A conclusione del processo costituente il bilancio è positivo: il nuovo testo costituzionale raccoglie in maniera consistente le proposte avanzate intorno alla sovranità alimentare. Questo traguardo risponde indubbiamente ad una congiuntura politica esterna favorevole ma, allo stesso tempo, testimonia la capacità di argomentazione, comunicazione ed influenza che le organizzazioni contadine hanno esercitato all'interno della società ecuadoriana, permeando con contenuti e linguaggi la riscrittura del patto sociale.
Da quel momento, la sovranità alimentare fuoriuscirà dal terreno circoscritto delle battaglie di alcune organizzazioni contadine, per divenire ambito di dibattito e di disputa per l'intera società ecuadoriana, in particolare nei processi di riforma legislativa, istituzionale e produttiva avviati nel paese. In questo modo, essa non rappresenta più una rivendicazione esclusiva propria di organizzazioni antagoniste al neoliberismo, ma assume le sembianze di una questione nazionale che conquista centralità nel dibattito politico.
93 www.biodiversidadla.org/layout/set/print/content/view/full/39369 [Consultato nel Settembre 2013]. 94 La minga è il lavoro comunitario indigeno.
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La proposta della sovranità alimentare viene istituzionalizzata nella Costituzione ecuadoriana del 2008 come parte dei diritti del buen vivir (o in kichwa: sumak kawsay). Tale passaggio merita una specifica riflessione intorno alle relative implicazioni epistemiche.
A partire dalla costituzionalizzazione dei principi del buen vivir in Ecuador, o del vivir bien (suma qamaña in aymara) in Bolivia, dalla regione andina pervengono fervidi contributi al dibattito sullo sviluppo che osano scardinare l'esclusivismo intrinseco ai concetti di sviluppo stesso, utilizzato come una sorta di teleologia della storia, e di crescita economica, fondata sulla supremazia dell'economico sul politico e sul sociale; così come della nozione, ad essi indissolubilmente legata, di progresso come orizzonte emancipatore. Sfidando questi presupposti e le correlate geografie (regioni sviluppate e sottosviluppate, economie forti ed economie emergenti), tali proposte andine hanno suggerito visioni "eretiche" sul mondo e sulla relazione tra umanità e natura. Nel farlo hanno restituito liceità alla produzione di alternative al paradigma neoliberista, che tende a negarne viabilità e visibilità, limitando il campo di re-azione, semmai, al dissenso (Dávalos 2008).
Anche in questo caso, la portata innovativa di questo contenitore onnicomprensivo, il concetto del buen vivir, va ricondotta alle lotte e alle pratiche anteriori ai passaggi costituenti. Le innovazioni che hanno attraversato, dalla fine del decennio scorso, paesi come l’Ecuador e la Bolivia non sarebbero, infatti, pensabili senza quell'azione decostituente qui già in parte descritta, anti-neoliberista, dei movimenti sociali; o a prescindere da quel ricco mosaico di esperienze d'economia solidale, di welfare autogestito o di difesa della sovranità alimentare, promosse negli scorsi decenni dagli attori sociali, in controtendenza con le politiche governative.È dunque da quell'azione decostituente, ma anche costituente, multiforme, che scaturiscono le rinnovate concettualizzazioni di produzione sociale, economia, welfare o partecipazione, la cui materializzazione, tuttavia, affronta, come vedremo, notevoli ostacoli e contraddizioni. Ciò non toglie che dei percorsi alternativi sono stati immaginati, combattuti, compiuti ed incentivati fino ad essere istituzionalizzati, almeno sul piano formale. Un processo d'innovazione sociale, dunque, è stato avviato e alcuni risultati emergono oltre l'ambito del potere performativo della parola giuridica e politica. Non a caso i governi ecuadoriano e boliviano, che se ne sono fatti mecenati, vengono definiti quali "progressisti", o, spesso, "post-neoliberisti", in particolare per il segno impresso alle politiche sociali e per il loro risignificare il ruolo dello Stato.
Nel caso ecuadoriano, la costituzionalizzazione del buen vivir, pur proiettando le coordinate per una rifondazione della costituzione materiale del paese, si confronta con congiunture nazionali e globali estremamente complesse. La svolta istituzionale, avviata con
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l'asserzione governativa di principi quali il buen vivir, la sovranità alimentare o i diritti della Natura, va in ogni caso intesa quale risultato di molteplici tensioni e negoziazioni tra settori pro-cambiamento e gruppi concentrati nella difesa dei propri privilegi (Acosta e Martínez 2011).
Agli antecedenti e alle contraddizioni del processo costituente si riferiscono chiaramente Luis Macas e Humberto Cholango (in Giunta 2012: n.d.), esponenti storici del movimento indigeno ecuadoriano e dell'organizzazione indigena principale, la Conaie, che si è adoperata in favore della costituzionalizzazione del buen vivir:
Rafael Correa non è altro che il risultato della costruzione storica e della lotta dei movimenti sociali; e tali proposte e lotte si concretizzano in questo governo. Addirittura vengono riprese nella Costituzione del 2008 attraverso, ad esempio, il riconoscimento dei diritti della natura. Conquista ottenuta grazie all’impegno unitario con ecologisti e lavoratori: infatti non si tratta di una proposta sorta esclusivamente in seno al movimento indigeno ma di una costruzione collettiva che testimonia il livello di mutua comprensione e sintonia raggiunto tra il movimento indigeno e molti altri settori sociali del paese. Per noi la Costituzione funge come arma per la lotta. In materia di diritti si è avanzato moltissimo e non certo per la volontà onnipotente del Governo ma grazie alle pressioni sociali che hanno permesso forgiare la Costituzione così com’è ora. E tali lotte non sono state opera solo degli indigeni, ma dei contadini, degli ecologisti e dei movimenti sociali in generale. Basti pensare che Alberto Acosta, durante la sua presidenza dell’Assemblea Costituente di Montecristi, ha tenuto milleduecento riunioni e di queste almeno novecento con rappresentanti dei movimenti sociali! Una rivoluzione viene fatta dal popolo, dalle masse, come diceva Marx e non dal caudillismo. La rivoluzione si riflette e si materializza nei profondi cambiamenti all’interno di un paese. Ad esempio: qual era la rivendicazione principale di tutti i contadini ed indigeni? La Rivoluzione Agraria; ma ad oggi non è stato fatto un solo passo avanti … [L. Macas]
In ogni caso il processo costituente ed in generale il processo di cambiamento in corso non sarebbero stati possibii senza quell’ondata di crisi economica, di crisi della rappresentatività e dei partiti politici che hanno attraversato tutta la regione sudamericana. Mi riferisco ad eventi come l’apparizione di Chavez, la caduta di Fujimori o, ancora, il rovesciamento, qui in Ecuador, di ben tre governi. L’abbiamo fatto come movimenti sociali, come società non convenzionale che certo non partecipava all’esercizio del potere istituzionale ma era organizzata. E così abbiamo imposto l’agenda politica. Le proposte di cambiamento non provengono dalle accademie o dai partiti ma nascono dagli esclusi e dal basso. D’altronde l’attuale Costituzione non rappresenta la sintesi perfetta ma senza dubbio raccoglie le aspirazioni delle lotte e degli sforzi che portammo avanti per mutare i rapporti di forza con il potere. [H. Cholango]
Soffermiamoci sulla portata di rottura racchiusa nel nuovo regime di sviluppo costituzionalizzato dall'Ecuador alla fine del decennio scorso.
Buen vivir è un concetto plurale e pluri-dimensionale, definito da più autori come "ancora in costruzione" (Quijano 2010; Gudynas 2011; Gudynas e Acosta 2011), basato su principi quali la reciprocità, la solidarietà e la relazionalità (Walsh 2009; Villalba 2013) che disputano terreno a ricette quali competitività, liberalizzazione o antropocentrismo, legate al progetto sviluppo e a quello globalizzazione (McMichael 2006).
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Il buen vivir è innanzitutto una categoria politica e uno strumento euristico per affermare ed indagare possibili scenari alternativi al regime dello sviluppo, più che un significante contenente, già di per sé, orizzonti delimitati dai contorni precisi. Si tratta di una grammatica rinnovata che mette al centro l'essere invece che l'avere, che ricolloca il valore d'uso accanto a quello di scambio e che, in principio, non intende configurarsi come possibile declinazione dello sviluppo. Infatti, per i movimenti sociali che l'hanno proposto, concettualmente, il buen vivir non è inteso come "sviluppo alternativo ", ma come un' "alternativa allo sviluppo" (Gudynas e Acosta 2011, Villalba 2013, Bottazzi 2009), che è, in potenza, anche via di decolonizzazione e redistribuzione del potere (globale) (Quijano 2010) .
Restano numerose, e a volte contraddittorie, le interpretazioni del buen vivir , una "questione necessariamente aperta che richiede di essere continuamente indagata, discussa e praticata" (Quijano 2010:121).95
Un concetto "aperto", quindi, a possibili e molteplici sviluppi, ma anche "comune", in quanto esercizio immanente di una produzione collettiva di significato, che vede protagonisti diversi soggetti sociali. Esso, infatti, prende spunto dalla cosmovisione andina, mutuandone alcuni principi ed approcci, che vengono poi però, soprattutto, politicizzati dal movimento e dal pensiero indigeno oltre che messi a dialogo con la produzione epistemica di correnti teoriche critiche e di altri movimenti (ecologisti, contadini e femministi in particolare).
Dunque, almeno sul piano della retorica generalmente condivisa, si nutre anche del dibattito politico internazionale di critica al capitalismo, proponendo il superamento dell’accumulazione e della crescita illimitata quali regolatrici della società, affermando principi ordinatori dirompenti, alla cui luce costruire un nuovo patto sociale fra gli esseri umani e fra questi e la natura, che rispetti la sostenibilità dei processi di riproduzione sia dell’esistenza umana sia di tutte le altre forme di vita (Giunta e Vitale 2013).
Lungi da un approccio individualistico, suggerisce una comprensione del mondo a partire da un "noi" invece che dall’"io": il soggetto del buen vivir diviene soggetto-comunitario costruito ontologicamente sulla relazione (armonica) tra gli esseri umani e tra questi e gli ecosistemi in cui vivono, operando "l'incorporazione della natura all'interno della storia,
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non come fattore produttivo o come forza produttiva, ma invece come parte inerente all'essere sociale" (Dávalos 2008: nd).96
Ciò apre spazio, indiscutibilmente, al pluralismo e all'interculturalità come modi di ripensare le relazioni sociali e lo stesso Stato (Walsh 2009; Fatheuer 2011), oltre che permettere che la natura, per la prima volta nella storia moderna, venga definita quale soggetto di diritto, ispirandosi, anche qui, alla cosmologia dei popoli indigeni che considerano la natura come Pachamama, madre terra, luogo dove si riproduce e si realizza la vita (Acosta e Martínez 2009a).
D'altronde, il concetto del buen vivir evoca una decostruzione della concezione esclusivamente lineare del tempo nell'intento di decolonizzare la comprensione della storia, attraverso un seppur timido e sporadico richiamo alla circolarità tra "futuro, presente e passato", propria della prospettiva temporale indigena, che è multidimensionale e, in quanto tale, contrapposta a quella univoca del paradigma della modernità occidentale.97
Con la sua costituzionalizzazione, il buon vivere diviene il regime verso cui aspirare. In base ad esso si attribuiscono nuovi significati al modo di produzione, all'economia, al governo del pubblico e alla partecipazione, così come alla garanzia di diritti fondamentali come quello alimentare.
L'assunzione del buen vivir come regime ordinatore, però, dovrebbe implicare necessariamente, per come concettualizzato dai movimenti sociali, il superamento della logica della valorizzazione capitalistica così come di un paradigma di sviluppo fondato su di un orientamento estrattivista. Poiché esso rimanda ad un'innovativa comprensione ontologica della relazione fra natura umana ed extra-umana che riconosce la mutua compenetrazione di esse, e, dunque, suggerisce il superamento del metabolic rift immanente al capitalismo.
Rispetto a tale contraddizione intrinseca al modo capitalistico, Moore (2010b, 2011a, 2011b) riprende la proposta teorica marxista della frattura metabolica e dell’analisi della dialettica società/natura, elaborando alcune riflessioni che consideriamo possano coadiuvare nella comprensione della portata di rottura della proposta del buen vivir. Per Moore lo stesso capitalismo è un'ecologia-mondo (quindi un sistema né esclusivamente sociale né meramente economico) che regola le forme di interazione dell’umanità con il resto della natura sulla base della logica dell’accumulazione infinita (Moore 2010b, 2011a, 2011b). In questa ottica, esso non possiede un determinato regime ecologico, essendo invece di per sé
96 Traduzione nostra.
97 Per la cosmovisione indigena kichwa il futuro è dietro di noi, alle nostre spalle, poiché non possiamo vederlo
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"un regime ecologico mondiale che coniuga l’accumulazione del capitale, il perseguimento del potere e la produzione della natura come un insieme organico" (Moore 2011b:2). Qui l’ecologia non si confonde più con l’ambiente o con la natura, ma viene intesa come la relazione tra natura umana ed extra-umana; Moore (2010a, 2010b) infatti, mutuando il termine dal filosofo e botanico greco Theophrastus, propone la categoria concettuale dell'oikeios98per esplorare in forma olistica la relazione tra natura umana e natura extra-
umana, riconoscendo le reciproche dinamiche di costruzione dell’una da e attraverso l’altra. Ciò implica da un lato, nell'analisi critica sul capitalismo, riconoscere le coordinate degli oikeios di ciascun ciclo di accumulazione, ovvero delle rinnovate forme e frontiere di appropriazione della natura umana (forza lavoro) ed extra-umana (fonti energetiche, materie prime, terra, semi, etc.). Una complessa e disordinata matrice di relazioni che ha collocato le "campagne" come produttrici di " cibo a basso costo " per ridurre i costi di produzione (abbattendo i costi di riproduzione della forza-lavoro) (Moore 2010 b, 2011b). Si tratta, dunque, di una rivisitazione della categoria della frattura metabolica che invita a collocare l’analisi delle dinamiche e delle contraddizioni socio-ecologiche all’interno (e non come complemento o come risultato) dello sviluppo del capitalismo storico.
D'altro canto, lo sguardo olistico sulla relazione natura/società suggerito risulta interessante anche se volto verso modelli epistemicamente alternativi allo sviluppo proprio del capitalismo. In questo senso, ci sembra che l'assunzione del buen vivir come paradigma implichi superare l'ottica classica del determinismo sociale, inteso come società che agisce sulla natura, promuovendo una diversa ecologia-mondo basata su di un oikeios che rifonda ontologicamente la relazione tra natura umana ed extra-umana, riconoscendone la loro congenita interdipendenza.
È secondo una prospettiva di questo genere che la Natura diviene soggetto di diritti e dunque, come sottolinea Dávalos (2008), smette di essere concepita quale fattore esterno di produzione da soggiogare e sfruttare illimitatamente, per divenire patrimonio "intrinseco" da rispettare e riprodurre. La natura diviene, così, soggetto del diritto alla salvaguardia, in forma integrale, della sua esistenza e al mantenimento, la rigenerazione e la restaurazione dei suoi cicli vitali, delle sue funzioni e dei suoi processi evolutivi: tutto ciò in quanto ambito di riproduzione e realizzazione della vita. Secondo la Costituzione ecuadoriana del 2008, ogni persona, comunità, popolo o nazionalità può esigere dallo Stato il rispetto di tali diritti, mentre i servizi ambientali non possono essere soggetti ad appropriazione, la loro produzione e il loro sfruttamento deve essere appositamente regolamentato (Gobierno del
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Ecuador 2008: Cap. VII; Acosta e Martínez 2009a, 2009b).
Dunque, la costituzionalizzazione del buen vivir presuppone, sul piano dichiarativo, il riconoscimento dell'obsolescenza della logica dell' "accumulazione per espropriazione" (Harvey 2003) e della conseguente commodification della natura, e con essa dell'agricoltura e dell'alimentazione (Corrado 2010), catapultando l'Ecuador dentro una prospettiva simbolica di emancipazione dalla storica e strutturale dipendenza dallo sfruttamento delle risorse primarie. Tuttavia si tratta di una complessa sfida, rispetto alla quale il dibattito intorno all'estrazione o meno del petrolio dal Parque Yasuní è divenuto emblematico (Fatheuer 2011).99
Sempre sul piano costituzionale, l'economia, immersa nel regime del buen vivir, mette la natura umana, ed in certa misura anche quella extra-umana, al centro come soggetto e scopo. Qui, infatti, il mercato non è considerato quale unico regolatore sociale, giacché il ruolo dello Stato è ripensato nei termini di garante dei diritti del buen vivir della popolazione e dei diritti della Natura (Gobierno del Ecuador 2008). In questo orizzonte, il sistema economico viene stabilito come sociale e solidale ed ingloba tutte le forme esistenti di organizzazione economica (pubblica, privata, mista, popolare e solidale), reclamando una relazione equilibrata tra società, Stato e mercato, in armonia con la natura, per così garantire la produzione e riproduzione delle condizioni materiali ed immateriali che rendano possibile il buen vivir (Art. 283). Dunque, la nuova Costituzione, al riconoscere un'economia mista come punto di partenza, legittima la persistenza del mercato capitalistico, seppure tracci come orizzonte una transizione che recuperi la finalità sociale per l'intero sistema economico, sotto l'egemonia del regime del buen vivir, invece che
99 Estrazione finalmente deliberata dal governo Correa nell'agosto 2013. La promessa di mantenere il
"petrolio sottoterra" riguardava la non estrazione di circa 850 milioni dal sottosuolo del Parque Nacional Yasuní (come promosso da Acción Ecologica e da altre realtà sociali) per gli impatti che tale sfruttamento avrebbe generato tanto sull'incredibile biodiversità dell'area sia nei confronti delle popolazioni in isolamento volontario che la abitano. Tale impegno si sarebbe mantenuto a cambio dell'attivazione della solidarietà internazionale (governi, agenzie, imprese, privati, etc.) intorno alla costituzione di un fondo di circa 3.600 milioni di dollari (la metà di quanto lo Stato ricaverebbe dallo sfruttamento dell'area). L'iniziativa ha creato enormi consensi su scala globale ai quali però non ha corrisposto un altrettanto entusiasta impegno finanziario, così nell'agosto 2013 il governo ha deciso procedere allo sfruttamento, che sarà dello 0,1% del territorio interessato e, si afferma, attraverso forme di "sfruttamento petrolifero responsabile con l'ambiente". Tra le possibili firme interessate allo sfruttamento petrolifero dell'area vi sono quelle cinesi, sulla scia di altri consistenti accordi firmati col governo ecuadoriano. L'iniziativa Yasuní rappresenta una delle questioni più controverse degli ultimi anni, intorno alla quale è stata promossa anche una raccolta firme per la convocazione di un referendum popolare. La documentazione presentata da attivisti (per lo più ecologisti e indigeni) è stata però considerata non ammissibile dal Consejo Nacional Electoral nel maggio 2014 (per questioni per lo più formali che hanno inficiato il numero di firme raccolte, ben maggiore di quello abilitativo) e quindi l'indizione di un referendum rigettata. Un gruppo accademico ha poi simulato la verificazione delle firme raccolte concludendo che sarebbe raccomandabile una nuova disamina; la relativa relazione è consultabile qui: www.eluniverso.com/sites/default/files/archivos/ 2014/05/informe_ final_verificacion_independiente.pdf [Consultato nel Giugno 2014].
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relegarla ad un comparto specifico e mirato ad attutire gli impatti del resto (Acosta e Martinez 2011).
Negli ultimi anni si è generato un interessante e acceso dibattito sui processi storici e gli attori sociali che hanno generato i due concetti, l'indigeno sumak kawsay e la sua traduzione in buen vivir, così come intorno alla loro interpretazione. Tale discussione è brillantemente presentata nell'introduzione di Bretón et al. (2014) al dossier dedicato dalla rivista ecuadoriana Íconos.100 Tra le questioni, vi sono da un lato la possibilità che i due concetti
rappresentino delle tradizioni inventate e, dall'altro lato, in forma correlata, l'ipotesi di una loro recente apparizione nella letteratura, anche in quella grigia, non attribuibile, tra l'altro, solo all'opera di esponenti indigeni. La prima contesa si basa sulla difficoltà di reperire l'uso dei due termini nelle cronache coloniali101 così come nei dizionari più antichi delle lingue
native o, ancora, in rassegne etnografiche ed antropologiche precedenti al 2000. Dunque, essa mette in dubbio la genuinità della paternità ancestrale del termine. Tale inquietudine sorge sebbene si tratti di un concetto politicizzato e che, da questo punto di vista e visti i suoi fini, la sua autenticità importa poco.
La seconda questione si riferisce al protagonismo del movimento indigeno nella politicizzazione dei due termini e intende misurare il peso giocato da agenzie della cooperazione internazionale, come quella tecnica tedesca, che agli inizi del 2000 hanno incentivato il dibattito intorno a questi concetti, in particolare in Bolivia, rispetto ai due termini equivalenti: vivir bien e suma qamaña. Posizioni critiche di questo tipo aggiungono, nella loro argomentazione, la difficoltà nel reperire documentazione antecedente al Duemila prodotta di proprio pugno da intellettuali o militanti indigeni intorno ai due concetti. Sebbene resti una questione da approfondire, ci sembra che l'organizzazione indigena amazzonica Organización de los Pueblos Indígenas del Pastaza (OPIP), già dalla fine degli anni Novanta, ricorra a questo concetto in Ecuador, nella variante indigena Sumak Kausai, e per riferirsi alla "vita in armonia".102
100 Si veda: Flacso-Capítulo Ecuador (2014). ÍCONOS. Revista de Ciencias Sociales. 48 (1).
101 Invece Quijano (2010) segnala studi che identificano l'ecuadoriano buen vivir ( non il boliviano vivir bien)
come termine più antico poiché apparso scritto, presumibilmente per la prima volta, intorno al 1615 nella Nueva crónica y Buen gobierno di Guaman Poma de Ayala.
102 Informazione confermata nella conversazione avuta con Marco Castillo, agroecologo che fin dalla metà
degli anni Novanta ha collaborato con questa organizzazione indigena amazzonica, la Opip. Egli sostiene che l'organizzazione abbia recuperato l'uso politico del termine fin da prima del Duemila, in particolare grazie all'elaborazione teorica dei dirigenti e intellettuali khicwa amazzonici della famiglia Viteri. Castillo precisa che fu proprio questa organizzazione indigena a proporre il concetto per iniziative di cooperazione successive, sviluppate a inizi degli anni Duemila. Ne sono esempi i materiali formativi risalenti al 2001 o il fatto che già nel 2002 questa organizzazione amazzonica, in collaborazione con la Ong italiana Terra Nuova e con quella