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Le clausole generali di buona fede e correttezza quali fondamento della

CAPITOLO I La categoria degli obblighi di protezione e il suo fondamento

1.6 Le clausole generali di buona fede e correttezza quali fondamento della

Tanto considerato, è possibile ora iniziare a confrontarsi con i primi profili sostanziali legati alle clausole generali di correttezza e buona fede.

Orbene, una prima ricostruzione teorica sui rapporti esistenti tra le due clausole che ha avuto, fra gli altri, il pregio di fornire una chiara delimitazione delle due categorie è stata quella proposta da Betti105, che è bene analizzare

in questa sede sia per ragioni di ordine cronologico106, che in ragione delle

specificità ermenutiche della stessa.

Muovendo dalla premessa che la buona fede sia concetto originatosi all’interno della coscienza sociale ed etica di una data società che, solo in un secondo momento, approdi al diritto, l’Autore segnala come, per comprendere la portata normativa di tale clausola, sia necessario tenere conto di due diverse esigenze della convivenza sociale: un aspetto puramente negativo, riassunto dall’espressione alterum non laedere ed un aspetto positivo che imporrebbe «una operosa collaborazione con altri consociati»107.

Tali istanze sono rinvenibili anche all’interno del rapporto obbligatorio, instauratosi tra creditore e debitore.

Il contegno di cooperazione, volto, sostanzialmente, alla corretta esecuzione della prestazione, risulta essere accompagnato anche da un interesse all’integrità della propria sfera giuridica.

(104) Cfr. RODOTÀ,Le fonti di integrazione del contratto, cit., 140: «lo stesso art. 1175 non deve

essere considerato come un isolato termine di riferimento, ma, al pari dell’art. 1375 e delle altre norme in precedenza ricordate [in primis artt. 833, 1175, 1337, 1375 del c.c. e artt. 2 e 41, co. 2 della Costituzione], come espressione di quel generale principio di solidarietà che caratterizza ormai il nostro sistema, ed in relazione al quale l’interpretazione restrittiva dell’art. 1375 perde definitivamente ogni significato».

(105) BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., in particolare 67 ss.

(106)V’è consenso, praticamente, unanime in dottrina nel ricondurre la prima

sistematizzazione degli obblighi di protezione in Italia proprio a questa opera.

40 Come già accennato precedentemente, infatti, il contatto ingeneratosi tra creditore e debitore, in occasione dell’insorgenza del rapporto obbligatorio, espone le parti ad un concreto rischio di lesione dello status quo108.

A conferma di questo duplice orientamento del fenomeno obbligatorio, starebbe proprio la formulazione dell’art. 1175: comportarsi secondo correttezza significherebbe, dunque, scegliere quelle modalità di comportamento che, pur garantendo l’esatto adempimento, tutelino allo stesso tempo la sfera personale e patrimoniale dell’altra parte.

A tal proposito, l’Autore affermava come «questo criterio di comportarsi secondo le regole della correttezza che ciascuna delle due parti deve osservare in confronto dell’altra, non si identifica col criterio della buona fede, ma è certamente complementare a questo»109.

Tanto premesso, si giunge ad affermare una differenza, formalmente sostanziale, tra i due criteri: «la correttezza impone normalmente solo doveri di carattere negativo»; ed invece «la buona fede impone degli obblighi di carattere positivo»110.

Si tratta della prima e, per alcuni aspetti, unica distinzione effettuata, in modo così netto, tra le due clausole generali, sulla base della tipologia di obblighi dalle stesse scaturenti.

Proseguendo nella sua ricostruzione l’Autore, dopo aver proceduto ad effettuare una distinzione tra le varie declinazioni di buona fede presenti nel codice civile nel corso della sua opera, procede a tratteggiare i confini della buona fede c.d. contrattuale111, la tipologia più rilevante in questa sede.

(108) Su tale aspetto, fra i tanti, cfr. CARUSI, Correttezza (Obblighi di), cit., 710.

(109) BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 68. Fin dalla prima trattazione sul tema

dei rapporti tra buona fede e correttezza, rispetto alla loro idoneità a fondare gli obblighi di protezione, appare evidente la forte prossimità tra i contenuti delle due clausole generali.

(110) Così BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 68. Prescindendo dal merito della

differenziazione, sul quale si avrà modo di tornare nel corso del presente lavoro, sia consentito sottolineare la differente scelta terminologica per riferirsi alla tipologia di comportamenti imposti dalla correttezza (doveri) e per quelli derivanti dalla buona fede (obblighi). Nella ricostruzione proposta da BETTI, il criterio di condotta della correttezza deve rispettarsi «già prima che un rapporto di obbligazione sia venuto in essere, cioè fin dalla fase delle trattative [e] trova applicazione anche fuori dal campo delle obbligazioni».

(111) BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 71 ss. Con tale termine l’Autore identifica

una specifica buona fede oggettiva, adoperando, implicitamente, la nota bipartizione che distingue una buona fede soggettiva, identificabile come l’atteggiamento psicologico consistente nella ignoranza di ledere un interesse altrui tutelato dal diritto, e quella oggettiva,

41 Ed infatti, mentre la correttezza «consiste nell’osservanza del precetto dell’alterum non laedere»112, la buona fede contrattuale consiste «non già in

uno stato di ignoranza, ma in un atteggiamento di fattiva cooperazione che porta ad adempiere l’altrui aspettativa con un positivo contegno proprio, da spiegare nell’interesse altrui»113.

La buona fede c.d. contrattuale, dunque, si caratterizzerebbe, sia come atteggiamento di fedeltà ad un accordo concluso, sia come impegno nell’adempimento delle aspettative dell’altra parte; la buona fede sarebbe «essenzialmente fedeltà e impegno di cooperazione»114.

Ma buona fede, sotto altro profilo, si rileva, è anche lealtà del trattare115.

Tale ulteriore accezione di buona fede viene distinta rispetto alla buona fede eminentemente contrattuale, così come intesa dall’Autore nelle pagine precedenti; l’asserzione si basa sulla convinzione che quest’ultima tipologia di buona fede considerata sia, in realtà, una applicazione del criterio di correttezza al quale, in forza della previsione di cui all’art. 1175 c.c., soggiacciono sia il creditore che il debitore. Ed ancora116, sempre a proposito

della fase precontrattuale, si afferma come in tale momento di contatto sociale il comportarsi secondo correttezza non possa tradursi solo in un mero comportamento negativo, dovendo spesso concretizzarsi in doveri di «lealtà, […] chiarimento, […] informazione» da attuarsi nei confronti della controparte.

L’Autore, infatti, al momento di analizzare gli obblighi insorgenti nella fase delle trattative e della conclusione del contratto, evidenzia immediatamente come gli stessi non possano essere qualificati solo come obblighi di astensione ma come, nella medesima fase della vicenda obbligatoria, si concretizzino anche in obblighi di natura positiva. Nel

qualificabile come regola di condotta propria della vicenda obbligatoria e di quella contrattuale. Sul punto si veda BESSONE-D’ANGELO, Buona fede, cit., 1 ss.

(112) Qui inteso come astenersi da indebite ingerenze nell’altrui sfera di interessi. (113) BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 71.

(114) Cfr. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 77; il termine viene impiegato nel

testo anche alla luce della valenza semantica che lo stesso ha, quale evoluzione del concetto di bona fides di provenienza romanistica.

(115) In particolare l’Autore fa riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 1337 e 1338 del

codice civile.

42 medesimo momento, a carico delle parti, dunque sussistono obblighi riconducibili ad entrambe le categorie prospettate.

Ecco, allora, che una ricostruzione fino a questo punto netta, almeno nella sua impostazione, palesa un momento di commistione tra la regola di correttezza e di quella di buona fede, o meglio secondo i contenuti proposti, tra i comportamenti negativi (doveri) e quelli positivi (obblighi) derivanti dalle due clausole.

L’inosservanza del dovere di lealtà e probità, nella fase delle trattive contrattuali, dovrebbe essere dunque accostata alla buona fede contrattuale, in virtù della sua valenza prodromica rispetto a quella.

Il tratto saliente della buona fede contrattuale viene identificato in ragione del fatto che questa non sarebbe da circoscriversi ad atti singoli del contraente, ma investirebbe l’intero comportamento del contraente, considerato nel suo contengo di cooperazione, e «questo contegno la buona fede valuta nella sua totalità alla stregua che è più conforme all’interesse della controparte, che si tratta di soddisfare col contegno stesso»117.

Giunti a tale constatazione, è possibile affermare che proprio poiché la buona fede investe la totalità del contegno, questa avrebbe l’attitudine di ampliare gli obblighi assunti mediante il contratto o ridurne il numero e la qualità, in quei casi nei quali, se fatti valere così come previsti nell’accordo concluso, si porrebbero in contrasto proprio con quella clausola generale di buona fede.

La buona fede è, infatti, «essenzialmente un criterio di reciprocità […] reciprocità nella quale si esplica la solidarietà che lega l’uno all’altro»118.

Sostanzialmente, dunque l’Autore palesa una dimensione fortemente relazionale del concetto di buona fede, e anche di quello di correttezza seppur nei limiti di cui sopra. Ed è proprio la relazionalità ad essere tratto distintivo della vicenda obbligatoria e contrattuale: è proprio la relazione tra due sfere

(117) BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 92.; l’Autore prosegue, poi, alla pagina

successiva, nel delineare il concetto di buona fede affermando che «è essenzialmente un atteggiamento di cooperazione, rivolto ad adempiere in modo positivo l’aspettativa dell’altra parte: atteggiamento, di cui gli aspetti salienti sono la fidatezza, la fedeltà, l’impegno, la capacità di sacrificio, la prontezza nel soccorso della controparte e, in sede di trattativa, di formazione del contratto, la lealtà e la veridicità verso essa controparte».

43 giuridiche a dar vita al rapporto obbligatorio considerato nella sua complessità e totalità.

Ed è, dunque, proprio alla luce della relazionalità che deve essere considerata e qualificata l’attitudine integrativa della buona fede.

L’ulteriore conseguenza di una buona fede dotata di questa capacità di plasmare l’ampiezza degli obblighi, collegati alla prestazione sulla base delle circostanze, è quella di far sorgere diverse tipologie di obblighi integrativi sulla base della concreta estrinsecazione del rapporto tra le parti.

Sul punto, l’Autore spiega come tali obblighi possano essere diversamente classificabili a seconda del criterio impiegato per la loro distinzione. L’Autore richiama119, nello specifico, tre criteri: il primo relativo al momento di

insorgenza rispetto al rapporto obbligatorio; sotto tale profilo, dunque, gli obblighi potranno considerarsi come antecedenti alla conclusione del contratto, concomitanti allo svolgimento del rapporto o susseguenti all’adempimento.

Un secondo criterio di differenziazione opera sulla base dell’esigibilità in giudizio di detti obblighi ed allora si potrà parlare obblighi integrativi primari allorché questi siano autonomamente esigibili, o di obblighi integrativi secondari nel caso contrario.

Da ultimo, il terzo criterio, proveniente dalla teorica tedesca si basa sulla maggior o minore vicinanza degli obblighi c.d. ulteriori rispetto a quelli di prestazione cui siano riferibili.

Sulla base di quest’ultima impostazione120, accolta come valida anche nel

nostro ordinamento, basata sulla maggiore o minore distanza di tali obblighi dalla prestazione, vengono identificati gli obblighi di protezione come quegli obblighi rivolti a «prevenire e ad allontanare danni dalla sfera di interessi della controparte»121. In particolare, tale tipologia di obblighi sarebbe quella posta

alla maggiore distanza dall’obbligo di prestazione, quasi a sottolinearne la profonda diversità di scopo e funzione degli stessi122.

(119) BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 95-99. (120) Cfr. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 99. (121) BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 99.

(122)BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 99. L’Autore sottolinea, poi,

44 Ma prima di poter giungere ad affrontare approfonditamente il tema degli obblighi di protezione, è necessario sottolineare come la ricostruzione effettuata non sia stata condivisa dagli studiosi123 che si sono occupati della

medesima tematica, pur costituendo un costante punto di riferimento per ogni riflessione in merito.

Come sopra ricordato, la teoria di Betti riconosce come derivanti dalla correttezza solo doveri aventi contenuto negativo, mentre come scaturenti dalla buona fede obblighi di natura positiva. La distinzione appare troppo netta e, il rigore teorico non sarebbe in grado di tradursi in altrettanta certezza applicativa.

Si è sottolineato, anche, come lo stesso Autore, a proposito della responsabilità precontrattuale, abbia evidenziato una sorta di commistione tra la norma relativa alla correttezza e quella che prevede la buona fede come se, in fondo, i due concetti non fossero distinguibili completamente sulla base del criterio dallo stesso proposto.

Bisogna, pertanto, ritenere condivisibile quella dottrina che, pur riconoscendo l’importanza della riflessione svolta da Betti, non la ritiene del tutto persuasiva, sulla base di un approccio attuale al tema delle clausole di correttezza e buona fede ed ai connessi obblighi di protezione.

Ma proprio alla luce della ricostruzione compiuta dall’insigne Autore124,

detta categorizzazione è stata impiegata quale punto di riferimento, esplicito

il corso della vicenda contrattuale, influenzando, dunque, con il suo apporto tutto il rapporto obbligatorio, dalla fase prodromica a sino alla conclusione dello stesso e, ancora, per valutare se «vi sia stato o meno il soddisfacimento dell’interesse della controparte».

(123) Si veda, a titolo esemplificativo,DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, cit., 295 il

quale afferma che «è superfluo sottolineare che una tale interpretazione fornisce basi assai poco sicure per distinguere la correttezza della buona fede. Il distinguere infatti obblighi positivi da doveri di contenuto negativo può dipendere veramente dalle singole situazioni in cui quelle nozioni sono destinate ad operare». Anche RODOTÀ, Le fonti di integrazione, cit., 149, osserva come, sulla base della distinzione proposta da BETTI sia «il contenuto di tali obblighi a differenziarsi secondo la positività o negatività, non già il contenuto della buona fede o della correttezza a ricevere tale qualificazione» e, poco dopo, definisce la distinzione criticata come «inoperante ai fini della identificazione di un diverso contenuto della buona fede e della correttezza». Parimenti critico è BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, Riv. dir. civ., 1983, 205 che alla nota 1 definisce superato il riferimento di BETTI al contenuto positivo o negativo del comportamento. Nello stesso senso si vedano NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 7 ss e BIGLIAZZI-GERI, Buona fede nel diritto civile, cit., 169.

(124) E della condivisibilità di molti degli assunti posti a fondamento della stessa sulle

caratteristiche e le funzioni riconducibili alla clausole generali di buona fede e correttezza; fra i tanti Autori che hanno, in ogni caso, sottolineato l’importanza della ricostruzione operata

45 o tacito, dai successivi studiosi che si sono confrontati sui medesimi temi. Ed infatti, non ritenendo soddisfacente una differenziazione basata solo sulla tipologia di obblighi scaturenti dalle norme di correttezza e di buona fede, si è proceduto nella direzione di cercare di cogliere ulteriori aspetti che potessero far luce sul rapporto esistente tra le due clausole generali e sulla loro idoneità a fondare la categoria degli obblighi di protezione.

Una posizione che può essere considerata, per alcuni aspetti, di ulteriore sviluppo, rispetto a quanto affermato da Betti in materia di buona fede ed obblighi di protezione, può considerarsi la ricostruzione prospettata da altro Autore, nel suo studio critico condotto sulle obbligazioni di mezzi e di risultato125.

Anche in tale caso si concorda sull’idea che la buona fede, definita «supremo criterio»126 dell’ordinamento, sia il principio in base al quale si debba

procedere alla reale determinazione dell’oggetto, inteso come contenuto, di ogni obbligazione e come, in tal senso, «qualunque prestazione obbligatoria riceve determinazione dalla buona fede oggettiva»127.

Si afferma anche come buona fede e correttezza siano necessariamente coinvolte nella vicenda obbligatoria e come non possano essere escluse dalle parti del rapporto. La buona fede, dunque, poiché connaturata al fenomeno obbligatorio, risulta sempre presente, anche se si estrinseca diversamente, di volta in volta, sulla base della situazione concretamente verificatasi. Nella sua trattazione l’Autore sottolinea128, similmente a Betti129, che sorge, a

da BETTI, si veda BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, Riv. dir. civ., 2001, il quale rileva come «grande merito per il recupero della buona fede, e della sua funzione di «criterio valutativo … che il diritto assume e riceve dalla coscienza sociale» va attribuito a Emilio Betti. E’ sua l’insistenza sulla buona fede come «impegno di cooperazione», «spirito di lealtà», «attiva cooperazione», «rispetto reciproco tra i contraenti»; è sua l’idea di un aggancio al principio della solidarietà: una solidarietà che ormai non è più la «solidarietà corporativa» a cui si riferiva l’art. 1175 nella sua formulazione originaria, ma che si ripropone oggi, alla luce dell’art. 2 della Costituzione, come «solidarietà sociale». Nasce così una regola-ponte, vòlta a collegare la regola codicistica dell’art. 1175 (ma anche quelle degli artt. 1337, 1366 e 1375) «con i fondamenti e le direttive etico-sociali di tutto l’ordinamento» e in particolare con i principi costituzionali».

(125) MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, Studio critico, cit., in

particolare 282 ss. e 365 ss.

(126) MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, cit., 394. (127) MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, cit., 203 e 207. (128) MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, cit., 282. (129) BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 68.

46 corollario di quanto poc’anzi affermato, la necessità di coordinare la disposizione di cui all’art. 1375 con quella di cui all’art. 1218130. In tal modo,

si afferma come nel nostro ordinamento debba trovare asilo una ricostruzione dell’obbligazione che non tenga conto solo della prestazione sic et simpliciter ma che, per poter correttamente inquadrare il fenomeno, debba necessariamente avvalorarsi dell’influenza che le norme sulla buona fede e sulla correttezza, hanno sulla vicenda obbligatoria in una prospettiva che tenga conto di entrambe le parti del rapporto.

Ecco che, allora, negare una tale ricostruzione, come fa parte della dottrina131, comporta non solo il non tener conto del dato sistematico, la

presenza di queste disposizioni all’interno del codice civile, ma anche l’incapacità di dare conto dei cambiamenti che debbono riscontrarsi all’interno del nostro ordinamento, in seguito all’entrata in vigore del codice del 1942 e della Costituzione132.

Ma la ricostruzione proposta da Mengoni compie ulteriori passi avanti e chiarisce come sia per effetto della buona fede, rectius di una valutazione di buona fede, che gli obblighi reciproci di correttezza133, di cui all’art. 1175 c.c.,

accedono al «rapporto obbligatorio in ragione dell’interesse di ciascuna parte a preservare la propria persona e il proprio patrimonio dallo specifico pericolo di danno derivante dalla particolare relazione costituitasi tra i due soggetti»134.

Questa affermazione, apparentemente semplice, ha, invece, il grande pregio

(130) Nello specifico, l’Autore indaga, nell’opera indicata, il rapporto tra buona fede ed

impossibilità dell’adempimento.

(131) Cfr. quanto sottolineato nei paragrafi 1.1 e 1.2.

(132) Sostanzialmente, non riconoscendo la diretta influenza di queste norme, peraltro alla

luce dell’interpretazione che delle stesse si dovrebbe fornire in accordo con il dettato costituzionale, non si è in grado di cogliere le innovazioni sostanziali che sono state apportate con le modifiche in tema di correttezza e buona fede nel nostro attuale ordinamento giuridico. Sul punto si veda DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, cit., 35 ss., il quale rileva come «non è vero, in primo luogo, che le innovazioni di tipo sistematico non hanno importanza se da esse è dato invece desumere che il diritto delle obbligazioni ha assunto nuove sembianze»; ed ancora, alla pagina successiva, in merito al processo di evoluzione subito dal fenomeno obbligatorio in seguito all’entrata in vigore del nuovo codice, si evidenzia come questo possa «anche essere desunto dalle innovazioni topografico-sistematiche che il codice contiene».

(133) Con il termine obblighi di correttezza l’Autore indica, in una prospettiva

filologicamente forse più corretta, proprio quegli obblighi di protezione che qui interessano; cfr. MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, cit., 368. Nello stesso senso CARUSI, Correttezza (Obblighi di), cit.. 710 ss.

47 di chiarire il rapporto intercorrente tra la buona fede e la correttezza e di queste con gli obblighi di protezione. Tali obblighi ulteriori posti a protezione dell’altra parte e del suo patrimonio che in funzione dell’art. 1175 c.c. sorgerebbero in occasione del rapporto obbligatorio, si plasmano nella loro estensione e accedono, così determinati, al rapporto obbligatorio in forza della clausola di buona fede. Sarebbe la buona fede, in ultima analisi, a fornire la misura della correttezza di quello specifico rapporto tra le parti.135

Anche questo Autore afferma136, quindi, la necessità della tutela fornita

da tali obblighi, alla luce del maggior rischio che insorge, a nei confronti dell’incolumità personale e del patrimonio delle singole parti, in occasione dell’insorgenza del rapporto obbligatorio.

Di fatto, il rapporto obbligatorio comporta, ontologicamente,