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LA CARTA FONDAMENTALE E L’OPERA INTERPRETATIVA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

LA CARTA FONDAMENTALE E L’OPERA INTERPRETATIVA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Nella Costituzione italiana si ritrovano una serie di norme il cui contenuto è inerente, in via diretta o indiretta, alla materia minorile. Un primo gruppo è costituito da quei principi fondamentali e di generale ed indistinta applicazione, tra cui il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo ed il principio di uguaglianza sanciti dagli articoli 212 e 313, che attribuiscono valore primario alla personalità individuale ed all’esigenza di tutela della dignità e dell’autonomia della persona e pertanto anche al minore, sia nella sua specificità di singolo che di componente delle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità. In tale quadro lo stesso riconoscimento costituzionale della famiglia, operato dall’articolo 29 comma 114

, implica che tale basilare formazione sociale sia tutelata principalmente come centro di protezione e di sviluppo dei soggetti che la compongono (e quindi in modo assolutamente rilevante dei minori) e non debba rappresentare un fattore di limitazione delle libertà e delle facoltà individuali. Quanto ora detto trova conferma nell’articolo 3015 il quale stabilisce che, in caso di incapacità dei genitori, la legge debba provvedere a che siano assolti i loro compiti, e nell’articolo 31 comma 216

che impegna la Repubblica alla protezione dell’infanzia e della gioventù (Governo Italiano 2015).

Nei sopra menzionati principi risiede il fondamento delle numerose disposizioni di legge che impongono di decidere nel preminente interesse del minore. La stessa Corte Costituzionale lo annovera tra gli interessi costituzionalmente garantiti. Ed è altresì proprio in ottemperanza al richiamato precetto di protezione della gioventù che trova ragione e fondamento la previsione di un Tribunale per i minorenni, organo giudiziario specializzato cui viene riconosciuta esplicita protezione costituzionale (Di Nuovo S., Grasso G. 2005). Tale istituzione con composizione mista di giudici specializzati e cosiddetti giudici esperti conferma lo spostamento di attenzione, nel diritto

12 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove

si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

13 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di

lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

14 La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. 15

È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.

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penale minorile, dal fatto reato alla personalità dell’autore al fine di garantire il più possibile il recupero del minore (Moro A.C. 2000).

Nel corso degli anni, particolare rilevanza ha assunto l’attività interpretativa e di adeguamento ai principi fondamentali della Costituzione posta in essere dalla Corte Costituzionale che, soprattutto nella fase precedente alla riforma del processo penale minorile, ha realizzato una fondamentale opera di rilettura delle norme rispetto alle esigenze specifiche del minore (così come previsto in Costituzione dagli art. 27 comma terzo17, e 31 comma secondo), facilitando la costruzione del corpus normativo che prenderà poi forma nel DPR 448/88 (Di Nuovo S., Grasso G. 2005). In campo penalistico minorile, le sentenze della Corte Costituzionale hanno quindi rappresentato un forte contributo all’innovazione, un input verso la riforma della giustizia minorile (Palomba F. 2002). A causa, come si è visto, del lento decollo di un efficiente sistema penale per i minori è toccato all’elaborazione giurisprudenziale della Corte Costituzionale far emergere un intervento chiaramente orientato alla tutela del minore e, contemporaneamente, farsi carico della concreta attuazione di una normativa specifica e differenziata che imponesse lo status di condannato minorenne attraverso una serie di pronunce di incostituzionalità (Di Nuovo S., Grasso G. 2005). Già dagli anni ’60 la Corte Costituzionale ha preso posizione sull’esigenza di specificità della giustizia minorile come settore autonomo rispetto a quello previsto per gli adulti e volto prevalentemente alla rieducazione. La sentenza n. 25 del 1964 infatti stabilisce che la giustizia minorile ha una particolare struttura in quanto è diretta in modo specifico alla ricerca delle forme più adatte per la rieducazione dei minorenni. Questa costituisce la prima di una serie di sentenze, nelle quali la Corte Costituzionale afferma l’esigenza di tutela dei minori sulla base del secondo comma dell’art. 31 della Costituzione che assegna allo Stato compiti di protezione della gioventù. Nell’ambito della giustizia minorile proteggere la gioventù significa soprattutto preservare il processo educativo in atto nel minore e favorire, anzi, avere come obiettivo la sua educazione, tenendo conto della specificità della condizione minorile. Gli istituti che la Repubblica garantisce per il perseguimento di questi scopi sono il Tribunale per i minorenni e il sistema del processo penale minorile, che, con la loro specialità rispetto al tribunale ordinario e alla procedura penale per adulti, si adattano alle peculiari esigenze dei minorenni.

A partire dagli anni ’70 la Corte, sottolinea con la sentenza n.49 del 1973, un peculiare interesse- dovere dello Stato al recupero del minore e in riferimento alla necessità della formazione della personalità, a cui è addirittura subordinata la realizzazione o meno della pretesa punitiva. La logica secondo cui tutta la legge minorile debba essere interpretata alla luce del principio generale della

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Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

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tutela dell’interesse del minore, da attuarsi attraverso l’attività di un organo specializzato, è stata oggetto anche della sentenza n. 198 del 1972.

Altre importanti sentenze della Corte Costituzionale sono la n.190/1970 e la n. 99/1975, le quali hanno sancito il diritto dell’imputato minorenne ad avere assistenza morale oltre che assistenza tecnica.

L’opera di interpretazione delle leggi alla luce dei principi della Carta fondamentale ha consentito in numerose altre occasioni alla Corte Costituzionale di affermare la specificità minorile e di riconoscerne il carattere di interesse specialmente protetto. Le finalità di tutela dei minori, che trovano fondamento anche nell’art. 2 della Costituzione, giustificano, secondo la Corte, la deroga alla pubblicità dei dibattimenti; ciò in considerazione degli effetti che la diffusione di fatti emersi nel dibattimento può provocare sulla formazione sociale dove si svolge la personalità del minore. La Corte sostiene infatti che la pubblicità dei fatti può comportare conseguenze negative sia allo sviluppo spirituale, sia alla vita materiale del minore e al suo successivo inserimento sociale. Né, in questo caso, può invocarsi la violazione dell’art. 21 della Costituzione, poiché il diritto all’informazione deve conciliarsi con il rispetto della personalità dell’imputato, in quanto la tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite nell’esigenza insuperabile che nell’esercizio di questi non siano violati altri beni ugualmente tutelati a livello costituzionale. Non è perciò contestabile che la tutela dei minori sia delegata ad una disciplina speciale, in riferimento alla necessità della formazione della personalità. A tal proposito, la sentenza n. 16/1981 dichiara costituzionalmente legittime le limitazioni della pubblicità imposte al rito minorile in quanto espressione degli interessi alla protezione dell’infanzia ed alla valorizzazione dei bisogni minorili da ritenere prevalenti rispetto ad altri interessi pur aventi, a loro volta, riconoscimento costituzionale. Nello stesso senso vanno parimenti lette le pronunce con cui la Corte ha affermato l’incostituzionalità delle leggi di ratifica di trattati internazionali qualora lo Stato che invoca l’applicazione di norme finalizzate all’applicazione di disposizioni penali non contempli, a sua volta, norme che concretamente assicurino all’imputato minorenne un trattamento adeguato.

La successiva sentenza n. 222 del 1983 pone l’accento sul fatto che la tutela dei minori si colloca tra gli interessi costituzionalmente protetti; e che il tribunale dei minori stesso (considerato nelle sue complessive attribuzioni, oltre che penali, civili ed amministrative) vada incluso tra gli istituti di cui la Repubblica deve favorire il funzionamento e lo sviluppo, adempiendo al dovere costituzionale di protezione della gioventù. Secondo la Corte il principio espresso ancora una volta nel secondo comma dell’art. 31 della Costituzione richiede l’adozione di un sistema di giustizia minorile basato sulla specializzazione del giudice minorile e sulla necessità di valutazioni da parte dello stesso giudice, fondate su prognosi individualizzate e flessibilità del trattamento in funzione del recupero

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del minore deviante. L’esigenza di prognosi individualizzate in funzione del recupero del minore è stata sostenuta dalla Corte anche nelle sentenze: n. 46 del 1978, n. 128 del 1987, n. 78 del 1989, n. 182 del 1991, n. 143 del 1996 e n. 109 del 199718. Questa finalità del recupero del minore, sostiene la Corte, deve essere perseguita mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale, in armonia con la meta additata al comma 3 dell’art. 27 della Costituzione.

Ancora, la sentenza n. 206 del 1987 evidenzia che la finalità della giustizia minorile deve essere il recupero del minore deviante attraverso la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale, aggiungendo che tale finalità può essere perseguita attraverso l’attenuazione dell’offensività del processo. Quest’ultima asserzione della Corte è particolarmente interessante, in quanto richiama il principio della minima offensività19, che costituirà uno dei principi fondamentali del nuovo processo penale minorile del 1988.

Da questo primo gruppo di sentenze emergono con chiarezza alcuni punti fermi dell’intera giurisprudenza costituzionale in materia di giustizia minorile, negli anni precedenti alla riforma del 1988. Innanzitutto emerge il principio secondo il quale il minore è un soggetto da tutelare in quanto tale. È la Repubblica il soggetto che deve apprestare la tutela dei minori, ed è vincolata a tale obbligo anche nel caso in cui il minore abbia commesso un reato. In questo caso si configura per lo Stato un interesse-dovere al recupero e alla rieducazione del minore stesso, finalità da perseguire attraverso gli organi giurisdizionali minorili. In sostanza si delinea un chiaro collegamento fra l’art. 31 secondo comma e l’art. 27 terzo comma della Costituzione e una visione del processo penale minorile come occasione di recupero sociale e rieducazione del minore, prima che di affermazione della pretesa punitiva da parte dello Stato (Cavallo M. 2002). Dall’indicazione della necessità di prognosi individualizzate per il recupero del minore, emerge la posizione di centralità nel processo, assegnata dalla Corte, all’imputato minorenne.

Da ulteriori sentenze si desume invece la preferenza accordata dalla Corte Costituzionale a istituti che si pongono come alternativa alla sanzione ed alla detenzione. Il tema della carcerazione minorile quale ultima ratio è oggetto ad esempio della sentenza n. 120 del 1977 con la quale la Corte ha sottolineato l’importanza del perdono giudiziale per consentire al minore di uscire dal

18 Nella sentenza n. 78 del 1989 la Corte sostiene che per i reati commessi dai minori è prevista la competenza del

Tribunale per i minorenni, in quanto struttura diretta in modo specifico alla ricerca di forme adatte per la rieducazione dei minorenni. Nella sentenza n. 143 del 1996 si aggiunge che le disposizioni relative al processo minorile introducono garanzie specifiche riferite all’iter processuale ed alla possibilità di avvalersi dei servizi minorili, allo scopo di approfondire la conoscenza della personalità e delle condizioni di vita del minore, nonché la rilevanza sociale del fatto per cui si procede. La sentenza n. 109 del 1997 identifica la protezione della gioventù, articolo 31 secondo comma, con l’esigenza di specifica individualizzazione e flessibilità del trattamento che l’evolutività della personalità del minore e la preminenza della funzione rieducativa richiedono.

19 Ovvero della riduzione degli interventi giudiziari, in particolare di quelli di natura coercitiva e restrittiva, in modo che

il danno apportato alla personalità del minorenne ed alla sua opportunità di reinserimento sociale, sia sempre inferiore al vantaggio conseguito dalla giustizia.

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circuito penale il prima possibile, in una cornice che dà minore fiducia alla capacità rieducativa del carcere per i minorenni.Di contro sono visti con favore tutti gli istituti introdotti dal legislatore del 1988 che, congiuntamente al proscioglimento per immaturità ed al perdono giudiziale, consentono di rendere effettivamente residuale il ricorso al carcere.

Sempre in riferimento al tema della detenzione minorile la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 46 del 1978, si esprime in merito ai divieti di concessione della libertà provvisoria, ritenuti non operanti per gli imputati minorenni. La Corte, respingendo la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 52 del 1975, esclude la possibilità di applicare ai minori una norma che vieti la concessione della libertà provvisoria, mettendo in chiaro come il ricorso alla pena detentiva sia l’estrema risorsa cui ricorrere nei confronti del minorenne, quando ogni altro specifico intervento preventivo ed educativo sia risultato inutile. Questa sentenza finalmente pone una netta differenza in materia di libertà tra adulti e minorenni e, soprattutto, apre la strada alla motivazione, ancora vigente nel nostro sistema costituzionale, di considerare residuale la carcerazione del minore, non ancora maturo dal punto di vista fisiopsichico (Mancuso R. 2001). Anche successivamente, nelle Sentenze n.128/1987, n. 109/1997 e n. 450 del 1998 la Corte mostra il suo sfavore verso l’applicazione indistinta della pena detentiva nei confronti del minore autore di reato, affermando che la pretesa punitiva debba arretrare di fronte all’esigenza del recupero sociale del minore e che il ricorso all’istituzione carceraria vada considerato come ultima ratio20

. La Corte ha quindi più volte ribadito la specificità della condizione minorile, rilevando come essa superi d’importanza quello che è l’interesse tipico di ogni sistema penale, e cioè, l’efficacia intimidatrice della sanzione, attraverso la sua applicazione ai casi accertati.

Ancora più pregnante in riferimento alla funzione preminentemente educativa che spetta al processo minorile, alla necessità di un sistema normativo diversificato e mirato ad accelerare l’uscita del giovane dal circuito penale in ragione della specificità della sua condizione è la sentenza n. 168 del 1994 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli articoli 17 e 22 del codice penale nella parte in cui questi non escludono l’applicabilità della pena dell’ergastolo al minore imputabile e per questo in contrasto con l’articolo 31 comma 2 e con l’art. 27 comma 3 della Costituzione.

In generale la giurisprudenza della Corte Costituzionale può ritenersi rivolta al perseguimento di tre obiettivi fondamentali: l’affermazione della giurisdizione esclusiva del Tribunale per i minorenni nei confronti del minore che abbia commesso un reato; la necessità di compiere prognosi

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Il principio della pena detentiva come extrema ratio, o principio di residualità della detenzione, costituirà uno dei principi fondanti del nuovo processo penale minorile istituito nel 1988.

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individualizzate; la tutela dei minori dal processo e nel processo con la conseguente necessità di garantire la rapida uscita dal circuito penale per minimizzarne gli effetti negativi.

Il primo obiettivo trova convalida, in particolare, nella sentenza n. 222/1983 che ha portato a compimento il disegno già in precedenza avviato con le sentenze n. 130/1963, 10/1966 e 198/1975. Con la detta pronuncia la Corte ha sancito definitivamente il diritto del minore al proprio giudice naturale che deve essere assicurato anche nel caso in cui il reato sia stato attuato in concorso con persona maggiorenne, che dovrà invece essere giudicata separatamente da un giudice ordinario. Il secondo obiettivo, la necessità di effettuare prognosi individualizzate, ha trovato esplicita affermazione nelle sentenze n. 46/1978 e n. 128/1987 in cui la Corte ha riconosciuto che il Giudice minorile debba essere libero da condizionamenti nel valutare i bisogni rieducativi e nel modellare la risposta penale all’età dell’imputato.

Il terzo obiettivo ha trovato affermazione, in particolare, nella sentenza n. 109/1997 con cui è stata dichiarata la parziale incostituzionalità dell’articolo 67 della legge 689/81 nella parte in cui, nei confronti dei condannati minorenni al momento del fatto, detta norma escludeva dalle sanzioni alternative dell’affidamento in prova al servizio sociale e della semidetenzione coloro che in passato fossero incorsi nella revoca della sanzione sostitutiva. La norma, senza operare alcuna distinzione tra il condannato maggiorenne e quello minorenne, delineava un rigido automatismo disciplinando in maniera uguale situazioni sostanzialmente diseguali e contrastando irrimediabilmente con le specifiche esigenze costituzionalmente tutelate (Di Nuovo S., Grasso G. 2005).La Corte ha, inoltre, rilevato l’incompatibilità del trattamento indifferenziato, previsto dall’art. 67, anche con i principi sanciti dalle c.d. Regole di Pechino e dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 che vincolano gli Stati firmatari a realizzare, anche nella fase esecutiva, un trattamento efficace, equo ed umano per favorire il reinserimento del minore nella società, adottando la riduzione in vinculis come ultima risorsa e per il più breve tempo possibile.

Il lavoro della Corte Costituzionale di interpretazione e specificazione delle norme contenute nella Costituzione e l’estrapolazione da queste di principi generali in materia di giustizia minorile, denunciano l’inadeguatezza di un sistema di giustizia minorile, che appariva, alla metà degli anni ‘80, ormai superato. Si apre, così, la strada ad una riforma dell’intero sistema: gli interventi della Corte Costituzionale sono stati un’autorevole guida per il legislatore del D.P.R. 448/88, che ha riprodotto negli articoli della normativa il contenuto delle sentenze, specificandolo ed integrandolo (Palomba F. 2002).

Relativamente, poi, alla normativa vigente, con sentenza n.16 del 1998, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo anche l’art. 59 della legge n.689/81, nella parte in cui estende agli imputati minorenni le condizioni soggettive che precludono l’adozione di pene sostitutive. Ciò

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sempre in vista della realizzazione di una disciplina improntata a criteri non segnati da assoluta rigidità ma, viceversa, orientata a promuovere valutazioni flessibili ed individualizzate per tutelare e proteggere le specifiche esigenze del minore.

La Corte è nuovamente intervenuta per dichiarare illegittime alcune norme del regolamento penitenziario. Con sentenza n.450 del 1998, i giudici costituzionali hanno dichiarato costituzionalmente illegittima la legge n.354 del 1975 (ordinamento penitenziario), per violazione degli art. 3 e 31 comma 2, della Costituzione, nella parte in cui si riferisce ai permessi-premi dei minorenni. Posto che l’istituto del permesso-premio è stato riconosciuto strumento cruciale di rieducazione, la rigida preclusione alla concessione dei permessi-premio prima della espiazione di metà della pena, trova la sua ratio nel quadro di un più generale e drastico inasprimento delle condizioni per la concessione dei benefici carcerari. Il legislatore, però, dettando tale disciplina in modo indiscriminato, senza riguardo alle specifiche esigenze, costituzionalmente ed internazionalmente imposte, dell’esecuzione minorile, ha provocato un automatismo incompatibile con la necessità di valutazioni flessibili e individualizzate volte a perseguire efficacemente il progressivo reinserimento della persona detenuta nella società e, dunque, quella finalità rieducativa che deve essere assolutamente preminente nel trattamento penitenziario minorile. Non bisogna sottovalutare, infatti, la funzionalità di tale istituto inteso a consentire a condannati, che non risultino socialmente pericolosi, di coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro e, quindi, a realizzare, ancora una volta, il progressivo reinserimento del minore detenuto nella società concretizzando la finalità rieducativa della pena.

Successivamente, con sentenza n.436 del 1999, è stato censurata la legge n.354 del 1975 (ordinamento penitenziario), nella parte in cui riserva anche ai minorenni la limitazione di alcuni benefici, assegnazione al lavoro esterno, permessi-premio, affidamento in prova ordinario, detenzione domiciliare e semilibertà, in seguito alla revoca di una misura alternativa (affidamento in prova ai servizi sociali, detenzione domiciliare, semilibertà) per un periodo di tre anni dalla emissione del provvedimento di revoca. La motivazione della Corte, anche in questo caso, si fonda sul rilievo che il divieto in questione, se applicato ai minori confligge con i principi, garantiti dagli articoli 27 e 31 della Costituzione e tutelati dalla dichiarazione dell’ONU del 1959 e dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, che ispirano il diritto minorile, volto al recupero ed alla risocializzazione dei minori devianti, esigenze che comportano la necessità di differenziare il trattamento dei medesimi rispetto a quello dei detenuti adulti, ed escludono che si possa applicare ai minori un rigido automatismo.

Le indicazioni emerse dalle più pregnanti pronunce della Corte Costituzionale non sono esaustive della vasta elaborazione giurisprudenziale della Corte in tema di differenziazione del trattamento