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La Commissione Mattei-Gentile

I TENTATIVI DI RIFORMA ECCLESIASTICA E I PATTI LATERANENS

5.1 La Commissione Mattei-Gentile

Il 1925 si aprì da un lato con una ripresa dei tentativi di avvicinamento del fascismo alle gerarchie ecclesiastiche italiane mediante l’avvio di rapporti diretti con la Segreteria di Stato, dall’altro con una nuova serie di violenze. Dopo la svolta autoritaria del 3 gennaio, gli elementi fascisti più intransigenti riuscirono a prendere il sopravvento e ad emarginare politicamente i sostenitori di un processo di costituzionalizzazione del fascismo. Ma Mussolini, conseguito ormai in modo assoluto il potere e messe a tacere le opposizioni, intuì come fosse necessario, per consolidare la posizione raggiunta, stringere alleanze con i poteri forti del Paese275. Tra questi, naturalmente, vi era anche la Chiesa cattolica. Con quest’ultima Mussolini si dimostrò risoluto a continuare ad utilizzare la strategia “del bastone” e “della carota”, dimostratasi vincente fino a quel momento.

La Santa Sede, dal canto suo, continuò nel suo atteggiamento di deplorazione delle violenze, agendo come sempre con estrema cautela limitandosi ad addebitare le stesse a fascisti indisciplinati e fuori controllo, senza mai accusare direttamente il fascismo nel suo insieme. In questo spirito e in questa luce vanno letti i numerosi interventi pubblici di Pio XI nei quali il pontefice tesseva le lodi, in modo quasi adulatorio, “all’uomo della Provvidenza”, riconoscendo così al duce il suo apprezzamento per le numerose concessioni che egli aveva unilateralmente concesso alla Chiesa. Al contempo, il papa sottolineava la drammaticità delle violenze subite dai cattolici addebitando la responsabilità ai “nemici dell’ordine”, da non confondersi con

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le azioni del legittimo governo fascista. Invero, le violenze e le aggressioni contro le opere cattoliche non sembravano essere azioni improvvisate, ma abilmente pianificate dai capi fascisti al fine di costringere i cattolici a rompere i rapporti con i popolari. Le città maggiormente colpite furono infatti quelle nelle quali il Partito popolare aveva maggior seguito tra le masse cattoliche e dove era sostenuto dalle organizzazioni dell’Opera cattolica. Mussolini, mentre da un lato tollerava le violenze laddove riteneva potessero essere utili alla causa del regime, dall’altro continuava anche nella sua politica “della mano tesa” nei confronti del Vaticano, mostrando ossequio alla gerarchia ecclesiastica e rammentando i numerosi provvedimenti favorevoli alla Chiesa. Così, quando nel febbraio la situazione degenerò e la violenza squadrista rischiò di vanificare la strategia mussoliniana, il capo fascista intervenne risolutamente. Per non inasprire il conflitto con la Santa Sede, Mussolini diede ai prefetti disposizioni tassative perché ogni forma di violenza contro le associazioni cattoliche venisse punita276.

Nel frattempo, dopo aver introdotto i numerosi provvedimenti legislativi già richiamati, alla fine del 1924 era maturata nel governo italiano la concreta idea di una revisione dell’intera legislazione ecclesiastica italiana, come peraltro già disposto dalla legge delle guarentigie e mai avvenuto. Il 5 novembre 1923 il ministro plenipotenziario Amedeo Giannini indirizzò un promemoria al capo del Governo nel quale si faceva presente la necessità di affrontare il problema con una legge di Stato al cui progetto avrebbe dovuto presiedere una commissione composta anche da ecclesiastici graditi alla Santa Sede, in modo da precluderne le eventuali proteste al momento dell’approvazione della legge277. Il Giannini, nel promuovere il suo progetto, mise in luce che col mutamento dei tempi l’antitesi tra Stato e Chiesa era un “rudere a cui son

rimasti ben pochi fedeli” e che “le nuove esigenze postulavano un radicale riordinamento dell’Amministrazione e della Legislazione Ecclesiastica”278

.

276

Ivi, pp. 230-247.

277 Cfr. G. Sale, Fascismo e Vaticano prima della Conciliazione, pp. 275-276; F. M. Broglio, Il fascismo e

i tentativi di conciliazione, p.241.

278

A. Giannini, La Conciliazione dopo 25 anni, cit. p.134, rif. in F. M. Broglio, Italia e Santa Sede: dalla

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Mussolini approvò l’iniziativa del Giannini precisando come fosse imprescindibile dovere del governo quello di affrontare il problema della legislazione ecclesiastica per adeguarla ai bisogni della nazione. A tal fine chiese al guardasigilli Aldo Oviglio di costituire una commissione tecnica composta da persone non invise alla Santa Sede. Tuttavia, il ministro espresse parere negativo sul progetto poiché considerava prematura una riforma della legislazione ecclesiastica senza aver provveduto innanzitutto a fissare i princìpi informatori dell’intera materia in sede politica279. Nella primavera del 1924, dopo alcuni mesi di inerzia, Mussolini venne sollecitato da Giannini e da padre Tacchi Venturi perché le resistenze del guardasigilli venissero superate e il progetto di riforma venisse approntato. Questa volta, il capo del Governo si impegnò personalmente garantendo l’avvio del procedimento. A tal fine, richiese alla Santa Sede quali fossero i punti sostanziali o precipui di cui la commissione governativa avrebbe dovuto tenere conto nella riforma della materia ecclesiastica. All’inizio dell’estate Gasparri incaricò padre Tacchi Venturi di comunicare al governo quali fossero le istanze della Chiesa e a luglio la Santa Sede suggerì i nomi dei tre prelati che avrebbero dovuto presiedere ai lavori della costituenda commissione.

Le vicende relative al delitto Matteotti fecero arenare nuovamente il progetto. Ma dopo la svolta autoritaria del 3 gennaio, Mussolini fu libero di portare avanti il proprio progetto politico. Dopo un rimpasto di governo, egli si liberò del residuo influsso della vecchia classe liberale, cui faceva parte il guardasigilli Oviglio, il quale venne sostituito dal giurista nazionalista Alfredo Rocco280. Il nuovo ministro, alieno da ogni sentimento anticlericale, si mise immediatamente al lavoro per costituire la commissione tecnica dimostrandosi favorevole a una regolamentazione concordata della legislazione ecclesiastica. Nel febbraio 1925 Mussolini riallacciò i rapporti con il cardinale Gasparri, con il quale ebbe diversi colloqui. Entro la fine del mese tutto era pronto per costituire la commissione tecnica.

279

F. M. Broglio, Italia e Santa Sede: dalla grande guerra alla conciliazione, pp. 127 e ss. 280

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La commissione, presieduta all’ex popolare di destra, sottosegretario alla Giustizia Paolo Mattei Gentili, si insediò il 25 febbraio 1925 e i suoi lavori si protrassero per tutto l’anno. Ma i tre ecclesiastici che ne facevano parte, pur presenti a tutte le 35 sedute della commissione plenaria, intervennero raramente nelle discussioni. I lavori furono ultimati nell’ultima seduta del 19 dicembre, quando venne terminata l’approvazione di tutti gli articoli dei progetti di legge. Il 26 dicembre i progetti vennero presentati dal Giannini al pontefice. Essi contenevano, dal punto di vista giuridico, proposte notevoli281: il riconoscimento della personalità giuridica delle chiese; la riconoscibilità come enti morali degli Ordini religiosi e dei loro istituti; l’abolizione del placet e la sostituibilità dell’exequatur con un preventivo nulla osta dell’autorità politica; la rinuncia dello Stato alla regalia dei benefici vacanti; il completo riordinamento della proprietà ecclesiastica, con norme più favorevoli alla Chiesa. Dal punto di vista politico il progetto era ancora più rilevante, poiché mostrava inequivocabilmente la tendenza, ormai prevalente nelle sfere del governo, di favorire soluzioni che potessero essere gradite alla Santa Sede282. Il pontefice, tuttavia, pur riconoscendo le buone intenzioni del progetto, fu irremovibile nella sua posizione di rifiuto nei confronti di una regolamentazione unilaterale delle legislazione ecclesiastica italiana. Vi era peraltro la necessità di mantenere i contatti riservati poiché la Santa Sede, almeno formalmente, continuava a non riconoscere l’Italia. Quando infatti la notizia della presenza degli ecclesiastici nella commissione venne pubblicata dai giornali italiani, l’Osservatore Romano fu costretto ad intervenire il 12 gennaio 1926 chiarendo ai propri lettori la totale estraneità da parte della Santa Sede alla nomina dei tre giureconsulti così come l’estraneità del Vaticano ai lavori della commissione. Il giornale aggiungeva che, sebbene la legislazione in parola portasse un miglioramento rispetto alle disposizioni precedenti, si era lontani dal raggiungere una soluzione soddisfacente e che riparasse del tutto i torti subiti dal papato283. La pubblica reazione delle gerarchie ecclesiastiche non poté che essere negativa, avendo la Santa Sede rivendicato che l’autorità

281

A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, p. 466. 282

V. Del Giudice, La questione romana e i rapporti tra Stato e Chiesa, pp. 184-185. 283

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ecclesiastica non era stata coinvolta nella nomina dei tre ecclesiastici ma questi ultimi erano stati nominati unilateralmente dal governo italiano. Donde, la protesta del 18 febbraio da parte di Pio XI per mezzo del cardinale Gasparri, di fronte all’unilateralità di un progetto di riforma che investiva la problematica relativa al patrimonio ecclesiastico e alla posizione della Chiesa cattolica in Italia284. Il pontefice ribadì che non esisteva alcun accordo preliminare poiché i periti ecclesiastici non avevano ricevuto alcun mandato e sottolineò che per una giusta e conveniente rielaborazione delle leggi ecclesiastiche occorreva il consenso della Chiesa, ma questo non poteva avvenire “finché duri la iniqua

condizione fatta alla Santa Sede ed al Romano Pontefice”285

In realtà, un documento conservato tra le carte di Amedeo Giannini intitolato “Punti sostanziali che la S. Sede vivamente desidera vengano accolti

nella riforma della legislazione ecclesiastica”, mette in dubbio la completa

estraneità della Santa Sede e, di conseguenza, la sostanziale unilateralità del progetto di riforma della legislazione ecclesiastica286. In tale documento, suddiviso in sei punti, pare rintracciabile, quantomeno in una fase iniziale, il consenso ad una regolamentazione unilaterale della posizione della Chiesa in Italia mediante una revisione della legislazione ecclesiastica. La conferma di una tale ipotesi sembra giungere anche dalla lettura di una copia di un promemoria firmato da Mussolini e indirizzato al ministro della Giustizia, nel quale il capo del Governo comunica i nomi designati dalla Santa Sede a far parte della commissione con allegato il promemoria contenente i sei punti sostanziali che il papa desiderava vedere adottati nel progetto di riforma della legislazione ecclesiastica. Come già rilevato in precedenza, il cardinale Gasparri era stato messo al corrente del progetto da padre Tacchi Venturi e si era impegnato in prima persona nella nomina dei tre prelati. Quest’ultimi, tra l’altro, erano stati cambiati più volte e infine individuati dopo la metà del gennaio 1925. Tali cambiamenti erano stati effettuati non tanto per semplici

284

F. M. Broglio, Il fascismo e i tentativi di conciliazione, p. 242. 285

Cfr. G. Sale, Fascismo e Vaticano prima della Conciliazione, pp. 291-292; A. Martini S.J., Studi sulla

questione romana e la Conciliazione, p. 93; F. M. Broglio, Italia e Santa Sede: dalla grande guerra alla conciliazione, pp. 131-133.

286

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motivi pratici, quanto per considerazioni di politica ecclesiastica. La Segreteria di Stato voleva che i tre prelati non figurassero come rappresentanti della Sede Apostolica, in modo che il Vaticano non rimanesse vincolato alle decisioni eventualmente prese dall’autorità governativa. Essi, pertanto, avrebbero agito in tale commissione come privati, senza alcun mandato ufficiale della Santa Sede287.

Una dimostrazione in più di come il progetto non nascesse unicamente da una decisione unilaterale del governo viene dalla constatazione che molte richieste della Santa Sede vennero prese in considerazione e puntualmente accolte nel progetto di riforma preparato dalla Commissione Mattei Gentile288. La commissione era infatti composta da membri non ostili alla Santa Sede e orientò i suoi lavori tenendo presente i sei punti indicati dalla Segreteria di Stato a Mussolini. Questi, da parte sua, desiderava che gran parte di quelle richieste venissero accolte in modo da raggiungere un accordo con la Chiesa che rafforzasse la posizione del regime nei confronti della monarchia e per mettere a tacere il dissenso degli oppositori politici. Emerge quindi come, nonostante le smentite pubbliche della Santa Sede, la collaborazione tra regime fascista e Vaticano fosse ormai strettissima. Di lì la vivace reazione del Giannini di fronte all’improvviso irrigidimento della posizione di Pio XI dopo la lettura del progetto di legge. Un irrigidimento tanto più inspiegabile ai suoi occhi poiché, come scrisse Mattei Gentile in una lettera del 25 febbraio 1926 a Pio XI, la commissione aveva concesso più di quanto le era stato chiesto dall’autorità ecclesiastica289

. Questi miglioramenti proposti dalla commissione governativa, d’altro canto, vennero riconosciuti anche da padre Tacchi Venturi. Il gesuita, forse non a caso, da quel momento venne allontanato dal Vaticano dalle trattative per la conciliazione, mantenendo invece il suo ruolo di fiduciario della Santa Sede presso Mussolini per altre materie.

287 G. Sale, Fascismo e Vaticano prima della Conciliazione, pp. 281-282. 288

F. M. Broglio, Il fascismo e i tentativi di conciliazione, pp. 243-244. 289

Archivio Segreto Vaticano, Affari Ecclesiastici Straordinari, 56, 103, rif. in. G. Sale, Fascismo e

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