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Breve parentesi legislativa separatista e nuovo giurisdizionalismo italiano

LEONE XIII E IL RINNOVAMENTO DELLA CHIESA

2.1 Breve parentesi legislativa separatista e nuovo giurisdizionalismo italiano

L’ingresso delle truppe italiane a Roma comportò la creazione di una delicata situazione giuridica. La Santa Sede si rifiutò di riconoscere il governo italiano e lo stato di fatto, mentre il papa si dichiarò prigioniero dell’Italia isolandosi nei palazzi Apostolici. Con l’enciclica Respicientes del 1° novembre 1870 il pontefice scomunicò tutti coloro che avevano partecipato alla presa di Roma34. Il cardinale segretario di Stato Antonelli sperò che lo spettacolo di un papa prigioniero avrebbe suscitato l’indignazione del mondo cattolico e la pressione internazionale avrebbe infine convinto gli italiani a restituire Roma alla Santa Sede35. Molti funzionari di curia e consiglieri del papa insistettero con il pontefice perché egli abbandonasse Roma per sede più sicura ma, nonostante le pressioni, Pio IX non volle mettere in atto un’azione così radicale. Con la perdita dell’ultimo residuo di potere temporale, però, ad essere incerto era lo stesso status giuridico del Vaticano. Se con l’occupazione di Roma lo Stato pontificio doveva ritenersi estinto, come doveva qualificarsi la posizione della Santa Sede, ormai sprovvista di sovranità territoriale, nel contesto internazionale?36

Di fronte ad un papato restio a qualsiasi forma di collaborazione, il governo italiano fu costretto a risolvere il problema provvedendo unilateralmente alla definizione dei rapporti con la Chiesa. Mediante la legge 13 maggio 1871, detta delle guarentigie, venne riconosciuta la posizione del sommo pontefice quale sovrano spirituale della Chiesa. Un sovrano spogliato però del potere

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Canavero A., I cattolici nella società italiana: dalla metà dell'800 al Concilio Vaticano 2, pp. 56-57. 35

S. Romano, Libera Chiesa, libero Stato? Il Vaticano e l’Italia da Pio 9 a Benedetto, p.14. 36

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temporale. Va osservato che, detta legge, per lo speciale oggetto e l’eccezionalità delle disposizioni, costituì un unicum nell’ambito del diritto interno italiano. Il suo punto di partenza fu che, dovendosi ritenere estinto lo Stato pontificio, lo Stato italiano aveva acquisito di fatto gli elementi sostanziali dell’ex Stato, sostituendosi completamente alla sovranità fino ad allora competente al pontefice su quel dato territorio. Il papa, non disponendo più di un territorio, era ormai limitato entro i due palazzi del Vaticano e del Laterano, oltre alla residenza estiva di Castel Gandolfo. Ma, anche nell’ambito dei palazzi Apostolici, nessun potere sovrano di carattere territoriale poteva essere riconosciuto al pontefice. Secondo il governo italiano la legge delle guarentigie, essendo una disposizione unilaterale che stabiliva la condizione speciale cui era sottoposto il papa in Italia, afferiva al diritto pubblico interno37, il che escludeva qualsiasi obbligo dell’Italia nei confronti di Stati stranieri.

In ogni caso, la legge riconobbe diversi privilegi alla Chiesa. Le guarentigie pontificie assicuravano particolari immunità a persone investite di attribuzioni supreme nella gerarchia ecclesiastica. La persona del pontefice era dichiarata sacra e inviolabile al pari di quella del re e alla sua persona spettavano gli onori sovrani. Egli era inoltre libero di poter disporre di guardie a difesa della sua persona e di compiere tutte le funzioni del suo ministero spirituale, senza subire ingerenze di sorta da parte dello Stato. Venne inoltre sancito il diritto di legazione attiva e passiva della Santa Sede, anche se esercitabile nell’ambito di una sovranità ormai ristretta entro le mura del Vaticano. Gli inviati dei governi esteri presso la Santa Sede avrebbero goduto delle immunità competenti agli agenti diplomatici stabilite dal diritto internazionale. La medesima condizione era altresì riconosciuta agli inviati della Santa Sede presso i governi esteri, nel recarsi al luogo della loro missione e ritornare. Con ciò, lo Stato italiano riconosceva implicitamente la personalità internazionalistica della Santa Sede. L’Italia, infine, riconosceva una dotazione di una rendita annua perpetua e inalienabile per il pontefice, esente da ogni tributo e non diminuibile.

Malgrado la fermezza con la quale l’Italia dichiarò estinto lo Stato pontificio e nonostante la volontà di regolare la questione ricorrendo a leggi interne

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anziché valersi del diritto internazionale, vi era una evidente difficoltà da parte del legislatore nel dover regolare giuridicamente lo stato di fatto anomalo prodotto dalla conquista dei territori appartenenti allo Stato pontificio. Ruffini notò come di questa preoccupazione rimase impronta già nel primo titolo della legge del 13 maggio 1871, “poiché le guarentigie da concedersi al pontefice

per assicurargli la piena libertà di esercitare le sue funzioni spirituali facevano parte della concezione cavouriana”38. Lo studioso rilevò la medesima preoccupazione nel secondo titolo, ove lo Stato italiano, nel regolare le sue relazioni con la Chiesa, rinunciava ad una lunga serie di prerogative che i sovrani europei avevano tradizionalmente rivendicato nei loro rapporti con la Chiesa. Secondo il giurista italiano con la legge 13 maggio 1871 sembrarono mutarsi le fondamenta del diritto pubblico italiano, in virtù delle concessioni accordate alla Chiesa nel primo titolo, e delle rinunce dello Stato nel secondo. In effetti, una serie di provvedimenti legislativi posteriori alla legge delle guarentigie concesse diversi privilegi agli enti ecclesiastici, segnando una netta inversione di tendenza rispetto alla tradizione legislativa precedente. Questo indirizzo separatista dominò la giurisprudenza dei primi anni Settanta dell’Ottocento e caratterizzò la politica ecclesiastica del governo dell’epoca, il quale allargò le ampie concessioni già disposte a favore delle istituzioni ecclesiastiche39. Mediante il regio decreto del 19 ottobre 1870 venne stabilito che le disposizioni di legge di pubblica sicurezza non erano applicabili alla tipografia pontificia né agli atti emanati dal pontefice o dalle autorità ecclesiastiche da esso dipendenti. Parimenti, il regio decreto del 29 novembre 1870 estese alla provincia romana i codici in vigore nel resto del Regno e confermò l’inviolabilità della persona del papa, punendo altresì gli autori di pubblici discorsi, scritti o fatti in modo tale da diffondere lo sprezzo e il malcontento contro la persona del pontefice, equiparando così la sua figura a quella del re40, come già prescritto dalla legge delle guarentigie.

Tuttavia, tanto la legge delle guarentigie quanto questa breve parentesi separatista non incisero sulla tradizionale legislazione italiana, ma sembrarono

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F. Ruffini, Relazioni tra Stato e Chiesa: lineamenti storici e sistematici, cit. pp.285-286. 39

Ivi, pp.287 e ss. 40

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essere più che altro un tentativo di ricompensare la Chiesa per l’avvenuta usurpazione dei territori pontefici. Pur riconoscendo la gerarchia delle dignità ecclesiastiche, lo Stato continuava a esercitare anche in questa fase, almeno parzialmente, il diritto di exequatur e di placet, ingerendosi di tanto in tanto nell’ordinamento ecclesiastico. Atti questi che possono essere inquadrati in un indirizzo giurisdizionalista piuttosto che separatista, poiché mostrano il proposito statale di considerare la Chiesa come una delle tante istituzioni di diritto pubblico esistenti sul proprio territorio e assoggettabile alla propria giurisdizione. Se il sistema di diritto pubblico ecclesiastico italiano continuava ad essere di stampo giurisdizionalistico, occorre rilevare come questo orientamento fosse decisamente mitigato rispetto al passato. Un giurisdizionalismo definito dal Ruffini più moderno, più consono ad un moderno stato costituzionale, rispettoso della libertà individuale e di coscienza41. Una sorta di “giurisdizionalismo separatista” poiché coniugava gran parte dei princìpi teorici di entrambi i postulati, limitando però la sua ingerenza agli interessi e alle necessità pubbliche.

Le concessioni alla Chiesa e le rinunce dello Stato iniziarono a venire meno nella seconda metà degli anni Settanta a causa dell’implacabile ostilità del pontefice e soprattutto a seguito dell’avvento al potere della Sinistra storica guidata da Depretis, il quale aveva difeso nelle discussioni parlamentari sulle leggi ecclesiastiche le prerogative dello Stato e le secolari tradizioni giurisdizionalistiche italiane. Appena giunta al potere, la Sinistra attaccò la Destra per la sua politica ecclesiastica, rimproverandola di soverchia indulgenza e d’irresolutezza42

. Poiché la Santa Sede continuava a negare l’effetto giuridico dell’occupazione violenta e rivendicava i diritti della sovranità territoriale sui territori già pontifici, non mostrando alcuna volontà conciliatoria con l’Italia, i governi che si susseguirono in quegli anni e nel decennio successivo avviarono una serie di provvedimenti legislativi volti a ridurre nuovamente il peso della Chiesa nella vita sociale e politica del paese, senza introdurre innovazioni legislative radicali, ma sulla falsariga della

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F. Ruffini, Relazioni tra Stato e Chiesa: lineamenti storici e sistematici,. pp.290 e ss. 42

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tradizione giurisprudenziale ecclesiastica italiana. Sarà sufficiente citare i più importanti per mostrare la nuova inversione di tendenza: i progetti di legge sulla precedenza del matrimonio civile su quello religioso, il progetto di legge sugli abusi del clero, l’esclusione dei ministri dei culti dall’ufficio dei giurati43

, l’ineleggibilità di alcuni ecclesiastici44

e la negazione per gli stessi della capacità elettorale passiva, in particolare per l’ufficio di sindaco45. La legge del 14 luglio 1887 colpì la Santa Sede dal punto di vista economico abolendo in tutto il Regno le decime sacramentali, mentre alcuni articoli del nuovo Codice penale, segnatamente gli artt. 182-184 circa gli abusi dei ministri dei culti, introdussero la qualifica di reato non solo nel caso in cui l’ecclesiastico lo avesse commesso nell’esercizio delle sue funzioni, ma anche qualora egli si fosse semplicemente imposto in virtù della sua speciale qualifica di ministro del culto. La legge sulle Opere Pie del 17 luglio 1890, infine, sopprimeva o trasformava gli enti ecclesiastici risparmiati dalle precedenti leggi liquidatrici o sfuggiti al loro disposto. La stessa legge escludeva alcuni ecclesiastici e ministri dei culti dall’amministrazione delle Opere Pie, istituendo l’obbligo per quest’ultime di provvedere alla beneficienza indipendentemente dalla confessione di coloro che vi avessero titolo. Infine, alcune sentenze contribuirono a limitare l’autonomia della Chiesa cattolica in Italia, tra cui l’importante sentenza del 1882 sulla questione dei Tribunali vaticani, che interpretò in senso restrittivo le prerogative sovrane della Santa Sede46.