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1988 L’INIZIO DI UNA NUOVA STORIA: IL CODICE DEL PROCESSO PENALE MINORILE

Come è stato evidenziato fin qui, nell’evoluzione della cultura istituzionale nei confronti della devianza giovanile si possono individuare dei periodi storici nei quali sono stati prodotti mutamenti legislativi ed organizzativi inerenti la giustizia minorile. Passaggio fondamentale di questi mutamenti è dapprima la Legge n. 888 del 1956 che modificò il R.D.L. n.1404 del 1934 con l’introduzione dell’affidamento del minore al servizio sociale per un trattamento in libertà assistita tra le misure rieducative; poi lo smantellamento, dal punto di vista organizzativo, degli istituti di rieducazione; quindi il D.P.R. n.616 del 1977, che, come abbiamo visto, ha trasferito agli enti locali la gestione dei servizi incaricati della competenza amministrativa (Palomba F. 2002). Ma il D.P.R.

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del 22 settembre 1988 n. 448, precursore di un nuovo impianto culturale e di gran parte dei principi propri della carta ONU sui diritti dei fanciulli del 1989, costituisce la prima ampia riforma del diritto minorile. Il processo penale minorile, così come si delinea nei suoi principi guida è considerato un evento delicato ed importante nella vita del minore; deve perciò, essere adeguato alle esigenze di una personalità in fase evolutiva. Se da un lato, pertanto, si configura un processo penale con tutte le garanzie del processo ordinario, dall’altro si tende a limitare, per quanto possibile, gli effetti dannosi che il contatto con la giustizia può provocare.

Nella difficile sfida di coniugare le esigenze punitive di giustizia con quelle di tutela del diritto del minore si scorge l’essenza di una progressiva affermazione di un nuovo modo di considerare la condizione e la questione dell’infanzia e dell’adolescenza, che trova fondamento nell’urgenza di riconoscere il soggetto minorenne, come portatore di diritti peculiari e individuo meritevole di particolare tutela: l’ordinamento giuridico privilegia così finalità risocializzanti e viene ad essere orientato verso i bisogni fondamentali della crescita umana dei soggetti in formazione, il cui riconoscimento costituisce un dovere collettivo, che non può essere in alcun modo trascurato.

Il DPR 448/88, recante disposizioni sul processo penale minorile a carico di imputati minorenni, accoglie questa urgenza varando un modello processuale finalizzato ad assicurare il ricorso a soluzioni in grado di evitare, sospendere o definire anticipatamente il processo attivando ogni risorsa di sostegno o protezione del fanciullo. È, infatti, in questa direzione che va letto il progressivo impegno a rendere il carcere una risposta sempre più residuale nei confronti dei minori entrati in conflitto con la Giustizia, a rendere l’impatto del minore con il sistema sempre meno traumatico, ad interpretare, alla luce di una pluralità di variabili ambientali, sociali, psicologiche ed educative, che possono risultare determinanti nel comportamento assunto dal minore, il valore rieducativo e risocializzativo della pena, ad ampliare la rete degli attori nella presa in carico del minore, a ridare voce alla comunità in qualità di interlocutore privilegiato e necessario, attraverso l’introduzione di valori e strumenti propri della giustizia riparativa. Tale cammino, d’altra parte, s’inserisce pienamente all’interno di un percorso di profondo cambiamento intervenuto nel corso degli anni ‘60 e ‘70 del secolo passato, che ha visto il nostro Paese testimone di una rivoluzione culturale nell’approccio ai minori. Fino alla fine degli anni ‘60, infatti, tutto il sistema dell’assistenza era principalmente finalizzato a temi di prevenzione sociale, senza la previsione di alcun intervento concreto nei confronti della personalità del minore. In questo stesso quadro, si colloca la riforma del processo penale minorile che porta con sé una nuova concezione del diritto minorile e, segnatamente, del diritto penale minorile: non più un diritto sui minori, ma un diritto per i minori, che pone al centro dell’interesse, in piena coerenza con il precetto costituzionale, la finalità rieducativa e il reinserimento sociale. La riforma del processo a carico di minori è la prosecuzione

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dell’opera già da lungo tempo iniziata e in sintonia tanto con le precedenti evoluzioni del diritto minorile a livello nazionale che degli indirizzi dettati dalle norme internazionali, entrambi volti a introdurre un rito capace di contemperare le esigenze di tutela della collettività con quelle educative e psicologiche di tali specifici imputati. In tal senso, i presupposti sulla residualità della pena detentiva, sul potenziamento degli interventi alternativi alla detenzione, sul principio della minima offensività dell’azione penale (attraverso il ricorso ad istituti giuridici come le prescrizioni, la permanenza in casa, il collocamento in comunità, la sospensione del processo e la messa alla prova) divengono elementi portanti, che informano tutta l’azione penale nei confronti di un soggetto minorenne e che riflettono, in sostanza, l’esigenza di non nuocere al minore attraverso il processo penale e di non interrompere i processi educativi in atto (Ministero della giustizia 2015b).

Le scelte ideologiche del nuovo processo penale minorile

Con l’entrata in vigore del D.P.R. 448 del 1988 cambia la considerazione dell’imputato minorenne. Da soggetto debole da tutelare, mai soggetto autonomo di diritti, il minore diventa titolare di diritti soggettivi perfetti: il diritto ad avere un proprio giudice e il diritto ad avere un proprio processo. Il processo stesso diviene, così, oggetto di un diritto soggettivo del minore: il processo deve essere a vantaggio del minore, diventa occasione di recupero e di presa di coscienza del suo disagio e per la società, diviene strumento attraverso cui conoscere quel disagio e eliminarne le cause. Così si giustificano i principi che si discostano dal codice di procedura penale ordinario, primo fra tutti l’obbligo per il giudice di illustrare, all’imputato minorenne, il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza, il contenuto e le ragioni etico-sociali delle decisioni; in ogni momento dell’incontro con la giustizia, è prevista, quindi, la partecipazione riflessiva del soggetto. Da questa disposizione emerge chiaramente che il minore è considerato un interlocutore cosciente e consapevole in grado di dialogare e confrontarsi con il magistrato. E proprio questa disposizione è la chiave interpretativa di tutto il sistema penale minorile, come sistema volto non alla punizione del minore ma a recuperare le valenze responsabilizzatrici del processo, rendendo il minore consapevole della vicenda processuale e facendogli capire il significato della risposta della società al suo comportamento (Giannino P. 1997). L’attitudine responsabilizzante è uno dei principali caratteri del processo penale minorile perché la responsabilizzazione come processo educativo serve a determinare il recupero del controllo sociale spontaneo da parte del minore stesso. L’attitudine responsabilizzante del processo stesso è volta a promuovere nel minore lo sviluppo di competenze autoregolative ancorate a principi socialmente condivisi (Palomba F. 2002).

Un’altra caratteristica propria del processo penale minorile è da individuare nella natura finalistica di tale processo (Palomba F. 2002). Infatti, mentre il processo penale generale si configura come

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attività processuale volta ad accertare la sussistenza del fatto (processo penale del fatto) e la sua attribuibilità all’imputato, il processo penale a carico di imputati minorenni si caratterizza per il fatto di avere una funzione ulteriore rispetto a quella dell’accertamento della verità, ossia la funzione del recupero del minore. La Corte Costituzionale ha più volte indicato questa funzione, facendola assurgere a peculiare interesse-dovere dello Stato al recupero del minore, a scapito della realizzazione della pretesa punitiva, la quale risulta subordinata rispetto al recupero del minore. Questa finalizzazione è giustificata dal fatto che l’imputato è un soggetto di minore età, cioè un soggetto protetto dalla Costituzione nel suo diritto allo sviluppo. Il processo penale minorile si caratterizza per questo come processo penale della personalità, oltreché del fatto. Il processo minorile si incentra non solo sull’accertamento del fatto e delle responsabilità, ma soprattutto sulla conoscenza della personalità del minore, sulla situazione personale, familiare e socio-ambientale, per valutare, alla luce di essi, la rilevanza sociale del fatto commesso, l’imputabilità, il grado di responsabilità e la risposta penale più idonea ad ottenere una più efficace opera di recupero (Di Nuovo S., Grasso G. 2005). La caratterizzazione finalistica del processo penale minorile assume una valenza educativa, intesa sia come rispetto delle esigenze educative del minore, sia come capacità educativa del processo stesso. La finalità educativa del processo penale minorile si pone sotto tre diversi aspetti (Palomba F. 2002):

1. Il processo è un’occasione educativa24: le disposizioni relative al processo minorile devono essere applicate rispettando le esigenze educative, devono essere in funzione dell’educazione del minore e favorire i processi educativi. L’intervento penale dunque non si configura come un intervento meramente segregante e stigmatizzante, bensì teso al recupero di quel processo educativo interrotto o deviato. Il nuovo processo penale, infatti, offre delle occasioni educative. Si punta su un processo inteso come momento importante per fare chiarezza insieme al minore, per aiutarlo ad interiorizzare le regole fondamentali del vivere civile (Mastropasqua I. 1997).

24 Il primo profilo, riguardante il processo come occasione educativa, viene criticato perché questa interpretazione del

processo penale minorile è frutto di un equivoco: si esclude a priori che le finalità del processo minorile possano essere educative, in quanto sono le stesse del processo penale per adulti, di cui, il processo minorile, segue le regole formali ed interpretative, con l’unica specificità del tenere conto della particolare condizione minorile. Inoltre viene critica la funzione educativa del processo penale minorile, definendo come improbabile la convivenza fra dispositivo penale e dispositivo educativo, contenuti nel D.P.R. 448 del 1988. In particolare si sostiene che il vero problema di tale decreto sia costituito dal forzato e incoerente assemblaggio fra dispositivo penale e dispositivo educativo-assistenziale, che accompagna la diffusa logica trattamentale della messa alla prova e delle misure cautelari, in quanto ciò comporta di considerare la procedura penale un pretesto per promuovere un intervento riabilitativo. Inoltre, vengono individuati elementi di contrasto insanabile fra la sfera penale e quella educativa. Innanzitutto sono diversi gli strumenti, attraverso i quali realizzare gli scopi prefissi: la coazione per la sfera penale e il consenso per l’educazione; anche i contenuti sono diversi, normativi per l’ambito penale e di aiuto per l’ambito dell’educazione; i titolari stessi dell’intervento sono soggetti diversi, mentre il giudice è il titolare dell’intervento penale, l’operatore è titolare dell’intervento educativo; infine, mentre l’intervento penale deve avere dei tempi prefissati, l’intervento educativo ha tempi indefiniti e indefinibili a priori (Giannino P. 1997).

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2. Il processo non deve interrompere i processi educativi in atto: questa è la finalità esplicita delle misure cautelari e della dichiarazione di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e, allo stesso tempo, la ragione implicita del divieto di pubblicazione e di divulgazione. 3. Il processo è un’occasione per attivare relazioni educative: a tale fine vengono condotte

indagini sulla personalità del minore imputato e viene determinato il progetto per la messa alla prova in modo che preveda il coinvolgimento delle risorse dell’ambiente di vita del minore.

Accanto all’attitudine responsabilizzante e alla finalizzazione educativa del processo penale minorile, occorre evidenziare anche la sua natura garantista. Il processo penale minorile assicura all’imputato tutte le garanzie tipiche del processo penale del fatto, proprie del codice di procedura penale. Oltre a queste sono previste per gli imputati di minore età delle garanzie specifiche, dettate dalla loro particolare condizione: il minore ha diritto all’assistenza, alla riservatezza che si realizza attraverso il divieto di pubblicazione e di divulgazione ed è tutelato contro il rischio di stigmatizzazione derivante dal contatto del minore imputato con la giustizia penale (Palomba F. 2002).

Essenzialmente, queste nuove disposizioni sul processo penale a carico di minorenni previste con il D.P.R. 448/1988 rappresentano solo una parte della più ampia riforma dell’intero sistema penale, destinata a mettere ordine in un Codice riconosciuto come fortemente contrastante con le esigenze dei minori, specie per l’oggettiva difficoltà di far coincidere le tradizionali finalità del penale con le più importanti necessità assistenziali del minore deviato (Mancuso R. 2001).

La giustizia minorile ha da sempre due scopi principali: da un lato quello penale, cioè la punizione di colui che commette reati per garantire la difesa della società; dall’altro lato quello socioassistenziale, mirante a proteggere il minore dalle situazioni di privazione, violenza e degrado. Quindi, sottoporre il minore alla tutela di un Tribunale appositamente creato per lui, che segua criteri adeguati alla sua età e alla sua situazione, assume un valore sia punitivo sia di protezione; quale sia il confine tra finalità punitiva e finalità di welfare è di difficile definizione: “si tratta di analizzare il rapporto tra sistema penale in quanto parte del sistema giudiziario, e i sistemi extragiudiziari di welfare, dipendenti anche concettualmente da apparati statuali diversi, attraverso cui le valenze di assistenza-controllo si esercitano in modo differente. In altre parole, sembra che il dibattito fra assistenza e punizione, un tempo interno al campo della competenza dei tribunali minorili, si vada spostando verso l’esterno, e riguardi, in generale, i rapporti fra sistemi di controllo di tipo autoritativo-giudiziario e nuove agenzie dello stato sociale” (Pazè P. 1989, p. 75). In Italia, di fronte all’incapacità e all’impossibilità di molti Comuni di predisporre un sistema di servizi per i minori che di fatto crei una netta separazione tra il sistema penale e il sistema assistenziale, si è

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assistito ad una sostanziale sottomissione delle misure di welfare al sistema giudiziario minorile. In sostanza, la presenza degli Enti locali e la loro chiamata in campo può rappresentare la condizione ottimale per la separazione tra i due sistemi, in modo da impedire che l’aspetto punitivo si mescoli con quello assistenziale. Alla luce di queste problematiche, le nuove disposizioni del processo penale si inseriscono in un sistema orientato in senso rieducativo, proprio per poter determinare una commistione tra la difesa sociale alla devianza e la terapia o la tutela di chi commette il reato (Mancuso R. 2001).

I principi generali e ispiratori del nuovo processo minorile

Il D.P.R. 448/88, integrato dal D.P.R. 449/88 e dal D.L. n. 272 del 28 luglio 1989, recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, delineano un sistema di giustizia penale diversificato, il cui momento significativo è rappresentato dal passaggio del minore da oggetto di protezione e tutela a soggetto titolare di diritti. Infatti, per la prima volta si parla esplicitamente di “interesse del minore”, di “esigenze educative” e di “tutela del minore” come criteri giuridicamente rilevanti, destinati a influenzare esplicitamente le decisioni e le scelte in tutto il percorso processuale attraversato dal minore (Mancuso R. 2001, p. 189).

Ad oggi l’ordinamento giuridico italiano, attraverso il sistema processuale minorile e le istituzioni sociali in tale contesto coinvolte, protende verso il recupero dell’individuo minore di età, che a vario titolo sia caduto nel circuito giudiziario. L’intero apparato normativo, sostanziale e processuale mira, in generale, al cd. favor minoris e, in particolare, ad evitare che le differenti sanzioni irrogate dalla Giustizia Minorile possano lasciare segni evidenti nell’evoluzione del giovane. I principi cardine del DPR 448/88 ne sono una dimostrazione concreta: essi ne determinano la fisionomia particolare della giustizia minorile e si discostano da quelli contenuti nel codice di procedura penale (Palomba F. 2002).Tali principi possono così sintetizzarsi:

1. Il principio di adeguatezza, per cui il processo penale per i minori deve adeguarsi, sia nella sua concezione generale che nella sua applicazione concreta, alla personalità del minore e alle sue esigenze educative (Moro C.A. 2002). Ciò discende direttamente dal carattere finalistico, educativo e responsabilizzante del processo. Il sistema penale deve essere caratterizzato dalla finalità di reintegrazione sociale del minore. Il processo penale, quindi, come sede di verifica del possibile disagio del ragazzo, deve tendere a restituire il soggetto alla normalità della vita sociale, evitando gli interventi che possano destrutturarne la personalità. Ciò comporta l’impegno della legge e di tutti gli attori del processo a tener conto delle caratteristiche di personalità del ragazzo e delle sue necessità formative in termini di criteri fondamentali per operare scelte, per prendere decisioni e attivare interventi in sede processuale (Ministero della Giustizia 2015b).

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Questo principio implica una rilevanza centrale dei contributi dei Sevizi Sociali e colloca il lavoro interdisciplinare tra i vari operatori del sistema penale minorile al livello di condizione necessaria al fine del raggiungimento dei risultati voluti dalla legge.

2.Collegato a questo principio, ma con significato e valore più vasti, vi è il principio della minima

offensività. Tale principio fa riferimento al rischio che il processo risulti superfluo o dannoso per il

minorese non adattato alle esigenze della sua età. Il rischio di superfluità del processo contrasta con il criterio di economicità-funzionalità del sistema penale ed impone che l’attività processuale sia iniziata o proseguita solo laddove sia oggettivamente necessaria. Il processo può, inoltre, risultare dannoso per il minore. Con tale affermazione viene generalmente evidenziata l’esigenza di tenere in considerazione come il contatto del minore con il sistema penale possa creare rischi allo sviluppo armonico della sua personalità ancora in evoluzione e comprometterne l’immagine anche sociale e i suoi successivi percorsi di crescita e socializzazione, con conseguente pericolo di marginalità. Ciò comporta il vincolo per i giudici e gli operatori di preoccuparsi nelle loro decisioni di non interrompere i processi educativi in atto, favorendo una rapida uscita del minore dal circuito penale oppure evitando il più possibile l’ingresso del minore nel circuito penale, consentendogli per quanto possibile di usufruire di strumenti alternativi. Il che significa che se il processo penale non riesce a mettersi a servizio di queste esigenze educative, deve almeno cercare di non essere di intralcio ad esse e di tutelarne la continuità (Ministero della Giustizia 2015b).Operativamente tale obiettivo si realizza attraverso misure quali: perdono giudiziale, non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, prescrizioni, permanenza in casa, sospensione del processo e messa alla prova.

3. Il principio di destigmatizzazione, riguardante l’identità sociale del minore, si collega al precedente principio in quanto tutela il minore dal rischio, derivante dal processo, che venga sottoposto a processi di autosvalutazione o di eterosvalutazione, cioè di etichettamento da parte della società. La destigmatizzazione deriva quindi dall’esigenza di non nuocere al minore,al fine di evitare pregiudizi nei confronti della sua immagine. Infatti, il fatto stesso di essere sottoposto a procedimento giudiziario può essere causa di danni sia esogeni legati a diverse forme di stigmatizzazione, ovvero attribuzioni e comportamentinegativi sulla persona del minore e sulle sue immagini sociali, sia endogeni legati a traumi psicologici (Di Nuovo S., Grasso G. 2005).

Per la nuova legge evitare stigmatizzazione significa garantire e tutelare la riservatezza e l’anonimato rispetto alla società esterna. Ciò avviene attraverso varie modalità, quali:

- il divieto per i mezzi di comunicazione di massa di diffondere immagini e informazioni sull’identità del minore;

- lo svolgimento del processo senza la presenza del pubblico, in deroga al principio generale della pubblicità del processo penale (c.d. processo a porte chiuse). Tale disposizione può

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essere derogata solo su richiesta espressa del minore, che abbia già compiuto i sedici anni, e nel suo esclusivo interesse;

- la possibilità a tutti i minorenni di cancellare i precedenti penali dal casellario giudiziale dopo il diciottesimo anno di età (Ministero della Giustizia 2015b).

4. Un principio che opera su un altro piano, forse il più importante, è quello della residualità della

detenzione che riconosce la dannosità del carcere nonché la sua inutilità, per cui si cerca di garantire

in ogni caso che l’esperienza della detenzione di tipo carcerario divenga residuale e addirittura eccezionale. La nuova normativa sottolinea che ogni intervento penale di tipo detentivo nei confronti della delinquenza minorile, coerentemente con il principio di depenalizzazione, è concepito come l’ultima e residuale misura da applicarsi (extrema ratio) e non più come regola. “In un sistema di giustizia minorile teso al recupero sociale del minore deviante, vi è la necessità di risposte ai fatti di devianza minorile che prescindano dalla logica punitiva: di qui, la necessità di trattare diversamente il minore, differenziando il regime sanzionatorio rispetto a quanto previsto dal sistema punitivo generale. La diversità esistente tra minore ed adulto impone la creazione di un sistema ad hoc dove il ricorso alla pena detentiva svolga, effettivamente, il ruolo di ultima ratio” (Pennisi A. 2004, p. 92). La detenzione viene prevista, nell’ottica del massimo riduttivismo carcerario, esclusivamente quando sia giustificata da rilevanti preoccupazioni di difesa sociale altrimenti non tutelabili, e ciò sia per quanto attiene agli arresti cautelari, sia per l’esecuzione delle pene. Sono state perciò previste misure completamente nuove nel nostro Paese che sono alternative