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L’inizio delle trattative segrete

I TENTATIVI DI RIFORMA ECCLESIASTICA E I PATTI LATERANENS

5.3 L’inizio delle trattative segrete

Mussolini, messo al corrente delle ragioni ostative del pontefice, accantonò il progetto di riforma evitando di presentare alla Camera il disegno di legge predisposto dalla commissione. Fu questa una decisione molto importante perché inaugurò una nuova stagione nei rapporti tra Chiesa e Stato italiano. Essa rappresentò, in effetti, la prima grande rottura rispetto alla prassi seguita dai governi liberali nei decenni passati in materia ecclesiastica.

Agli inizi del 1926, dunque, i progetti di revisione unilaterali della legislazione ecclesiastica italiana erano ormai stati accantonati dal governo fascista, mentre trattative segrete per una soluzione della questione romana vennero avviate con più incisività. Da una nota del 24 febbraio 1926 inviata dal cardinale Gasparri al pontefice sappiamo che il giorno precedente Mussolini aveva incaricato il cugino dello stesso cardinale, senatore Cesare Silj, di sondare il terreno circa la disponibilità della Santa Sede a intavolare trattative dirette per risolvere la nota questione romana310. Pochi giorni dopo Pio XI fece pervenire al governo italiano la concreta disponibilità ad avviare trattative ufficiali per risolvere la questione romana, nel caso in cui fosse giunta una proposta in tal senso da parte del capo del Governo. Il pontefice chiese a padre Tacchi Venturi, per tramite del cardinale Gasparri, di riferire di tale volontà ad Amedeo Giannini. Quest’ultimo informò a sua volta Mussolini il 31 maggio trasmettendogli un breve promemoria nel quale specificava che, secondo quanto riferitogli da padre Tacchi Venturi, il Vaticano attendeva ormai con fiducia l’invito da parte del capo del Governo ad avviare trattative ufficiali, qualora egli fosse stato disponibile a rimuovere la nota pregiudiziale sulla questione romana, con la speranza di condurre avanti nell’estate le

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negoziazioni. Mussolini trasmise a sua volta il messaggio al ministro Rocco, il quale si mostrò propenso ad un accordo bilaterale con la Santa Sede. L’atteggiamento accondiscendente del guardasigilli diede ulteriore conferma della buona disposizione governativa a iniziare trattative senza pregiudizi di sorta.

L’avvicinamento tra le due parti si concretò in una serie di colloqui che culminarono nell’estate del 1926 con l’inizio della vera e propria trattativa segreta. Il consigliere di Stato Barone comunicò al card. Gasparri e a Pio XI le proposte ricevute da conversazioni private e confidenziali con il governo italiano. Incominciava ad essere chiaro che il momento sarebbe stato propizio e Pio XI non si lasciò scappare l’occasione. Rifiutati i progetti unilaterali dello Stato italiano, la Santa Sede intuì che i tempi per tentare una conciliazione favorevole per la posizione della Chiesa in Italia fossero finalmente giunti. Mossasi fino a quel momento con estrema cautela, la diplomazia vaticana iniziò un’azione più incisiva e diretta. Mussolini aveva ordinato al ministero di Grazia e Giustizia di inviare a tutti i vescovi italiani una copia della relazione al progetto di riforma. A dispetto delle pubbliche rimostranze, il governo italiano ricevette come risposta parole di vivo plauso per Mussolini da parte di 10 cardinali e 127 vescovi delle principali diocesi italiane, per la pregevole opera intrapresa dal governo fascista in favore della Chiesa. Le iniziali critiche dell’episcopato nei confronti dei progetti del governo italiano lasciarono ben presto spazio a plausi e approvazioni311. Il cardinale Maffi, arcivescovo di Pisa, si spinse però troppo oltre invitando il capo del Governo a valutare se non fossero maturi i tempi per un ultimo e decisivo passo che potesse precedere la sottoscrizione di un accordo definitivo. I giornali del regime diedero ampia divulgazione alla lettera del cardinale, imbarazzando così la Santa Sede, la cui posizione riguardo il progetto unilaterale approntato dalla Commissione Mattei Gentile era, come si è detto, decisamente diverso. Ma il dado era ormai tratto e, in sostanza, tra governo fascista e Santa Sede si andava progressivamente stabilendo un’intesa sempre più evidente e proficua.

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All’apertura delle trattative ufficiose, il 6 agosto 1926, Pio XI scelse come suo rappresentante il fratello del futuro papa Pio XII, Francesco Pacelli, un avvocato vaticano romano proveniente da una famiglia che aveva servito i papi da diverse generazioni. La scelta di non avvalersi del segretario di Stato venne presa perché il Vaticano continuava a non riconoscere formalmente il governo italiano e la trattativa doveva rimanere segreta. Mussolini nominò come suo rappresentante il consigliere di Stato Domenico Barone. Nell’ottobre dello stesso anno il duce richiese alla Santa Sede a quali condizioni essa fosse disposta ad addivenire ad una amichevole e definitiva sistemazione dei suoi rapporti con lo Stato italiano312. Il 24 ottobre il cardinale di Stato inviò una missiva a Pacelli contenente le condizioni minime richieste dalla Santa Sede per un accordo: alla base del nuovo assetto si chiedeva una convenzione politica riconosciuta dalle potenze straniere che riconoscesse uno Stato pontificio, per quanto piccolo, con una sovranità del pontefice visibile e manifesta, possibilmente abbinandola ad una convenzione concordataria che regolasse la legislazione ecclesiastica italiana. Le due condizioni pregiudiziali vennero accolte da Mussolini e un mese dopo, il 24 novembre, un primo schema di Trattato era pronto. Compilato dai fiduciari sotto la loro personale responsabilità, non avendo ancora un mandato ufficiale313, vi si leggeva che esso “doveva valere come espressione di un previo semplice scambio di idee

affatto confidenziale e privato, sotto riserva di miglior revisione di particolari e della formulazione”314. Al termine di questi preliminari colloqui, aventi ancora un carattere confidenziale e ufficioso, il 10 dicembre 1926 il re autorizzò l’apertura delle trattative ufficiali, che avrebbero comunque mantenuto il carattere di estrema segretezza per esplicita volontà di entrambe le parti.

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A. C. Jemolo, Premesse allo studio dei rapporti tra Stato e Chiese, p. 246. 313

G. Castelli, La Chiesa e il fascismo, pp. 295-296. 314

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