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COM’È CAMBIATO IL SISTEMA DELLA GIUSTIZIA MINORILE: DA SISTEMA CHIUSO E CENTRATO A SISTEMA APERTO

Tutto il DPR 448/88 è percorso, costantemente, da due preoccupazioni potremmo dire fondamentali: l’una connessa all’altra.

La prima si fonda sulla volontà di ribadire come tutto il sistema sia orientato a rendere il percorso dei minori in conflitto con la Giustizia il meno traumatico possibile, per non incidere negativamente sulla continuità dei processi evolutivi: l’esigenza di porre attenzione agli aspetti educativi è una delle linee fondamentali ispiratrice di tutta la normativa vigente, come esplicitamente indicato nell’articolo 1 del DPR 448/88 (principi generali del processo minorile). Il processo penale minorile si prefigge di coniugare l’esigenza di dare una risposta al reato, con quella di proteggere il percorso evolutivo di crescita del minore evitandogli, per quanto possibile, lo sradicamento dalle relazioni affettive primarie salvaguardandone le esigenze educative e di sviluppo. Tutto il sistema è incentrato a evitare al minore traumaticità: si pensi, ad esempio, alla composizione mista dell’organo giudicante. Il giudice ordinario, infatti, è colui che garantisce una interdisciplinarietà al giudizio nei confronti del minore e assicura un valido collegamento con il tessuto sociale, pur mantenendo la terzietà del giudice. La presenza del giudice ordinario, ribadisce e, in un certo senso, conferma la necessità del dialogo con il territorio, ovvero con la comunità: necessità di guardare e comprendere quel mondo, che si colloca al di fuori del perimetro penale, ma che riguarda la vita del minore di fatto entrato nel circuito penale stesso (Mastropasqua I. 1997).

La seconda preoccupazione che viene costantemente ripetuta e direttamente collegata alla prima, riguarda il fatto che l’impatto con il sistema, per risultare il meno traumatico possibile, deve saper accogliere il minore nella complessità del suo mondo, delle sue relazioni. La presa in carico del minore entrato in conflitto con la Giustizia chiama in causa la capacità del sistema di sapere riconnettere e far parlare tutte le realtà che riguardano la vita del minore: dalla sua famiglia al contesto in cui si è esplicata la sua personalità. In questo senso, il carcere, istituzione totale per definizione, viene a rappresentare, di fatto, l’elemento di massima traumaticità, proprio perché

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simboleggia la massima separazione. Bisogna puntare ad abbattere dunque i muri fisici, ma anche quelli mentali, degli operatori (Mastropasqua I. (1997).

È evidente, infatti, come questo nuovo approccio abbia necessariamente prodotto, nel tempo, l’esigenza di modificare radicalmente la metodologia dell’intervento dei servizi minorili: un intervento che ha luogo solo residualmente nella struttura chiusa rappresentata dal carcere, mentre per un numero di minori sempre crescente deve invece essere attuato nell’ambiente di vita del ragazzo. L’intervento penale dei servizi viene a tenere, in un’ottica sistemica, in debita considerazione le risorse personali familiari e sociali del minore; è pienamente inserito in un lavoro che vede i servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia come nodi della rete più ampia dei servizi che si occupano del minorenne; utilizza competenze di più professionalità afferenti a diverse istituzioni pubbliche e private; sfrutta al meglio l’importante risorsa costituita dal privato sociale e dal volontariato. Si tratta di un intervento che deve essere individualizzato, che fonda la sua unicità sulle caratteristiche del minorenne, della sua famiglia, del suo ambiente di provenienza e sulle risorse che sono sì quelle del ragazzo e della sua famiglia, ma anche quelle dei servizi presenti nel territorio, siano essi dello Stato (Giustizia, Scuola, Sanità, ecc.), dell’Ente Locale, del privato sociale o del volontariato. La misura penale deve essere ritagliata sul ragazzo, ma conseguentemente il progetto d’intervento viene ad essere un progetto costruito sui bisogni e sulle risorse di cui il ragazzo può disporre. La scommessa sottesa al nuovo processo penale, che fa oggi dell’Italia un caso diverso da quello di altri Paesi europei, è sì rivolta al soggetto minorenne e alla sua capacità di attivare processi di responsabilizzazione e di assunzione di graduale autonomia, ma guarda anche ai servizi e dunque agli operatori, che devono accompagnare il ragazzo nel suo percorso di maturazione e di crescita. Ecco allora l’importanza per la Giustizia minorile di accogliere al proprio fianco partners forti, profondamente motivati, come la famiglia di origine del minore, ma anche ricchi di notevoli professionalità e con un’articolazione sul territorio così capillare dalla scuola, alle ASL, ai servizi sociali degli Enti locali, alle realtà del Terzo settore; ed ecco ancora perché, il sistema della Giustizia minorile è andato configurandosi sempre di più quale sistema aperto, che si apre alla comunità, in contrapposizione ad un’idea di sistema penale chiuso, gestito cioè da operatori di un servizio che riguardava solo un intervento penale di tipo carcerario. In altre parole, il sistema non esaurisce la sua funzione nell’occuparsi della rieducazione del minore preso in carico, per poi riconsegnarlo alla società (delegando ad essa di prendersene cura): la Giustizia Minorile assume invece una sorta di responsabilità nei confronti del minore, che permane finché il reinserimento non abbia avuto successo. Quindi, seppure la Giustizia minorile si fa garante nei confronti di un minore autore di reato, in ragione del ruolo che esercita e del livello di coinvolgimento, non si sostituisce agli altri soggetti che presiedono alle funzioni educative del

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minore stesso, ma li ospita, li sollecita facendosi guida di un percorso di riflessione e pensiero, che approdi ad un lavoro di rete capace di mettere in comune problemi, soluzioni, esperienze, strumenti di lavoro, al fine di realizzare il benessere del minore e dunque il suo miglior interesse, proprio come enunciato dalla Convenzione di New York del 1989 (Ministero della Giustizia 2015b).

In questi anni è stato possibile evidenziare come si sia andato realizzando ciò che il DPR 448 aveva impostato, ovvero:

- l’attuazione di un sistema aperto. Il progetto educativo è sempre più il risultato di un percorso olistico inter-istituzionale che include tutti gli aspetti propri non solo dell’accompagnamento del minore - dall’istruzione, alla formazione e al reinserimento sociale, familiare e lavorativo del soggetto - soprattutto in considerazione della sua dimissione dall’area penale: il minore proviene dal territorio e ad esso deve tornare essendo il percorso penale solo una parentesi che deve essere utilizzata come una risorsa;

- l’orientamento del sistema sull’azione in area penale esterna: è propriamente il fuori che rappresenta la meta finale del percorso che il minore compie nel sistema; quel fuori, che deve essere in grado di accogliere nuovamente il minore, presupponendo che egli abbia attraversato un processo di crescita e di cambiamento tale da renderlo più equipaggiato al rapporto con la società.

I dati di seguito presentati danno un’idea piuttosto chiara delle conquiste che il percorso della Giustizia minorile ha realizzato negli anni.

Trend recenti: dati ed evidenze relativi all’attività della giustizia minorile e alla delinquenza minorile

I dati relativi ai flussi di utenza dei minori all’interno delle strutture della Giustizia minorile, nell’arco di tempo compreso tra il 2000 e il 2015, evidenziano alcune tendenze relative all’attività della giustizia minorile:

1. Una compressione, ad una residualità assoluta, dell’area penale interna a favore di quella esterna: ovvero è evidente il decremento dei minori collocati presso gli IPM a favore di un incremento, nel tempo, dei minori collocati in comunità. La comunità rappresenta, infatti, un sistema di risposta progressivamente sempre più utilizzato dall’Autorità Giudiziaria per la sua capacità di contemperare le esigenze educative con quelle contenitive di controllo.Tale aumento ha riguardato in particolare i collocamenti di minori stranieri mentre è risultato sostanzialmente stabile il dato relativo ai minori italiani (Ministero della Giustizia 2015a).

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Grafico n. 1.1 - Collocamenti in IPM e in Comunità dal 2001 al 2015 secondo la cittadinanza

Fonte: Sistema Informativo dei Servizi Minorili (SISM) (Ministero della Giustizia 2015a).

0 500 1.000 1.500 2.000 2.500 200120022003200420052006200720082009201020112012201320142015

Comunità

Italiani Stranieri Totale 0 200 400 600 800 1.000 1.200 1.400 1.600 1.800 200120022003200420052006200720082009201020112012201320142015