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I cognomi della sintassi: verso una segmentazione del discorso

1.3. La svolta pragmatica di fine secolo: conectores pragmáticos e marcadores del discurso

1.3.3 I cognomi della sintassi: verso una segmentazione del discorso

Da quando la linguistica ha superato la frontiera della frase e ha cominciato ad analizzare il testo, e da quando la ricerca linguistica si è rivolta al parlato (la parole saussuriana) quale legittimo oggetto di studio, sono stati fatti diversi tentativi per dividere tale dominio in unità di analisi. In base a una concezione sintattica classica, l’unità minima di riferimento è il sintagma e quella superiore la frase. Tuttavia, dopo che negli ultimi decenni sono emerse nuove discipline (in primis, pragmatica, analisi del discorso e analisi conversazionale), altrettante dimensioni sconosciute della sintassi sono emerse, cambiando qualitativamente il panorama della sintassi (Gutiérrez 2018: 6). Così, l’isomorfismo che caratterizza la sintassi frasale (sintaxis oracional) e che prevede l’identità tra i livelli formali di soggetto e predicato e i livelli semantici di agente e paziente, viene meno con le funzioni informative di Topic e Comment (§ 2.1.2), caratterizzate da un anisomorfismo strutturale (Gutiérrez 2018: 14). O ancora, un ambito di ricerca che acquista notevole importanza è quello sulla periferia di frase, in particolare, relativamente alle particelle discorsive, la periferia sinistra, in cui due spazi fondamentali (higher left periphery e lower left periphery) sono individuati: «[t]he higher left periphery is the one related to the clausal superordinate functional structure, while the lower one is related to the subordinate VP [verb phrase] domain, whose left edges offer competing topic and focus positions» (Cruschina e Ledgeway 2016: 557).

Fino all’inizio degli anni Duemila, lo studio dell’interrelazione fra segnali discorsivi e posizione costituiva uno dei vuoti descrittivi più sorprendenti nello studio di questa categoria pragmatica (Briz e Pons 2010: 327). La sintassi descrittiva tradizionale, il cui parametro di riferimento è la frase, e non il discorso, consente di rinvenire una serie di regolarità nell’uso dei SD, tuttavia non è in grado di spiegarne il ruolo (o la funzione) nella sua complessità. Vi sono, senz’altro, delle regolarità di natura sintattica tra i SD, riassunte da Llamas Saíz (2010: 189-196) come segue: (i) mobilità distribuzionale: ampia, ma con limitazioni, ad esempio, un SD, salvo contate eccezioni, non può essere collocato fra un nucleo e i suoi attributi; (ii) intonazione: le pause intonative di solito sono il riflesso dell’indipendenza sintattica nei confronti dell’enunciato; (iii) attributi e complementi: a differenza degli avverbi, i SD non possono ricevere attributi né complementi; (iv) coordinazione fra SD: non

possono essere coordinati fra di loro, eccetto nel caso di alcuni SD di origine avverbiale; (v) negazione: i SD non possono essere negati; (vi) focalizzazione: i SD non possono essere focalizzati, al contrario, sono spesso focalizzatori; (vii) autonomia nel turno del discorso: in alcuni casi, soprattutto i SD che provengono dalle interiezioni, possono costituire, da soli, un turno; (viii) incidenza sintagmatica: le unità del discorso su cui incidono i SD possono essere sostantivi, aggettivi, avverbi, sintagmi preposizionali o verbali, frasi; (ix) ellissi: il SD non può costituire il resto di un’ellissi; (x) sostituzione: i SD non possono essere sostituiti da elementi pronominali o deittici; (xi) enunciati interrogativi: i SD non possono essere sottoposti a una domanda, il che li distingue, ad esempio, dai complementi circostanziali; (xii) enunciati non simultanei: alcuni SD hanno un carattere anaforico che permette di unire enunciati non consecutivi; (xiii) unità del discorso: i SD possono segmentare unità del discorso, funzionando in maniera analoga agli elementi prosodici nella lingua orale e alla punteggiatura nella lingua scritta (Llamas Saíz 2010: 189-196).

Se, da una parte, il carattere periferico ed extraproposizionale dei SD li rende un gruppo in un certo senso omogeneo dal punto di vista sintattico, dall’altra, i SD sono elementi che appartengono al discorso, e non alla frase, pertanto bisogna partire dalla particolare sintassi discorsiva per caratterizzare tali unità (Llamas Saíz 2010: 197). Esiste una sintassi del discorso (e del parlato)? Secondo una posizione formalista, no: ne esiste soltanto una ed è quella che si basa sui principi che sottostanno alle costruzioni canoniche (Pons 2011: 376). Una risposta alternativa consiste nel sostenere che probabilmente la posizione formalista abbia ragione, e che parlare di sintassi del parlato non sia altro che una metafora o una metonimia (Idem); ciononostante, l’analisi dei meccanismi di segmentazione del parlato è un oggetto di studio legittimo che: «requiere de instrumentos especiales para su estudio. Si no se les quiere llamar sintácticos, llámeselos sintécticos» (Pons 2011: 377):

Más allá de la oración, en el espacio exterior a la sintaxis, las leyes estrictas que la rigen dejan de funcionar: resulta imposible establecer relaciones de núcleo a complemento, la noción de dependencia no se puede rastrear en términos funcionales, las pruebas sintácticas dejan de ser aplicables y las nociones que lo son, como la de ámbito, solo se pueden establecer en términos semánticos. (Pons 2011: 377)

Rispetto alla sintassi, i segnali discorsivi si configurano, piuttosto, come dei “sintomi”: «los marcadores son síntomas de las relaciones sintácticas existentes y acarrean atributos de significados que deben compatibilizar con los atributos de los conectados» (González e Borzi 2008: 3). Per analizzare la particolare sintassi dei segnali discorsivi occorre perciò distinguere delle unità discrete che attuino entro un nuovo ambito discorsivo (Llamas Saíz 2010: 194). Questo è ancor più vero se la varietà di riferimento è il parlato, dato che il carattere esoforico del registro colloquiale e la grande quantità di impliciti che esso comporta rendono difficile l’associazione di molte sequenze orali alle cosiddette frasi grammaticali (Hidalgo 2011: 239). Da ciò deriva che la sintassi descrittiva risulti insufficiente per illustrare il comportamento formale dei SD, e della parole in senso ampio (Pons 2014: 5). I segnali discorsivi operano su più livelli – testuale, (meta)discorsivo e interazionale –

pertanto, anche se la varietà di riferimento è la lingua scritta, il livello del discorso, con i suoi giochi di inferenze e presupposizioni (§ 2.1.2), è operativo ed è attivato da diversi strumenti, tra cui i segnali discorsivi.

La sintassi che si rivolge al discorso, e non alla frase, è una sintassi “motivata” che riflette la continuità del discorso (González e Borzi 2008: 2). Essa ha bisogno di “cognomi” come colloquiale (coloquial), parlata (spoken) o storica (histórica) (Pons 2011: 376; Pons 2014: 5). D’altronde, da un punto di vista filogenetico, le strutture primigenie sono quelle del parlato – «la conversazione è chiaramente il prototipo dell’uso linguistico, la forma in cui tutti siamo esposti alla lingua inizialmente» (Levinson 1993: 289) –; è soltanto in un secondo momento, attraverso un processo consapevole di elaborazione e di astrazione, che le forme del parlato sono state cristallizzate nelle strutture sintattiche delle grammatiche tradizionali (Pons 2011: 477). Una frase (oración), prima di essere comunicata, è soltanto una rappresentazione sintattica e logico-semantica di carattere astratto, vale a dire, uno schema sintagmatico, una struttura proposizionale (Briz 2011: 138). In un secondo momento, quando una frase viene inserita in un discorso smette di essere una frase e diventa un atto linguistico: un’unità del discorso e della comunicazione (Idem). Dunque, una frase diviene un atto linguistico poiché esiste un emittente che dice qualcosa, in un contesto e con un’intenzione determinata, a qualcuno che deve capire o interpretare: «lo dicho se entiende; el decir se interpreta» (Briz 2011: 138). Frase e atto linguistico fanno riferimento a dimensioni diverse: rispettivamente, alla grammatica e al discorso (Idem). Se la frase è l’unità massima dell’analisi grammaticale, nel momento in cui si varca la soglia, la sintassi frasale deve cedere il passo alla sintassi del discorso, e il criterio grammaticale, al criterio pragmatico (Briz 2011: 138). L’analisi del discorso, vale a dire del testo in un contesto, consiste nell’identificazione dei costituenti, ossia delle unità e delle relazioni soggiacenti; una volta identificate, si hanno le categorie di riferimento e le funzioni pragmatiche, che riguardano i modi di mostrare le intenzioni e d’interpretarle (Idem).

Le unità del discorso (o della sintassi discorsiva) non sono segmenti o sequenze, bensì unità strutturate (Garrido 2011: 423), pertanto la segmentazione del discorso nei diversi costituenti (o unità) è il passo naturale che precede l’analisi funzionale (Briz 2011: 138). Per questo, ci si riferisce preferibilmente, non alla frase, ma all’enunciato, il quale costituisce l’unità comunicativa per eccellenza, così come – per quanto riguarda il parlato – l’intervento, formato da più enunciati, è l’unità minima di comunicatività, la cui organizzazione interna fa sì che tra gli elementi che lo compongono vi sia coesione (Cortés Rodríguez 2001: 545).

Se, come si è visto (cfr. supra), la sintassi tradizionale non consente di descrivere il comportamento formale dei SD, diventa necessario trovare una nuova sistematizzazione per poter esplorare: «the at the moment terra incognita of the saussurean parole» (Pons 2014: 7). La messa a punto di un sistema coerente di segmentazione del discorso – che possa rappresentare la lingua “immediata” così come la sintassi frasale agisce sulla lingua “distante” – e delle sue unità di riferimento si rivela particolarmente

utile per descrivere la multifunzionalità dei SD (Briz e Pons 2010: 328; De Cesare e Borreguero 2014: 57). Detto in altre parole, la variazione funzionale dei SD sarebbe limitata dalla posizione discorsiva e dal tipo di unità in cui compaiono, pertanto, una determinata posizione (iniziale, intermedia, finale) in una determinata unità discorsiva può costituire un indizio sulla funzione svolta dal SD. Quale può essere un’alternativa metodologica alla sintassi tradizionale? Una delle tendenze recenti consiste nel prendere in considerazione la struttura intonativa, poiché questa agisce come uno strumento mnemotecnico utile per codificare e ritenere gli enunciati mentalmente: «la lengua hablada deja ver las etapas de su confección, las sucesivas elecciones paradgimáticas que el hablante lleva a cabo hasta dar con la que considera más adecuada» (Hidalgo 2011: 241). Pertanto, se l’analisi del discorso riguarda la lingua orale: «prosody emerges as an alternative to the failure of syntax, in that provides scholars with objective, measurable criteria» (Pons 2014: 6).

Una forma bastante lógica de iniciar la segmentación de lo oral radica en partir el flujo verbal mismo, reconocer sus partes mínimas, eslabones naturales de la cadena fónica y, por tanto, potenciales unidades de análisis. En este sentido, es un hecho que al hablar emitimos (y al escuchar percibimos) la cadena fónica no como un conjunto homogéneo, sino como una sucesión de bloques diversos cohesionados prosódica- mente, organizados en torno a un acento principal y con una melodía propia, esto es, completa. (Hidalgo 2011: 240)

Il contorno melodico, le pause, le inflessioni e il ritmo permettono di decifrare il senso del dictum, per questo il ruolo degli strumenti prosodici è decisivo per la determinazione delle unità operative nel discorso orale (Hidalgo 2011: 240). Un sistema di segmentazione che tenga in considerazione la prosodia, elaborato per l’analisi dello spagnolo colloquiale, è il modello Val.Es.Co. (Briz, Pons, Portolés 2008), mentre un modello creato per la segmentazione del discorso nella lingua scritta, e che si è rivelato molto utile per orientarsi nella polifunzionalità dei SD (De Cesare e Borreguero 2014: 57; Borreguero 2014: 15; § 2.3.1), è il modello di Basilea (Ferrari et al. 2008; § 2.2).