CAPITOLO II Lo sviluppo della categoria degli obblighi di protezione
2.1 Per un sistema di buona fede e correttezza
Sull’applicazione diretta o indiretta dei principi e delle norme costituzionali all’interno del rapporto obbligatorio. 2.3 Il c.d. problema delle clausole generali. 2.4 Responsabilità precontrattuale e obblighi di protezione. 2.5 Buona fede e correttezza nel diritto europeo. Cenni.
2.1 Per un sistema di buona fede e correttezza.
L’impostazione appena ricordata, che postula una sostanziale identità tra le due clausole generali, appare nel suo punto di arrivo, ormai, condivisa tanto che la maggioranza degli autori in dottrina concordano con l’affermare che la correttezza coincida con la buona fede oggettiva182, ed anzi, a tal punto pare
assodato tale coincidenza che la stessa viene fornita come un dato di fatto che non abbisogni più di alcuna argomentazione183. Se è vero che, ormai, si possa
affermare che in dottrina vi sia largo consenso in merito alla tendenziale sovrapponibilità, seppur con alcune differenze fra i pensieri dei diversi Autori, delle due clausole generali, è altrettanto vero che si tratta di un punto di arrivo della riflessione giuridica condotta sul tema. Accanto alla posizione
(182) Si veda, a mero titolo esemplificativo, NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio,
I, cit., 11; BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, cit., 205 ed ivi la bibliografia indicata alla nota 1; BIGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, cit., 170; ROVELLI, Correttezza, cit., 423; nello stesso senso STOLFI, Il principio di Buona fede, in Tratt. Dir. civ., 1964, 163 ss., DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, cit., 298 ss.; da ultimo, in un’ottica ricognitiva dei contributi dottrinari sul punto, VILLANACCI, La buona fede oggettiva, cit., 32, alla nota 30; a tal riguardo PIRAINO, La buona fede in senso oggettivo, 11 ss.
(183) BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale cit., 205,
nota 1, nella quale l’Autore afferma che «la sostanziale coincidenza della buona fede in senso oggettivo con la correttezza può considerarsi un dato acquisito, essendosi superato anche il riferimento del BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, p. 68 s., al contenuto positivo o negativo del comportamento».
60 sopra ricordata184, non è mancato anche chi, comunque, ha ritenuto di poter
evidenziare dei profili di differenza tra le due norme. Ecco che, allora, secondo alcuni Autori la clausola generale di buona fede potrebbe essere intesa come una specificazione di quella di correttezza, e tale rapporto sarebbe da motivarsi sulla base della maggiore pregnanza che la prima ricopre all’interno della vicenda contrattuale rispetto a quella obbligatoria185.
Un tale approccio, nell’applicazione concreta, non finisce per condurre a conseguenze molto difformi da quello che postula la sostanziale coincidenza tra le due clausole generali.
Altra ricostruzione ha proposto di differenziare i due concetti sotto il profilo dell’area di incidenza: l’art. 1375 avrebbe ad oggetto solo i rapporti di origine contrattuale, mentre la norma di cui all’art. 1175 avrebbe, sotto questo profilo, quale propri destinatari solo i rapporti obbligatori non originatisi da contratto186.
Sul punto, si è già avuto modo di ricordare la ricostruzione in base alla quale una corretta analisi della normativa di correttezza non permette una tale interpretazione restrittiva.
Né, può condividersi la tesi di chi ha ritenuto di identificare nella clausola di buona fede, piuttosto che una norma integrativa del contratto, «solo un criterio da osservare nel corso dell’esecuzione del rapporto: destinato a funzionare in una fase successiva alla determinazione del contenuto del contratto»187.
Tale impostazione pare da non condividersi perché da ricondursi ad una visione non estesa a tutte le norme in tema di correttezza e buona fede. Ed infatti, seppur la previsione normativa di riferimento di solito contemplata in
(184) Oltre agli autori indicati alla precedente nota, si vedano SICCHIERO, Appunti sul
fondamento costituzionale del principio di buona fede, cit., 2129; BESSONE-D’ANGELO, Buona fede, cit., 1 ss; BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Milano, 1963, 49.
(185) Cfr. CASTRONOVO, Obblighi di protezione e tutela del terzo, cit., 4, il quale afferma come
«nel nuovo sistema instaurato dal codice del 1942, l’introduzione del principio di correttezza nella previsione normativa dell’art. 1175 in testa alla disciplina generale del rapporto obbligatorio, fa sì che, l’interpretazione del contratto secondo buona fede e l’esecuzione del contratto secondo buona fede vadano considerate pure specificazioni attraverso le quali viene operata una prima Konkretisierung di quel principio». In senso sostanzialmente analogo, già ROMANO, Buona fede, cit., 689 che qualifica l’art. 1375 come specificazione, norma speciale, rispetto la previsione di cui all’art. 1175.
(186) Si veda a tal proposito quanto rilevato da BIGLIAZZI GERI, La buona fede nel diritto
civile, cit., 169.
61 tale giudizio comparativo è l’art. 1375, una ponderata riflessione sulla portata della clausola di buona fede non potrebbe effettuarsi non tenendo presente, oltre a quanto derivante dall’attività di specificazione dei principi costituzionali nella stessa clausola generale, anche dalla considerazione delle altre norme del codice civile188, senza le quali non è possibile procedere
funditus ad una ricognizione della buona fede e della sua portata.
Una lettura delle medesime norme, oltre quanto sin qui considerato, fanno apparire evidentemente come la buona fede sia norma che presiede a tutta la vicenda obbligatoria, dal suo sorgere sino alla sua conclusione. Sotto tale profilo, dunque, una interpretazione restrittiva come quella ricordata appare non condivisibile189.
Di chi ha ritenuto, invece, di differenziare le due clausole generali sotto il profilo soggettivo, si è già dato conto precedentemente190.
Ed ancora, non persuade l’opinione di chi191 ritenga che la buona fede,
anche quella di tipo oggettivo, attenga ad una valutazione individuale di ciascuno dei contraenti, mentre la correttezza, pur essendo anche questa metro di valutazione dell’agire individuale, sarebbe relativizzata al comportamento della controparte
L’affermazione appena riportata non può, sotto alcun profilo, essere condivisa perché nega un carattere quasi universalmente riconosciuto alla clausola generale di buona fede: quello della relatività e relazionalità del concetto stesso che è forgiato nella relazionalità delle parti del rapporto obbligatorio192.
Tale aspetto risulta ancora più evidente ove si consideri come la buona fede e la correttezza siano gli strumenti giuridici per mezzo dei quali concretizzare i principi e le norme costituzionali.
(188) In particolare gli artt. 1337, 1358, 1366 e 1460, 2° comma del codice civile.
(189) Si veda sul punto anche quanto affermato da RODOTÀ, Le fonti di integrazione del
contratto, cit., 142.
(190) Cfr. par 1.5.
(191) CICCARELLO, Dovere di protezione e valore della persona, Milano, 1988, 162.
(192) Che sin da quanto rilevato da BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, cit., 93 ss. non
è mai stato seriamente posto in discussione, anche alla luce del dato letterale delle norme relative alla buona fede.
62 Se, dunque, si può con sicurezza affermare che la nostra scienza giuridica è, ormai, maggiormente convinta dell’identità tra la clausola generale di correttezza e quella di buona fede, si ritiene, pur condividendo l’impostazione nel suo fondamento, che una qualche differenza debba pur esservi e che, sotto tale profilo, l’apporto del dettato costituzionale non abbia potuto ingenerare una totale confusione dei due concetti193.
Sia consentito, sotto tale profilo, muovere dalla posizione di Mengoni194,
sopra ricordata195, che, ad avviso di chi scrive ha avuto, e mantiene, il merito
di aver delineato gli estremi di un rapporto intercorrente tra la buona fede e la correttezza nella prospettiva del ruolo genetico che le stesse ricoprono rispetto alla categoria degli obblighi di protezione.
Il pregio della soluzione prospettata da Mengoni, che si ritiene di condividere pienamente, sta nell’aver segnalato come, seppur tra le due clausole debba riscontrarsi enorme vicinanza, tuttavia, tra le stesse non possa darsi assoluta coincidenza.
Sia concesso ragionare nei termini seguenti.
Se, alcuni anni dopo rispetto al contributo di Mengoni, Rodotà è giunto a teorizzare una normativa di correttezza, alla luce della asserita comune incidenza dei concetti di buona fede e correttezza, quali strumenti di concretizzazione dei principi Costituzionali, piacerebbe poter affermare che Mengoni, già alcuni anni prima, aveva, sostanzialmente, posto le basi per un sistema di buona fede e correttezza196, indicando il rapporto intercorrente tra le
due clausole generali e del rapporto tra queste e la solidarietà costituzionale197, specialmente nella prospettiva della teoria degli obblighi di
protezione. Ed infatti, è sufficiente portare di poco oltre il ragionamento
(193) Si potrebbe essere, infatti, portati a ritenere che vi fossero delle distinzioni tra le due
norme nell’originaria impostazione del codice civile del 1942, ma che le stesse siano venute meno grazie alla vis espansiva dei principi contenuti nella carta costituzionale sino a creare una sostanziale identità tra i due concetti.
(194) MENGONI, Obbligazione di risultato e obbligazioni di mezzo, cit., 285. (195) Cfr. par. 1.6.
(196) Ci si permette di proporre tale definizione per la soluzione prospettata da Mengoni,
anche alla luce delle riflessioni che si svolgeranno nel prosieguo del testo.
63 effettuato dall’Autore198, con le riflessioni relative alla buona fede e
correttezza, ed alla attività di specificazione e concretizzazione dalle stesse posta in essere rispetto principi costituzionali, per rendersi conto di come, in realtà, possa cogliersi un vero e proprio sistema di integrazione sinergica del rapporto obbligatorio, composto dalla normativa sulla correttezza e quella sulla buona fede.
Se da un lato, la ricostruzione proposta da Rodotà ha avuto il pregio di sottolineare, soprattutto, la valenza contenutistica delle clausole di buona fede e correttezza, la ricostruzione di Mengoni, ha avuto il pregio di saper spiegare la relazione tra i due concetti e di metterli a sistema senza doverne affermare una sostanziale identità.
Quest’ultimo rilevava, infatti, l’idoneità della buona fede ad estendere o a restringere il contenuto dell’obbligazione alla luce dei principi della solidarietà e, si potrebbe aggiungere, di ogni altro principio costituzionale e ordinario che è in grado di specificarsi attraverso la clausola di buona fede; tale funzione della buona fede è ricavabile «altresì dall’art. 1175»199. Ed è
proprio questa la norma che prevede l’insorgenza di quegli obblighi di protezione che «sulla base di una valutazione di buona fede, accedono al rapporto obbligatorio in ragione dell’interesse di ciascuna parte a preservare la propria persona e il proprio patrimonio dallo specifico pericolo di danno derivante dalla particolare relazione costituitasi tra i due soggetti»200.
Come già si è avuto modo di rilevare201, è attraverso una valutazione,
parametrata alla concreta vicenda obbligatoria, di buona fede che gli obblighi di correttezza si determinano nella loro estensione ed accedono al rapporto, stabilendone l’estensione e i contenuti.
Ecco che, senza timori di sincretismi, si ritiene pienamente condivisibile l’impostazione, anche nell’ottica delle tematiche qui affrontate, proposta da Mengoni sui rapporti tra le clausole generali di buona fede e correttezza, in relazione agli obblighi di protezione, seppur informata delle successive
(198) Trattasi in realtà di mera opera di contestualizzazione, rispetto a quanto già
affermato nell’opera citata.
(199) MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, cit., 285. (200) Così MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, cit., 285. (201) Cfr. par. 1.6.
64 riflessioni in tema di qualificazione contenutistica delle clausole di buona fede e correttezza, alla luce di principi e norme costituzionali, delle quali si è cercato di dare brevemente conto nel presente lavoro.
2.2 Sull’applicazione diretta o indiretta dei principi e delle norme