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Una bussola per orientarsi fra conectores, enlaces, marcadores e partículas

I referenti dei segnali discorsivi non sono sempre stati gli stessi, al contrario, le diverse denominazioni presenti in letteratura hanno incluso campi molto eterogenei di elementi o funzioni della lingua. La difficoltà tassonomica dei SD, dunque, è bidirezionale: la proliferazione di denominazioni è accompagnata da una delimitazione non sempre chiara dell’insieme di elementi presi in considerazione (Garcés Gómez 2008: 15). Come osserva Borreguero (2015: 151), ogni studio sui SD dovrebbe cominciare con una proposta di definizione che giustifichi la denominazione scelta e le unità incluse al suo interno. Alla luce di questo problema classificatorio, nelle sezioni precedenti si è cercato, anche a rischio di ripetersi, di corredare ciascuna definizione di un compendio dell’oggetto particolare di analisi.

è rivolta principalmente agli usi espletivi delle parti invariabili del discorso, ricorrendo all’etichetta «bordones» (Valdés 1535: 135; Covarrubias 1611: 345). Intorno alla fine del XVIII secolo, Garcés (1791) sposta l’attenzione dalla varietà orale non controllata alla lingua scritta, nello specifico, allo spagnolo di Cervantes e di Fray Luis de León, e osserva che le «partículas» (Garcés 1791: 69) svolgono un ruolo fondamentale nell’organizzazione del discorso poiché, unendo le parti in un tutto, concorrono alla sua disposizione in modo consequenziale.

L’idea di un ruolo coesivo e di un vincolo fra le parti – della frase e oltre la frase – ha caratterizzato anche le denominazioni emerse nella seconda metà del XX secolo (§ 1.2): «enlaces extraoracionales» (Gili Gaya 1943: 326; Fuentes 1987: 17), «marcadores de función transoracional» (Casado Velarde 1993: 32) e «relacionantes supraoracionales» (Fuentes 1996). Allo stesso tempo, all’identificazione di uno spazio interfrasale sono corrisposte delle etichette che hanno messo in rilievo il ruolo marginale, entro la predicazione frasale, svolto da questi elementi linguistici, denominati: «elementos periféricos» (Alcina e Blecua 1975: 884) e «adyacentes circunstanciales» (Alarcos 1994: 295).

Negli stessi anni – prima del punto di riferimento tassonomico per la lingua spagnola costituito dal capitolo della GDLE dedicato a «los marcadores del discurso» (Martín Zorraquino e Portolés 1999: § 63; § 1.3), e sul modello delle Abtönungspartikeln del tedesco – viene ripreso il termine «partículas» alla condizione che – come per la necessità di cognomi della sintassi discorsiva (§ 1.3.3) – sia corredato di aggettivi che rendano esplicito il livello di analisi preso in considerazione (Martín Zorraquino 1992: 118):

yo abogaría por el mantenimiento del término tradicional partícula, que alude simplemente a la estructura componencial de las unidades objeto de análisis y que tiene la ventaja de resultar apto para referirse a elementos que operan en la gramática de la oración y en la del discurso […] junto a partícula deberían utilizarse especificaciones que hicieran explícito el nivel de análisis en el que se opera (partículas discur- sivas / partículas oracionales). De todas maneras, lo que debe cuidarse, sobre todo, es evitar términos que tengan una validez restringida (ordenador, enlace, conector); si se prescinde de partícula, es mejor echar mano de términos como operador (índice puede resultar ambiguo por su relación con ciertos tipos de signos – los deícticos). (Martín Zorraquino 1992: 118)

Dopo la pubblicazione della GDLE (Bosque e Demonte 1999; § 1.3), le particelle cedono il posto ai segnali discorsivi. Infatti, a partire dalle definizioni di Portolés (1998: 25-26; § 1.3) e di Martín Zorraquino e Portolés (1999: 4058), la locuzione «marcadores del discurso» ha acquisito ampio consenso ed è stata considerata un iperonimo capace d’includere le diverse funzioni connettive, argomentative, riformulative, cognitive e interazionali. Vediamo, di seguito, alcune motivazioni presenti in letteratura circa la pertinenza dell’etichetta «marcadores del discurso»:

The term discourse marker, in my opinion, would highlight their functions better, be more inclusive (also with regard to the discussion of similar phenomena in several languages), be more adequate both for the

different grammatical units which can be used in this function (adverbs, conjunctions, verbal syntagms, etc.), and for the kind of linguistic items which are not as “light” as a particle. (Bazzanella 2006: 451)

On the one hand, connectives are linguistic items whose primary (prototypical) function is to convey union between two linguistic items at the infra-, extra-, or intersentential level. On the other hand, discourse marker is a global label for most elements without propositional meaning, thus including connectives, modal markers or interactional markers and some elements with propositional meaning. I consider that discourse markers are hyperonyms of connectives. (Pons 2006: 80)

La preferencia por el término marcador discursivo se justifica porque permite dar cuenta de las relaciones que se crean en los textos, tanto escritos como orales, en el plano monológico y dialógico, referidas a la organización discursiva en un ámbito global o local, a la conexión entre enunciados o entre el enunciado y la enunciación, a la relación del hablante con el enunciado o a las interacciones que se establecen entre los participantes en el diálogo. (Garcés Gómez 2008: 16)

[…] la preferencia por el término marcador discursivo (frente a otros más reductores como marcador pragmático o conector textual o bien más amplios – y, por tanto, más vagos – como partícula discursiva), ya que, a nuestro juicio, estos elementos constituyen “marcas” que indican al intérprete cómo debe procesar la información que les precede o antecede y su ámbito de acción es siempre el discurso y no la oración, lo que permite diferenciar, por ejemplo, cuándo una misma unidad léxica tiene la función de conjunción en el plano oracional y cuándo actúa como conector en el plano discursivo. (Borreguero 2015: 152)

Tuttavia, il ricorso preferenziale alla locuzione marcador del discurso non riguarda l’ambito lessicografico; infatti, soltanto il Diccionario de marcadores discursivos para estudiantes de español

como segunda lengua (Holgado 2017) ricorre all’espressione marcadores discursivos30, mentre gli

altri tre dizionari delle particelle dello spagnolo (§ 1.3.1) fanno riferimento, in due casi, al termine

partículas e, in un altro, a conectores y operadores: Diccionario de partículas (Santos Río 2003); Diccionario de Partículas Discursivas del Español (Briz, Pons e Portolés 2008)31; Diccionario de

conectores y operadores del español (Fuentes 2009). Nella linguistica in lingua spagnola, così come

in quella anglofona, le locuzioni “segnali discorsivi” (sp. marcadores del discurso; in. discourse

markers) e “particelle discorsive” (sp. partículas discursivas; in. discourse particles) hanno

convissuto a lungo; tuttavia negli ultimi anni c’è stato uno slittamento verso la seconda, non solo nell’ambito lessicografico (p. es.: Nadal et al. 2016; Solís e Gaviño 2017).

In altri casi, la locuzione discourse particles è considerata un iponimo della categoria più ampia dei pragmatic markers (Aijmer, Foolen e Simon-Vandenbergen 2006: 101; Fischer 2006a: 431; Fraser

30 Giustificandola, peraltro, in chiave interlinguistica sulla base della somiglianza tra la locuzione spagnola (marcadores discursivos) e quella inglese (discourse markers) (Holgado 2012: 124). D’altra parte, un’equivalente somiglianza formale, in italiano, sussisterebbe maggiormente con la locuzione “particelle discorsive” (sp. partículas discursivas; ing. discourse particles) che non con “segnali discorsivi”.

31 Rispetto alla scelta della locuzione “partícula discursiva” a discapito di altre possibili, Portolés (2010: 298) osserva che: «en Briz, Pons y Portolés (2008) [DPDE] se ha adoptado el término partícula discursiva para cualquier palabra invariable o locución que guíe por su significado el procesamiento de otra unidad con significado conceptual. Tanto los marcadores del discurso – es más – como los adverbios de foco – incluso – serán distintos tipos de partículas discursivas» (Portolés 2010: 298).

2006: 189). Nell’ambito di una proposta metodologica per l’analisi contrastiva dei «pragmatic markers», Aijmer, Foolen e Simon-Vandenbergen (2006: 101) sostengono che: «[d]iscourse particles belong to the more general category of pragmatic markers», dove quest’ultima è definita «negatively: if a word or a construction in an utterance does not contribute to the propositional, truth-functional content, then we consider it to be a pragmatic marker» (Idem). Il termine «marker», invece, è usato: «in a pure technical sense. […] This accords with our own view that the character of such words is typically indexical, in other words that these elements merely “indicate”, leaving the hearer with a significant amount of interpretational work» (Aijmer, Foolen e Simon-Vandenbergen 2006: 102). Anche Schiffrin (1987: 315; 2006: 336) attua una distinzione fra markers e particles in termini di indessicalità (indexicality), dove il primo termine indicherebbe una relazione già esistente, mentre il secondo ne creerebbe una non presente nel discorso:

viewing markers as indexical provides a way of breaking down two of the key barriers in the definitional divide between markers and particles. First is the difference between displaying (markers) and creating (particles) meaning; second is whether markers (or particles) portray speaker stance and attitude. The term marker often implies that a linguistic item is displaying an already existent meaning; the term particle often implies that a meaning not otherwise available is being added into the discourse. (Schiffrin 2006: 336)

Fraser (2006), da parte sua, sostiene che ogni lingua disponga di una categoria di espressioni lessicali denominate pragmatic markers e che questa categoria sia, a sua volta, articolata in: (i) «basic pragmatic markers», che marcano il tipo di messaggio, ossia la particolare forza illocutiva che il parlante intende conferire al segmento del discorso su cui incidono; (ii) «commentary pragmatic markers», che introducono un messaggio separato dal discorso di base ma col quale sono correlate nella misura in cui ne costituiscono una valutazione; (iii) «parallel pragmatic markers», che sono separati dal messaggio di base e costituiscono una sorta di atto parentetico; (iv) «discourse markers», che marcano una relazione fra il segmento del discorso in cui sono collocati e il segmento discorsivo precedente, tipicamente con una funzione coesiva (Fraser 2006: 189-190). In base a questa categorizzazione, i segnali discorsivi sarebbero un iponimo dei segnali pragmatici, nello specifico, quelli specializzati nella funzione connettiva.

Fischer (2006a: 431), invece, sostiene che una classificazione su base funzionale, come nel caso della locuzione discourse connectives di Blakemore (1987), vincolerebbe l’intera categoria a una particolare funzione, cioè quella connettiva, non rendendo giustizia all’ampia gamma di funzioni che le particelle discorsive (discourse particles) possono compiere nel discorso; di conseguenza, una definizione su base funzionale non sembrerebbe giustificabile. La proposta di Fischer (2006a: 431) è quella di ricorrere al termine particle per riferirsi a tutta la categoria dei SD, sia che segnalino qualcosa e abbiano dunque una funzione indessicale, come nel caso dei discourse markers, sia che la funzione sia quella di rendere espliciti i processi mentali che entrano in gioco nella situazione comunicativa:

The word particle is thus used as a cover term because it calls up conveniently the association of not- integrated items, accounting for the fact that discourse particles are generally not part of utterances. More correctly, however, the class under consideration should be understood as unintegrated, lexicalized, idio- matic items, the prototype being particles. Discourse particles also display a characteristic semantic struc- ture. They are not believed to mark anything. Instead they are regarded as lexical items, i.e., lexicalized form-meaning pairs, whose meanings are underspecified. In this way, they are similar to linguistic signs like plural morphemes, word order, or tense markers. Their semantic content consists in claims of ongoing mental processes, specified by reference to aspects of the communicative situation. (Fischer 2006a: 431)

Ricorrono al termine partículas anche Solís e Gaviño (2017) in un numero monografico dedicato allo studio delle particelle e rappresentativo dello sconfinamento, dalla Spagna verso l’Italia – sconfinamento, a dire il vero, inaugurato da oltre due decenni dal magistero di Carla Bazzanella – dell’interesse per l’analisi dei SD; analisi sempre più orientata a includere la glottodidattica, la sociolinguistica variazionista (o correlazionale) e la linguistica contrastiva. Le particelle, elementi indispensabili alla costruzione del pensiero, costituiscono un insieme eterogeneo di elementi linguistici che veicolano informazioni metalinguistiche e metadiscorsive:

En la actualidad, cuando hablamos de partículas, nos referimos a un conjunto de elementos de carácter muy heterogéneo que se mueven, ahora en el terreno oracional, ahora en el textual o discursivo, con muy diversas funciones. Sí parece que une a estos elementos algo primordial: frente a otros elementos que sirven para la representación de la realidad, las partículas no desempeñarían (al menos primariamente) la función de ref- erencialidad extralingüística. En este sentido, estamos ante elementos que carecen del valor denotativo que se le presupone a la mayor parte del caudal léxico de las lenguas. Con las partículas no aludimos al mundo, sino que aportamos claves discursivas o metalingüísticas que, en conjunción con el producto lingüístico y el contexto, sirven para la correcta interpretación de los mensajes emitidos por medio de informaciones útiles que sirven para los procesos de descodificación de los enunciados. Estamos ante elementos indispen- sables para la construcción y verbalización de nuestros pensamientos, situados más bien en la esfera de lo metalingüístico y que poseen un significado instruccional y abstracto. (Solís e Gaviño 2017a: 10)

In breve, la proliferazione tassonomica nel campo degli studi sulle particelle è il risultato di una visione categoriale disomogenea (Garcés Gómez 2008: 22) da cui deriva – nonostante il bilancio sullo stato della ricerca in lingua spagnola sia passato da negativo (Martín Zorraquino 1992: 18) a positivo (Martín Zorraquino 2006: 49-50) – la persistenza di una variabile d’incertezza rispetto all’oggetto di studio e alla metodologia di analisi: «puede decirse que prácticamente existen tantos enfoques como investigadores» (Murillo 2010: 245). Tuttavia, proprio in virtù dell’estensione del campo dei SD: «a proliferation of terms must be avoided» (Aijmer, Foolen e Simon-Vandenbergen 2006: 102). Muoversi in questo ambito di ricerca implica fare i conti, in primo luogo, con questioni di ordine terminologico e, in un secondo momento, con i criteri da seguire per una concezione categoriale unitaria. Una sintesi dello stato della questione in lingua spagnola che rispecchi anche l’evoluzione diacronica della terminologia adottata è fornita da Garcés Gómez (2008: 15):

el término enlace hace referencia a la dimensión supraoracional (enlace extraoracional) o al nivel textual (enlace textual) en el que se sitúan; conector, a las relaciones de conexión entre los enunciados, centradas en el vínculo semántico-pragmático que se establece entre miembros discursivos explícitos, o bien entre un segmento expreso y otro implícito; operador se ha utilizado con múltiples referencias, pero la más ex- tendida es la que considera que su incidencia se limita al enunciado en el que se incluye; marcador discur- sivo es la denominación que alude al nivel en el que se inserta su descripción y pone de relieve su significado específico que consiste en proporcionar instrucciones para la correcta interpretación de los enunciados; y, por último, partícula es un concepto más abarcador referido a cualquier palabra invariable o locución que guíe por su significado el procesamiento de otra unidad con significado conceptual. (Garcés Gómez 2008: 15)

Per concludere, ci muoviamo in una sfera dai contorni incerti e in cui è estremamente difficile parlare in termini generali, difatti la scelta di un significante anziché un altro rischia, da una parte, di dire troppo e, dall’altra, troppo poco: se con “particelle” abbiamo forse un’eccessiva astrazione, con “segnali discorsivi” abbiamo un’esplicitazione della funzione indessicale vòlta unicamente a mostrare, non a creare, una relazione nel discorso. Infatti, la differenza sostanziale tra le due denominazioni (Schiffrin 2006: 336; cfr. supra) sta nel fatto che la funzione indessicale della prima, “segnali discor- sivi”, mostra una relazione già esistente nel discorso, mentre la seconda, “particelle discorsive”, è creatrice di un significato che viene aggiunto al senso del discorso, senza limitarsi a marcarlo. Inoltre, il termine “particelle” pertiene anche al linguaggio delle scienze esatte – in primis, a quello della fisica – con cui la linguistica ha da tempo instaurato un sistema di prestiti reciproci fortemente pro- duttivo. Per questo, nel presente lavoro, ove necessario riferirsi all’intera categoria funzionale, si ri- correrà, d’ora in avanti, al termine “particelle” seguito dal dominio di riferimento: “discorsive”.