• Non ci sono risultati.

Dichiarazione di fallimento successiva al sequestro

In particolare, l’articolo 63 del Codice si occupa, come accennato, del caso in cui la dichiarazione di fallimento intervenga successivamente all’esecuzione del sequestro di prevenzione, risolvendo alcuni problemi interpretativi che nella prassi si erano posti in ordine alla titolarità del potere di agire per ottenere l’emissione della dichiarazione di fallimento, ma, al tempo stesso, ponendo una serie di questioni ermeneutiche di non scarso momento e potenzialmente cariche di rilevanti conseguenze operative. Il comma 1 del citato articolo, esordisce stabilendo che nel caso di sequestro o confisca di beni aziendali appartenenti ad un imprenditore, il pubblico ministero, anche sulla base della segnalazione proveniente dall’amministratore

102

Cassazione Civile, Sezione sesta 04 novembre 2014, n. 23461 in

94 giudiziario, che abbia evidentemente verificato lo stato d’insolvenza dell’impresa sottoposta a vincolo di prevenzione, chiede al Tribunale competente la dichiarazione di fallimento del proposto.

Sotto il profilo della legittimazione attiva deve, quindi, osservarsi come vi sia stata una precisa scelta del Legislatore nel voler attribuire all’organo inquirente pubblico, rappresentante dello Stato, il potere- dovere di agire per ottenere una pronuncia declaratoria del fallimento dell’imprenditore pericoloso alla stregua della normativa antimafia: quindi, può dirsi introdotta nell’ordinamento una nuova ipotesi di iniziativa del P.M. in tema di dichiarazione di fallimento, accanto a quelle, tassative, già previste dagli articoli 6 e 7 della Legge fallimentare. Tale previsione normativa potrebbe considerarsi quale conferma dell’opzione interpretativa che esclude un generale potere di azione del pubblico miniestero, sicché l’iniziativa di questi è ora opportunamente sganciata dalle ipotesi ivi indicate, essendo stata introdotta la segnalazione dell’amministratore giudiziario quale atto di impulso per l’organo della pubblica accusa103

.

Autorevole dottrina104 sostiene che la formulazione della norma faccia venir meno l’autonoma legittimazione dell’amministratore stesso di proporre a sua volta istanza di (auto)fallimento, parallelamente alla citata segnalazione.

Il comma 4 dell’articolo 63 stabilisce che, allorché venga dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare, quindi i creditori ammessi potranno soddisfarsi soltanto con i beni non colpiti dal vincolo di prevenzione. Non si tratta, come potrebbe apparire ad una prima lettura, di una deroga al principio generale contenuto nell’art. 42 della l. fall., che

103

G. MINUTOLI, Insolvenza dell’impresa commerciale e criminalità organizzata: un

approccio interdisciplinare per un problema globalizzato, in G. MINUTOLI (a cura di), Crisi d’impresa ed economia criminale, Milano, 2011, p. 3-13.

104

A. BALSAMO – C. MALTESE, Il codice antimafia, Milano, 2011, p. 7-9; in senso contrario G. MINUTOLI, Verso la fallimentarizzazione del giudice della prevenzione

95 regola gli effetti del fallimento sui beni del fallito, quanto piuttosto di un’ipotesi latamente riconducibile all’art. 46 della medesima l. fall. (che elenca i beni non compresi nel fallimento). Si è sostenuto che il citato comma 4 dell’art. 63 demanda la tutela delle ragioni creditorie e dei terzi in genere alla sola procedura di prevenzione, con la conseguenza che, qualora il fallimento intervenga dopo che il giudice della prevenzione abbia già effettuato la verifica dei crediti alla stregua degli artt. 57 e ss. del Codice antimafia, occorre comprendere quale efficacia possa avere il decreto di esecutività di quello stato passivo considerato che, com’è noto, quest’ultimo ha efficacia solo nei confronti dell’Erario (art. 59 comma 4) e non già nei confronti dei creditori, e che il giudice delegato al fallimento potrà trarre elementi di prova sia dalle risultanze dello stato passivo redatto dal giudice del sequestro, sia dai decreti pronunciati dal Tribunale della prevenzione all’esito dell’opposizione o dell’impugnazione dei crediti105

.

Appare inevitabilmente opportuno, dunque, che si instauri un rapporto di sinergia e collaborazione sia tra amministratore giudiziario e curatore fallimentare, sia tra giudice delegato della prevenzione e giudice delegato al fallimento, in prima battuta al fine di individuare con precisione quali siano i cespiti sui quali la dichiarazione di fallimento potrà legittimamente spiegare i suoi effetti e, nel corso della gestione, al fine di consentire un’immediata apprensione del bene nelle ipotesi, ad esempio, di revoca del sequestro o della confisca dello stesso. Il quinto comma dell’art. 63 comporta che, nell’ipotesi innanzi delineata di separazione tra i beni ricompresi nella massa fallimentare e quelli colpiti da misure di prevenzione, il giudice delegato al fallimento procede alla verifica dei crediti, secondo il procedimento disciplinato dal R.D. n. 267/1942, verificando altresì anche con riferimento ai rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, la sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 52, comma 1, lettere b),

105

G. MINUTOLI, Verso la fallimentarizzazione del giudice della prevenzione

96 c) e d) e comma 3. La norma desta numerose perplessità, sostanzialmente legate alla verifica della sussistenza della buona fede in capo al creditore e della necessità di tale verifica “anche con riferimento ai beni sottoposti al sequestro” e, quindi, anche nell’ipotesi in cui vi sia un attivo fallimentare, poiché non tutti i beni del fallito sono oggetto della misura di prevenzione. Il giudice fallimentare compie una verifica basata, essenzialmente, sulla documentazione acquisita alla procedura e sugli atti depositati dallo stesso creditore istante. Si tratta cioè, nella maggior parte dei casi, di una verifica di natura sostanziale ma limitata ai soli documenti (formali) giustificativi del credito. Il giudice fallimentare non conosce (in quanto non ha gli strumenti per poter conoscere) gli ulteriori rapporti personali e patrimoniali esistenti fra il creditore ed il debitore, la natura dell’attività esercitata dal creditore, se vi sia stata e come si sia svolta una fase precontrattuale. Ci si chiede, inoltre, se dovendo il giudice delegato, secondo le norme fallimentari, verificare i crediti precedenti alla dichiarazione di fallimento, debba anche verificare i crediti (prededucibili) sorti in occasione della misura di prevenzione per la gestione dell’impresa.

Il sesto comma dell’articolo 63 disciplina la differente fattispecie in cui vi sia perfetta coincidenza tra beni attinti da misure di prevenzione e beni suscettibili di apprensione nella massa fallimentare: in siffatta evenienza la legge riconosce la prevalenza delle misure di prevenzione, disponendo che il tribunale, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiari chiuso il fallimento con decreto ai sensi dell’art. 119 l. fall. Viene così ad essere codificata una nuova ipotesi di chiusura del fallimento – e a monte di rinuncia alla verifica dei crediti106 – per sottrazione della massa ad opera degli organi della

106 Va evidenziato come, a prescindere dall’espresso richiamo all’art. 119 l. fall. da

parte del legislatore riformista, già la legge fallimentare, dopo le riforme del d.lgs. n. 5/2006 e del d.lgs. n. 169/2007 contiene in sé una compiuta disciplina dell’ipotesi in cui il curatore non abbia alcuna prospettiva di realizzo, stabilendo l’art. 102 l. fall. la facoltà del Tribunale di disporre, su istanza del curatore, sentito il fallito e il

97 misura di prevenzione, sostanzialmente riconducibile a quella già prevista dall’art. 118, n. 4, l. fall., cioè di chiusura del fallimento per mancanza di attivo. In caso di revoca del sequestro o della confisca (ipotesi specificamente delineata dal comma 7 dell’art. 63), il curatore del fallimento ancora aperto provvede all’apprensione dei beni svincolati secondo le norme della procedura concorsuale richiamate. Se invece il fallimento è stato già chiuso, si provvede alla sua riapertura ai sensi dell’art. 121 l. fall. Mentre, tuttavia, di norma la riapertura della procedura fallimentare è disposta dal Tribunale su ricorso del medesimo fallito107 ovvero dei creditori, l’art. 63, comma 7, del Codice conferisce legittimazione attiva anche al pubblico ministero, in presenza di sopravvenienze attive che derivino dalla revoca di misure di prevenzione patrimoniali. La formulazione della norma pone dei dubbi: la procedura fallimentare riprenderà dal momento in cui era giunta al momento del decreto di chiusura o dal momento in cui era giunto l’accertamento del passivo nel procedimento di prevenzione? I creditori già ammessi al passivo dal giudice della prevenzione potranno chiedere la conferma del provvedimento di ammissione al giudice fallimentare o dovranno presentare nuova domanda di ammissione? Il credito escluso perché ritenuto “strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego” deve essere riesaminato alla luce delle sole norme della legge fallimentare? La risposta a tali quesiti non può che partire da tre constatazioni: il venir meno della misura di prevenzione fa venir meno anche le esigenze di verifica della sussistenza della buona fede; l’art. 59, comma 4, d.lgs. 159/2011 dispone che “i provvedimenti di ammissione e di esclusione dei crediti producono effetti solo nei confronti dell’Erario”; l’art. 63, comma 7, richiama

comitato dei creditori, di non farsi luogo alla verifica dello stato passivo nel caso di previsione di insufficiente realizzo derivante dalla liquidazione dell’attivo

fallimentare.

107

Ovviamente il fallito deve offrire ai creditori vecchi e nuovi il pagamento di almeno il 10% dei crediti concorrenti.

98 l’art. 121, l. fall. che prevede la riapertura del concorso fra tutti i creditori. In sostanza, il giudice fallimentare effettuerà una nuova verifica dei crediti in forza delle sole norme fallimentari, e verificherà anche i crediti sorti in pendenza del procedimento di prevenzione. Per i creditori già ammessi al passivo in pendenza del fallimento, basterà chiedere la conferma del provvedimento di ammissione108.

2.1. La legittimazione a proporre l’azione revocatoria

All’amministratore giudiziario e non al curatore, ai sensi dell’art. 63, ultimo comma del Codice antimafia è riconosciuta la potestà di proporre le azioni revocatorie con gli effetti di cui all’art. 70 della legge fallimentare n. 267 del 1942. Tale norma rappresenta un importante innovazione, poiché persegue l’intento di avvicinare i poteri e i compiti dell’amministratore giudiziario a quelli che l’ordinamento già riconosceva al curatore fallimentare109

. Opportunamente, l’art. 63, comma 8, del Codice precisa che gli effetti del decreto di sequestro o di confisca si estendono anche ai beni oggetto dell’atto dichiarato inefficace: la disposizione amplia normativamente gli effetti della misura di prevenzione estendendoli sui beni non compresi nel decreto di sequestro/confisca, allorché si sia conclusa con esito positivo l’azione revocatoria instaurata dall’amministratore giudiziario innanzi ad un organo che non potrà che essere il tribunale fallimentare. Mentre, dunque, la revocatoria

108

C. MALTESE, I rapporti tra le misure di prevenzione patrimoniali e la procedura

fallimentare nel codice antimafia, cit.

109 Nella Relazione illustrativa al Codice Antimafia, si legge che: “ Viene disciplinata l’ipotesi, espressamente contenuta nella delega, dell’esercizio delle azioni

revocatorie e di inefficacia previste dalla legge fallimentare quando essi si

riferiscano ad atti, pagamenti o garanzie concernenti i beni oggetto di sequestro. È data legittimazione esclusiva all’amministratore giudiziario per l’esercizio di dette azioni, il cui effetto è quello di recuperare i beni revocati al patrimonio della misura di prevenzione”.

99 fallimentare, al pari di quella ordinaria, non è diretta e neppure idonea a determinare alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente poi fallito, né, tantomeno, alcun effetto direttamente traslativo in favore della massa dei creditori, nel caso di revocatoria promossa dall’amministratore giudiziario l’effetto finale che si determinerà, nel caso di accoglimento della domanda, è la sottoposizione al vincolo del sequestro e, in ipotesi, della successiva confisca del bene medesimo, che dunque fuoriuscirà dal patrimonio del terzo acquirente in maniera definitiva a prescindere dalla circostanza che sia successivamente disposta la sua liquidazione per soddisfare i creditori. Quindi la revocatoria fallimentare in mano all’amministratore giudiziario si trasforma da rimedio teso ad assicurare la par condicio creditorum, in strumento per ricostruire retroattivamente il patrimonio del proposto, alla stessa stregua di quanto stabilito per il caso di intestazione fittizia di beni a terzi, laddove l’art. 26 del Codice prevede che il giudice, accertato che alcuni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con il decreto che dispone la confisca può dichiarare la nullità dei relativi atti di disposizione, con conseguente retrocessione del bene nella disponibilità della procedura.