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Le trattative ufficiali per la conciliazione

I TENTATIVI DI RIFORMA ECCLESIASTICA E I PATTI LATERANENS

5.5 Le trattative ufficiali per la conciliazione

Quando le trattative ripresero dopo l’ultima interruzione, le due parti avevano ormai prospettato le rispettive esigenze, parecchie questioni erano state risolte con reciproca soddisfazione ed erano già stati redatti gli schemi di massima dei tre documenti che avrebbero costituito i Patti del Laterano329. Vi erano però ancora alcune questioni da risolvere. La sovranità territoriale era uno dei nodi più spinosi da sciogliere in quanto veniva ritenuta dalla Santa Sede la prima ed essenziale condizione per rendere visibile la libertà e l’indipendenza del governo spirituale del papa. Mussolini era disposto a concedere la proprietà ma non a riconoscere una sovranità che avrebbe equiparato il Vaticano ad uno Stato. Il disegno del governo era quello di sovrapporre la sovranità italiana alla sovranità pontificia al fine di evitare che la Santa Sede potesse entrare, una volta acquisito lo status di Stato, nelle competizioni internazionali. I negoziatori italiani, pur concordando sulla necessità che il papa godesse di una piena indipendenza nell’esercizio del suo potere spirituale, tentarono di eliminare il termine Stato e in effetti esso non compare nei primi schemi del Trattato. Mussolini propose Città libera del Vaticano; Pio XI propose prima Città del Papa, poi Città del Vaticano. Le parti riuscirono infine a trovare un accordo nello Stato della Città del Vaticano. La sovranità del pontefice era in tal modo garantita in cambio del corrispettivo riconoscimento di Roma capitale d’Italia, sotto la dinastia di Casa Savoia, da parte della Santa Sede. Vi era nel riconoscimento vaticano l’implicita ma ben chiara rinuncia agli antichi Stati e, con esso, la rinuncia al potere temporale come strumento per l’esercizio del potere spirituale.

Se le trattative per la sovranità territoriale vennero risolte in breve tempo con la creazione dello Stato della Città del Vaticano, le negoziazioni per delimitarne l’estensione si trascinarono per diverso tempo. Fin dall’inizio i

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negoziatori vaticani avevano pensato a Villa Doria Pamphili e ad alcuni terreni del Gianicolo per ampliare il territorio del neonato Stato ed estenderlo oltre ai palazzi e ai giardini vaticani già in uso al pontefice. L’iniziale consenso del governo italiano venne ben presto osteggiato da fonti di stampa, le quali montarono un’aspra polemica affinché il capo del governo non cedesse nulla del territorio nazionale. Mussolini, timoroso di perdere prestigio e consensi, diede nuove direttive ai mediatori proponendo di limitare la sovranità del papa al territorio già in suo possesso, facendo di Villa Pamphili una dipendenza del Vaticano, in uso alla Santa Sede, ma sulla quale il papa non poteva esercitare la propria sovranità poiché parte del territorio italiano. Le proposte di modifica vennero consegnate da Barone il 6 febbraio 1928, allegate ad un promemoria redatto dallo stesso Mussolini onde convincere il pontefice ad accettarle. Nel promemoria si affermava che i vantaggi che la Santa Sede avrebbe ottenuto dalla sottoscrizione del concordato avrebbero compensato ampiamente il sacrificio della limitazione della sovranità al piccolo territorio papale330. Ma Pio XI si indignò di fronte al suggerimento di Francesco Pacelli di accettare le condizioni italiane e di abbandonare il desiderio di considerare Villa Doria Pamphili come parte dei territori vaticani, insistendo che sarebbe stato preferibile rinunciare all’accordo piuttosto che rinunciare a quella proprietà. Il pontefice rimarcò che l’indipendenza di un papa non avrebbe dovuto essere solo reale e perfetta, ma anche manifesta ai cattolici di tutto il mondo.

L’ostinata intransigenza di Pio XI venne però mesa a dura prova dalla notizia che il re non sarebbe più stato favorevole alla firma dell’accordo se fossero perdurati i motivi di dissidio che stavano rallentando nuovamente le negoziazioni. Di fronte all’ipotesi di veder vanificati anni di estenuanti trattative proprio quando ormai si era, nell’ottobre del 1928, vicini alla chiusura del dissidio, Pio XI cedette e, pur con riluttanza, abbandonò la richiesta di aggiungere Villa Doria Pamphili ai territori vaticani331. Grazie a questa rinuncia il Vaticano ottenne in contropartita alcune concessioni ancora

330 Appendice, XXII, IV, pp. 250-272, rif. in A. Martini S.J., Studi sulla questione romana e la

Conciliazione, p. 120.

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Cfr. D. I. Kertzer, Il patto col diavolo: Mussolini e papa Pio XI, p. 110; C. A. Biggini, Storia inedita

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più favorevoli in materia concordataria332. Il fatto che la sovranità della Santa Sede sarebbe rimasta entro i confini del territorio non occupato dalle truppe italiane nel 1870333, permise a Mussolini di rivendicare una grande vittoria morale e politica: egli non aveva ceduto al papa neanche una piccola fetta del territorio italiano conquistato nelle lotte del Risorgimento. Anzi, in cambio della creazione di un piccolo Stato della Città del Vaticano, la Santa Sede rinunciava ad ogni pretesa di carattere temporale e riconosceva la sovranità di casa Savoia sul Regno d’Italia, con Roma capitale334

.

Di simile tenore, ancorché più rapida, fu la trattativa relativa al compenso finanziario spettante alla Santa Sede, quantificato inizialmente in due miliardi di lire da Pio XI. Dopo averne discusso con i negoziatori vaticani, il 13 gennaio 1929 la Santa Sede avanzò la richiesta ufficiale per 1 miliardo e mezzo di lire. Mussolini diede un primo assenso in linea di massima, lasciando la scelta al Pontefice il quale si risolse ad accettare dallo Stato italiano la somma di 750 milioni335 da liquidarsi in contanti più 1 miliardo da liquidarsi in buoni del consolidato, “un valore molto inferiore a quella che a tutt’oggi lo Stato

avrebbe dovuto sborsare alla S. Sede medesima anche solo in esecuzione dell’impegno assunto con la legge 13 maggio 1871”336

. In cambio, la Santa abbandonava qualsiasi rivendicazione per la perdita dei territori già pontifici.

Altro punto cui il papa annetteva grande importanza era il riconoscimento degli effetti civili al sacramento del matrimonio cristiano. Di fronte alla riluttanza del guardasigilli Rocco, Pio XI si batté perché tale principio venisse rispettato e, infine, ottenne quanto voluto. Ma il più grande successo fu senza dubbio quello di rendere la religione cattolica religione dello Stato italiano.

Vi era tuttavia ancora una pregiudiziale di non poco conto da superare. Secondo Barone e i mediatori italiani il concordato, al contrario del trattato, poteva essere denunciato dall’Italia. Secondo il papa, invece, trattato e concordato erano assolutamente inscindibili. L’avvocato Pacelli tentò una difficile mediazione tra Mussolini e Pio XI, entrambi irremovibili, per cercare

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G. Sale, La Chiesa di Mussolini: i rapporti tra fascismo e religione, pp. 232-234. 333 P. Scoppola, La chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, p. 125. 334

G. Sale, La Chiesa di Mussolini: i rapporti tra fascismo e religione, p. 234. 335

A. Martini S.J., Studi sulla questione romana e la Conciliazione, p. 124. 336

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una dichiarazione che accontentasse entrambi. L’accordo fu trovato infine nel capoverso del Verbale di Ratifica ove “si riafferma la volontà delle parti

contraenti di osservare lealmente, nella parola e nello spirito, non solo il Trattato… ma anche il Concordato nelle sue alte finalità tendenti a regolare le condizioni della Religione e della Chiesa in Italia”337.

Le trattative per la conciliazione erano ormai ben avviate e nella primavera del 1928 venne redatto un ulteriore schema di concordato da affiancare a quello del trattato. Il testo definitivo redatto dagli esponenti del governo venne consegnato al consigliere di Stato Barone, il quale il 12 aprile 1928 espose al re e al capo del Governo le ragioni e le utilità che presentava un accordo con la Santa Sede per la sistemazione della questione romana. Barone, pur premettendo che non poteva pretendersi che la soluzione perseguita avrebbe eliminato ogni possibilità di dissidio tra Chiesa e Stato, affermò che l’eliminazione della questione romana rispondeva alle logiche esigenze della continuità della storia italiana. Successivamente elencò i vantaggi per lo Stato italiano derivanti dall’accordo in questione. L’eliminazione del dissidio avrebbe rappresentato il suggello all’unità rendendo incontestabile la costituzione di Roma capitale e dimostrando al contempo che questa non era di alcun ostacolo all’esercizio del potere spirituale della Santa Sede. L’accordo con la Chiesa avrebbe cementificato il sentimento unitario poiché in Italia, paese eminentemente cattolico, il dissidio con la Santa Sede non poteva certo essere ignorato338. Secondo Barone la soluzione della controversia avrebbe accresciuto il prestigio del fascismo tanto all’interno del Paese quanto all’esterno, tanto più che la prevista soluzione non avrebbe limitato in alcun modo la libertà dell’Italia nei rapporti con gli altri Stati e con la Chiesa stessa. In un secondo tempo, il consigliere di Stato analizzò la connessione tra i patti, vale a dire gli schemi di trattato e concordato redatti nel luglio precedente. Mentre il trattato aveva carattere definitivo e, al pari di un trattato di pace, non poteva essere denunciato, il concordato avrebbe avuto una diversa natura339. Esso era da considerarsi passibile, come tutti gli altri accordi internazionali, di

337

A. Martini S.J., Studi sulla questione romana e la Conciliazione, p. 129. 338

F. M. Broglio, Il fascismo e i tentativi di conciliazione, p. 251. 339

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future revisioni, modifiche parziali e totali come espressamente richiamato nel preambolo dello Schema, in particolare nel caso in cui le condizioni dei tempi fossero mutate340. A detta del consigliere di Stato, l’Italia avrebbe potuto, all’occorrenza, denunciare il concordato al pari di tutti gli accordi del genere per modificarlo o sospenderne l’applicazione. Inoltre, in corrispettivo delle concessioni e rinunce della Santa Sede, l’Italia si limitava a formare oggetto di convenzione bilaterale quanto già accettato con l’emanazione della legge delle guarentigie. Pertanto, gran parte degli articoli del Trattato non erano che il chiarimento e l’esplicamento di princìpi di diritto ecclesiastico già accettati e osservati, soluzione che soddisfaceva pienamente le esigenze italiane. La relazione del Barone concludeva affermando che, in sostanza, il trattato predisposto tutelava la sovranità dello Stato assicurando al pontefice la dignità e l’indipendenza necessari per l’esercizio del suo alto ministero spirituale il quale, per ovvie ragioni storiche che legavano gran parte della storia d’Italia a quella della Chiesa, non poteva certo essere disgiunto da Roma341. Il documento in questione è particolarmente importante perché ci permette di comprendere la dimensione politica e ideologica che condizionò la redazione delle norme dei Patti nonché gli scopi e i metodi della politica ecclesiastica fascista.