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L’epoca della conciliazione silenziosa

LA CONCILIAZIONE SILENZIOSA

3.3 L’epoca della conciliazione silenziosa

La speranza di una conciliazione tra Stato e Chiesa venne così nuovamente disattesa. Le reciproche convenienze non erano state così forti da sopire le vecchie diffidenze. In realtà, la situazione politica era profondamente cambiata rispetto ai decenni precedenti. Lo Stato si era consolidato e non era più preoccupato di una congiura internazionale volta a restaurare il potere temporale. Anche la situazione economica era migliorata e l’Italia aveva preso il suo posto nel novero delle principali potenze europee. D’altro canto, questa situazione di apparente forza, poneva lo Stato nelle condizioni di non dover accordare particolari concessioni alla Chiesa, verso cui in ogni caso continuava a diffidare. La Chiesa, al contrario, attraversava un periodo particolarmente delicato. Contraria a qualsiasi mutamento che la portasse ad adeguarsi ai tempi moderni, essa continuava ostinatamente a chiudersi in se stessa. Determinata a combattere per la restaurazione di una società cristiana, vedeva nemici ovunque: lo Stato liberale, gli anarchici, il socialismo, i movimenti rivoluzionari, la massoneria, il modernismo. Invero, la Chiesa sembrava essere in lotta con se stessa più di quanto non lo fosse con lo Stato italiano113. Tra i cattolici grande era il divario delle opinioni circa le soluzioni da caldeggiare nei confronti della questione romana114. Queste sue divisioni interne, alimentate peraltro da una politica poca risoluta da parte del pontefice, le impedirono quell’apertura decisiva auspicata dalla maggioranza dei cattolici italiani.

Eppure, nonostante le vecchie diffidenze, ai primi del Novecento la legislazione italiana non era stata particolarmente sfavorevole alla Chiesa. Al contrario, vi furono alcuni segnali di come una parte mondo laico non guardasse necessariamente alla Chiesa come a un nemico. Due disegni di legge presentati da Giuseppe Zanardelli per l’introduzione del divorzio nell’ordinamento italiano, naturalmente osteggiati dalla Chiesa, vennero sorprendentemente bocciati dal Parlamento. Per la prima volta, la convergenza verso un interesse comune portò il mondo cattolico e gran parte del mondo

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S. Romano, Libera Chiesa, libero Stato? Il Vaticano e l’Italia da Pio 9 a Benedetto 16, p.41. 114

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laico a combattere una stessa battaglia. Giolitti si era convinto che per rendere solido lo Stato fosse necessario allargarne le basi, chiamandovi a partecipare coloro che dal processo risorgimentale erano stati esclusi, in particolare socialisti e cattolici. Lo statista piemontese intuì che queste forze potevano essere chiamate in funzione di appoggio subalterno al programma liberal- democratico che egli intendeva realizzare. Egli non si prefiggeva una conciliazione ufficiale che avrebbe potuto risvegliare polemiche ed incidenti, quanto piuttosto una conciliazione de facto115. Fu in effetti durante il lungo periodo giolittiano, coincidente con le primi timide aperture di Pio X, che avvenne quella che fu definita l’epoca della “conciliazione silenziosa”116, promossa indirettamente e spesso inconsapevolmente da questi due personaggi che mai si incontrarono ma che chiusero, ufficiosamente, l’epoca dello scontro frontale tra Stato e Chiesa.

Frattanto, continuava l’opera di avvicinamento dei cattolici alla vita pubblica. L’attività sociale del movimento cattolico nata all’indomani della

Rerum novarum, era riuscita negli anni a rafforzare le sue strutture di base.

L’articolata rete di istituzioni assistenziali, cooperativistiche, creditizie e sindacali rispondeva efficacemente ad alcuni bisogni del mondo contadino e operaio117. In particolare, fra il 1898 e il 1902 si era sviluppato un forte movimento sindacale cattolico, soprattutto grazie all’impulso dei democratici cristiani. L’enciclica Il fermo proposito del 1904 era sembrato il segnale di via libera ad una più ampia partecipazione alle lotte politiche. Ma con la successiva liquidazione del movimento di Murri sembrava che Pio X avesse aperto un nuovo indirizzo apertamente conservatore nei confronti delle organizzazioni cattoliche. Questo atteggiamento indebolì il sindacalismo bianco proprio negli in cui il sindacalismo rosso ebbe il suo grande sviluppo. Invero, l’atteggiamento del pontefice sembra sia stato dettato da un preciso calcolo strategico: con l’enciclica era stata infatti creata l’Unione elettorale, associazione che aveva il compito di coordinare il lavoro delle associazioni elettorali cattoliche esistenti. Essendo un’organizzazione di Azione cattolica

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A. Canavero, I cattolici nella società italiana, pp. 116-117. 116

Spadolini Giovanni, Il cardinale Gasparri e la questione romana, Le Monnier, Firenze 1972, p. 16. 117

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essa era alle dirette dipendenze della Santa Sede e divenne in breve tempo uno strumento della politica conservatrice del Vaticano.118

Dopo l’esperienza del 1905, nelle elezioni del 1909 i cattolici seguirono l’abituale prassi di votare quei candidati liberali che si erano mostrati ostili al laicismo, presentando i propri candidati solo laddove vi erano buone possibilità di successo, sicché l’affermazione dei candidati sostenuti dai cattolici non influì in modo significativo sulla fisionomia della nuova Camera. Nel 1913 si ebbe invece la svolta decisiva. In prossimità delle nuove elezioni politiche, le prime dopo la concessione del suffragio universale maschile, l’Unione

elettorale iniziò un lavoro che prevedeva un’alleanza tra i cattolici organizzati

e Giolitti su base nazionale. Il presidente dell’Unione elettorale, il conte Ottorino Gentiloni, pubblicò d’intesa con la Santa Sede un documento suddiviso in sette punti contenente le condizioni che egli proponeva a chi avesse accettato il suffragio delle forze cattoliche119. Per la prima volta la lotta elettorale fu condotta dai cattolici in modo più accentrato e il cosiddetto patto Gentiloni riscosse un indubbio successo, giacché i candidati eletti col sostegno di cattolici furono ben 228. Un successo però non condiviso da Sturzo poiché l’accettazione delle condizioni contenute nel documento non doveva necessariamente essere resa pubblica e questo non giovò alla chiarezza del comportamento dei singoli. Per tale ragione il sacerdote siciliano temeva di vedere i cattolici confusi e assorbiti progressivamente dai liberali. In ogni caso, con il successo del patto Gentiloni il Vaticano aveva trovato nell’Unione

elettorale cattolica uno strumento efficiente mediante il quale penetrare nella

vita politica italiana120.

Nondimeno, vi era ancora una questione romana da risolvere. Sospinta dalla parte moderata, desiderosa di concretizzare questi nuovi segnali in un atto concreto, una parte del clero si spinse oltre. In particolare l’Arcivescovo di Udine, Antonio Rossi, nel corso di un’omelia definì una nuova possibile linea della Chiesa. Constatato che la legge delle guarentigie non era stata accettata

118 G. Candeloro, L’Azione cattolica in Italia, pp. 41-44. 119

G. Spadolini, Il cardinale Gasparri e la questione romana, p.20. 120

Cfr. G. Candeloro, L’Azione cattolica in Italia, pp. 42-47; A. Canavero, I cattolici nella società

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non tanto per il suo contenuto, quanto per questioni di principio poiché atto unilaterale dello Stato italiano, l’arcivescovo sostenne la necessità per la