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Buona fede e correttezza nel diritto europeo Cenni

CAPITOLO II Lo sviluppo della categoria degli obblighi di protezione

2.5 Buona fede e correttezza nel diritto europeo Cenni

Si è già avuto modo di considerare come nell’approfondimento dell’argomento oggetto del presente studio, si debba tener conto, in una prospettiva di completezza di analisi, anche dei riflessi derivanti dal diritto dell’Unione Europea.

Ci si dovrà porre, seppur brevemente, il problema della portata che le clausole generali di buona fede e correttezza assumono all’interno del diritto europeo292, per verificarne, innanzitutto, la configurabilità e,

successivamente, la coerenza con la ricostruzione che di queste si è data sino a questo punto. Ancora meglio, ove emerga che il contributo normativo proveniente dall’Unione Europea, in forma diretta o indiretta, risulti difforme da quanto sin qui rilevato, bisognerà rivedere la portata della normativa di buona fede e correttezza, riconsiderandola alla luce degli interventi del legislatore europeo.

Una prima considerazione, di carattere generale, da svolgere è quella relativa alla non unitarietà ed uniformità dell’ordinamento europeo, alla luce della differenza delle tradizioni giuridiche riconducibili in capo ai singoli Stati membri. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla nota diversità tra i paesi derivanti da una tradizione giuridica c.d. di civil law, rispetto a quelli provenienti da un sistema c.d. di common law. In tal senso, il progressivo intervento, volto alla creazione di un ordinamento europeo comune, avrà dei risvolti differenti in ogni paese sulla base della tradizione giuridica della quale lo stesso risulta essere incarnazione293. Tale circostanza influenzerà, come ha

(292) Si segnala, nell’ottica del presente lavoro, come alle codificazioni europee sia

sconosciuto il contratto con effetti protettivi nei confronti di terzi; in tal senso DI MAJO, La protezione del terzo tra contratto e torto, cit., 22. PATTI, Ragionevolezza e clausole generali, cit., 2 riferisce come nell’esperienza europea si sia fatto un massiccio ricorso a clausole generali come quella di buona fede e fair dealing, «determinando perfino dubbi sull’eccessivo ricorso alla suddette «valvole» o «ventili», in primo luogo per i pericoli connessi alla certezza del diritto, ma altresì sotto il profilo della loro adeguatezza per pervenire ad una effettiva armonizzazione del diritto privato europeo».

(293) Si pensi anche, semplicemente, alla circostanza per la quale ad una difficoltà di

traduzione nelle diverse lingue degli Stati membri, corrisponda anche una difficoltà di trasposizione, sul piano giuridico, di istituti nei casi in cui la definizione che degli stessi viene fornita dal legislatore europeo non sia perfettamente sovrapponibile alla concezione di quel determinato istituto giuridico all’interno dell’ordinamento dello Stato membro. E’ il tipico

88 già influenzato, il processo di creazione di un vero e proprio ordinamento giuridico europeo che sia unico e condiviso.

Per quanto di interesse in questa sede, può evidenziarsi come nel diritto comunitario ed europeo non esista, ad oggi, una disciplina generale del rapporto obbligatorio, come nell’esperienza dei codici civili italiano, tedesco e francese294. Una tale circostanza è sicuramente da ricondurre, oltre alla

carenza di esperienza di codificazione in capo all’ordinamento europeo, anche al fatto che all’esperienza europea partecipino paesi alla cui tradizione giuridica di common law risulti sconosciuta la categoria generale delle obbligazioni295.

Da quanto sin qui brevemente considerato, dovrà desumersi come la mancanza di un vero e proprio ordinamento europeo compiuto si rifletterà, inevitabilmente, sul contenuto e la portata delle clausole di buona fede e correttezza. Ed infatti, se, come sottolineato, buona fede e correttezza integrano la tipologia giuridica delle clausole generali, il relativo contenuto, proprio in virtù della loro struttura, sarà dato anche dalla funzione di concretizzazione di quei principi e di quei valori propri dell’ordinamento nel quale risultino calate. Alquanto difforme sarà, quindi, la portata che una clausola generale, come quella di buona fede, potrà assumere se posta all’interno di un ordinamento come quello italiano, rispetto a quella della medesima norma calata in un ordinamento come quello europeo, manchevole di quegli elementi di organicità, completezza e strutturalità tipici degli ordinamenti dell’Europa continentale. Ecco che, allora, le clausole generali avranno, sicuramente, maggiore difficoltà a dispiegare i loro possibili contenuti, all’interno del panorama europeo, di quanto possa avvenire in un

problema che è possibile riscontrare al momento del recepimento delle direttive comunitarie, che necessitano, dunque, di un attento e lungimirante lavoro di adattamento e recepimento.

(294) CASTRONOVO-MAZZAMUTO,Manuale di diritto privato europeo, II, Milano, 2007, 139;

ivi, gli Autori, al riguardo della mancanza di una disciplina del rapporto obbligatorio: «le ragioni sono evidenti. Il diritto delle obbligazioni è tendenzialmente un «prodotto» delle codificazioni. In quanto elemento «ordinamentale» ha dietro di sé un’autorità legiferante e ne è forma significativa di manifestazione. Le fonti comunitarie e quelle che si ispirano più generalmente al diritto europeo si sono preoccupate, in prima battuta, di regolare aspetti dei contratti in generale e/o di singoli contratti o della responsabilità connessa».

89 ordinamento come quello italiano296. D’altro canto, se è vero che è possibile,

senz’altro, affermare che un principio di buona fede sia rinvenibile all’interno di tutte le tradizioni giuridiche degli Stati membri, è altrettanto vero che diversa sarà la portata dallo stesso assunta, all’interno dei diversi contesti ordinamentali297.

Una tale circostanza potrebbe costituire una ragione ostativa ad una completa unificazione, sotto questo profilo, di uno degli elementi fondamentali della disciplina europea del diritto contrattuale.

Le diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri e una non configurabilità, ancora, di un compiuto ordinamento comunitario potrebbero infatti condurre, dalla prospettiva del nostro sistema giuridico, ad un annacquamento del principio di buona fede298.

Ove, infatti, la ricerca di un minimo comune denominatore non venga effettuata con tutte le dovute attenzioni, si potrebbe dar vita ad una visione troppo semplicistica della buona fede, non solo sotto il profilo contenutistico, ma anche sotto quello funzionale. C’è il rischio, infatti, che in nome del valore e dell’esigenza di condivisibilità, da parte di tutte le tradizioni giuridiche coinvolte all’interno del panorama europeo, vengano selezionati solo alcuni significati e solo alcune funzioni riconducibili alle clausole di buona fede e correttezza, con questo limitando la funzioni e la portata integrativa delle

(296) In questo senso si veda CASTRONOVO-MAZZAMUTO,Manuale di diritto privato europeo,

cit.,149.

(297) CASTRONOVO (a cura di), Principi di diritto europeo dei contratti, Parte I e II, 119. In

detta opera, l’Autore cura la versione italiana dei P.E.C.L., i Principles of European Contract Law, che furono elaborati dalla Commissione sul diritto europeo dei contratti, nota anche come Commissione Lando, dal nome del Presidente che ne ricoprì la carica dal 1982 sino al 2001. Detti principi hanno lo scopo di porre in essere una disciplina relativa alla parte generale del contratto, da coordinarsi con la normativa dei singoli paesi membri. Alla pagina 119, il Commentatore italiano sottolinea come: «il principio di buona fede e di correttezza è riconosciuto o, quanto meno, è richiamato come direttiva sul comportamento contrattuale in tutti gli stati membri. Tuttavia vi è una considerevole differenza tra i sistemi giuridici sia relativamente all’estensione sia alla forza di penetrazione del principio. Al culmine figura un ordinamento in cui il principio ha rivoluzionato il diritto dei contratti così come altre parti dell’ordinamento aggiungendo lineamenti particolari allo stile di quell’ordinamento (la Germania). Dalla parte opposta si trovano ordinamenti che non riconoscono un obbligo generale della parti di conformarsi alla buona fede, ma in molti casi mediante regole particolari ottengono il risultato che in altri ordinamenti si ottiene per mezzo del principio di buona fede (Inghilterra e Irlanda). Gli altri ordinamenti della UE oscillano tra questi due opposti. Riconoscono la buona fede e la correttezza come un principio generale, ma tali principi non hanno attinto il medesimo livello di penetrazione nella disciplina del contratto di quei Paesi come è accaduto in Germania».

90 stesse. Accanto a quanto appena sottolineato, bisognerebbe tener conto di un aspetto peculiare della buona fede che potrebbe complicare, ulteriormente, il processo di unificazione della stessa, nella sua proiezione europea.

Come si è avuto occasione di sottolineare, la buona fede viene usualmente distinta in soggettiva ed oggettiva.

Nel nostro ordinamento, la buona fede in ambito contrattuale è ricondotta a quella c.d. oggettiva, intesa quale regola di comportamento da rispettare all’interno della vicenda contrattuale299. Una tale accezione di buona fede

risulta, invece, sconosciuta ai sistemi di common law: la good faith, infatti, esprime un concetto assimilabile alla nostra buona fede soggettiva300.

Ecco che, allora, un impiego generico della nozione della buona fede, potrebbe creare non univoche conseguenze sotto il profilo applicativo, all’interno dei diversi ordinamenti.

Alla luce, anche, delle suddette considerazioni ci si interroga, dunque, se possa parlarsi di un principio generale di buona fede all’interno del diritto comunitario301. Ci si è anche chiesti se il principio di buona fede, alla luce della

sua diffusione negli ordinamenti degli Stati membri, possa essere idoneo a fungere da common core del diritto europeo dei contratti302. In ogni caso, che

la buona fede rivesta un ruolo importante all’interno della normativa contrattuale di diritto europeo appare emergere con chiarezza anche solo a considerare, tacendo d’altro, la disciplina in materia di tutela del consumatore303. Tale disciplina risulta, già prima facie, pervasa dal principio

(299) Si veda a tal riguardo quanto rilevato nel corso dei precedenti paragrafi.

(300) Cfr. BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, cit., 553; nello stesso senso

CASTRONOVO-MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, cit.,496 che rilevano che «la bona fides romana è sconosciuta al contrario al common law inglese, sia nella tradizione storica che nel diritto applicato attuale. Il fatto che la «good faith» inglese non è riconducibile alla bona fides contrattuale della tradizione continentale rappresenta perciò […] uno dei problemi centrali dell’attuale diritto privato comunitario».

(301) CASTRONOVO-MAZZAMUTO,Manuale di diritto privato europeo, cit.,515.

(302) Così BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, cit., 552. PATTI, Ragionevolezza e

clausole generali, cit., 67: «il ricorso alle clausole generali è necessario nella costruzione dell’ordinamento privatistico europeo come è (stato) indispensabile nella costruzione delle legislazioni nazionali del continente europeo legate all’idea di codificazione».

(303) Cfr. Direttiva 93/13. Si vedano, a titolo esemplificativo, anche gli artt. 3 e 4 della Dir.

86/653 in materia di agenti commerciali indipendenti, nei quali viene previsto un obbligo di agire secondo lealtà e buona fede.

91 di buona fede304, che riveste criterio integrativo305, da impiegarsi ai fini del

giudizio sulla vessatorietà delle clausole nei contratti conclusi dal consumatore306.

Analizzando il nostro Codice del Consumo307, anche alla luce dei suoi più

recenti aggiornamenti308, appare evidente l’influenza e l’apporto delle

clausole di buona fede e correttezza309; queste ultime vengono, infatti,

annoverate fra i diritti dei consumatori, oltre che quali criteri necessari per definire il grado dovuto di professionalità. Vengono, inoltre, coinvolte in un ruolo di primo piano nella valutazione delle clausole vessatorie, quali regole nelle attività commerciali e, ancora, quali criteri per la valutazione dei comportamenti tenuti, dalle parti, nella fase precontrattuale310.

La buona fede, in materia di tutela del consumatore, permette, quindi, di rendere tutta la vicenda contrattuale permeabile a valori altri e ulteriori rispetto a quelli riconducibili, esclusivamente, ad un mercato razionale ed efficiente311. Ed è proprio per questo che la buona fede può considerarsi

(304) CASTRONOVO-MAZZAMUTO,Manuale di diritto privato europeo, cit.,151.

(305) Nel considerando n. 16 della Direttiva 93/13 è dato leggere: «considerando che la

valutazione, secondo i criteri generali stabiliti, del carattere abusivo di clausole, in particolare nell'ambito di attività professionali a carattere pubblico per la prestazione di servizi collettivi che presuppongono una solidarietà fra utenti, deve essere integrata con uno strumento idoneo ad attuare una valutazione globale dei vari interessi in causa; che si tratta nella fattispecie del requisito di buona fede; che nel valutare la buona fede occorre rivolgere particolare attenzione alla forza delle rispettive posizioni delle parti, al quesito se il consumatore sia stato in qualche modo incoraggiato a dare il suo accordo alla clausola e se i beni o servizi siano stati venduti o forniti su ordine speciale del consumatore; che il professionista può soddisfare il requisito di buona fede trattando in modo leale ed equo con la controparte, di cui deve tenere presenti i legittimi interessi».

(306) BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, cit., 545. Nello stesso senso

CASTRONOVO-MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, cit.,151 i quali rilevano che: «quanto, invece, alla normativa di diretta origine comunitaria, essa è in primo luogo ispirata alla tutela del consumatore ed in essa opera a tutto campo il principio di buona fede (art. 3 dir. 93/13 sulle clausole abusive). Ove ci si interroghi sulla valenza e sul significato di detto principio, è evidente che esso è portatore di un interesse che non si identifica con quelli di cui il contratto, ispirato alla logica dello scambio e della forza di pattuizione, è espressione. E’ un valore «diverso» ed «esterno» rispetto al contratto».

Vedi, sul medesimo profilo, anche ALBANESE, Le clausole vessatorie nel diritto europeo dei contratti, in Europa e diritto privato, III, 2013, 698 ss.

(307) Cfr. D. Lgs. 205/2006 e successive modifiche.

(308) Per recepire la Direttiva 2011/83/U. Nell’ambito della normativa italiana di

recepimento, l’espressione buona fede e utilizzata, per lo più, unitamente a quella di correttezza.

(309) Nella traduzione nella lingua italiana, viene impiega l’endiadi buona fede e correttezza

ogni volta che si parla di buona fede.

(310) Rispettivamente, art. 2 lett. C-bis); art. 18, lett. h); art. 33; art. 39; art. 67 quater. (311) CASTRONOVO-MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, cit.,152.

92 espressione di un valore «ordinamentale», idoneo a promuovere valori solidaristici che non potrebbero essere devoluti solo agli accordi contrattuali312.

Accanto alla normativa proveniente dal legislatore europeo, bisogna brevemente considerare anche gli sforzi volti all’unificazione del diritto dei contratti313, compiuti da insigni Accademici, e sfociati in lavori dall’approccio

sistematico come i Principi di diritto europeo di contratti, il cui pregio, fra i tanti, è quello di proporre dei principi generali riferibili alle diverse fattispecie contrattuali.

Si tratta di un tentativo, dunque, di sistematizzare una disciplina generale riferibile a tutti i contratti, consci del fatto che questo sia un approccio imprescindibile, nella prospettiva di procedere, quanto prima, all’uniformazione della normativa in tema di diritto contrattuale europeo. All’interno dei Principi, il ruolo della buona fede e della correttezza314 risulta

davvero fondamentale315. Ed infatti, l’insieme di disposizione relative alla

buona fede (ed alla correttezza)316, sia per numero che per contenuto, sono tali

da far emergere, all’interno dei Principi, un vero e proprio principio generale di buona fede da riferirsi a tutta la vicenda contrattuale. Particolare importanza ricopre, in questa prospettiva, l’art. 1:201, rubricato Buona fede e correttezza317 e primo articolo della sezione relativa agli Obblighi generali.

(312) Così CASTRONOVO-MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, cit.,153. (313) Si veda VETTORI, Il contratto europeo tra regole e principi, cit., 44 ss.

(314) Cfr. LAMBO, Obblighi di protezione, cit., 76 ss.; l’Autore richiama l’uso congiunto che,

in questo contesto, si fa delle espressioni di buona fede e correttezza, quasi come, ulteriore, conferma del pensiero di quegli Autori che ritengono i concetti di buona fede e correttezza perfettamente sovrapponibili fra di loro.

(315) Cfr. GRASSO, La disciplina dell’invalidità nei principi di diritto europeo, Napoli, 2005,

166 ss.

(316) La clausola di buona fede viene, infatti, espressamente prevista nei seguenti articoli:

1:102 rubricato Autonomia contrattuale; art. 1:106 Interpretazione e analogia; art. 1:201 Buona fede e correttezza; art. 1:302 Ragionevolezza; art. 1:305 Imputazione di coscienza e volontà; art. 2:301 Trattative contrarie alla buona fede; art. 3:201 Rappresentanza espressa, implicita ed apparente; art. 4:103 Errore essenziale di fatto o di diritto; art. 4:107 Dolo; art. 4:109 Ingiusto profitto; art. 4:110 Clausole abusive non oggetto di trattativa individuale; art. 4:118 Esclusione o limitazione delle tutele; art. 5:102 Circostanze rilevanti; art. 6:102 clausole implicite; art. 6:111 Mutamento delle circostanze; art. 8:109 Clausole di esclusione o di limitazione della tutela. Esistono, poi, alcune disposizioni, nelle quali, la buona fede pur non essendo esplicitamente menzionata, appare la ratio delle stesse, come, ad esempio, l’art. 1:202 rubricato Obbligo di cooperazione e l’art. 2:302 rubricato Tradimento della confidenza.

(317) Il quale recita: «(1) Le parti devono agire nel rispetto della buona fede e correttezza. (2)

93 Gli elementi contenuti in questa disposizione concorrono a disegnare la portata delle clausole generali di buona fede e correttezza. Inoltre, soccorre, nell’operazione ermeneutica, il contenuto del commento di corredo alle disposizioni dei Principi. L’obbligo generale di comportarsi nel rispetto delle suddette clausole, appare generalizzato ed esteso a tutto il rapporto contrattuale. Il testo, infatti, impiega il termine agire per tale dovendosi intendere ogni attività posta in essere dalle parti, quale che sia la fase della vicenda contrattuale nella quale si trovino318. Nel commento, i redattori

tentano di fornire una distinzione tra buona fede e correttezza319 che, agli

occhi di un giurista italiano, non appare condivisibile.

Pur volendo tralasciare un palese problema di tautologia riscontrabile nelle definizioni proposte320, non potrebbe proporsi di identificare la buona fede

esclusivamente con una categoria avente valenza soggettiva, mentre la correttezza con una dal contenuto oggettivo321.

Ed è già il Redattore dell’edizione italiana dei Principi, a sottolineare tale aspetto322. Circostanza che appare confermata, laddove si proceda ad una

analisi delle norme all’interno delle quali le clausole di buona fede e correttezza vengono richiamate323. Aspetto fondamentale, che comunque

emerge dal dato testuale della norma, è che le clausole di buona fede e

(318) CASTRONOVO (a cura di), Principi di diritto europeo dei contratti, cit., 115, lett. A:

«questo articolo stabilisce un principio basilare tra quelli che costituiscono i Principi. Buona fede e correttezza sono dovute nella formazione, adempimento e attuazione coattiva degli obblighi delle parti sorti dal contratto, e altrettanto nell’esercizio dei diritti di una parte in base al contratto». Ed ancora, alla lettera B «esso arricchisce le norme dei Principi e può avere priorità su altre previsioni di questi Principi quando un’aderenza letterale ad essi condurrebbe a risultati manifestamente ingiusti».

(319) Cfr. CASTRONOVO (a cura di), Principi di diritto europeo dei contratti, cit., 118, ove

viene riportata l’affermazione dei commentatori in base alla quale ««Buona fede» significa atteggiamento di onestà e correttezza come categorie soggettive» e ««correttezza» significa correttezza come parametro oggettivo».

(320) Così LAMBO, Obblighi di protezione, cit., 77. (321) Cfr. LAMBO, Obblighi di protezione, cit., 77.

(322) CASTRONOVO (a cura di), Principi di diritto europeo dei contratti, cit., 118 rileva; ivi

l’Autore rileva che «per quanto riguarda l’esperienza italiana, mentre correttezza trova menzione specifica nell’art. 1175 in materia di rapporto obbligatorio, la buona fede è contemplata quale modello di condotta nelle trattative (art. 1337) come criterio ispiratore nell’interpretazione del contratto (1366) e come direttiva di comportamenti delle parti nell’esecuzione del contratto (1375). Le due categorie perciò, dalla prospettiva italiana possono essere considerate un’endiadi, così come un’endiadi esse appaiono nel trattamento che i principi ne fanno sia nell’art. 1:201, sia nel commento».

94 correttezza non possano, in nessun caso, essere derogate delle parti. Un’impostazione coerente con l’approccio contenuto nei Principi, è rinvenibile anche nella proposta di regolamento su un diritto comune europeo della vendita324.

Il pregio di un tale progetto, e dei principi in questo contenuto, sta nel fatto che si tratti di un testo ufficiale proveniente dalle istituzioni europee, a differenza dei PECL e di quegli altri progetti aventi la medesima vocazione unificatrice del diritto dei contratti, che risultano il frutto di un impegno compiuto da commissioni di studiosi, seppur su impulso delle istituzioni europee325.

Un ulteriore punto di vantaggio dell’approccio concretizzatosi con il regolamento per l’unificazione del diritto della vendita è quello di poter superare il problema di difficoltà applicativa, che più sopra è stato evidenziato, dovuto alle differenze che sorgono in capo ad ogni stato membro nel momento in cui il contenuto delle Direttive comunitarie viene recepito all’interno dei singoli ordinamenti. Le conseguenze tipiche, sotto tale profilo, di una normazione attraverso direttive, verrebbero ad essere risolte sin dall’inizio con un approccio così radicale come quello proposto con il regolamento comune sulla vendita europea. Nella proposta di regolamento, le

(324) Si veda, al momento della stesura di questo testo, la Risoluzione legislativa del