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La buona fede del creditore

Naturalmente, condizione imprescindibile perché l’ordinamento appresti tutela ai diritti dei terzi a fronte di un provvedimento di confisca è che si tratti di terzi di buona fede.

La sussistenza di questo requisito si spiega con la necessità di contemperare due esigenze: da un lato, evitare il sacrificio dei diritti dei terzi incolpevoli; dall’altro, garantire l’effettività del sistema di misure di prevenzione antimafia, che risulterebbe vanificato ove non si riuscissero a colpire situazioni di intestazioni fittizie di beni di provenienza mafiosa. La Cassazione nella citata sentenza del 28 aprile 1999, n. 9, stabilì che il creditore pignoratizio, per poter ottenere il riconoscimento del proprio diritto reale di garanzia, avrebbe dovuto fornire la prova, in aggiunta ai presupposti formali di opponibilità del titolo, della propria estraneità alle attività illecite del reo. In altri termini la Suprema Corte chiarì che eventuali diritti di garanzia sul bene, il cui titolo fosse costituito da un atto di data certa antecedente al sequestro, non risultavano sacrificati dalla confisca non solo quando i loro titolari non avessero tratto oggettivamente vantaggio dall’altrui attività criminosa ma anche quando, pur sussistendo un simile collegamento tra il diritto del terzo e l’attività criminosa altrui, il terzo avesse dimostrato “ di trovarsi in una situazione di buona fede e di

affidamento incolpevole”, un affidamento cioè provocato da una

situazione di apparenza che rendeva scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza. Nelle pronunce successive, oltre a ribadirsi che la buona fede costituisse un presupposto imprescindibile per la tutela del terzo e che l’onere della prova della sua ricorrenza incombesse su di lui, se ne identificò il contenuto nella “ mancanza di qualsiasi collegamento del

proprio diritto con l’attività illecita del preposto, indiziato di mafia, derivante da condotte di agevolazione o fiancheggiamento” ed inoltre

43 “la dimostrazione del suo affidamento incolpevole ingenerato da una

situazione di oggettiva apparenza che rende scusabile l’eventuale ignoranza o difetto di diligenza40”. In sostanza, dato che si attribuì

rilievo anche agli atteggiamenti colposi del terzo, si finì con l’imporre ai cittadini una sorta di obbligo generale di diligenza nello svolgimento degli affari, con in più una inversione dell’onere della prova della buona fede che, al contrario del generale principio civilistico non era presunta, ma doveva essere provata da colui che la invocava. Il fatto che dovesse essere il terzo a provare la propria buona fede fu ritenuto perfettamente compatibile con gli artt. 3, 24 e 47 della Costituzione, dalla Cassazione la quale osservò che “da un lato il doveroso

bilanciamento tra gli interessi statali e quelli del privato porta a ritenere opportuna la prevalenza dei primi rispetto ai secondi e, dall’altro, la posizione del privato è stata comunque tutelata facendo salva la possibilità che egli provi la sua buona fede41”. Mentre la

giurisprudenza concordò sul concetto di buona fede e su chi dovesse ricadere l’onere della prova, in dottrina vi furono dei contrasti con riguardo a quest’ultima questione. Un primo orientamento, in conformità con quanto affermato dalla Suprema Corte, ritenne che spettasse al terzo provare la propria buona fede, in quanto fatto costitutivo della sua pretesa di salvaguardare il proprio credito. A questo orientamento furono mosse delle critiche, in quanto si sostenne che in tal modo il terzo titolare di garanzie reali, venisse a trovarsi in una posizione paradossalmente più difficile di quella in cui si trovava la persona preposta per la misura di prevenzione: solo il primo, infatti, ma non il secondo, aveva l’onore di mostrare la propria estraneità all’organizzazione mafiosa42

. Si aggiunse che addossare al terzo

40

Cassazione Penale, Sezione I, 9 marzo 2005, n. 13413; nello stesso senso Cassazione Penale, 11 febbraio 2005, n. 12317; Cassazione Penale, Sezione V, 19 novembre 2003, n. 47887, in Rivista penale, 2005, p. 235 ss.

41

Cassazione sezione I, 29 aprile 2011, n. 3026

42

RUSSO, Confisca antimafia e tutela dei terzi: un importante revirement della

44 l’onere di provare la propria buona fede violasse il disposto dell’art. 1147 c.c.; trasmutando il tradizionale principio in dubio pro reo, in un inusitato in dubio pro re publica43. Quindi si ritenne che l’onere di

provare la mala fede o la collusione del terzo, spettasse alla pubblica accusa, e dovesse essere l’amministrazione ove fosse stata aggredita in

executivis dal creditore garantito da ipoteca sul bene confiscato, a

proporre opposizione ex art. 615 c.p.c., allegando e dimostrando la mala fede del creditore procedente44.

Una particolare categoria di terzi è rappresentata dagli istituti di credito, l’esperienza dimostra infatti che il ricorso a finanziamento bancario è utilizzato spesso dai mafiosi per mascherare operazioni di riciclaggio. Importanti indicazioni in quest’ambito sono state fornite dalla Cassazione in una sentenza del 201145 , nel caso di specie, occorreva verificare se una banca, titolare di un diritto di credito assistito da ipoteca su un bene definitivamente confiscato, potesse avanzare pretese nei confronti dello Stato per far valere il suo diritto, e quindi invocare lo stato soggettivo della buona fede. La Corte parte dal presupposto che gli operatori bancari, in quanto professionisti ed esperti delle norme e degli usi bancari, nonché della normativa in materia di reimpiego e riciclaggio di attività illecite, nella concessione del credito si attengono normalmente ad un elevato livello di diligenza, poiché sono tenuti a richiedere ed esaminare la documentazione necessaria per garantire opportunamente la banca e verificare l’affidabilità di chi chiede un finanziamento. Sulla base di queste premesse la Suprema Corte ritiene che le banche, per dare prova della loro buona fede, debbano dimostrare che, dalle indagini effettuate e dall’esame della documentazione presentata per la concessione del prestito, non siano emersi indizi tali da far presumere che i richiedenti

43 MOLINARI, Un passo avanti nella tutela dei terzi di buona fede titolari di un diritto reale di garanzia sui beni oggetto di confisca antimafia, in Cass. pen.,2006, p. 646. 44

POFI, Le incertezze della Suprema Corte in materia di confisca. Quale tutela per i

creditori?, in Giust. civ., 2010, I, p. 2062.

45 fossero affiliati ad associazioni mafiose. In virtù dell’applicazione di questi principi la Corte esclude che, nella fattispecie, la banca possa invocare lo stato soggettivo di buona fede poiché “ operatori bancari,

particolarmente fiscali ed attentissimi nella elargizione dei prestiti, scoperture bancarie e mutui ipotecari, operando secondo abituali prassi creditizie, avrebbero dovuto accertare senza difficoltà le qualità sociali ed economiche di clienti tanto particolari, regolandosi di conseguenza rispetto ai richiesti mutui”. In conclusione, secondo la

Corte, non è plausibile che le banche, da sempre attente alle condizioni sociali ed economiche dei clienti, non si accorgano di stare contrattando con affiliati ad associazioni criminali.

4. Prevalenza della misura di prevenzione rispetto al