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La tutela dei terzi nel caso del sequestro/confisca di prevenzione

“piovra” mafiosa non potesse non prevalere sull’interesse del singolo alla conservazione del suo credito. L’orientamento dottrinario che prevalse, negò che la confisca antimafia potesse qualificarsi come acquisto a titolo originario perché, in primo luogo non fosse possibile far acquisire allo Stato un diritto maggiore di quello di cui era titolare il prevenuto, quindi se questo fosse stato proprietario di un bene ipotecato, allo Stato si sarebbe trasferito il diritto di proprietà così come limitato dalla garanzia ipotecaria27. Inoltre l’art. 2, ter, l. 575/65 prevedeva la possibilità di confiscare anche i crediti, ed è chiaro che l’acquisto di un credito non può mai avvenire a titolo originario, perché la sua stessa esigibilità presuppone la permanenza del vincolo col debitore ceduto28. La natura originaria della confisca con la conseguente perdita dei diritti garantiti da ipoteca sui beni del mafioso, poteva inoltre comportare degli effetti controproducenti, inducendo i creditori del mafioso a non denunciare le situazioni dove aleggiava l’inquinamento mafioso.

2. La tutela dei terzi nel caso del sequestro/confisca

antimafia

Questione necessariamente collegata alla natura giuridica della confisca è, come già anticipato nel paragrafo precedente, la tutela dei terzi, senz’altro fra le più delicate nella materia della prevenzione, considerato che i beni oggetto delle misure patrimoniali possono essere di proprietà anche di soggetti diversi dai destinatari delle stesse, e che

27 BONGIORNO, Tecniche di tutela dei creditori nel sistema delle leggi antimafia, in

Rivista diritto processuale, 1988, p. 454.

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FARINA, Sulla tutela dei creditori ipotecari e dell’aggiudicatario

33 in relazione ai medesimi beni altri soggetti vantino situazioni giuridiche collegate oppure pretese di natura obbligatoria. Quindi il conflitto fra l’interesse statuale a sottrarre alle associazioni mafiose tutte le ricchezze illecitamente accumulate e le risorse materiali necessarie alla loro sopravvivenza, e l’interesse privato alla protezione dei diritti comunque collegati alla posizione del soggetto prevenuto, in assenza di un’organica disciplina, è stato per anni al centro di un acceso dibattito dottrinario e giurisprudenziale. La difficoltà della regolamentazione derivava appunto dal problema di conciliare la tutela dei diritti dei terzi con la prevenzione dei rischi derivanti da precostituzione di posizione creditorie di comodo che consentissero di aggirare gli esiti dell’azione di prevenzione. A ciò si aggiungeva la necessità di evitare appesantimenti del procedimento di prevenzione derivanti dalla necessità di accertare la buona fede dei terzi ovvero di rallentare o bloccare il procedimento di destinazione dei beni confiscati definitivamente a causa di diritti di garanzia iscritti. Il bilanciamento di tali interessi veicolava e veicola per la soluzione di una serie di questioni interpretative: l’individuazione dei presupposti in presenza dei quali i terzi possono opporre i propri diritti allo stato confiscante; la scelta del giudice civile o penale cui attribuire la competenza a risolvere il conflitto tra i soggetti in contesa; la ripartizione dell’onere della prova in ordine alla dimostrazione dello stato soggettivo di buona o mala fede del terzo; i rimedi esperibili dal terzo successivamente al provvedimento di confisca.

Risale al 1998 l’istituzione della “Commissione per la ricognizione e il riordino della normativa di contrasto della criminalità organizzata” ,presieduta da Giovanni Fiandaca, il cui progetto di riforma conclusivo prevedeva anche una dettagliata regolamentazione degli effetti del sequestro e della confisca nei riguardi dei terzi. Quest’ultimo, nel 2007 è stato richiamato nello schema di disegno di legge delega al Governo «per l’emanazione di un testo unico delle disposizioni in materia di

34 misure di prevenzione», laddove si sollecitava l’introduzione di un iter procedimentale che consentisse di dare spazio a tutte le istanze proveniente dai soggetti a vario titolo interessati dalle singole misure di prevenzione, contemperando tale esigenza con quella, altrettanto evidente, di rendere agile e celere la procedura medesima. Segnali davvero concreti del risveglio legislativo per la posizione dei terzi sono stati il d.l. 23/05/2008, n. 92 (c.d. pacchetto sicurezza per contrastare fenomeni di illegalità diffusa collegati alla criminalità organizzata), che ha aggiunto al citato art. 2 ter, fra gli altri, il 10°, 13° e 14° co., e il d.l. 4/02/2010, n. 4, che ha modificato l’originario 5° co. del medesimo articolo29.

Le opinioni circa la necessità ed opportunità o meno di offrire una tutela ai terzi creditori in sede di prevenzione, prima dell’emanazione del c.d. Codice antimafia, erano tripartite tra: chi prediligeva la prevalenza della tutela dell’affidamento dei terzi, e quindi affermava il diritto del terzo a partecipare al procedimento di prevenzione nonché, in caso di pretermissione, ad esercitare l’incidente di esecuzione; chi non vedeva altra alternativa per il terzo oltre a tentare di ottenere in sede civile un accertamento di un diritto nei confronti dell’erario; chi affermava la prevalenza assoluta degli interessi pubblici sottesi alla prevenzione, sottolineando che il bene confiscato entrasse nel patrimonio indisponibile dello Stato, che non ammettesse deviazioni dalla destinazione pubblica, mostrandosi anche scettico sulla possibilità di distinguere buona e malafede in capo ai terzi.

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BALSAMO-CONTRAFFATTO-NICASTRO, Le misure patrimoniali contro la

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2.1. I terzi titolari di diritto di credito non garantiti da

diritti reali

La giurisprudenza, dopo alcune iniziali incertezze, non ha riconosciuto alcuna facoltà di intervento nel procedimento di prevenzione, né altra tutela sui beni sequestrati e poi confiscati, ai titolari di meri diritto di credito non garantiti da diritti reali, anche se in buona fede.

La Corte Costituzionale fu investita della questione di legittimità costituzionale della legge 575 del 1965 in relazione all’art. 24 Costituzione, nella parte in cui non era previsto che nell’ambito del procedimento per le misure di prevenzione i terzi creditori del soggetto proposto potessero ottenere tutela giuridica satisfattoria dei diritti vantati sui beni sequestrati o comunque definitivamente confiscati. Era stato quindi chiesto ai giudici costituzionali di suggerire eventuali tecniche di tutela per assicurare ai terzi di buona fede di soddisfare i propri crediti nei confronti di una impresa fallita i cui beni erano stati sottoposti a sequestro ex legge antimafia. In maniera logica i giudici della Consulta osservarono che soltanto un intervento legislativo poteva porre rimedio a tale deficienza e che pertanto “destinatario

della richiesta avanzata dal giudice a quo non potrebbe essere altri che il legislatore, non certo questa Corte30”.

La giurisprudenza di merito e di legittimità ha costantemente affermato che i terzi titolari di diritto di credito non hanno alcuna tutela nel giudizio di prevenzione, essendo legittimati ad intervenire solo i terzi cui “appartengono” i beni. Questi sono coloro che “vantano un diritto reale costituito sul bene oggetto del provvedimento di confisca e non il titolare di un diritto di credito”. Il mancato riconoscimento dei diritti di credito preesistenti, pur costituzionalmente legittimo, ha evidenziato alcuni limiti di carattere pratico, in particolare nel caso di sequestro d’azienda. La rigida applicazione di questo principio comportava che

36 nessun debito, che fosse stato assunto nel corso dell’attività imprenditoriale prima del sequestro potesse essere onorato, anche in presenza di contratti in corso, con evidenti riflessi sui rapporti con i fornitori. Attenta dottrina, allora si interrogò circa l’inopportunità di sacrificare a priori i creditori chirografari, suggerendo di fornire un supporto, quantomeno in termini di acconti, a chi dimostrasse comunque con certezza l’anteriorità del credito e la buona fede. Come già anticipato, gli strumenti offerti per fornire tale tutela erano piuttosto ristretti nella prassi di alcuni tribunali, come si evince da questa decisione del Tribunale di Palermo: “ intervenuta la confisca,

resta esclusa qualsiasi tutela dei terzi incolpevoli, giacché nessuna diversa previsione è ravvisabile nel sistema della legge antimafia31”.

Si criticavano i condizionamenti culturali derivanti dalla giurisprudenza fallimentare e dalla falsa convinzione che anche nel procedimento di prevenzione si dovesse in qualche modo garantire la

par condicio creditorum. Secondo A. Cairo32, in alcuni casi i terzi avrebbero potuto persino agire per ottenere un risarcimento, affermazione pesante che implicava la possibilità di un giudizio sulla

iustitia o meno di un intervento di prevenzione patrimoniale. Non

bisognava comunque sottovalutare, che i creditori chirografari erano e sono proprio il cuore pulsante dell’attività economica del proposto o del presunto interposto e, quindi si rilevava come fosse utile per la procedura non addivenire ad un congelamento di tali rapporti, bensì alimentarli sia per perseguire gli obiettivi di conservazione e valorizzazione del patrimonio sequestrato, sia per consentire nel concreto all’ amministratore giudiziario di farsi un’idea circa la natura reale o fittizia di alcuni rapporti e, quindi, circa la buona o malafede dei terzi creditori.

31 Tribunale di Palermo 18 aprile 1989, con nota di E. AGUGLIA, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 1990, p. 613.

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A.CAIRO, Le misure di prevenzione patrimoniale. Amministrazione giudiziaria,

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2.2.

I terzi titolari di diritti reali di garanzia

Con riguardo ai diritti reali di garanzia, in dottrina e giurisprudenza, si assistette a tentativi di dilatazione del concetto di “appartenenza” a terzi, allo scopo di estendere ai soggetti che erano titolari di diritto di credito garantito da ipoteca sui beni in sequestro, la stessa posizione processuale assicurata dal comma 5 dell’art. 2, ter, della legge 575/65 ai terzi proprietari o titolari di diritti reali di godimento. Nonostante nel 2000 la Suprema Corte sezione Penale33, affermò che nel concetto di appartenenza andassero inclusi i diritti reali di garanzia, in quanto comportavano una indisponibilità del bene in capo al proprietario, e l’assoggettamento dello stesso bene al titolare di tali diritti, al quale doveva riconoscersi la possibilità di intervento nel procedimento di prevenzione e non la residuale tutela dell’incidente di esecuzione, rimasero parecchi dubbi poiché tale teoria non trovava chiara corrispondenza con la lettera della norma, che sembrava appunto voler fare esclusivo riferimento ai proprietari o titolari di diritti reali di godimento. Si crearono quindi opinioni discordi, circa le modalità attraverso le quali il creditore ipotecario potesse far valere il proprio diritto reale di garanzia nei confronti dello Stato confiscante. Un primo orientamento, si basò sull’assunto che la confisca costituisse acquisto a titolo derivativo, e che non travolgesse perciò i diritti dei terzi: tuttavia si ritenne che tali diritti non potessero intaccare la superiore esigenza di contrasto alla criminalità organizzata. Di qui la conseguenza che il diritto del creditore ipotecario sopravvivesse alla confisca solo ove egli fosse stato in grado di dimostrare il possesso congiunto di due elementi, uno oggettivo: costituito dal carattere reale e non fittizio della situazione giuridica vantata dal terzo in forza di titolo avente data certa anteriore alla misura patrimoniale antimafia; ed uno soggettivo

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Cassazione penale sezione 2, 16 febbraio 2000, in Cassazione Penale 2000, p. 2770.

38 consistente nella buona fede del terzo che avesse fatto affidamento sul patrimonio dell’indiziato di mafia, incolpevolmente ignorandone sia la mafiosità, sia l’origine illecita del suo patrimonio. Tuttavia stabilire se il terzo creditore ipotecario fosse stato o meno colluso col prevenuto “

impone un’indagine (…) estesa ed approfondita, che (…) può essere svolta solo dal giudice penale (…) in sede di procedimento di esecuzione34”. Pertanto il creditore che intendesse escutere la propria

garanzia doveva necessariamente rivolgersi al giudice penale: o intervenendo nel procedimento di prevenzione, oppure ricorrendo all’incidente di esecuzione ex art. 666 c.p.p. Questo orientamento divenne negli ultimi anni pressoché unanime nella giurisprudenza delle sezioni penali della Corte di cassazione, le quali ripetutamente affermarono che rientrasse nella competenza del giudice dell’esecuzione l’accertamento della buona fede del terzo, dato che dall’esistenza o dall’esclusione di tale condizione soggettiva derivasse la sopravvivenza o la caducazione del diritto sul bene confiscato. Da queste premesse la giurisprudenza delle sezioni penali della Suprema Corte trassero due corollari: il primo che spettasse al giudice dell’esecuzione, ove il creditore ipotecario non avesse dato prova della sua buona fede, ordinare al conservatore la cancellazione dell’ipoteca; il secondo che essendo riservato al giudice dell’esecuzione l’accertamento dell’esistenza di iura in re aliena sul bene confiscato, il creditore ipotecario non potesse avviare alcuna procedura esecutiva con le forme del codice di procedura civile sul bene confiscato. Egli invece avrebbe dovuto chiedere al giudice della prevenzione l’accertamento del proprio diritto reale, e quindi una volta ottenuto il relativo accertamento far valere il proprio diritto dinanzi al giudice civile con i residui mezzi offerti dalla legge. In sostanza, in virtù di tale orientamento, il creditore ipotecario, dopo avere proposto l’incidente di esecuzione e dopo avere ottenuto dal giudice penale la pronuncia

39 che avesse accertato la propria buona fede e l’esistenza dell’ipoteca, avrebbe dovuto iniziare un nuovo giudizio nei confronti dello Stato confiscante per ottenere il pagamento del credito garantito da ipoteca: non, però, un giudizio di esecuzione, ma un ordinario giudizio di cognizione, e senza poter vantare alcuna causa legittima di prelazione. Ciò portava alla conclusione che il creditore ipotecario venisse privato del proprio diritto di garanzia, anche quando fosse stato in buona fede ed avesse trascritto l’ipoteca prima della trascrizione della confisca35

. Le sezioni civili del Supremo Collegio intervennero in un numero limitati di casi formulando dei principi che non sempre apparvero in sintonia con le finalità della normativa antimafia. Esemplari in particolari due pronunce del 2003 e del 2007, ove la terza sezione civile, in antitesi con quanto affermato precedentemente dalle sezioni penali della medesima Corte, escluse la competenza del giudice della prevenzione - in funzione di giudice dell’esecuzione - nel caso di diritto reale di garanzia conseguito, anteriormente all’insorgere del procedimento di prevenzione, con l’iscrizione dell’ipoteca sui beni poi sottoposti a confisca sul presupposto che costui fosse titolare di diritti sorti sulla cosa senza alcun collegamento con l’attività dell’indiziato o collusione con esso. Secondo la Corte “il titolare del diritto di

garanzia reale conseguito, anteriormente all'insorgere del

procedimento di prevenzione vanta un diritto che si estingue solo per le cause indicate dall'art. 2878 cod. civ. ed è vano affermare che deve essere fatto valere davanti al giudice dell'esecuzione penale, attraverso un incidente di esecuzione. Questa forma di tutela, infatti, non è nella legge..36”. Chiaramente il contrasto tra la giurisprudenza

civile e penale comportò contrasto di giudicati, con disorientamento

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Cassazione Penale sezione 1, 11 febbraio 2005, n. 12317.

36 La Corte nella parte finale della decisione condivise la necessità di perseguire le

finalità elusive della normativa antimafia, ma ritenne che questa esigenza dovesse realizzarsi con comportamenti coerenti , non compromettendo il principio della certezza dell’esistenza di un’ipoteca e non utilizzando l’istituto dell’incidente dell’esecuzione penale, fuori dei suoi limiti.

40 delle parti coinvolte. Accadeva che la parte aggiudicataria dell’immobile all’esito dell’espropriazione forzata, nonostante la buona fede, si vedesse rigettata l’istanza di restituzione dell’immobile definitivamente confiscato. È chiaro che in casi del genere, l’unica via che potesse risolvere il conflitto era quella di adire da parte del giudice di merito il giudice di legittimità.

Quali fossero gli strumenti di tutela dei diritti dei terzi, divise non solo la giurisprudenza ma anche la dottrina, dove si svilupparono due diverse opinioni. Alcuni ritennero che la forma di tutela del terzo cambiasse a seconda del diritto vantato da questi: sicché per alcune domande sarebbe stato competente il giudice civile, per altre quelle penale. A fondamento di tale teoria vi era la distinzione tra i terzi titolari sui beni confiscati di diritti incompatibili con quelli del prevenuto e terzi titolari di diritti compatibili con quelli del prevenuto. Nel primo caso, l’accertamento della titolarità del diritto del terzo spettava al giudice civile, perché il giudice penale non poteva mai essere chiamato a stabilire chi fosse titolare del diritto di proprietà del bene confiscato. Il suo compito era solo quello di stabilire se il proposto per la misura di prevenzione avesse la disponibilità del bene, che ovviamente prescindeva dalla proprietà. Nel secondo caso, invece, poiché la confisca costituiva un acquisto a titolo originario, i terzi titolari di diritti reali di garanzia dovevano rassegnarsi a patirne la perdita. L’eventuale buona fede del terzo, sarebbe stata del tutto inutile, in quanto l’interesse generale dello Stato alla repressione del fenomeno mafioso avrebbe prevalso su quello del privato a conservare un diritto di credito, inoltre si aggiungeva che la tesi in esame non nuoceva all’ignaro aggiudicatario del bene in sede di esecuzione forzata, perché nessun comune cittadino avrebbe avuto il coraggio di partecipare ad un’asta di beni appartenenti a mafiosi37

.

41 Altri autori, i quali ritenevano che la confisca non costituisse un acquisto a titolo originario negavano che essa potesse pregiudicare i diritti reali di garanzia precedentemente iscritti e in sostanza erano concordi con l’orientamento che si era consolidato presso la giurisprudenza delle sezioni penali della Cassazione. Quindi sostennero la possibilità di affrontare un doppio binario per il terzo che avesse voluto conservare la propria garanzia, cioè: far accertare dal giudice penale la propria buona fede e l’anteriorità dell’iscrizione dell’ipoteca rispetto alla trascrizione del sequestro; una volta che avesse ottenuto l’accertamento della buona fede, promuovere davanti al giudice civile un ordinario giudizio di cognizione nei confronti dell’amministrazione, per ottenere il pagamento del credito garantito, ma senza beneficiare di alcun diritto di prelazione. A tale orientamento furono mosse parecchie critiche perché: nonostante ammettesse in teoria la salvezza dell’ipoteca iscritta prima del sequestro, di fatto ne travolgeva gli effetti, perché sottraeva ai creditori lo ius distrahendi38; costringeva il creditore ipotecario a fare due processi, uno davanti al giudice penale e l’altro davanti al giudice civile, previa esecuzione di un nuovo pignoramento. Paradossalmente alla conclusione di questo travagliato procedimento, il creditore avrebbe potuto trovarsi privo della garanzia se nel frattempo altri creditori avessero già esaurito il patrimonio del prevenuto39.

38 FARINA, Sulla tutela dei creditori ipotecari e dell’aggiudicatario nell’espropriazione dei beni confiscati, in Dir. Fallim., 2008, II, 496 e ss. 39

RUSSO, Confisca antimafia e tutela dei terzi: un importante revirement della

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