di esprimere la maggiore o minore attitudine di un rilievo ad affermare o escludere la presenza della malattia considerata: questi indici sono indicati come
specificità e sensibilità di un rilievo clinico. La sensibilità è espressa dalla
frazione dei soggetti malati che presentano positività del rilievo clinico, mentre la specificità corrisponde alla frazione di soggetti non malati della malattia in questione che presentano negatività del rilievo clinico. Nel caso in cui un rilievo clinico non ammetta nessun falso positivo, tale rilievo viene
114 C. Scandellari, La diagnosi clinica. Principi metodologici del procedimento decisionale,
99 detto patognomonico, in quanto la sua positività riconosce con certezza la presenza della malattia. Nel caso in cui invece, rarissimo, un rilievo non ammetta né falsi positivi né falsi negativi, viene definito perfetto.
Il grado di sensibilità e di specificità del rilievo clinico di una data patologia dipende ovviamente dalla scelta del valore soglia, il quale non potendo essere stabilito in base a criteri oggettivi è sempre il risultato di una scelta convenzionale; per questo è chiaro che spostando il valore soglia si assisterà alla riduzione dei due tipi di errori, falsi positivi e falsi negativi.
Una volta scelta una specifica soglia discriminante, sensibilità e specificità di un rilievo risultano invariate anche in diverse situazioni cliniche: proprio per questo sensibilità e specificità sono caratteristiche intrinseche di un dato rilievo clinico.
Sotto l’aspetto probabilistico, afferma Scandellari, “la sensibilità esprime la
probabilità che un soggetto realmente affetto dalla malattia considerata presenti una positività del rilievo clinico e, rispettivamente la specificità esprime la probabilità che un soggetto realmente non portatore della
malattia considerata presenti una negatività del rilievo clinico. “115
Lo scopo ultimo del procedimento diagnostico ha come obiettivo la determinazione di due tipologie di probabilità: la probabilità che un soggetto nel quale sia stata riscontrata la positività del rilievo clinico sia davvero affetto da malattia e che la probabilità che un soggetto nel quale sia stata riscontrata la negatività del test sia realmente esente dalla malattia presa in considerazione.
Le considerazioni che sono state espresse finora sulle caratteristiche diagnostiche dei rilievi clinici sono valide su gruppi o popolazione più o meno ampie, mentre il medico, nel processo diagnostico, ha a che fare con il singolo paziente. Riprendendo ciò che è stato detto pocanzi, parametri esposti (sensibilità, specificità) sono da intendere come valori medi,
115 C. Scandellari, La diagnosi clinica. Principi metodologici del procedimento decisionale,
100 ottenibili solamente con un numero sufficientemente ampio di osservazioni ripetute. In sintesi, un indice predittivo pari al 99% in caso di positività di un dato rilievo di una data malattia, non autorizza ad affermare che il paziente X positivo a quel rilievo sia affetto con certezza da quella malattia, e tantomeno si può affermare che il paziente X sia affetto dalla malattia al 99%116.
Essendo una diagnosi o vera o falsa, e non vera solamente in percentuale, il significato della probabilità della correttezza di una diagnosi non ha lo stesso significato che viene attribuito alle probabilità classiche, dette frequentistiche, ma fa riferimento alle cosiddette probabilità logistiche o
soggettive. Queste fanno riferimento alla convinzione di colui che è l’autore
dell’affermazione (in questo caso il clinico alle prese con la diagnosi) sull’effettivo realizzarsi del contenuto dell’asserzione. Secondo la definizione classica data da Bruno de Finetti,117 e riportata da Scandellari, le probabilità soggettive sono correlabili alla somma di denaro che l’autore dell’asserzione è disposto a scommetter sul realizzarsi della sua affermazione. Scendendo nel campo della diagnosi, quindi, quando il medico afferma che ci sono 99 probabilità su 100 che il paziente X sia ammalato della patologia, espone il suo grado di convinzione che egli ha raggiunto in base alle osservazioni e ai rilievi clinici effettuati durante il procedimento clinico.
Secondo queste affermazioni, quindi, se il clinico esplica la sua diagnosi in base alle proprie convinzioni, che valore hanno le considerazioni e gli studi volti a formalizzare il procedimento diagnostico? In realtà, il termine soggettive dato a questa tipologia di probabilità non significa che non seguano delle precise regole e canoni.
116 Anche se, nel linguaggio corrente, i clinici affermano che il paziente X ha probabilità del
99% di essere malato di M, anche se sanno benissimo che una diagnosi può solamente essere o corretta o sbagliata, ma non può essere giusta per il 99% e sbagliata per l’1%.
117
101 In sintesi, non esiste la possibilità da parte del clinico di riconoscere la diagnosi corretta mediante l’impiego di formule matematiche o probabilistiche, esiste invece la possibilità di utilizzare procedimenti testati, e quindi formali, che aiutino il clinico a valutare la verosomiglianza o l’affidabilità di una diagnosi118
. I protocolli diagnostici o linee guida stilati per ogni patologia, che indirizzano il medico su cosa sia consigliabile seguire in una determinata situazione clinica, nascono proprio dai risultati delle analisi statistiche sull’efficacia delle operazioni che i medici mettono in atto nelle diverse situazioni cliniche. Nonostante suggeriscano il percorso diagnostico più vantaggioso, tali protocolli non garantiscono di ottenere, nel singolo caso, il risultato sperato in quanto le circostanze contingenti possono essere molto diverse o perché le risposte delle indagini cliniche possono differire da quelle previste dal protocollo.
Collegato a questo, vi è quindi un importante aspetto del procedimento clinico di cui è necessario tenere conto: per giungere alla diagnosi della malattia, come esplicato precedenza riguardo i protocolli diagnostici, il clinico non può procedere a tentoni richiedendo indagini di ogni tipo, ma deve appunto seguire un piano razionale di studio che gli permetta di orientarsi con rapidità nelle numerose forme patologiche possibili. Dopo appunto aver raccolto l’anamnesi del paziente ed eseguito l’esame obiettivo, il medico deve cercare di individuare i complessi sindromici che riuniscano quei segni che possono essere collegati fra loro da un nesso fisiopatologico119. E’ da precisare che un complesso sindromico non costituisce quasi mai un’ipotesi diagnostica vera e propria, ma soltanto una prima catalogazione dei fenomeni presentati dal paziente; la diagnosi di una malattia, infatti, richiede di solito una successiva catalogazione, nella quale i complessi sindromici vengono aggregati tra loro per costituire vere e proprie
118 C. Scandellari, La diagnosi clinica. Principi metodologici del procedimento decisionale,
Biblioteca Masson, Milano, 2005, p.53
119 G. Federspil, Logica clinica. I principi del metodo in medicina, McGraw Hill, Milano
102 ipotesi diagnostiche. Dopo aver raccolto i segni in complessi sindromici e dopo aver formulato la diagnosi iniziale, il clinico deve progettare una
strategia investigativa120 che lo conduca alla diagnosi nel minor tempo e
con il minor impiego di energie possibili.
Nell’immagine che segue è illustrata una bozza di ragionamento diagnostico.
Fig.2 Modello del ragionamento diagnostico121
120
G. Federspil, Logica clinica. I principi del metodo in medicina, McGraw Hill, Milano 2004
121 Magnani L. Ramoni M., La conoscenza e il ragionamento biomedici: fondamenti
epistemologici, In Cobelli C., Stefanelli M., Tagliasco V. (a cura di). La strutturazione del sapere biomedico, Patron Editore, Bologna, 1988
103 Il continuo progresso delle scienze mediche ha messo a disposizione dei clinici un numero molto elevato di possibili indagini Federspil ci ricorda che mentre un tempo al medico veniva consigliato di visitare il malato in modo completo e da lui raccogliere tutte le informazioni possibili, oggi tale consiglio metodologico apparirebbe inattuabile. Inoltre, mentre un tempo si insegnava a spingere la ricerca diagnostica fino all’estremo limite consentito dalle conoscenze disponibili al tempo, oggi appare più conveniente, ragionevole ed eticamente corretto saper arrestare l’iter diagnostico nel momento in cui un ulteriore approfondimento costerebbe un prezzo troppo elevato122 in relazione ai benefici ottenibili.