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Il riavvicinamento tra Stato e Chiesa

LA CONCILIAZIONE SILENZIOSA

3.5 Il riavvicinamento tra Stato e Chiesa

La guerra, con le sue prolungate efferatezze e distruzioni, aveva profondamente cambiato il volto della società. La miseria che aveva colpito così potentemente le popolazioni civili portò ad una rapida caduta della pratica religiosa. Le autorità ecclesiastiche cattoliche attribuirono questa nuova ondata di scristianizzazione della società alle idee socialiste, alimentate dalla propaganda dei partiti che le sostenevano133. La rivoluzione che nel 1917 aveva travolto la Russia zarista e la conseguente persecuzione della Chiesa ortodossa avevano esacerbato questa sensazione. La vittoria del comunismo in Russia poneva la Chiesa in una delicata situazione internazionale134. La manifestazione ateistica che il socialismo portava con sé, affermatasi ora in una importante potenza mondiale, riportava in primo piano la temibile minaccia su scala mondiale, minaccia che sembrava potesse mettere in pericolo la sopravvivenza stessa del cristianesimo. Questi timori spinsero il Vaticano ad una maggiore disponibilità circa la prospettiva di avviare un proficuo dialogo con l’Italia.

E, in effetti, con l’inizio del pontificato di Benedetto XV e lo scoppio della guerra i rapporti tra Santa Sede e governo italiano avevano assunto una nuova fisionomia. Il governo Salandra si era reso conto del mutato clima in Vaticano subito dopo l’elezione del nuovo papa. Questi, infatti, si era adoperato per

131 F. M.Broglio, Italia e Santa Sede: dalla grande guerra alla conciliazione, p.30. 132

V. Del Giudice, La questione romana e i rapporti tra Stato e Chiesa fino alla Conciliazione, p. 176. 133

G. Potestà; G. Vian, Storia del cristianesimo, p. 408. 134

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favorire la designazione di comune accordo di una persona che potesse servire da tramite confidenziale tra il governo e la Santa Sede. Da quel momento vennero di fatto stabilite relazioni segrete tra Segreteria di Stato e uomini di governo italiani. Nonostante il perdurare del pluridecennale dissidio e malgrado le tensioni summenzionate, negli ultimi anni i segnali di un possibile riavvicinamento tra Stato e Chiesa non erano mancati. Il fondatore del futuro Partito popolare, don Luigi Sturzo, pur senza schierarsi con correnti interventiste, vide con favore l’entrata dell’Italia in una guerra nazionale, ritenendo che il conflitto avrebbe contribuito ad amalgamare lo spirito degli italiani, indirizzandoli verso un nuovo ideale unitario in grado di eliminare le contrapposizioni ereditate dalle vicende legate alla nascita del nuovo Stato liberale e anticlericale135. Anche l’Unione popolare, organizzazione cattolica nata nel 1904 con l’enciclica Il fermo proposito, assunse una chiara posizione patriottica e molti suoi rappresentanti, compreso il suo presidente, partirono volontari. In generale, la guerra spinse la popolazione cattolica ad un coinvolgimento diretto alle dinamiche istituzionali del Paese, specialmente attraverso la massiccia partecipazione all’impegno bellico e attraverso l’iniziativa della Santa Sede volta all’assistenza delle popolazioni investite dal conflitto, azione che contribuì a rinsaldare il legame di queste popolazioni con le istituzioni ecclesiastiche cattoliche136. Vescovi, sacerdoti e associazioni cattoliche furono in prima linea per riempire di un senso religioso l’impegno bellico. Per la prima volta, un esplicito senso patriottico coinvolse l’associazionismo femminile cattolico che si trovò coinvolto nell’opera di sostegno alle popolazioni in difficoltà. In sostanza, la guerra giocò un ruolo decisivo nell’avvicinamento delle masse cattoliche alla causa nazionale. Di conseguenza, il laicismo liberale perse una delle sue armi storicamente più efficaci, vale a dire la denuncia del cattolicesimo come forza in radicale conflitto con la nazione137.

135

Cfr. A. Canavero, I cattolici nella società italiana; S. Romano, Libera Chiesa, libero Stato? p. 55; Piva-Malgeri, Vita di Luigi Sturzo, p. 204, cit. in G. Sale, La Chiesa di Mussolini: i rapporti tra fascismo

e religione, Rizzoli, Milano 2011, p.41.

136

G. Potestà; G. Vian, Storia del cristianesimo, p. 407. 137

L. Ceci, L’interesse superiore: il Vaticano e l’Italia di Mussolini, GLF editori Laterza, Roma; Bari 2013, p. 41.

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Il governo, dal canto suo, adottò una serie di provvedimenti che riavvicinarono il Paese alla Chiesa. Ripristinò l’ordine dei cappellani militari, soppresso nel 1878, e richiamò alle armi più di ventimila sacerdoti, i quali prestarono servizio come soldati semplici, ma in concreto fecero da cappellani al fronte. Inoltre, i cattolici erano ormai rappresentati, anche se ancora non ufficialmente, al governo. Nel 1916, ad esempio, nel nuovo governo entrò come ministro delle Finanze il cattolico milanese Filippo Meda. Come sempre, il Vaticano prese le distanze affermando che egli non rappresentava la Santa Sede. Tuttavia, era ormai chiaro che esisteva un cattolicesimo italiano pronto a fare il suo ingresso nella politica nazionale al termine del conflitto.

E difatti, pur in una situazione difficile come quella della guerra, che indubbiamente creava una situazione poco favorevole al dialogo, sul finire di quello stesso anno iniziarono i primi ufficiosi e informali colloqui tra membri del governo e alti prelati, compreso il Segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri. Pur proseguendo tra alti e bassi, i rapporti si mantennero stretti sulle numerose questioni che la guerra veniva suscitando138. Con il terminare del conflitto bellico la Santa Sede si attivò per cercare un accordo diretto con l’Italia. Gasparri diede avvio ad una paziente opera di persuasione per convincere i più influenti uomini di governo sulla necessità di trovare una soluzione o quantomeno un soddisfacente accomodamento della questione romana. Una prima disponibilità in tal senso arrivò prima del re d’Italia, poi dal ministro Orlando per mezzo del senatore Silj, cui il segretario di Stato Gasparri consegnò un appunto autografo con preghiera di trasmetterlo ad Orlando. In questa nota il cardinale affermava che la Santa Sede desiderava ottenere in Italia una situazione che le garantisse una indipendenza effettiva e apparente di fronte agli altri paesi, per il compiacimento della sua missione spirituale nel mondo intero139. Orlando, pur concordando in linea di massima con il contenuto della missiva, condizionò l’inizio delle trattative ad epoca successiva alla firma dei preliminari di pace. Vi erano sufficienti indizi per guardare con fiducia a una possibile chiusura del cinquantennale dissidio.

138

Francesco Margiotta Broglio, Il fascismo e i tentativi di conciliazione, p.234. 139

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Terminato il conflitto, le azioni di avvicinamento tra le due parti culminarono il 1° giugno 1919 a Parigi quando, a margine della conferenza di pace, vi fu un incontro tra il presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando e il segretario degli Affari Ecclesiastici monsignor Cerretti, nel corso del quale quest’ultimo esibì un documento contenente le proposte della Santa Sede per una conciliazione. Il progetto, redatto dall’avvocato concistoriale conte Carlo Santucci, uomo di fiducia e intimo confidente del cardinale Gasparri, non prevedeva richieste di natura finanziaria, ma era incentrato su rivendicazioni territoriali e di sovranità. In sostanza, appurata l’insufficienza della legge delle guarentigie per assicurare alla Santa Sede piena libertà, la Chiesa chiedeva l’attribuzione di carattere di Stato al Vaticano, con annessa indipendenza e sovranità territoriale. Le condizioni della Santa Sede prevedevano inoltre il riconoscimento della sovranità vaticana su altri terreni confinanti e accennavano ad una regolamentazione concordataria che disciplinasse i rapporti di diritto ecclesiastico. Le richieste vaticane erano quindi a quel tempo limitate a risolvere la questione territoriale, mentre la stipulazione di un concordato era solo vagamente ipotizzata. Il mezzo che il Cerretti propose ad Orlando per il raggiungimento di tale scopo era quello dell’ingresso del Vaticano nella Lega delle nazioni, poiché lo statuto della stessa conteneva una disposizione che garantiva mutualmente il territorio di tutte le nazioni che ne facevano parte. Orlando accettò quel progetto di massima come base di discussione, anche se sostenne l’inopportunità di chiedere ulteriori estensioni del territorio del Vaticano. La grandezza del territorio, affermò il capo del Governo, non aveva grande importanza perché: “anche limitato sarà sempre uno Stato; in quella guisa che tanto l’infusorio

quanto l’elefante sono esseri viventi”140

. Riguardo l’ingresso della Chiesa nella Lega, il ministro convenne sull’opportunità per la Chiesa di beneficiare di tale garanzia, precisando che l’Italia stessa avrebbe richiesto l’ingresso della Santa Sede nella Lega141. Al termine dei colloqui, Orlando si mostrò fiducioso e auspicò l’avvio di una fase di distensione nei rapporti tra Stato e Chiesa.

140

G. Spadolini, Il cardinale Gasparri e la questione romana, cit. p. 45. 141

Diario Cerretti, in V.E. Orlando, pp. 177-178, cit. in F. M. Broglio, Italia e Santa Sede: dalla grande

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Nondimeno, precisò che per avviare trattative ufficiali era necessario il parere favorevole del re e dei suoi colleghi di gabinetto.

Sembrava davvero che la soluzione romana si andasse ormai evolvendo, avviandosi lentamente alla sua sostanziale soluzione. Senonché, gli accordi Orlando-Cerretti non vennero attuati a causa del fermo diniego del re Vittorio Emanuele III. Qualsiasi soluzione diversa da quella prospettata dalla legge delle guarentigie era ritenuta dal sovrano lesiva degli interessi della Corona e contraria al dogma cavouriano della separazione tra Stato e Chiesa, rigidamente improntato al principio della laicità dello Stato142. Convinto che ogni concessione al papato avrebbe rappresentato un cedimento che avrebbe intaccato la sovranità dello Stato, il re non voleva prendere in considerazione ipotesi di conciliazione che avessero avuto il sapore della riparazione da parte dello Stato nei confronti della Chiesa. Dopo pochi giorni la caduta del governo Orlando fece definitivamente cadere il preliminare di accordo, travolgendo con sé il disegno di risoluzione della questione romana concepiti dalla Santa Sede e dal governo italiano. Sebbene la mancata soluzione del dissidio rappresentasse una cocente delusione, il disegno di accordo Orlando-Cerretti del primo giugno 1919 conteneva in germe molti punti che sarebbero stati sottoscritti 10 anni dopo, in particolare quelli riguardanti l’attribuzione del carattere di Stato al Vaticano, con annessa indipendenza e sovranità internazionale. Secondo Jemolo se la trattativa fosse giunta al termine, si sarebbe giunti a un qualcosa di simile agli accordi stipulati dieci anni dopo nel Trattato, semplicemente senza Concordato e senza Convenzione finanziaria143.

142

Cfr. G. Spadolini, Il cardinale Gasparri e la questione romana, pp. 233-248; F. M. Broglio, Il

fascismo e i tentativi di conciliazione, p. 43; F. M. Broglio, Italia e Santa Sede: dalla grande guerra alla conciliazione, p. 235; Scoppola P., La chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, p. 7.

143

Jemolo A. C., Concordato e conciliazione, 1958, cit. in Scoppola P., La chiesa e il fascismo.

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