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L’ISTRUZIONE NEI LUOGHI DI PRIVAZIONE DELLA LIBERTÀ: ALCUNE INCONGRUENZE

Giovani adulti nell'anno

L’ISTRUZIONE NEI LUOGHI DI PRIVAZIONE DELLA LIBERTÀ: ALCUNE INCONGRUENZE

Nell’ordinamento penitenziario del 1975 (legge 354/1975) e nel regolamento di esecuzione del 1976 (DPR n. 431/1976) il legislatore si è impegnato a promuovere la formazione culturale e professionale dei reclusi, prevedendo l’istituzione di corsi scolastici che accompagnino gli studenti detenuti nei diversi gradi di istruzione, dal livello elementare a quello universitario (Ministero della Giustizia 2014c).

L’ordinamento penitenziario del ‘75 ha riconosciuto all’istruzione il ruolo di elemento irrinunciabile nel programma di trattamento rieducativo del condannato (art. 15 legge 354/75). L’istruzione rientra tra quelle opportunità trattamentali, concepite dall’ordinamento penitenziario, tese alla formazione culturale del soggetto recluso (art. 19 legge 354/75). Il primo comma dell’art. 19 dell’ordinamento penitenziario affronta la necessità di attivare, in carcere, corsi della scuola dell’obbligo omogenei e fungibili a quelli che si svolgono all’esterno, precisando che i corsi scolastici istituiti nei penitenziari non devono differenziarsi o avere carattere speciale rispetto a quelli delle scuole pubbliche. I corsi scolastici in carcere devono in tutto adeguarsi ai programmi d’istruzione che si svolgono ordinariamente all’esterno (Grevi V. 1981). Lo scopo di questa disposizione è quello di consentire ai detenuti studenti di proseguire, senza difficoltà, la loro formazione scolastica una volta che torneranno liberi. Non possiamo però ignorare che, soprattutto in merito agli studi di grado elementare e media inferiore, i programmi seguiti nelle scuole pubbliche sono elaborati per ragazzi di età tra i cinque ed i quindici anni, e non sono in grado di stimolare studenti adulti. La questione è stata superata con alcune Circolari Ministeriali57 che hanno introdotto novità sotto l’aspetto della flessibilità dell’azione didattica, dell’individualizzazione dei corsi di istruzione rispondendo così alle specifiche esigenze dei soggetti ed attuando un’attività didattica capace di stimolare negli utenti interesse e partecipazione (Grevi V. 1981). Il secondo comma dell’art. 19 dell’ordinamento penitenziario rivolge particolare cura alla formazione culturale dei detenuti, cosiddetti giovani-adulti, ovvero a quei ragazzi di età compresa tra i diciotto ed i venticinque anni. Tali soggetti sono in una fase evolutiva di tipo adolescenziale che richiede un particolare sostegno nella fase dell’apprendimento culturale. Nei confronti dei giovani studenti detenuti gli apprendimenti culturali e professionali hanno una funzione strumentale di speciale rilievo per la soluzione dei problemi pratici dell’adattamento sociale e quindi, l’attività didattica può costituire un veicolo determinante attraverso il quale facilitare il loro reinserimento sociale (Ministero della Giustizia 2014c). Il terzo comma dell’art. 19 dello stesso testo legislativo indica che con le procedure previste dagli ordinamenti scolastici possono essere istituite scuole

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d’istruzione secondaria di secondo grado negli istituti penitenziari. Il penultimo comma dell’articolo 19 dell’ordinamento penitenziario dichiara di agevolare il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati e di favorire la frequenza ai corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione. L’art. 19 conclude la trattazione dell’istruzione prevedendo, all’ultimo comma, l’impegno da parte dell’amministrazione penitenziaria di favorire l’accesso alle pubblicazioni nella biblioteca, con piena libertà di scelta delle letture, impegno già previsto dagli articoli 12 e 18 comma 658 dell’ordinamento penitenziario (Legge 354/75). Il diritto alla lettura, ad una libera lettura, seppur sottoposto a controlli (art. 21 del DPR n. 431/1976), può essere così considerato maggiormente garantito rispetto al passato e in particolare rispetto agli anni precedenti al testo dell’ordinamento penitenziario, quando nelle biblioteche degli istituti penitenziari erano disponibili, prevalentemente, libri di cultura generale (storia, geografia, romanzi) e rispetto a un passato ancor più remoto, quando la maggior parte dei testi avevano un’impronta religiosa, tecnica o specialistica (Grevi V. 1981).

Nel regolamento di esecuzione del ‘76 (DPR n. 431/1976), il legislatore ha dichiarato che l’amministrazione penitenziaria può stimolare la partecipazione dei detenuti e degli internati ai corsi scolastici (art. 39 del DPR n.461/76). A tal riguardo e al fine di facilitare la partecipazione di tali soggetti alle attività didattiche è stata prevista la possibilità di esonerare gli studenti detenuti dalle attività lavorative, qualora si svolgano negli stessi orari previsti per le attività scolastiche (art. 41 ultimo comma e art. 42 ultimo comma del DPR n.431/1976). Inoltre, lo stesso regolamento prevede incentivi economici a favore degli studenti detenuti, quali il rimborso delle spese scolastiche per coloro che si trovano in disagiate condizioni economiche ed a condizione che si siano applicati con profitto negli studi; un premio di rendimento per gli studenti detenuti o internati che abbiano frequentato con profitto i vari corsi d’istruzione, anche individuali ecc. (art. 43 DPR n.431/1976). È evidente, che la possibilità di seguire corsi di istruzione è stata espressamente prevista per i soggetti reclusi in regime di esecuzione pena. Ma occorre comprendere se tale possibilità è stata implicitamente estesa anche a coloro che sono reclusi perché sottoposti alla custodia cautelare in carcere. A parte quanto indicato dal comma 4 dell’art. 41 del DPR n. 431/1976, che offre anche agli imputati la possibilità di un’assistenza scolastica sussidiaria, sul quesito iniziale il testo dell’ordinamento penitenziario del ’75 e del regolamento di esecuzione del ‘76 tacciono (Grevi V. 1981). Anzi, l’art. 15 dell’ordinamento penitenziario, al primo comma, indica una distinzione tra l’istruzione e le attività culturali, prevedendo che il trattamento del condannato e dell’internato è svolto avvalendosi principalmente dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali,

58 L’art. 18 dell’ordinamento penitenziario del ‘75, al comma 6 recita che i detenuti e gli internati sono altresì

autorizzati ad acquistare e tenere presso di sé i quotidiani, i periodici ed i libri in libera vendita all’esterno (Presidenza della repubblica 1975).

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ricreative e sportive. Al terzo comma di detto articolo è poi previsto che gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare alle attività educative, culturali e ricreative. La conseguenza di tale distinzione sembra escludere l’istruzione per coloro che non sono stati condannati definitivamente (Grevi V. 1981). Tale equivoco non è certo irrilevante. L’istruzione è un “attività impartita da professori del sapere, la cultura può anche essere autogestita; ma la cultura è eventuale, disarmonica, frammentaria, passibile di essere interrotta ad libitum, mentre l’istruzione è curata secondo ordinamenti vigenti, attraverso il canonico flusso di conoscenze dal docente al discente ed ancora le attività culturali sono subordinate e complementari all’istruzione” (Grevi V. 1981, p.146). L’esclusione dei reclusi non definitivi dall’istruzione è contraria al principio costituzionale di uguaglianza, a quello di non colpevolezza sino a condanna definitiva, nonché a quanto disposto dall’art. 34 della Costituzione59, che al primo comma, riconosce all’istruzione il grado di diritto

civico, quindi proprio di ciascun essere umano, prevedendo che la scuola è aperta a tutti (Grevi V. 1981).

Il nuovo regolamento di esecuzione del 2000 (DPR n. 230 del 2000) rivela l’intenzione di aumentare tempi e spazi da dedicare all’ampliamento ed al miglioramento delle opportunità culturali (Ministero della Giustizia 2015b). A tale scopo è avvenuto un coordinamento tra il Ministero delle Giustizia, il Ministero della Pubblica Istruzione e le Regioni teso a facilitare l’attivazione dei corsi di scuola dell’obbligo in tutti gli istituti penitenziari (art. 41 comma 1-2 DPR n. 230/2000), prevedendo la dislocazione all’interno degli istituti penitenziari e l’attivazione di almeno un corso di scuola secondaria superiore in ogni regione (art. 43 DPR n. 230/2000)60 ed infine pensando concretamente al modo di facilitare il compimento degli studi universitari in carcere, attraverso ambienti adatti allo svolgimento dello studio, all’incontro tra studenti e docenti universitari e con la possibilità di tenere nella propria cella e nei locali destinati allo studio, libri e strumenti didattici necessari a tale attività (art.44 DPR n. 230/2000). Viene così palesata, all’art. 40 del DPR n. 230/2000, la nuova concezione dell’istruzione: un’istruzione libera, degna di essere facilitata in tutte le possibili forme, compatibilmente alle esigenze di sicurezza imposte dall’ambiente carcerario (Grevi V. 1981).

59 Art. 34 della Costituzione:

La scuola è aperta a tutti (Governo Italiano 2015).

L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso (Governo Italiano 2015).

60 Nel caso di una mancata attivazione a livello istituzionale di detti corsi, è prevista la possibilità di colmare tale

inefficienza con l’intervento del personale volontario. Il regolamento di esecuzione del 2000 riafferma l’importanza dell’apporto rieducativo da parte del personale volontario, in conseguenza del contributo fondamentale riconosciuto alla partecipazione della comunità esterna all’azione di reinserimento dei detenuti. Il coinvolgimento della comunità esterna deve essere coordinata con le attività di reinserimento dalla direzione dell’istituto di concerto con i servizi sociali, che insieme ne curano la partecipazione e le forme (art. 68 DPR n.230/2000).

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La non sovrapponibilità delle attività trattamentali e la regolamentazione dei trasferimenti degli studenti reclusi, sono due questioni completamente ignorate nel testo regolamentare del 1976. A tal proposito, il DPR n. 230/2000 all’art. 41 sancisce il principio di non sovrapponibilità delle attività offerte dall’istituto di reclusione affidando alle direzioni degli istituti penitenziari, il compito di programmare i corsi d’istruzione in orari compatibili con lo svolgimento delle altre attività trattamentali e soprattutto con il lavoro (Grevi V. 1981). Vengono fissati, all’art. 45 del DPR n. 230/2000, i benefici economici per gli studenti detenuti che frequentano i corsi di scuola superiore ed universitari, anticipati già nell’art. 43 del precedente regolamento del ’76. È stata così rafforzata l’intenzione di agevolare la partecipazione degli studenti alle attività scolastiche senza limitare le attività di lavoro, cercando di essere particolarmente accorti nei riguardi di coloro che versano in disagiate condizioni economiche e che hanno manifestato impegno e profitto nell’attività scolastica61 (Grevi V. 1981). Resta da sottolineare un punto: sia nel regolamento di esecuzione del ‘76 che in quello in vigore del 2000, i benefici economici previsti sono stati attribuiti esclusivamente a detenuti e internati ma non è stata indicata la posizione giuridica necessaria al detenuto quale precondizione per l’accesso ai benefici economici. Rimane il dubbio infatti se può essere considerato detenuto chiunque si trovi ristretto in carcere, indipendentemente dal fatto che sia in custodia cautelare o in esecuzione pena. Visto che in altri articoli dell’ordinamento penitenziario e dei regolamenti di esecuzione tale distinzione è stata evidenziata, possiamo presumere che, in mancanza di indicazioni specifiche, con il termine detenuto si voglia indicare colui che si trova ristretto in un istituto penitenziario indipendentemente dalla propria posizione giuridica, prescindendo quindi dal fatto che sia in attesa di giudizio o definitivo. Un’interpretazione diversa implicherebbe un atteggiamento discriminatorio, difficile da giustificare, nei confronti dei presunti innocenti (Coralli M. 2002).

È innegabile la maggiore considerazione che l’istruzione ottiene in seguito all’entrata in vigore della legge n. 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario, del Regolamento di esecuzione del 1976 e di quello in vigore del 2000, tuttavia è possibile riscontrare negli articoli dei testi normativi alcune incongruenze con il dettato costituzionale (Coralli M. 2002). L’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario, intitolato elementi del trattamento, ha attribuito all’istruzione la qualifica di elemento attraverso il quale si svolge il trattamento penitenziario ma non ha specificato, e non è stato fatto in seguito, che il trattamento penitenziario si deve svolgere avvalendosi dell’istruzione in modo tale da rispettarne la natura di diritto costituzionale riconosciuta all’istruzione stessa. Sia nell’art.19

61 Principio seguito anche nel prevedere che lo svolgimento delle attività culturali, ricreative e sportive deve essere

organizzato in modo tale da consentire, ancora una volta, la partecipazione dei detenuti che lavorano o che frequentano corsi formativi o scolastici, per cui gli orari di svolgimento dei due tipi di attività dovranno essere resi compatibili tra loro (art.59 comma 1 DPR n. 230/2000).

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dell’ordinamento penitenziario sia in entrambi i regolamenti di esecuzione, quello del 1976 e quello in vigore, non viene usata la parola diritto per qualificare l’istruzione. Essa, nei testi normativi citati, viene considerata esclusivamente come opportunità offerta all’interno degli istituti di pena e come elemento del trattamento penitenziario. Viene così sottovalutato il fatto che l’istruzione è innanzitutto un diritto costituzionale riconosciuto a tutti gli individui (italiani, stranieri, minori, adulti, reclusi e liberi), indipendentemente dalle condizioni di ciascun soggetto (art. 34 della Costituzione). L’ordinamento penitenziario dispone che negli istituti di pena “la formazione culturale sia curata mediante l’organizzazione di corsi della scuola dell’obbligo” (art. 19 legge 354/75). Il concetto di formazione culturale è più ampio e meno rigido di quello di istruzione ed è legittimo attribuirgli una valenza puramente trattamentale, ma è una mancanza non menzionare che nella cura della formazione culturale si deve porre attenzione al rispetto del diritto all’istruzione costituzionalmente riconosciuto (Coralli M. 2002). La mancata presenza del termine diritto, interessa anche il testo normativo del regolamento di esecuzione del 2000, oggi in vigore. I termini che compaiono all’interno degli articoli del Regolamento di esecuzione del 2000 dedicati all’istruzione dei detenuti, ovvero gli articoli n. 41, 43, 44, 45 e 46, sono: “possono”, “agevolati”, “favoriti” ma mai viene utilizzato il termine diritto o l’aggettivo garantiti (Presidenza della Repubblica 2000). Tale assenza nei testi normativi dedicati alla regolamentazione della vita carceraria non garantisce, al detenuto, alcun tipo di diritto ma solo possibilità, facilitazioni o agevolazioni, risultante non conforme al senso di umanità e in contrasto con ciò che può essere definito rieducativo. Tutte le prescrizioni sembrano suscettibili di non essere osservate o di essere disapplicate quando lo richiedono esigenze di sicurezza (Coralli M. 2002). Quindi le incongruenze tra lo stato delle cose ed il testo costituzionale nascono proprio da quanto il legislatore ha dichiarato e continua a dichiarare nei testi normativi che regolano la vita carceraria. In carcere il diritto allo studio non riceve una tutela giurisdizionale quale spetta a tutti i diritti ma viene affidato ad una tutela paternalistica dell’amministrazione penitenziaria come qualsiasi elemento del trattamento. Se un diritto è stato riconosciuto deve essere esercitabile, altrimenti viene relegato al rango di interesse, o, in ambiente carcerario, a mera opportunità trattamentale.

Le incongruenze interessano anche la disciplina dei corsi di istruzione superiore, lasciando irrisolti ancora molti problemi. Il secondo comma dell’articolo 43 del DPR 230/2000 riprende il contenuto del secondo comma dell’articolo del regolamento del ‘76, ribadendo la necessità di ammettere ai corsi di scuola superiore gli studenti detenuti che hanno manifestato una seria aspirazione allo svolgimento di detti studi nonché coloro che dovranno permanere in stato di reclusione per il tempo di almeno un anno scolastico. Le perplessità di tale enunciato è evidente: se il diritto costituzionale allo studio riconosce a tutti la facoltà di usufruire del servizio scolastico statale istituito, perché

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l’esercizio di tale diritto, da parte di un soggetto recluso, dev’essere subordinato alla manifestazione della sua seria aspirazione di proseguire gli studi, seria aspirazione non prevista per gli studenti in libertà (Coralli M. 2002).

A queste incongruenze si aggiunge la discontinuità negli studi degli studenti in carcere causata dalla loro frequente mobilità, che ne ostacola la formazione scolastica (Coralli M. 2002). La condizione di detenuto o internato sottopone spesso il soggetto a trasferimenti da lui non richiesti. Tali trasferimenti possono essere disposti per motivi diversi, che vanno da quelli disciplinari a quelli per necessità amministrative o di sicurezza. Spesso tali spostamenti si sono attuati senza attribuire la giusta considerazione al fatto che un detenuto stesse frequentando un corso scolastico. Nella migliore delle ipotesi, lo studente doveva interrompere il proprio anno scolastico proseguendolo nel nuovo istituto mentre, nell’ipotesi peggiore, e purtroppo anche più frequente, lo studente doveva interrompere definitivamente l’anno scolastico iniziato (Grevi V. 1981). Tale problema risente del concetto di istruzione come contemplata nel testo dell’ordinamento penitenziario del ‘75, ovvero come esclusivo elemento del trattamento e non come diritto costituzionale. Le cautele in merito ai trasferimenti degli studenti detenuti saranno oggetto di attenzione, solo nel regolamento di esecuzione del 2000. Infatti, l’art. 41, al comma 4 del DPR n. 230/2000, affronta il problema dei trasferimenti prevedendo che, qualora la direzione dell’istituto reputi opportuno proporre il trasferimento di un detenuto studente, deve acquisire ed unire alla proposta di trasferimento il parere degli operatori dell’osservazione e trattamento e quello delle autorità scolastiche. Il trasferimento dovrà effettuarsi, per quanto possibile, nel rispetto della qualità di studente del soggetto trasferito, così da permettergli di continuare il corso di studi intrapreso, terminando l’anno scolastico e perseguendo quella continuità didattica necessaria per completare il ciclo di studi intrapreso. Qualora il trasferimento venga disposto, dovrà essere sempre motivato. Ancora, in tema di trasferimenti, l’art. 83 del DPR n. 230/2000, al comma 9, disciplina l’ipotesi, frequente nella prassi, in cui sia disposto un trasferimento collettivo, prevedendo l’esclusione dal provvedimento di trasferimento di quei detenuti o internati che stanno frequentando attività trattamentali come il lavoro, l’istruzione e la formazione professionale (Grevi V. 1981).

Notevole passo avanti nel testo del regolamento di esecuzione del 2000 (DPR n. 230/2000) è stata la precisazione del principio di non sovrapponibilità delle attività trattamentali, anche se il modo con cui detto principio è stato disciplinato non può definirsi soddisfacente (Coralli M. 2002). Le attività trattamentali devono essere attivate in modo da permettere al maggior numero di soggetti reclusi di parteciparvi ma prima di tutto è opportuno distinguere i vari tipi di attività. L’istruzione, al pari del lavoro, non è solo un’attività trattamentale irrinunciabile, ma un diritto costituzionale. L’esercizio di tale diritto, come quello al lavoro, nonostante si esplichi all’interno di

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un istituto penitenziario, non può essere subordinato alle esigenze organizzative dell’ambiente, non può essere svilito dalle esigenze amministrative del penitenziario ma deve coordinarsi con esse. Un cittadino recluso non può essere posto di fronte alla scelta di usufruire o meno di un proprio diritto a scapito dell’esercizio di un altro (Coralli M. 2002). Emerge sì il principio di non sovrapponibilità delle varie attività del trattamento ma continua ad essere assente una differenziazione tra quelle attività che prima di tutto sono l’esercizio di diritti e quelle che sono attività trattamentali. La stessa problematica si presenta al quinto comma dell’articolo 45 del regolamento in vigore (DPR n. 230/2000). In questo comma è ribadito che, ove non sia possibile gestire diversamente tempi e spazi, i corsi di scuola dell’obbligo possono svolgersi durante le ore dedicate al lavoro. Questa eventualità, non dovrebbe essere prevista in quanto la Costituzione riconosce il diritto al lavoro e all’istruzione nonché l’obbligo di frequentare i corsi di scuola obbligatori. Nella società libera le scuole presentano i requisiti essenziali al fine di rendere concretamente fruibile il servizio scolastico. Detto servizio scolastico non è altrettanto fruibile da chi è in carcere. Ne consegue l’evidente necessità di ulteriori garanzie per i detenuti nel rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà (Coralli M. 2002).

È importante sottolineare che il regolamento di esecuzione del 2000 è successivo alla legge Gozzini n. 663/1986 la quale ha introdotto le misure alternative alla detenzione e ha previsto un ampliamento delle motivazioni valide per la concessione dei permessi ai condannati ed agli internati, allo scopo di consentire loro di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro e con la possibilità formale, limitatamente a quelli in possesso dei requisiti giuridici necessari, di sostenere l’esame in condizioni ambientali uguali agli altri iscritti universitari. Ciò nonostante nel testo regolamentare del 2000 non è stata posta alcuna attenzione particolare a tale eventualità, né alle ripercussioni ed alle influenze che possono verificarsi, dal punto di vista dell’istruzione, sullo studente detenuto ammesso ad una misura alternativa. È stato sostanzialmente ricalcato quanto era stato indicato dal regolamento di esecuzione del 1976, il quale, data l’antecedenza a tale importante innovazione, era ovviamente privo di qualsiasi dispositivo in materia (Coralli M. 2002).

Le limitazioni enunciate, non permettono allo studente recluso di esercitare liberamente il proprio diritto allo studio, contravvenendo così al dettato costituzionale che non indica alcuna limitazione, indotta da condizioni personali o di altro genere, all’esercizio di tale diritto. Per poter affermare se e quanto il diritto allo studio sia rispettato all’interno degli istituti penitenziari nazionali è importante chiarire cosa si intende per diritto allo studio e quali sono i parametri secondo cui è possibile asserire che lo stesso venga osservato. Se il rispetto del diritto allo studio in carcere coincide con la possibilità offerta ai detenuti di frequentare corsi scolastici, è possibile dichiarare che il diritto allo studio è teoricamente rispettato in tutte le carceri nazionali, dato che, dalle informazioni raccolte,

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nella maggior parte delle carceri italiane sono stati attivati corsi di istruzione, retti da volontari o istituzionalizzati (Associazione Antigone 2015b). Tuttavia, se per garanzia di diritto allo studio in carcere si intende che tutti i detenuti che lo desiderano possono concretamente frequentare corsi scolastici e che gli stessi studenti detenuti sono posti nella condizione di poter effettivamente