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S01-T15/3 La ricerca-azione come strumento di partecipazione delle persone di età minore alla programmazione delle politiche sociali: una esperienza “dalla responsabilità politica alla comunità generativa” nel Comune di Cagliari

Ricerca-azione, partecipazione, minorenni, politiche sociali, comunità generativa

Palomba Federica – federica.palomba@tiscali.it

Assistente Sociale Dottore di ricerca in Fondamenti e metodi delle scienze sociali e del servizio sociale, Centro Giustizia MInorile per la Sardegna

La partecipazione è un diritto/dovere costituzionalmente riconosciuto a ogni cittadino, ad ogni persona. La persona di età minore è pienamente persona, è un cittadino, ha il diritto/dovere di partecipare alla vita sociale, seppur nell’ambito delle forme della democrazia partecipativa e della partecipazione deliberativa, dato che l’esercizio dei diritti attinenti alla democrazia rappresentativa o diretta è pro tempore sospeso. I diritti politici, però, non sono tutto. Ci sono diritti pre-politici che servono a sviluppare la massima possibile attitudine di ogni persona ad essere se stessa e quindi ad esercitarli con la massima potenzialità. Anche chi non ha la capacità di agire è titolare di diritti originari che a lui competono come persona. Il problema non è quello di affermare la titolarità, ma bensì di costruire una cultura ed un’organizzazione sociale che garantiscano il diritto di ogni minore ad essere persona, avere una personalità e partecipare alla vita ed al progresso sociale.

La Convenzione Onu del 1989 individua la partecipazione come promozione di uno sviluppo del bambino in sintonia con le sue naturali inclinazioni e aspirazioni e con la comunità all’interno della quale è chiamato a far parte con la sua originalità e personalità. Al diritto fa da contrappeso il dovere per la comunità di garantire spazi e modi per la promozione della partecipazione e di cogliere l’influenza dei punti di vista dei minori sui processi decisionali. La competenza a rivestire un ruolo attivo nella comunità si può acquisire attraverso processi di apprendimento situato della cittadinanza attiva che consentono al bambino di maturare la fiducia non solo in se stesso ma anche nell’organizzazione sociale in cui vive. La costruzione di opportunità partecipative è dunque il primo passo per attivare processi co-decisionali. La ricerca-azione che si vuole presentare si poneva l’obiettivo di attivare processi di confronto e apprendimento nell’ambito della progettazione partecipata delle politiche sociali. La ricerca-azione partecipata può infatti rappresentare l’occasione per i cittadini, anche minori, di percepire che la partecipazione è possibile e che può essere realizzata con il contributo di tutti. L’esito della ricerca, oltre a consentire una partecipazione “politica” dei minori, ha portato all’individuazione delle forme di espressione della democrazia atte a garantirla, nonché di ruoli e caratteristiche della comunità che voglia adoperarsi in senso generativo.

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S01-T15/4

L’evoluzione dei modelli di welfare locale: il caso del patto di sussidiarieta’ del comune di Genova

Welfare locale, empowerment comunitario, patto di sussidiarietà, contenitore di frammentarietà, discorso comunitario

Segalerba Giovanna – giovanna.se@libero.it Assistente sociale, Comune di Genova

La tesi di ricerca (LM87) intende approfondire il contesto in cui si colloca il Servizio Sociale oggi, caratterizzato da dinamiche sempre più complesse e inafferrabili e modelli di Welfare che faticano ad adeguarsi alla liquidità dei mutamenti sociali. Tramite un’analisi storica e culturale dell’evoluzione dello Stato sociale, si delinea, come cornice della ricerca, un Welfare locale in cui l’istituzione pubblica, lungi dal ritrarsi passivamente, dovrebbe modificare le sue modalità di intervento predisponendo attrezzi istituzionali, organizzativi e procedurali utili alla collettività per individuare, trattare e risolvere i suoi problemi. In tale contesto si intende individuare le caratteristiche di tali strumenti e il ruolo del Servizio Sociale.

Le ricerche si focalizzano sul contesto genovese e sul problema delle povertà estreme per descrivere lo strumento del Patto di sussidiarietà, adottato dal Comune di Genova con delibera 236/2011, tramite cui i servizi svolti dall’associazionismo cittadino sono stati coordinati e collegati al Servizio pubblico. Attraverso l’analisi dei dati viene approfondito il contesto di emanazione del provvedimento, principi, obiettivi e metodi dichiarati, esperienze pregresse e problema a cui si vuole dare risposta; utilizzando poi osservazione diretta e interviste è stata effettuata un’analisi organizzativa dei processi lavorativi che hanno attuato il Patto. Sono state inoltre esaminate alcune esperienze simili in Italia e all’estero.

E’ emerso che il Patto di Sussidiarietà, a differenza di esperienze di delega e deresponsabilizzazione da parte delle Amministrazioni, costituisce strumento di stimolo e coordinamento della partecipazione comunitaria. Nonostante la mancanza di investimento economico, l’esempio genovese si contraddistingue per apertura, flessibilità e capacità di sostenere e incrementare frammenti di capitale sociale sparsi sul territorio promuovendo empowerment comunitario.

La diffusione di simili contenitori di frammentarietà potrebbe rivelarsi utile al Servizio Sociale postmoderno che cerca i luoghi dove si realizzano i legami sociali per attuare civicazione e socializzazione di senso all’interno del mosaico cittadino delle relazionalità, per rafforzare collegamenti e interrelazioni tra progetti che oggi tendono ad evaporare, per dare un senso a solidarietà sempre più isolate, implementandole all’interno di un discorso comunitario ove non spariscano obiettivi di lunga durata, redistribuzione ed equità sociale.

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S01-T15/5

Come reagiscono gli assistenti sociali ai mutamenti delle politiche sociali? Un confronto internazionale tra paesi europei e i Brics

Comunità professionale, politiche sociali, riforme, brics, Europa

Sicora Alessandro – alessandro.sicora@unical.it ricercatore universitario, Università della Calabria

Il trasformarsi delle politiche sociali suscita reazioni e prese di posizioni da parte di diversi soggetti, tra i quali figurano anche gli assistenti sociali. Questi si trovano a condurre quotidianamente la propria pratica professionale nell’ambito della cornice offerta da tali politiche cogliendone in tal modo limiti e potenzialità.

Cosa dicono delle politiche sociali e delle relative riforme gli assistenti sociali? Il presente contributo presenta alcuni degli esiti più rilevanti di una ricerca internazionale IRSES – Marie Curie volta ad individuare delle risposte a tale quesito volgendo lo sguardo ad alcuni paesi europei (Italia, Portogallo, Regno Unito, Spagna), alla Turchia e ai cosiddetti cinque “BRICS”. Si tratta di dieci nazioni – tra loro molto eterogenee - che includono quasi metà della popolazione mondiale dove il servizio sociale opera secondo prassi, valori e principi condivisi pur nell’ambito di specificità locali.

La presenza di voci collettive più o meno forti (le associazioni e/o gli ordini professionali), uno sviluppo del servizio sociale con un orizzonte temporale diversificato, nonché i vincoli posti all’esercizio professionale (in primis, l’iscrizione ad un “sistema di registrazione”) sono alcune delle variabili più rilevanti che suggeriscono alcune ipotesi in ordine alla presenza di un dibattito più vivace in alcune nazioni (Brasile, Spagna e Regno Unito), più pacato in altre (India, Italia, Portogallo e Sudafrica) e quasi assente in altre ancora (Cina, Russia e Turchia).

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S01-T99/1

Bullismo, cyberbullismo, devianza emozionale: riflessioni preliminari

Bullismo, cyberbullismo, devianza emozionale

Barba Davide – mariangela_dambrosio@libero.it Professore Ordinario, Unimol - Università studi del Molise

D’Ambrosio Maiangela, Grignoli Daniela

Emozioni e comportamenti esperiti nella vita quotidiana, caratterizzata da relazioni iper-complesse, liquide, tecnologiche. Emozioni che vengono definite “emergenti sociali” proprio perché “nella loro manifestazione, risentono sia dell’identità del soggetto sia del contesto storico-sociale in cui egli vive e agisce” (Cerulo M., Turnaturi G., 2012:679-680).

E’ in tal quadro teorico che s’inserisce lo studio intorno ai comportamenti devianti dei giovanissimi che si innestano proprio a partire dal tessuto emozionale e relazionale in dissonanza con il contesto sociale di riferimento. Si può attivare, cioè, una “devianza emozionale” dove le regole del sentire possono produrre conflitti, contraddizioni e paure legate agli apparati di norme de-convenzionalizzate e informatizzate. La gestione emozionale è, infatti, prima un lavoro individuale, poi gruppale che si gioca nella più vasta area del livello sociale (che può essere già disfunzionale o produttore di devianza).

Riguardo ai fenomeni in oggetto, è stato condotto uno studio-pilota (Aprile 2016) su 93 studenti dai 12 ai 15 anni delle scuole secondarie di I e II grado della città di Campobasso dal quale è emerso che: solo 1 studente ha dichiarato di aver sentito parlare in famiglia dei fenomeni; 12 studenti non sanno cosa sia il cyberbullismo; 37 riferiscono di aver assistito o di essere stati vittime di bullismo/cyberbullismo. Fra questi: 26 casi di bullismo (violenza fisica e verbale) e 11 casi di cyberbullismo (prevalenza femminile – offese e derisione on line). Rispetto alle emozioni, il 26% dichiara di trovare difficoltà a nominarle, delinearle ed esprimerle nel contesto reale soprattutto a genitori ed insegnanti. Il 34% degli intervistati, di contro, crede che i social (e Whatsapp) consentano di comunicare emozioni (per lo più tristezza e solitudine) e fatti che nella realtà non si direbbero. Qui si comprende bene che il riconoscimento delle proprie emozioni viene espresso disfunzionalmente, soggetto ad interpretazioni che possono differire dal messaggio originalmente posto. O, peggio, teso alla lesione (strumentale) della dignità dell’altro dove l’indifferenza e l’analfabetismo emozionale prendono il sopravvento.

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S01-T99