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Il problema delle clausole generali

CAPITOLO II Lo sviluppo della categoria degli obblighi di protezione

2.3 Il problema delle clausole generali

Devono ora considerarsi, brevemente, la correttezza e la buona fede sotto il profilo della loro natura giuridica.

Ed infatti, una delle critiche ricorrenti, in merito alla ricostruzione della categoria degli obblighi di protezione come fondata sulla buona fede e correttezza, è basata proprio sulla natura di tali disposizioni.

La loro natura di clausole generali227, infatti, le renderebbe inidonee a

fondare qualsivoglia obbligo di protezione, poiché eccessivamente vaghe ed indeterminate228.

Orbene, si ritiene che la superiore osservazione non possa condividersi, ove si tenga conto delle seguenti considerazioni.

Il c.d. problema delle clausole generali è stato oggetto di puntuali riflessioni da parte della nostra dottrina229; ed è proprio tenendo presente tali risultati

(227) Si veda, a proposito della qualifica della buona fede in termini di clausola generale o

di principio e delle relative conseguenze, PIRAINO, La buona fede in senso oggettivo, 41. Per quanto riguarda il presente lavoro, appare appena necessario sottolineare che le considerazioni che si svolgeranno nel prosieguo avranno il solo scopo di replicare alle critiche rivolte alla categoria degli obblighi di protezione basati sulla buone fede, in ragione della supposta impossibilità di questa di generare obblighi specifici, a causa della propria eccessiva indeterminatezza. Non si affronterà, dunque, il problema se la buona fede vada qualificata come principio o clausola generale, giacchè del tutto estraneo agli scopi del presente lavoro, sperando di non essere tacciati di «cattiva coscienza» ove ci si trovi ad impiegare alternativamente entrambe le qualificazioni (a tal riguardo PIRAINO, La buona fede in senso oggettivo, 138 che riporta le parole di NATOLI, Abuso di diritto e abuso di dipendenza economica, in Contratti, 2010, 529 ss.).

(228) Tra i sostenitori di questa tesi si rimanda, a titolo esemplificativo, all’opinione

espressa da MAJELLO, Custodia e deposito, cit, 67 in base alla quale «si è veduto come la buona fede sia concetto generico e astratto quando si essa si vuol vedere la fonte di taluni specifici doveri» ed ivi il rimando contenuto alla nota 120 Si confronti, altresì, l’affermazione di CICCARELLO, Dovere di protezione e valore della persona, cit., 23 secondo la quale «la buona fede, in quanto concetto generico e astratto, non impone un comportamento a contenuto prestabilito e dunque non può essere facilmente fonte di specifici doveri». Tale concetto viene dilatato a tal punto che, alla nota 34 contenuta alla pagina successiva, l’Autore arriva ad affermare che «il dato costituzionale, infatti, se per un verso offre innegabili (e ovvii) punti di riferimento (ad es. art. 2, 3, 32, 37, 38) in realtà rimane generico, se non trova precisi riscontri sul piano della normazione ordinaria». Una tale interpretazione, che non si ritiene di condividere nei suoi presupposti e nelle sue conseguenze, potrebbe avere pericolose conseguenze abrogative, in fase applicativa, delle norme integranti le clausole generali che, come sottolineato nel testo, costituiscono, invece, lo strumento giuridico per eccellenza da impiegarsi nel processo di concretizzazione dei valori costituzionali. Sempre sul tema delle clausole generali e della loro idoneità a fondare obblighi ulteriori si vedano BIGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, cit., 171 ss.; BIANCA, Dell’inadempimento dell’obbligazione, cit., 77 ss.

(229) Si segnalano, con respiro di sintesi, i contributi di MENGONI, Spunti per una teoria delle

clausole generali, in Riv. crit. dir. priv, 1986, 13 ss; ID., I principi generali del diritto e la scienza giuridica, cit., 239 ss.; CASTRONOVO, L’avventura delle clausole generali, ibid,, 1986, 29 ss.;

73 ricostruttivi che è possibile giungere alla conclusione che non fondata sia l’affermazione di inidoneità della buona fede e della correttezza, in ragione della loro attitudine a generare obblighi di protezione.

La clausola generale, per sua conformazione, si distingue dalla normazione analitica230 o secondo tecniche regolamentari231; ed è proprio in virtù della sua

peculiare natura, che costituisce idoneo strumento giuridico in grado di favorire il processo di adeguamento dell’ordinamento alla realtà che si deve regolare232. Tale circostanza pare non esser stata convenientemente colta

dalla nostra giurisprudenza, specie sino agli anni ’80 del secolo scorso, che anzi ha, per lo più, evitato l’impiego di dette clausole generali nella soluzione delle problematiche affrontate233.

Diverse, probabilmente, sono state le ragioni di una tale ritrosia.

Si è sottolineata la circostanza che in Italia lo stato di diritto si sarebbe «affermato in più stretta connessione con l’ideologia del positivismo legislativo dando luogo ad una radicata tradizione di formalismo legalistico»234.

Sotto altro profilo, si è denunciata unanon soddisfacente ricostruzione dogmatica della categoria235, che ha contribuito a fortificare l’opinione in base

RODOTÀ, Il tempo delle clausole generali, ibid., 1987, 728 ss.; dello stesso autore Le fonti di integrazione del contratto, cit., 184 ss.; DI MAJO, Clausole generali e diritto delle obbligazioni, in Riv. crit. dir. priv, 1984, 539 ss.; GUARNERI, Clausole generali, in Digesto IV, Disc. priv., Sez. civ., II, Torino, 1988, 403 ss.; PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., in particolare 223 e ss., PATTI, Ragionevolezza e clausole generali, Milano, 2013.

(230) RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, cit., 184; la medesima ipotesi viene anche

definita a «fattispecie chiusa».

(231) PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 224 ss.; la tecnica

regolamentare viene definita come quella «caratterizzata da previsioni specifiche e circostanziate. La norma prevede un’ipotesi più o meno determinata»; ed ancora, «l’ipotesi normativa è definita fattispecie astratta». L’Autore aggiunge, poi, come la «contrapposizione tra la tecnica regolamentare e quella per clausole generali non è netta; spesso nella stessa norma v’è una previsione particolareggiata per certi aspetti e generalizzata per altri».

(232) PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 223. Cfr. MENGONI,

Spunti per una teoria delle clausole generali, cit., 5 che definisce le clausole generali come uno degli «indici di apertura del sistema giuridico».

(233) In tal senso concordemente tutti gli Autori indicati alle precedenti note; a titolo

esemplificativo RODOTÀ, Il tempo delle clausole generali, cit., 710 che riporta come negli anni ’60 la giurisprudenza considerasse, addirittura, priva di qualsivoglia rilevanza normativa la clausola di buona fede e correttezza; cfr. ivi il contenuto della nota 2.

(234) MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, cit., 7. Nel medesimo senso,

anche,RODOTÀ, Il tempo delle clausole generali, cit., 186 e cfr. da 185 a 189 per una sintetica ricostruzione dell’evoluzione storica della vicenda delle clausole generali; cfr. per tale ultimo aspetto anche CASTRONOVO, L’avventura delle clausole generali, cit., 28.

74 alla quale quel margine di incertezza caratteristico delle clausole generali ne impedisse «la loro applicazione ai casi concreti e la loro utilizzazione in sede di ricostruzione scientifica»236. Ma gli aspetti per i quali spesso le clausole generali vengono criticate, costituiscono, in realtà, il punto di forza delle stesse.

È necessario solo prendere coscienza delle peculiarità di tali norme237, per

rendersi conto come non siano riferibili alle stesse, in chiave negativa e delegittimante, quei caratteri di vaghezza, genericità e astrattezza tali da renderle, di fatto, non utilizzabili o non idonee a far sorgere obblighi specifici238.

Ed infatti, la clausola generale, come più sopra accennato, non contiene un modello decisionale costituito a priori attraverso una fattispecie normativa astratta, ma impartisce una misura e una direzione nella determinazione della norma concreta. Ed allora, se di una qualche incompletezza delle clausole generali si vuol parlare, lo si potrà fare solo nel senso che si tratti di norme che non hanno una propria fattispecie di riferimento, poiché dovranno concretizzarsi nell’ambito «dei programmi normativi di altre disposizioni»239.

Niente a che vedere, dunque, con la presunta mancanza di attitudine delle stesse ad essere poste a fondamento di una decisione o dell’insorgenza di obblighi specifici.

Avuto riguardo all’operazione ermeneutica240 che l’interprete dovrà

effettuare innanzi ad una clausola generale, può affermarsi che nessuna differenza, in termini qualitativi e sostanziali, può rinvenirsi tra detta operazione interpretativa e quella da porre in essere innanzi ad una norma

(236) In chiave critica RODOTÀ, Il tempo delle clausole generali, cit., 188.

(237) Cfr. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, cit., 9, 10,12 per la

differenza ontologica e funzionale, rispettivamente, tra clausole generali e norme generali, clausole generali e principi generali e, da ultimo, tra clausole generali e standard.

(238) In tal senso, la violazione delle stesse non comporterebbe alcuna conseguenza sul

piano giuridico.

(239) MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, cit., 11.

(240) CASTRONOVO, L’avventura delle clausole generali, cit., 22, riporta come «è abbastanza

agevole rilevare che nella nostra dottrina dalla prospettiva delle clausole generali l’interpretazione appare materia fuori campo perché in esse sarebbe da completare la norma ad opera dell’interprete, diversamente da quanto accade nella interpretazione delle altre norme, le quali di tale completamento non sembrano abbisognare. Dalla prospettiva dell’interpretazione, le clausole appaiono a loro volta fuori campo perché il concorso dell’interprete alla costruzione della norma giuridica contenente una clausola generale pare collocarsi di per sé al di là della pura interpretazione».

75 che preveda una fattispecie analitica: «se una differenza si dà, essa è quantitativa, non di essenza»241. Può, inoltre, rilevarsi che lo sfavore verso le

clausole generali sia riconducibile ad altre due considerazioni che, tuttavia, non si ritiene di condividere.

Il primo, relativo alla concezione del processo ermeneutico attraverso il quale ricercare la norma da applicare al caso concreto; il secondo, relativo al desiderato punto di approdo dell’operazione ermeneutica che coinvolge le clausole generali.

Limitatamente al primo profilo, lo stesso potrà essere, seppur non condivisibilmente, ipotizzato sin tanto che si concepirà l’attività interpretativa come meramente dichiarativa242. Alla luce della polisemia

propria di ogni disposizione di rilevanza giuridica, l’attività interpretativa dovrà qualificarsi quale operazione «valutativo-volitiva che poco ha a che spartire con le sussunzioni neutre favoleggiate dalla teoria classica dell’interpretazione-applicazione»243. Sostanzialmente, i medesimi problemi

che si rinvengono dinanzi ad una norma a fattispecie astratta, si porranno dinanzi ad una clausola generale, seppur, inevitabilmente, in misura maggiore244.

Rispetto al secondo profilo, come accennato, il problema si annida nell’equivoco, nel quale incorrono coloro che sostengono l’eccessiva vaghezza e astrattezza delle clausole generali, di quale debba essere il risultato finale dell’operazione ermeneutica condotta dall’interprete. Ed infatti, non tenendo conto proprio della differenza ontologica tra la normativa attuata mediante tecnica regolamentare e quella posta in essere attraverso clausola generale,

(241) CASTRONOVO, L’avventura delle clausole generali, cit., 23. In senso sostanzialmente

analogo cfr. RODOTÀ, Il tempo delle clausole generali, cit., 725 il quale afferma, a proposito del rapporto tra norme analitiche e clausole generali, «e, se può certo dirsi che l’indeterminatezza è connotato comune alla generalità dei concetti giuridici, è pur vero che possono ritrovarsi diverse «specie di indeterminatezza», che caratterizzano poi la funziona esplicata da ciascuna categoria di concetti».

(242) CASTRONOVO,L’avventura delle clausole generali, cit.,23 ss. (243) CASTRONOVO,L’avventura delle clausole generali, cit.,23.

(244) CASTRONOVO,L’avventura delle clausole generali, cit.,25; l’Autore rileva che «proprio

sul terreno dell’interpretazione, una volta messa in luce la comune caratteristica delle norme giuridiche, contengano esse o meno clausole generali, di costituire spazi per l’intervento creativo del giudice ai fini della costruzione della norma individuale, la spiegazione dell’afflosciamento dell’interesse per le clausole generali, che sarebbe succeduto alla stagione dell’innamoramento, appare meno insondabile di quanto possa apparire di primo acchito».

76 ciò che si ricerca è una definizione in termini dommatici che possa essere assoluta e sempre valevole.

Il risultato dell’attività interpretativa condotta, secondo tale approccio, aspirerebbe a circoscrivere attraverso una definizione puntuale, una volta per tutte, il contenuto di ciascuna clausola generale. Ed è proprio a causa, anche, di tale approccio, non convincente nelle sue aspirazioni, che si sono attribuiti alle clausole generali dei falsi problemi. Come esattamente rilevato, la ricerca di una «definizione in termini dommatici del contenuto delle clausole generali è impossibile o contraddittoria»245. Tale impossibilità è da ricondurre alla

variabilità, seppur all’interno di limiti determinati, delle indicazioni normative idonee a riempire di contenuto la clausola generale.

La contraddittorietà, invero, è data dal desiderato risultato finale: restringere il portato della clausola generale ,confinandola nelle ristrettezze di una definizione puntuale, ne snaturerebbe a tal punto la funzione sino a farle perdere la propria essenza adattativa, che costituisce proprio il pregio di tale categoria.

Oltre quanto sino qui brevemente rilevato, di per sé sufficiente a sottolineare come le accuse rivolte alle clausole generali siano infondate, bisogna, poi, tener conto della circostanza che la clausola generale vada, attraverso l’operazione ermeneutica, concretizzata al fine di fungere da regola del caso concreto.

E l’opera di concretizzazione avviene, sempre, con il rinvio a quei principi, costituzionali e ordinari, che sono propri di un dato ordinamento giuridico246.

Da un lato, dunque, concretizzazione; dall’altro, processo di estrinsecazione del fondamento delle stesse clausole generali247.

(245) RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, cit., 190. Proprio da tale errore di

approccio, prosegue ivi l’Autore, «nasce così l’accusa di ‘vaghezza’ rivolto alla normativa per clausole generali: ma dovrebbe ormai essere chiaro che questa accusa mette in evidenza soltanto l’impossibilità di adoperare le abituali tecniche definitorie in presenza di quegli strumenti». Ed ancora, lo stesso Autore ne Il tempo delle clausole generali, cit., 716, rileva, a proposito di coloro i quali ritengano che attraverso la tecnica delle clausole generali siano messi in discussione valori legati alla stabilità ed alla sicurezza giuridica, come «discontinuità e insicurezza non sono variabili dipendenti dal ricorso a questa o a quella tecnica giuridica. Sono dati della realtà, compaiono tutte le volte che l’occhio del giurista guarda verso il futuro».

(246) PERLINGIERI, Il diritto civile nelle legalità costituzionale, cit., 225 ss.

(247) MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, cit., 18 ss., laddove l’Autore

77 Ed è stato, proprio, grazie alla lunga onda data dall’applicazione dei principi costituzionali, per il tramite delle clausole generali, che si è potuto ulteriormente saggiare la reale portata, nonché l’attualità e utilità di tale tecnica normativa, conferendo al nostro ordinamento una fisionomia perfettamente in linea con l’attuale coscienza giuridica acquisita.

Si pensi, ad esempio, proprio alla longevità della clausola di buona fede che è sopravvissuta sin dai tempi del diritto romano, proprio in virtù della sua capacità adattativa248.

In tal senso, infatti, un ulteriore profilo, del quale sembrano non tener conto i detrattori della categoria qui considerata, è che le stesse siano sempre calate all’interno di un dato ordinamento positivo e non come monadi disperse, nella desolante assenza di punti di riferimento normativi; ed è, pertanto, sempre e solo all’interno di quel dato ambito operativo che potranno esplicare la loro funzione, senza che questo possa in alcun modo contemplare rischi di vaghezza o eccessiva generalità249, a fronte di una

puntuale attività ermeneutica condotta dall’interprete.

Ed infine, sia dato considerare come le clausole generali costituiscano un eccellente strumento giuridico di adattamento dell’ordinamento alla realtà in continuo cambiamento, qualificandosi come «modi per dare senso all’essere del tempo giuridico, dove il presente ingloba già il futuro»250.

rispettive funzioni o dei valori al cui servizio si pongono, ma deve includere anche la costruzione degli strumenti concettuali di fondazione sistematica delle decisioni. Così, ad esempio […] la clausola della correttezza, considerata sotto l’aspetto della funzione integrativa dei rapporti obbligatori, si precisa nella teoria degli «obblighi di protezione».

(248) Cfr. CASTRONOVO,L’avventura delle clausole generali, cit., 29.

(249) Sul punto cfr. RODOTÀ, Il tempo delle clausole generali, cit., 721 laddove si afferma che

«in questo senso, le clausole generali non sono principi, anzi sono destinate ad operare nell’ambito segnato dai principi. Se ad esempio, si riconosce nel nostro sistema la presenza di principi come quello di solidarietà ed uguaglianza, la clausola generale di buona fede può essere legittimamente concretizzata solo adeguandola alle indicazioni essi contenuti».

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