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Giunti alla fine di questo percorso valutativo che ci si era prefissi di seguire analizzando la disciplina della tutela dei terzi prima e dopo l’emanazione del Codice antimafia, e i rapporti tra il fallimento e le

107 misure di prevenzione patrimoniali, si può indubbiamente affermare che con il D.lgs. 159/2011 sono stati risolti una serie di problemi applicativi che l’assenza di alcuna legislazione di riferimento inevitabilmente poneva agli interpreti. Quale conseguenza delle novità introdotte per la tutela dei terzi, nel complesso del Titolo IV del Codice, va osservato che il Legislatore ha individuato, affidandoli all’elaborazione giurisprudenziale, i criteri e le condizioni della medesima tutela. Così, anche i creditori concorsuali trovano nella disciplina appena varata un riferimento certo per il riconoscimento dei loro diritti, al di là delle complicazioni che il sovrapporsi del giudizio della concorsualità e della buona fede comportano. Inoltre viene individuato il giudice competente ad accertare le pretese dei terzi e, nello specifico, vengono risolti i conflitti tra le due sedi deputate alla verifica dei diritti dei creditori in caso di fallimento: l’accertamento in sede di prevenzione e la verifica in sede fallimentare. È, però parimenti, innegabile che il Legislatore riformista ha aperto nuovi dubbi e ha posto questioni inedite. Come ampiamente illustrato nel Capitolo 3 di questo elaborato, il Legislatore nel lodevole intento di dare maggiore tutela ai soggetti coinvolti nelle procedure di prevenzione patrimoniale, ha importato di peso istituti e moduli procedimentali dal settore fallimentare che non sempre appaiono conformi al sistema (penalistico) delle misure di prevenzione stesse e alla ratio che vi sottende. In particolare, norme quali gli artt. 59 e 60 del Codice che prevedono la formazione dello stato passivo e la liquidazione dei beni, si prestano ad essere lette come ispirate dall’intento di favorire, piuttosto che la continuità e l’ulteriore sviluppo delle aziende sequestrate e confiscate, la loro futura liquidazione e vendita. Una simile scelta di politica del diritto della prevenzione finisce col contrastare con le più qualificanti e innovative direttrici di intervento emerse negli ultimi anni in questo settore. Nel disciplinare il procedimento regolato dagli artt. 57, ss del Codice., il Legislatore

108 sembra avere dimenticato che i sequestri nella maggior parte dei casi hanno ad oggetto aziende attive, con un progetto imprenditoriale da portare avanti. Il Codice antimafia ha delineato un giudice della prevenzione molto più simile ad un giudice della materia fallimentare, cercando di soddisfare i diritti dei terzi sui beni sequestrati o confiscati non considerando la profonda diversità delle due materie: da una parte si disciplina l’apprensione di beni frutto di un’illecita condotta criminale, dall’altra si statuisce del patrimonio di un soggetto che non ha potuto o saputo gestire la propria azienda. Un ulteriore indicatore della scarsa conoscenza del procedimento di prevenzione da parte dei redattori di questa parte del Codice emerge laddove si prevede addirittura la possibilità di vendere i beni sequestrati prima della confisca definitiva per soddisfare i creditori in buona fede, ignorando, che il sequestro è un provvedimento provvisorio e precario che produce effetti ablatori solo con la confisca definitiva. La scelta di offrire un’ampia tutela ai creditori in buona fede, comporterà una diffusa vendita anche di beni immobili, con la conseguente frustrazione della Legge 109/96 che introduceva l’obbligo di riutilizzo a fine sociale dei beni immobili confiscati. Pertanto qualunque sia l’entità del credito da soddisfare, in assenza di denaro nella disponibilità del procedimento si dovrà procedere alla vendita, anche dell’unico bene immobile pur se di rilevante valore. Alla luce delle considerazioni finora effettuate, sembra opportuno che il Legislatore intervenga sul procedimento per il riconoscimento dei crediti, poiché ha modificato il ruolo e la funzione del giudice della prevenzione, estremamente utile nell’azione di contrasto patrimoniale alle mafie, disperdendo le conoscenze e la funzione di amministrazione dei beni tipica di un giudice specializzato.

Non può sfuggire come il giudice fallimentare è da decenni avvezzo ad accertare i creditori dell’imprenditore fallito nell’ambito di un sub procedimento che spesso assume livelli di complessità e di

109 specializzazione assai marcati. Ciò non vuol dire che il giudice penale della prevenzione non è in grado di orientarsi un sistema tipicamente civilistico, ma probabilmente sarebbe stato più opportuno, nell’ambito del procedimento di prevenzione, un procedimento incidentale da svolgere innanzi al giudice civile su istanza dell’amministratore giudiziario e da definire entro rigidi termini prefissati, anche in ragione della complessità degli accertamenti da svolgere.

Probabilmente non è con la disciplina contenuta in questo Codice che il Legislatore riuscirà a sconfiggere definitivamente la criminalità organizzata.

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