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Altri campi di intervento di Servizio sociale

HAITI’ CHERI’

Fao, haiti’, voudou, ruralita’, sviluppo

Capo Enrico – [email protected]

Assistente sociale specialista - Ricercatore sociale formatore accreditato al CNOAS, LABOS Laboratorio per le politiche sociali

Ricerca commissionata dalla FAO; finalità: valutazione delle possibilità di partecipazione della popolazione allo sviluppo; identificazione dei meccanismi psicosociologici, delle motivazioni e atteggiamenti; determinazione dei tipi di interventi necessari per stimolare la popolazione allo sviluppo.

AREA D’INDAGINE: Haitì, Plaine des Gonaives, Basse Vallée des Trois Rivières, altre pianure (totale 22.000 ettari). Carenza d’acqua, agricoltura prevalentemente di sussistenza, commercializzazione principalmente locale: mancanza di mezzi di trasporto adeguati.

METODI DI RICERCA UTILIZZATI: osservazione ambientale partecipante; interviste mediante questionario; sociodrammi giocati dai contadini (recite improvvisate su tematiche scottanti in cui gli attori sono portati ad esprimere valutazioni altrimenti non esplicitate nelle interviste; non si tratta di semplici simulazioni. Carta sociologica sulla quale evidenziare situazioni e strutture a carattere socioculturale. Esplorazione di eventi particolari (assistenza a cerimonie voudou).“surrender to” (prof. K.H. Wolf) tecnica consistente nel lasciarsi calare senza difese nella situazione ambientale specifica.

RISULTATI: povertà estrema, agricoltura rudimentale, analfabetismo, spirale discendente del sottosviluppo, forte dipendenza dal voudou religione di origine africana importata dagli schiavi e che condiziona tutta la vita dei contadini; sconosciuta dagli esperti del progetto. Eccessiva occidentalizzazione delle iniziative associative di sviluppo proposte dalla FAO trascurando le forme istituzionali locali del lavoro in comune (coumbite).

IMPLICAZIONI DEL SERVIZIO SOCIALE: indispensabile la istituzione di un servizio sociale di comunità (community work) come ponte tra la mentalità locale e le innovazioni apportate dalla FAO. Utilizzazione dello Scautismo rurale forma associativa più duttile per impegnare i giovani nello sviluppo.

CONCLUSIONI: ritorno allo statu quo una volta partiti gli esperti stranieri e cessati i finanziamenti della FAO. NOTE

- cfr. libro“HAITI’ CHERI’-Un’avventura professionale nei Caraibi-La ricerca sociale per lo sviluppo”di Enrico Capo - ed.Aracne, Roma, 2013

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S03-T15/3

La via calabrese alla deistituzionalizzazione. Politiche di accoglienza ai minori e lavoro sociale: tra marginalizzazione, manipolazione e resilienza comunitaria

Welfare meridionale, legalità debole, deistituzionalizzazione, accoglienza, minori

Pascuzzi Emanuela – [email protected] Dottore di ricerca, Università della Calabria

Cosa accade quando le tendenze neoliberiste delle politiche sociali si innestano sul tessuto di una società a legalità debole e con un sistema di welfare residuale come in Calabria? Quali le conseguenze sul servizio sociale? Questo contributo tenta di offrire risposte a tali quesiti attraverso l’analisi delle politiche e dei servizi di accoglienza di minori in condizione di disagio familiare.

La metodologia utilizzata ricorre sia a fonti secondarie – normativa e statistiche – sia a fonti primarie di tipo qualitativo: interviste ai soggetti del sistema calabrese dell’accoglienza ai minori e osservazioni etnografiche. La ricerca consente di individuare i passaggi chiave nella trasformazione delle politiche di accoglienza calabresi e nelle prassi operative dei servizi per minori e famiglie. In un primo momento, la deistituzionalizzazione appare più formale che sostanziale. Successivamente, la via calabrese alla deistituzionalizzazione percorre sentieri che vanno da un generalizzato arretramento istituzionale alla manipolazione di alcuni strumenti (es. affido familiare), fino ad arrivare alla sperimentazione di servizi in forme organizzative anomale (es. l’educativa domiciliare “in-house” della Regione). Anche il tentativo in corso di riallineare il welfare calabrese all’impianto previsto dalla normativa nazionale, potrebbe risentire degli opportunismi politici. Il servizio sociale, soprattutto nella sua espressione pubblica e territoriale, è stato a lungo disarmato e sotto assedio e si è rifugiato nelle culture organizzative e professionali localmente consolidate: un mix tra approccio amministrativo e alla beneficienza. Eppure i passaggi cruciali entro cui si snoda il futuro di un servizio sociale in contesti di welfare debole impongono una capacità di azione non riducibile ad un unico fronte. Appare decisivo che accanto alla relazione d’aiuto con gli utenti, torni ad essere centrale la costruzione di connessioni multiple con la società, anche attraverso il rafforzamento delle reti sensibili e la costruzione di alleanze sociali, l’ascolto dei territori, la mobilitazione di gruppi pensanti e la costruzione di ponti tra esperienze virtuose che, ancorché fragili, questa ricerca ha permesso di evidenziare. Per contrastare il ripiegamento del servizio sociale sul lavoro convulso in vicoli sempre più ciechi e per poter riuscire a guardare nuovamente l’orizzonte appare fondamentale rafforzare la dimensione etica, politica e collettiva del lavoro sociale.

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S03-T15/4

Ripensare le politiche per la non autosufficienza a partire dal caso nazionale del progetto Home care premium, tra primo e secondo welfare

Secondo welfare, home care premium, non autosufficienza, protezione sociale, equità

Picconi Salvatore – [email protected]

Assistente Sociale e Sociologo, Comune di Settimo San Pietro

L’intervento vuole render conto dei risultati di una ricerca (in corso di pubblicazione) che esplora possibilità e limiti del “secondo” welfare (Maino, Ferrera 2015) attraverso l’analisi del progetto Home care premium, programma di assistenza domiciliare per persone non autosufficienti promosso dall’Inps Gestione ex-Inpdap. Le fonti informative sono 290 Piani Assistenziali Individuali (Pai) afferenti a un Ambito territoriale sociale della Regione Sardegna e le relative schede di valutazione delle ADL (Activity of Daily Living) (Katz, 1963). Col secondo welfare in generale, e col welfare occupazionale in particolare (Riva, 2015), il progetto Hcp condivide alcune caratteristiche sostanziali: base contributiva a garanzia della sostenibilità degli interventi, logica integrativa -o aggiuntiva- delle prestazioni rispetto a quelle garantite dallo stato (primo welfare), ma anche una serie di problematiche che notoriamente caratterizzano il sistema di protezione sociale italiano, ossia la questione “distributiva” e quella dell’“equità” (Agostini, Ascoli, 2014, Riva, 2015, Ferrera, 2006, 2012).

Le analisi sul campione studiato hanno evidenziato la composizione di una popolazione caratterizzata da anziani e grandi anziani (over 65 e over 85), una prevalenza del genere femminile, livelli di limitazione funzionale elevati legati principalmente a problematiche sanitarie e alla vecchiaia avanzata (Tognetti, 2007), quale fotografia in miniatura della popolazione non autosufficiente italiana (Sabbadini, 2014, Facchini, 2016). Gli indici di correlazione delle principali variabili studiate hanno messo in evidenza principi di differenziazione e non duplicazione delle prestazioni di primo e secondo welfare. I contributi economici medi erogati mensilmente sono di circa 400,00 euro per utente ma con un livello di copertura problematico, sia relativamente ai beneficiari già in carico (equità interna) che alla platea di quelli potenziali. Lo studio ha evidenziato anche uno stretto rapporto fra non autosufficienza e povertà (Cnel, 2014) che si innesta in una configurazione autogestionale dell’assistenza da parte delle famiglie italiane (Censis, 2014) in uno scenario di vulnerabilità dei nuclei familiari (Pavolini, Ranci, 2015). La ricerca ricostruisce infine le attuali direttrici del dibattito sulle politiche per la non autosufficienza nonché l’attuale prospettiva del sistema di protezione Italiano contro il rischio di non autosufficienza (Riva, 2015, Ferrera, 2015). TITOLO AUTORI PAROLE CHIAVE ABSTRACT ID ABSTRACT

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S03-T15/5

Servizio sociale e politiche di attivazione in Italia: Quali spazi e ruoli per la professione?

Servizio sociale, attivazione, politiche sociale, politiche del lavoro, contrasto alla povertà

Urban Nothdurfter – [email protected] RTD, Libera Università di Bolzano

In tutta Europa il welfare è stato riconcettualizzato come welfare attivo spostando l’attenzione a interventi mirati allo sviluppo di capacità e responsabilità dei cittadini di fronteggiare situazioni di bisogno e di attivarsi per la propria sicurezza sociale. In questo contesto hanno assunto rilevanza particolare l’integrazione tra politiche sociali e politiche del lavoro, gli investimenti nelle misure di attivazione, l’aumento della condizionalità negli aiuti ma anche una riconfigurazione interattiva degli interventi del welfare che mette in rilievo l’importanza delle pratiche di implementazione e di interazione con i rispettivi destinatari.

Nel panorama internazionale vi sono, infatti un ampio dibattito e un’articolata attività di ricerca in merito al ruolo del servizio sociale nell’implementazione delle politiche di attivazione. In Italia, il dibattito di servizio sociale ha affrontato questo tema in modo ancora assai marginale e le ricerche di servizio sociale sul tema dell’attivazione sono poche.

Il contributo proposto affronta il tema del possibile ruolo del servizio sociale alla luce dell’enfasi sull’attivazione nei recenti sviluppi in materia di politiche sociali e del lavoro nel contesto italiano. Prendendo spunto dalla letteratura internazionale, il contributo vuole evidenziare delle possibili piste di ricerca per approfondire spazi e ruoli per il servizio sociale nell’implementazione di queste politiche tenendo conto sia di opportunità in termini di nuovi ambiti di intervento che di possibili rischi per un intervento professionale in circostanze modificate.

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