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L’esautorazione di Sturzo e il trionfo elettorale fascista

IL FASCISMO E LA CHIESA

4.6 L’esautorazione di Sturzo e il trionfo elettorale fascista

Abbandonato dalla Santa Sede, la sorte di Sturzo fu segnata. Le inequivocabili minacce fasciste riguardo l’adozione di misure eccezionali e definitive ottennero l’effetto voluto. Mussolini non esitò a minacciare l’avvio di una vera e propria campagna anticlericale, prospettando progetti di legge

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De Rosa, Storia del partito popolare, pp. 335-368. 233

Giovanni Sale, La Chiesa di Mussolini: i rapporti tra fascismo e religione, pp. 64-65. 234

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contro le congregazioni religiose e contro le scuole cattoliche, arrivando a minacciare l’occupazione di tutte le parrocchie di Roma qualora la nuova legge elettorale non fosse stata approvata in Parlamento235. La dura campagna denigratoria messa in atto dal fascismo per screditare il prestigio di Sturzo venne interpretata dalla Santa Sede come un invito a prendere provvedimenti nei confronti del fondatore e segretario del Ppi, poiché persona non più gradita al regime. In sostanza, era ormai chiaro che il Partito fascista chiedeva la testa del sacerdote siciliano in modo da avere la strada libera per far approvare dal Parlamento la nuova legge elettorale. Dopo aver ricevuto dal Vaticano l’intimazione di non creare impicci all’autorità ecclesiastica, il 5 luglio il cardinale Gasparri affidò a Tacchi Venturi una missiva per Sturzo nella quale il segretario di Stato si faceva a suo volta latore del desiderio del pontefice, chiedendo le sue dimissioni da segretario del partito236. L’obiettivo di Mussolini di ergersi a paladino degli interessi cattolici era raggiunto237. Il 10 luglio il sacerdote siciliano gettò la spugna e rassegnò le dimissioni che, di fatto, erano state imposte da Mussolini con il metodo già ampiamente collaudato della sua duplice strategia: da un lato assicurò che avrebbe accolto buona parte delle richieste presentate dalla Santa Sede in materia religiosa, dall’altra fece pubblicare manifesti nei quali si diceva che se il Ppi avesse impedito l’approvazione della legge il regime avrebbe preso provvedimenti negativi nei confronti della Chiesa238.

Lo stesso 10 luglio, quando i giornali riportavano la clamorosa notizia delle dimissioni di Sturzo, iniziarono le discussioni alla Camera per l’approvazione della nuova legge elettorale. Queste si protrassero fino al 15, quando venne posta la fiducia al fine di intimorire le opposizioni. Il gruppo parlamentare del Ppi si frantumò e questo facilitò l’approvazione della riforma elettorale, approvata dal Parlamento il 18 ottobre 1923. Votata con successo la legge Acerbo, il governo Mussolini affrettò i preparativi per indire nuove elezioni politiche al fine di mettere a frutto i successi ottenuti in politica interna ed

235

N. De Rosa, Storia del partito popolare, pp. 392-393.

236 ASV, AESI, pos.617, fasc. 50, f.5 Gasparri a Tacchi Venturi, 5 luglio 1923, rif. In G. Sale, Fascismo e

Vaticano prima della Conciliazione, pp. 80-84.

237

L. Ceci, L’interesse superiore: il Vaticano e l’Italia di Mussolini, p. 85. 238

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estera. Obiettivo non certo secondario rimaneva quello di far entrare nell’orbita fascista i raggruppamenti elettorali clerico-fascisti, ormai sganciati dal Partito popolare, e conquistare definitivamente i favori della Santa Sede mostrandosi pronti a rispettare le sue prerogative239. Ma anche all’interno del Partito fascista non vi era un’unità di vedute e si era sviluppata una forte polemica tra intransigenti e moderati. I primi chiedevano l’adozione di una tattica intransigente nella campagna elettorale, che includeva un largo uso della violenza per portare a compimento la rivoluzione fascista. I fascisti, secondo loro, avrebbero dovuto comporre proprie liste in diretta contrapposizione a quelle presentate da altri partiti. I moderati, viceversa, affermavano che il partito avrebbe dovuto accogliere nelle sue liste anche “personalità di prestigio” che avrebbero dovuto collaborare lealmente alla costruzione dello Stato fascista. Mussolini adottò questa secondo soluzione, ritenendola più conforme agli obiettivi politici che voleva raggiungere in quel momento. Egli non intendeva accontentarsi di una vittoria risicata, ma voleva raggiungere una vera e propria investitura popolare e, per raggiungere un tale risultato, era necessario aprire la lista governativa a personalità che godessero della stima degli italiani moderati240.

Nel marzo del 1924, quando si era ormai in prossimità delle nuove elezioni, nonostante l’adozione della tattica reclamata dai moderati e malgrado i buoni propositi di Mussolini, che aveva dichiarato che le elezioni si sarebbero svolte senza violenza e in un clima di libertà241, la violenza fascista esplose con nuovo vigore e si concentrò principalmente sugli esponenti del Partito popolare e sugli ecclesiastici. Ma ancora una volta Mussolini fu abile nell’insistere nella sua duplice strategia. Nel concedere ulteriori benefici alla Chiesa, aggiunse al calendario altre festività cattoliche mai riconosciute in precedenza dallo Stato, esonerò i seminaristi cattolici dalla chiamata alle armi e aumentò considerevolmente i versamenti ai vescovi e ai preti italiani242. Il capo fascista poteva così rivendicare di aver fatto per la Chiesa più lui in un anno che tutti

239

G. Sale, Fascismo e Vaticano prima della Conciliazione, pp. 96-98.

240 G. Sale, La Chiesa di Mussolini: i rapporti tra fascismo e religione, pp. 115-116. 241

G. Sale, La Chiesa di Mussolini: i rapporti tra fascismo e religione, p. 118. 242

Cfr. G. Sale, Fascismo e Vaticano prima della Conciliazione, p. 333; C. Cattolica, 1924, I, p. 80, rif. in D. I. Kertzer, Il patto col diavolo: Mussolini e papa Pio XI, p. 74.

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gli altri governi nei decenni precedenti, poiché era stato in grado di far approvare provvedimenti in favore della Chiesa che appagavano rivendicazioni disattese per più di mezzo secolo dai governi liberali. Quel che è più importante, tale visione venne condivisa dalla stampa cattolica che nello stesso mese ricordò ai lettori come i fascisti avessero già procurato alla Chiesa più benefici di quel poco ottenuto fino ad allora dal Partito popolare243, plaudendo in particolare ai regi decreti sulla scuola (riforma Gentile) e ai regi decreti che sancivano l’incompatibilità tra i princìpi del fascismo e i princìpi della massoneria. Provvedimenti che, apparentemente, compensavano agli occhi dei cattolici le violenze di cui si macchiavano quasi quotidianamente le squadre fasciste.

Circa il comportamento che i cattolici avrebbero dovuto adottare nelle nuove elezioni politiche che il governo fascista si apprestava ad indire, il direttore di Civiltà Cattolica, padre Rosa, presentò al Vaticano un sintetico ma incisivo memorandum nel quale dava indicazioni precise sul modo cui orientare il voto cattolico, indicandone le motivazioni di ordine politico. I cattolici italiani, secondo il prelato, non erano obbligati a votare il Ppi poiché esso non aveva la rappresentanza politica dei cattolici. Egli suggeriva alla Santa Sede di mantenersi fuori dalla competizione elettorale non appoggiando alcun partito anche se, “segretamente”, avrebbe dovuto appoggiare i popolari , per non dover rischiare di cedere la minoranza ai socialisti244. Poiché la sconfitta era certa, sarebbe stato meglio non compromettersi pubblicamente nei confronti del fascismo. Sulla base delle indicazioni del prelato, la Santa Sede inviò a tutti i vescovi italiani una lettera nella quale si chiedeva loro di tenersi fuori dalle lotte dei partiti, affinché la passione politica non prendesse il sopravvento sul ministero pastorale245. Anche se la formula utilizzata dalla Santa Sede per affermare la volontà di non immischiarsi ufficialmente nella lotta e nella passione politica ricalcava quella utilizzata nelle passate competizioni elettorali, questa venne interpretata come un’indiretta conferma che il Ppi non godeva più, ormai, del pieno e incondizionato sostegno di Pio

243

C. Cattolica, 1924, II, p. 82, rif. in D. I. Kertzer, Il patto col diavolo: Mussolini e papa Pio XI, p. 74. 244

G. Sale, Fascismo e Vaticano prima della Conciliazione, p. 118. 245

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XI. Anche se il Ppi non era stato apertamente sconfessato dalla Santa Sede, l’atteggiamento di quest’ultima corrispose sostanzialmente ad una implicita delegittimazione di quello che Benedetto XV aveva definito il partito dei cattolici alcuni anni prima. L’Azione cattolica inoltre, accentuando il proprio disimpegno politico, finì per mettere sullo stesso piano fascisti e popolari246.

Il risultato elettorale vide la schiacciante vittoria del listone governativo guidato dal Partito fascista. Il Ppi, pur registrando una forte perdita di voti, si difese bene nonostante le violenze subite e risultò essere il primo partito di opposizione, confermando di essere il più temibile avversario politico del fascismo. Questo pericolo non passò inosservato e le squadre fasciste si attivarono immediatamente per attaccare attivisti cattolici e sacerdoti laddove il Partito popolare aveva avuto un buon riscontro elettorale. La furia fascista si abbatté con particolare veemenza nella Brianza, dove squadre fasciste corsero di contrada in contrada devastando e incendiando le sedi delle associazioni cattoliche, dei sindacati e del Partito popolare247.