CAPITOLO III Critiche alla categoria degli obblighi di protezione fondati sulla
3.2 Gli obblighi di protezione quale concretizzazione dell’interesse alla
di specifiche norme contenute nel codice civile.
La tesi appena considerata non è stata l’unica che si è posta in una posizione, per così dire, alternativa rispetto a quella che identifica il fondamento della categoria in esame nella correttezza e nella buona fede.
Deve, infatti, ora considerarsi quella ricostruzione che, ricollegandosi al tema della diligenza, seppur in una prospettiva strutturalmente distinta da quella appena ricordata, ritiene la categoria di obblighi di protezione priva di autonomia e giunge ad affermare come i medesimi obblighi (o doveri) sarebbero, in realtà, mere specificazioni della prestazione387.
In tal senso, proprio contro la concezione che ravvisa il fondamento della categoria degli obblighi di protezione nella buona fede, si osserva come al debitore non si richieda «semplicemente un comportamento improntato a
nella custodia un «criterio di responsabilità»». Lo stesso Autore, sul medesimo aspetto, rileva alla pagina precedente come «l’opinione che ritiene la custodia un «criterio di responsabilità» si fonda principalmente su due argomenti: 1) esiste un parallelo tra la diligenza e la custodia, essendo entrambe dirette alla conservazione della possibilità di adempiere: da ciò discende che la custodia, al pari della diligenza, è un «criterio di responsabilità»; 2) il comportamento custodiente del debitore non è suscettibile di valutazione economica, in quanto non determina un vantaggio, diretto ed immediato, nella sfera patrimoniale del creditore; la concezione, quindi, della custodia, come oggetto di un rapporto obbligatorio, è in contrasto con la definizione di obbligazione, quale si desume dall’art. 1174».
(387) Si tratta delle tesi di Autori come NATOLI, BRECCIA, BIANCA, BIGLIAZZI GERI le
quali, pur differenziandosi sotto alcuni profili, rinvengono rispetto al tema affrontato un comun fondamento; di tali posizioni si darà conto nel presente capitolo. Appare evidente che ove si ritenesse di condividere una tale ricostruzione della categoria dei doveri/obblighi di protezione, ciò osterebbe alla possibilità che gli obblighi protettivi possano irradiarsi a protezione di terzi. Come infatti puntualmente rilevato da CARINGELLA, Manuale di diritto civile, II, Le obbligazioni, Milano, 426: «l’ammissibilità di obblighi [di protezione] nei confronti di terzi è da escludere in radice se si reputa che detti obblighi siano una mera articolazione della diligenza nell’esecuzione della prestazione, pacifico essendo che la diligenza limita i suoi effetti ai rapporti tra le parti».
112 correttezza ma un comportamento diligente, e che a questo comportamento rientra nel contenuto del rapporto obbligatorio alla stregua del suo obiettivo unificato»388.
A fondamento di una tale affermazione, v’è il convincimento che la cautela costituisca quell’aspetto della diligenza389 che, oltre ad avere lo scopo di
evitare che sia impedito il soddisfacimento dell’interesse dedotto nell’obbligazione, sia volta ad impedire che siano pregiudicati «altri interessi del creditore giuridicamente tutelati»390.
Il dovere di non ledere la persona e i suoi beni, mediante comportamento imprudente, rileva, a prescindere dall’esistenza di un rapporto obbligatorio, grazie alla previsione di cui all’art. 2043. Ciò non toglie, prosegue nel proprio ragionamento l’Autore391, che al comportamento prudente un soggetto sia
tenuto in base alla sua posizione debitoria all’interno di una vicenda obbligatoria. In questo caso, il debitore sarebbe tenuto a salvaguardare quegli interessi, del creditore, posti in pericolo dall’attività svolta al fine di adempiere all’obbligazione contratta.
A tutela di tali interessi, sarebbe superfluo ipotizzare l’esistenza di autonomi obblighi di protezione atteso che, come già sopra riferito, il debitore risulti tenuto ad una prestazione di contenuto prudente, inteso quale comportamento obiettivamente idoneo ad impedire il verificarsi di un evento dannoso392. Sostanzialmente, dunque, sulla base di tale teoria, l’obbligo di
protezione (o il momento protettivo) sarebbe, di per sé, implicito all’interno
(388) Così BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, Art. 1218-1229, Bologna – Roma,
1979, 36. Alcuni anni dopo lo stesso Autore, in La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, cit., 205 ss., ribadirà come «si conferma, tra l’altro, l’inaccettabilità della tesi che fonda sulla buona fede i c.d. «obblighi di protezione». Nell’adempimento dell’obbligazione il debitore è tenuto ad un comportamento che non leda i beni personali e patrimoniali del creditore ma qui la responsabilità deve essere valutata non secondo il criterio della buona fede bensì secondo quello della diligenza». Nello stesso senso, SICCHIERO, Appunti sul fondamento costituzionale del principio di buona fede, cit.¸2134.
(389) Lo stesso BIANCA, in La nozione di buona fede quale regola di comportamento
contrattuale, cit., 210 spiega come «l’obbligo di diligenza impone l’adeguato sforzo volitivo e tecnico per realizzare l’interesse del creditore e per non ledere i diritti altrui. La diligenza misura l’obbligo cui il soggetto è tenuto per soddisfare l’interesse altrui giuridicamente tutelato da un diritto di credito o da un diritto assoluto. Indica l’impegno del soggetto in relazione al diritto altrui». Già da tale definizione, è possibile apprezzare la rilevante differenza di impostazione sottesa alla teoria del BIANCA rispetto a quella del MAJELLO riportata nel paragrafo precedente.
(390) Cfr. BIANCA, Diritto civile, cit., 93 ss. (391) Così BIANCA, Diritto civile, cit., 93. (392) BIANCA, Diritto civile, cit., 94.
113 dell’obbligo di prestazione e, dunque, non sarebbe fondata la distinzione in due momenti, concettualmente separati, dell’interesse alla protezione rispetto all’interesse alla prestazione393.
Il precipitato di una tale teoria sarebbe, dunque, che, di fatto, si postulerebbe un’obbligazione strutturalmente unitaria e che gli obblighi di protezione, in realtà, sarebbero momenti nei quali si specificherebbe la prestazione principale di contenuto prudente394. La violazione di tali pseudo
obblighi, dunque, integrerebbe, solamente, un’ipotesi di inesatto adempimento395. Viene osservato come un difetto di cautela, da parte del
debitore nell’adempimento, potrebbe concretizzare un danno di un interesse non direttamente ricollegabile a quello dedotto nella prestazione396.
A tal proposito, dunque, resta da comprendere quale tipologia di responsabilità ingeneri una violazione di tali tipi di interessi; certamente una tutela in tal senso non potrebbe negarsi già sotto il profilo della responsabilità extracontrattuale. Ma, si osserva397, la sussistenza di un’ipotesi di
responsabilità da fatto illecito non deve, di per sé sola, escludere un’ipotesi di
(393) BIANCA, Diritto civile, cit., 93-94, alla nota 46; qui l’Autore rileva come «la prestazione
comprende ciò che è dovuto dal debitore, ed è semplice osservare che il momento prudente è implicito nella prestazione già alla stregua del comune intendimento. Chi si obbliga a trasportarmi con la sua vettura, si obbliga per ciò stesso a trasportarmi sano e salvo, e quindi – tra l’altro– a guidare nel rispetto delle norme tecniche e giuridiche di cautela». In una prospettiva sostanzialmente analoga BRECCIA, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 72, il quale rileva, a proposito dei c.d. doveri di protezione che «quel che importa è aver chiaro che questi sono aspetti della fase esecutiva di una complessa attività dovuta, non sono specifici obblighi individuati in base ad una presunta fonte integrativa del contratto. Ma più spesso il momento della protezione è qualcosa di strettamente connesso con il nucleo centrale dell’obbligo, cioè con la prestazione strictu sensu».
(394) In una prospettiva sostanzialmente analoga, BIGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto
civile, cit., 171 che a proposito della funzione degli obblighi di protezione derivanti dalla buona fede, rileva che «ancor più misera risulta quando ci si renda finalmente conto che anche tali «doveri», lungi dal porsi quali obblighi accessori con autonomia di contenuto e di oggetto, o costituiscono – al pari dei cosiddetti doveri integrativi di prestazione – niente più che tipiche specificazioni, momenti particolari dell’obbligazione, il cui contenuto unitario si determina in relazione alla natura della prestazione ed alle modalità di esecuzione […] o si traducono, invece, in puri e semplici oneri e, più esattamente, in limiti formali riguardanti l’esercizio di un diritto […], non immediatamente deducibili dalla normativa di correttezza, ma esplicitamente previsti da singole disposizioni di leggi pur ad essa ispirate».
(395) BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit., 34 il quale rileva che «come
particolare atteggiamento della diligenza la cautela fa parte della prestazione dovuta, e la sua inosservanza è quindi da qualificare come inesattezza della prestazione: tale inesattezza è da accertarsi in base alla richiesta misura della diligenza, la quale anche in relazione a questo aspetto può importare l’applicazione di appropriati mezzi e principi tecnici».
(396) BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit., 34. (397) BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit., 35.
114 inadempimento398. Ed infatti, la particolarità del contatto che si instaura tra
le parti di un rapporto obbligatorio, espone i beni del creditore399 ad un
specifico rischio di danno, non assimilabile a quello generico che, astrattamente, incombe su tutti i consociati.
Tuttavia, l’Autore rileva come, al fine di postulare una tutela contrattuale in caso di lesione di interessi del creditore, non sia necessario ipotizzare una categoria di obblighi di protezione, fondati sulla buona fede, distinti ed autonomi rispetto all’obbligo di prestazione400, giacchè il debitore sarebbe già
tenuto ad una prestazione di contenuto prudente volta a realizzare un vantaggio del creditore e, quindi, già di per sé, nel pieno rispetto di tutti gli ulteriori interessi di questo401. Il creditore, dunque, invertendo la prospettiva
di analisi, avrà diritto ad ottenere una prestazione di contenuto prudente,
(398) BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit., 35.
(399) Sfugge completamente da questa analisi la possibilità che il danno possa cagionarsi
nella sfera giuridica del debitore; in realtà, come già rilevato nel precedente paragrafo, è proprio la scelta della norma di cui all’art. 1176 a spostare in modo non condivisibile l’attenzione, all’interno del fenomeno obbligatorio, quasi esclusivamente sul debitore, tralasciando le vicende relative al creditore.
(400) BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit., 35. In merito all’ascrivibilità al
regime di responsabilità contrattuale di eventuali comportamenti dannosi di interessi altri del creditore, BRECCIA, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 76- 77, dopo aver rilevato come non si avverta la necessità di ampliare attraverso la buona fede e correttezza la sfera della responsabilità contrattuale per ricomprendervi i doveri di protezione, di avviso, di conservazione, afferma che «il problema è presumibilmente un altro: si tratta di vedere se possa definirsi come diligente e corretta, cioè esattamente adempiuta, una prestazione che ha avuto conseguenze dannose nell’altrui sfera giuridica. L’esame deve compiersi avendo presenti, in primo luogo, la natura delle prestazioni e le misure cautelari che in essa debbono ritenersi normalmente comprese; in secondo luogo, il nesso tra la cattiva esecuzione della prestazione e il danno subito dalla controparte; nesso che deve, sia pure genericamente, essere ravvisabile a priori sulla base di una valutazione finalistica degli elementi, esplicitamente o implicitamente predeterminati, dall’obbligo. Al di fuori di questi limiti, ogni commutazione del danno aquiliano in contrattuale, a qualunque principio la si voglia ricondurre, anche se la si mantenga nei confini di una precisa identificazione del nesso causale tra danno e contengo della parte, avrebbe conseguenze spesso forzate e insostenibili. In particolare, non si avverte l’esigenza logica e normativa di rinvenire il fondamento della presunta serie di obblighi integrativi nella regola della buona fede».
(401) BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit., 37 rileva: «ed infatti: l’obbligazione
si costituisce, nel comune convincimento, per realizzare uno specifico vantaggio del creditore e – di regola – non per sacrificare o compromettere altri beni di questo soggetto. La prestazione dovuta è quindi da intendersi già secondo la comune interpretazione come un fatto vantaggioso previsto e voluto nel rispetto degli altri rilevanti interessi del creditore. Nel rispetto, cioè, di quegli interessi che sono socialmente apprezzabili e che si collegano alla sfera del creditore anche tramite rapporti di parentela, di servizio e di ospitalità. Se la costituzione del rapporto obbligatorio presuppone che rimanga fermo il rispetto degli altri interessi, il soddisfacimento dello specifico interesse creditorio deve appunto intendersi come programmato attraverso una prestazione che non s’ingerisca dannosamente nella sfera giuridica del creditore».
115 eseguita nel rispetto della sua integrità patrimoniale e personale402. Ed è
proprio alla luce di queste considerazioni che si sostiene come i danni compiuti dal debitore nell’esecuzione della prestazione, dovuti a mancanza di diligenza, e che comportino una lesione della sfera giuridica del creditore, saranno da ascriversi al regime di responsabilità contrattuale, senza che sia necessario teorizzare una autonoma categoria di obblighi di protezione fondati sulla buona fede403.
Ad una posizione, sotto alcuni profili, coincidente con quella appena analizzata può essere ricondotto il pensiero di un altro Autore404, il quale si è
premurato di affermare che procedendo ad una corretta sistematizzazione delle norme relative alla buona fede ed alla correttezza, da un lato, e a quella relativa alla diligenza, dall’altro, non sarebbe necessario, al fine di fornire idonea tutela, giungere ad una proliferazione dei c.d. doveri integrativi.
Bisognerebbe, quindi, distinguere tra quei doveri strumentali, accessori, da ricondursi, in ultima analisi alla necessità di adempiere alla prestazione principale, rispetto a quei doveri di protezione posti a tutela delle sfere giuridiche delle parti nel rapporto obbligatorio405.
I doveri di correttezza, ex art. 1175, sarebbero solo questi ultimi. Questo ragionamento permetterebbe, nella prospettiva proposta, una riduzione di tutti quelli che vengono definiti «pseudo-obblighi di protezione» che, in realtà
(402) BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit., 37. Alla pagina seguente, l’Autore
afferma come, in una tale ricostruzione, il creditore avrebbe la possibilità di rifiutare la prestazione che possa mettere a rischio la propria integrità personale o patrimoniale o di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento ove il comportamento, non prudente, del debitore abbia arrecato «danni di non scarsa importanza ai beni del creditore medesimo».
(403) BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit., 37.
(404) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 16 ss.; qui l’Autore dopo aver
affermato che la norma sulla diligenza di cui all’art. 1176 «rappresenta la misura dell’attività di volta in volta, necessaria per l’esecuzione della prestazione, tenuto conto della natura del relativo oggetto e delle circostanze, nella quale essa deve avvenire», rileva, poco dopo, che «si può, intanto, osservare che se si ammette, come deve ammettersi, che le norme degli artt. 1175 e 1776 hanno […] una diversa sfera di incidenza (il che, del resto, non ne esclude il possibile concorso, cioè la possibilità di una contemporanea applicazione) ne risulta già notevolmente ridotta la somma dei c.d. doveri di integrazione, che dovrebbero far capo alla prima, dovendosi praticamente accantonare tutti quelli, che in un modo o nell’altro possono essere considerati come semplici specificazioni del criterio della diligenza indicato all’art. 1176». Sul punto deve rilevarsi, come esattamente affermato da LAMBO, Obblighi di protezione, cit., 116, nota 310, che «è da notare che se si segue la teoria del rapporto complesso, gli obblighi di protezione (che possono concretizzarsi anche in un avviso) non sono obblighi secondari (questi riguardano il risarcimento)».
116 sarebbero, solo momenti nei quali si specificherebbe la prestazione principale406.
Ma, si rileva, che tuttavia a ben guardare gli obblighi di protezione apparirebbero in realtà, come un momento essenziale del contenuto dell’obbligazione che «si determina automaticamente in base alla natura della prestazione e che, particolarmente, reagisce anche sul quantum della diligenza necessaria alla sua esecuzione»407.
Pertanto, la categoria degli obblighi di protezione, sia che se ne rinvenga il fondamento nell’art. 1775 che nel 1176, costituirebbe, si sostiene, un’inutile superfetazione408.
Ove vi fosse una previsione in tal senso, la stessa sarebbe rinvenibile nella legge o sarebbe deducibile «dalla stessa natura della prestazione»409 e verrebbe
in considerazione solo in quei contratti nei quali l’esecuzione comporti un rischio per la persona o le cose dell’altro contraente410.
Altro assunto, a fondamento di una tale ricostruzione, è che dovrebbe negarsi alcuna valenza integrativa alle norme relative alla buona fede ed alla correttezza411. Da tale analisi, rimarrebbero esclusi solo i doveri di protezione
posti a carico del creditore che, però, risulterebbero davvero esigui e che potrebbero palesarsi solo nel caso in cui la prestazione sia eseguita «nella sfera di azione del creditore o sotto la direttiva di costui»412, tanto più che, in ogni caso,
a tutela del debitore starebbe la previsione di cui all’art. 2043413.
(406) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 18. (407) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 20. (408) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 20. (409) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 21.
(410) Così NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 22 che richiama il pensiero
di BENATTI, in Osservazioni in tema di doveri di protezione, cit., 484.
(411) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 26; ivi l’Autore rileva come
«l’esigenza, cui dovrebbe provvedersi deducendo dalla regola suddetta nuovi «doveri» integrativi di protezione, risulta già soddisfatta in un considerevolissimo numero di casi sulla base di precise ed esplicite previsioni di legge, che sembrano ridurre in minime proporzioni la sfera di rapporti, nella quale dovrebbe esplicarsi la funzione integrativa dell’art. 1175»; l’Autore afferma, nelle pagine immediatamente successive, come la correttezza inciderebbe solo all’interno della fase di attuazione del rapporto obbligatorio, acquisendo una funzione riduttiva della conseguenze che deriverebbero da una pedissequa applicazione dello «strictum ius».
(412) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 22; un esempio in tal senso,
secondo l’Autore, sarebbe da rinvenirsi nella previsione di cui all’art. 2077 del codice civile.
(413) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 24. Poco dopo, si rileva come la
differenza del regime probatorio riconducibile in capo all’art. 1218 e al 2043 non rileverebbe considerato che «è anche vero che, per lo più, si tratterà di responsabilità qualificantesi sotto il
117 Le tesi sopra riportate, a conferma di quanto sostenuto, propongono una peculiare analisi di alcune norme contenute nel codice civile, ed in particolar modo degli artt. 1681 e il 2087 dedicati, rispettivamente, alla Responsabilità del vettore ed alla Tutela delle condizioni di lavoro, nonché delle disposizioni in materia di locazione.
In particolare, relativamente alla prima disposizione, viene affermato come nel trasporto di persone l’obbligazione contratta dal vettore, e quindi la prestazione assunta, non si esaurirebbe nel solo trasferimento del viaggiatore da un luogo sino ad un altro, ma si sostanzierebbe, altresì, nel trasferimento dello stesso viaggiatore senza che questi subisca alcun danno alla sua persona o alle sue cose414. La circostanza che all’interno del codice siano contenute due
norme distinte, segnatamente l’art. 1678 e l’art. 1681, non costituirebbe indizio della sussistenza di due distinti obblighi, quello relativo all’esecuzione della prestazione e quello di protezione415.
Si tratterebbe, in realtà, di diversi aspetti della prestazione che, dunque, non sono idonei, di per sé, ad alterare una visione unitaria del fenomeno obbligatorio che, questo ne è il corollario, si esaurirebbe nell’obbligo di prestazione416. Dunque, ogni volta che la prestazione coinvolga la persona del
riflesso delle disposizioni speciali degli artt. 2050-2054 e tale fatto finirà in pratica col porre il danneggiato – dal punto di vista che si è appena ricordato – in una posizione sotto vari aspetti analoga a quella che avrebbe sulla base dell’art. 1218».
(414) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 18. (415) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 18.
(416) NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, cit., 19. L’Autore osserva anche come
«osservazioni analoghe si possono fare in tema di locazione. Come si deduce dagli artt. 1575, 1576, 1578, 1580, l’obbligazione del locatore non si limita al «far godere» al conduttore una cosa, ma implica che ciò avvenga senza danno per la persona di questo (e di coloro che partecipano a quel «godimento»: familiari o dipendenti). E anche qui non si tratta di una obbligazione più o meno accessoria, con autonomia di contenuto od oggetto, ma di un momento particolare dell’obbligazione, il cui contenuto (unitario) si determina anche in questo senso in considerazione della particolare natura della prestazione, che, come nel caso precedente, coinvolge immediatamente la persona dell’altra parte». In senso conforme anche BIANCA, Diritto civile, cit., 94, nota 47. Sul punto BIGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, cit., 171 osserva «così non si dovrebbe dubitare, come invece tutt’ora si fa, che l’obbligazione del vettore (art. 1678) non consiste soltanto nel